RODARI, Giovanni Francesco

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 88 (2017)

RODARI, Giovanni Francesco ( Gianni)

Mariarosa Rossitto

– Nacque a Omegna (allora provicia di Novara), sul lago d’Orta, il 23 ottobre 1920. Il padre, Giuseppe, dopo aver lavorato molti anni come operaio panettiere, rilevò un forno. Aveva già un figlio dodicenne, Mario, quando nel 1919 sposò in seconde nozze Maddalena Aricocchi, donna dal temperamento rigido e autoritario, molto religiosa. Dal matrimonio nacquero Gianni e, nel 1921, Cesare.

Rodari fu un bambino timido e introverso, ma dall’intelligenza molto vivace. Leggeva moltissimo; tra le sue letture c’era il Corriere dei piccoli, sulle cui pagine incontrò, tra gli altri, i personaggi di Sergio Tofano e Antonio Rubino. Da scrittore, proseguì proprio lungo la linea su cui si collocano i due autori (e prima ancora Carlo Collodi), ovvero l’ironia e l’umorismo, che si contrappone al filone deamicisiano della letteratura per l’infanzia.

In seguito alla prematura scomparsa del padre (1929), la madre si trasferì con i due figli a Gavirate, in provincia di Varese, dove Rodari frequentò la quinta elementare. Nel 1931 entrò nel seminario di San Pietro Martire di Seveso, da cui uscì due anni dopo. Proseguì gli studi frequentando l’istituto magistrale a Varese e conseguì il titolo finale da privatista nel 1937.

Visse un’adolescenza inquieta, che gli appariva, nel ricordo, «un girovagare a vuoto, lo starnazzare infelice di un ragazzo di provincia senza mezzi e senza prospettive» (Ci racconta una novella? Cinque domande a Gianni Rodari, a cura di N. Orengo, in Libri nuovi, VII (1974), p. 4). Sin da ragazzo dimostrò interesse per la scrittura: nel 1936 pubblicò alcuni racconti legati a tematiche religiose. Furono anni di letture intense e decisive, fra cui Friedrich Nietzsche, Max Stirner, Arthur Schopenhauer e, grazie al direttore della Biblioteca civica di Varese, Karl Marx e altri autori politici, che lo portarono a un atteggiamento fortemente critico nei confronti del regime. Divenne amico di operai gaviratesi vicini al comunismo e cominciò un percorso graduale e travagliato di allontanamento dagli ambienti cattolici.

Tra il 1937 e il 1938 lavorò come insegnante privato presso una famiglia di ebrei tedeschi; ebbe poi vari incarichi di supplenza come maestro e si iscrisse al corso di laurea in lingue e letterature straniere presso l’Università cattolica di Milano, senza portare a termine gli studi. Continuava intanto il suo percorso di formazione intellettuale da autodidatta con letture vaste e appassionate. Scoprì il Surrealismo e ne rimase affascinato.

La scoperta di tecniche surrealiste, come la fortuita associazione di parole, unita a una suggestione di Novalis, mise in moto la sua riflessione sulla «Fantastica», cioè sulla possibilità di individuare le leggi dell’invenzione. L’indagine dei meccanismi creativi fu una costante del suo percorso, che culminò molti anni dopo nella Grammatica della fantasia.

Nel 1941, superato il concorso da maestro, fu costretto, per insegnare, a prendere la tessera del Partito nazionale fascista (PNF). In precedenza dichiarato rivedibile per ragioni di salute, nel dicembre del 1943 fu richiamato alle armi dalla Repubblica sociale italiana (RSI) e prestò servizio a Milano nel corpo sanitario, presso l’Ospedale militare di Baggio. Nel maggio del 1944 entrò in clandestinità, aggregandosi alla 121a brigata Garibaldi «Walter Marcobi» in azione nel Varesotto, e si iscrisse al Partito comunista italiano (PCI). Il 25 aprile del 1945 era tra i partigiani che, sulla Milano-Como, fermarono un uomo con un cane. Resosi conto che si trattava di Mario Sironi, Rodari gli firmò il lasciapassare, salvandogli in tal modo la vita: «per me la sua pittura era stata una lezione di tragedia», ricordava in un appunto privato (M. Argilli, Gianni Rodari. Una biografia, Torino 1990, p. 14).

Nel dopoguerra Rodari, funzionario del PCI, svolse un’intensa attività politica e assunse la direzione dell’Ordine nuovo, settimanale della Federazione comunista di Varese. Gli interessi letterari non erano però sopiti: tra il 1946 e il 1947 pubblicò alcuni brevi racconti, tra cui Il celebre scrittore, che sviluppava in forma narrativa riflessioni su possibili meccanismi creativi.

Nel 1947 venne chiamato all’Unità di Milano, dove, su incarico di Fidia Gambetti e Davide Lajolo, curò una rubrica per bambini, all’interno della quale nacquero le sue prime filastrocche. Nello stesso periodo collaborò anche a Vie nuove, e riunì nel Libro delle filastrocche (Roma 1950) una scelta dei versi usciti sui due giornali.

Nel 1950 Giancarlo Pajetta gli assegnò l’incarico di fondare e dirigere, insieme a Dina Rinaldi, Il Pioniere, un settimanale per ragazzi. Rodari accettò, senza troppo entusiasmo, e si trasferì a Roma, città in cui restò per tutta la vita. Iniziò a collaborare con l’edizione romana dell’Unità e con varie riviste, tra cui Pattuglia, Noi Donne e Rinascita. Dal 1950 al 1953 diresse Il Pioniere e dal 1953 Avanguardia, settimanale della Federazione giovanile comunista. Dopo la chiusura di Avanguardia, nel 1956, Pietro Ingrao lo chiamò all’Unità.

Sul Pioniere diede vita, con l’illustratore Raul Verdini, a Cipollino, protagonista di una fortunata serie a fumetti. In risposta a un articolo di Nilde Jotti (La questione dei fumetti, in Rinascita, VIII (1951), 12, pp. 583-585), che esprimeva una netta condanna del genere fumetto Rodari inviò una Lettera al direttore che fu pubblicata insieme a una Postilla (non firmata) di Palmiro Togliatti (IX (1952), 1, pp. 51 s.). Nel 1951 uscì Il romanzo di Cipollino (poi, con varianti, Le avventure di Cipollino, Roma 1957).

Nell’opera, dopo aver scacciato l’autoritario Principe Limone, Ciliegino e Cipollino – che incarnano rispettivamente l’intellettuale e l’uomo del popolo – piantano insieme, con tocco gramsciano, la bandiera della Repubblica. Il romanzo nacque, nel solco di Pinocchio, dalla contaminazione tra dimensione realistica e fantastica. Collodi fu infatti, insieme con Cesare Zavattini e Aldo Palazzeschi, tra gli autori di riferimento di Rodari sin dai suoi esordi. «Pinocchio mi sembra un esempio perfetto di favola e un esempio perfetto di realismo: vedo in esso, personalmente, una strada della narrativa non solo infantile», scrisse nel 1952 a Italo Calvino, proponendogli, per la Einaudi, un saggio sull’opera collodiana (G. Rodari, Lettere a Don Julio Einaudi, Hidalgo Editorial e ad altri queridos amigos (1952-1980), a cura di S. Bartezzaghi, Torino 2005, p. 3).

Scartata la via della narrazione realistica, che gli era poco congeniale, optò per la dimensione fantastico-surreale, usata come canale per stabilire una connessione critica con il reale, come avviene anche nel Viaggio della Freccia azzurra (Firenze 1954, poi, con varianti, La Freccia azzurra, Roma 1964) e in Gelsomino nel paese dei bugiardi (Roma 1958).

Le opere degli anni Cinquanta, fortemente connotate ideologicamente, furono edite tutte da case editrici legate al PCI ed ebbero in Italia una circolazione limitata. In quegli anni Rodari era molto più noto in Unione Sovietica, dove Cipollino ottenne uno straordinario successo. Nel 1952 intraprese, con una delegazione comunista, il suo primo viaggio in Unione Sovietica, dove fece ritorno nel 1963, nel 1967, nel 1973 e infine nel 1979.

Il 25 aprile 1953 si unì in matrimonio con Maria Teresa Ferretti da cui, nel 1957, ebbe la figlia Paola. Nel dicembre del 1958 lasciò l’Unità per Paese sera, giornale di sinistra, ma non organo di Partito, per cui lavorò fino alla sua morte. L’attività giornalistica, infatti, continuò ad accompagnare costantemente il suo percorso letterario, punteggiata da numerose collaborazioni tra cui quelle a La Via migliore, al Corriere dei piccoli e al Giornale dei genitori (che diresse dal 1968 al 1977).

Nel 1960 divenne autore einaudiano e pubblicò opere destinate a lasciare il segno, come Filastrocche in cielo e in terra (Torino 1960), Favole al telefono (Torino 1962), Il libro degli errori (Torino 1964), tutte all’insegna della rivendicazione dell’importanza dell’immaginazione, per Rodari strettamente connessa all’utopia, «passaggio obbligato dall’accettazione passiva del mondo alla capacità di criticarlo, all’impegno per trasformarlo» (G. Rodari, James Bond litigherà con il lupo cattivo?, in Paese sera, 11 dicembre 1970).

Dal 1961 collaborò con Il Caffè, pubblicando sulla rivista diretta da Giambattista Vicari anche le Lapidi lepide, in cui metteva alla berlina i conformismi linguistici. Rodari intrattenne rapporti cordiali con il gruppo del Caffè e divenne membro dell’Accademia degli informi (senza statuti né sede), che aveva tra i propri componenti anche Carlo Emilio Gadda, Palazzeschi, Giuseppe Ungaretti, Italo Calvino e Andrea Zanzotto.

Nel 1962 pubblicò per Mursia Gip nel televisore. Favola in orbita (Milano), che dava modo al lettore di riflettere su una malattia moderna, la «televisionite», e quindi, per Einaudi nel 1966, La torta in cielo (Torino), che affrontava temi attualissimi come la minaccia atomica e la neutralità della scienza. Seguiva intanto con interesse il lavoro del Movimento di cooperazione educativa. Tra il 1969 e il 1970 realizzò la trasmissione radiofonica Tante storie per giocare, da cui nacque l’omonima raccolta (Roma 1971).

Nel 1970 fu insignito del prestigioso Hans Christian Andersen Award, riconoscimento internazionale mai attribuito prima a un italiano. Era ormai affermato e apprezzato in Italia e all’estero, ma la notorietà aveva aperto la via a semplificazioni e fraintendimenti. Insofferente verso le etichette riduttive, cercò di promuovere una lettura non banalizzata della propria produzione; lo fece, per esempio, nella Nota introduttiva all’edizione del 1971 delle Favole al telefono nella collana Gli Struzzi (non firmata, ma redatta dallo scrittore).

Seguirono, sempre per Einaudi, nel 1973, Grammatica della fantasia, «il mirabile libretto nel quale Rodari aveva rivendicato, e non soltanto per i bambini, il diritto a inventare» (Nascimbeni, 1990), e Novelle fatte a macchina, raccontate al presente a mo’ di ‘fumetti in prosa’, mediante le quali realizzò un ritratto della realtà socioculturale degli anni Settanta in chiave satirica, denunciando l’omologazione culturale che la pervadeva.

Intanto i problemi di salute, già manifestatisi da qualche anno, si acuirono e, parallelamente, si fecero strada nelle opere tematiche esistenziali e filosofiche. C’era due volte il barone Lamberto (Torino 1978), ambientato dallo scrittore nei luoghi della propria infanzia, racconta in fondo di uno sfuggire alla morte.

Negli ultimi mesi del 1979 intraprese un lungo viaggio in Unione Sovietica, durante il quale incontrò molte scolaresche. I suoi appunti di viaggio furono pubblicati nel volume postumo Giochi nell’Urss (Torino 1984).

Dopo la visita in Caucaso, pochi giorni prima di rientrare in Italia, incontrò a Mosca Julia Dobrovolskaja, che ricorda: «Mi telefonò. Chiese di vedermi subito. Stavo lavorando a un seminario con un gruppo di giovani traduttori. Arrivò trafelato. Stanco. Irriconoscibile. Non vi racconterò una favola, disse. Ma quello che ho visto e che non mi è piaciuto di questo paese. Parlò ininterrottamente per tre ore. […] Vomitò il disagio e l’angoscia che lo tormentava. Si lamentò per il freddo. Aveva una brutta cera. Tornò in Italia dove sarebbe morto qualche mese dopo» (A. Gnoli, Straparlando, intervista a Julia Dobrovolskaja, in la Repubblica, 18 gennaio 2015).

Nell’aprile del 1980, prima di entrare in clinica per un intervento chirurgico alla gamba sinistra, inviò alla Einaudi la sua ultima raccolta di racconti, Il gioco dei quattro cantoni, che uscì poco dopo (Torino 1980).

Morì a Roma, per collasso cardiaco, tre giorni dopo l’intervento, il 14 aprile 1980.

Fonti e Bibl.: Per la bibliografia delle opere si rimanda all’appendice curata da Giorgio Diamanti, in P. Boero, Una storia, tante storie. Guida all’opera di G. R., San Dorligo della Valle 2010 (1ª ed. Torino 1992). G. Nascimbeni, Aladino vu’ cumprà. Rodari 10 anni dopo, in Corriere della sera, 13 aprile 1990. Tra i contributi più recenti: G. Massini, La poetica di R. Utopia del folklore e “nonsense”, Roma 2011; M. Rossitto, Non solo filastrocche. R. e la letteratura del Novecento, Roma 2011 (con bibliografia critica); P. Macchione, Storia del giovane R., Varese 2013 (con C. Zangarini - A. Vaghi).

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