GRADENIGO, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 58 (2002)

GRADENIGO, Giovanni

Franco Rossi

Figlio di Nicolò di Bartolomeo, protagonista di primissimo piano della vita politica e diplomatica veneziana della seconda metà del secolo XIV, nacque a Venezia con buona probabilità intorno al 1311-12.

Il padre, alla pari degli zii, soprattutto l'omonimo Giovanni, ma anche Ermolao, Marco e Pietro, aveva intrapreso una brillante carriera pubblica. Al G. si possono attribuire con relativa certezza almeno tre fratelli maschi, Michele, Andrea, che ricoprì numerosi incarichi politici e diplomatici, e Ludovico, morto ad Avignone, di una qualche fama presso i contemporanei per il ragguardevole numero di codici posseduti; forse ebbe pure delle sorelle, anche se a questo proposito va registrato, come ognun sa, il silenzio dei genealogisti. Si unì in matrimonio - ma non si conosce la data - con Aluica Soranzo, dalla quale ebbe un figlio, Domenico, primicerio di Candia, e forse anche delle figlie.

Omonimi coevi, dai quali il G. si distingue oltre che per il diverso patronimico anche per l'appellativo "da S. Lio" che ne identifica la contrada di residenza, furono Giovanni figlio di Luca di Marino, suo lontano cugino, al quale il Barbaro non attribuisce né discendenza né vita politica; Giovanni da S. Agostin - così ricordato dalle fonti documentarie e cronachistiche - del quale nondimeno si ignora persino il nome del padre, personaggio minore del firmamento politico veneziano del secondo Trecento; Giovanni figlio di Michele e Giovanni figlio di Secondo, attivi politicamente a far tempo dall'ultimo ventennio del secolo XIV e più giovani del G. di qualche decina d'anni.

Nulla si conosce dell'adolescenza e della giovinezza del G.; in Maggior Consiglio dal 1336, dovette indubbiamente iniziare la carriera con incarichi di minor rilievo, utili tuttavia ai fini del suo apprendistato, ma di cui, purtroppo, non rimane traccia nelle fonti.

A partire dall'aprile del 1343, quando venne nominato bailo (rettore) a Costantinopoli, il G. fu costantemente al servizio dello Stato, in patria e più ancora all'estero, investito di importantissime responsabilità diplomatiche che lo portarono a confrontarsi con le corti e i sovrani di mezza Europa. Dopo essere stato eletto nel settembre del 1344 castellano di Modone e Corone, nel maggio del 1347 conte di Spalato e nel marzo del 1349 giudice del "proprio", venne designato il 17 aprile dello stesso anno ambasciatore presso Stefano VII Dušan, imperatore di Serbia, ma rifiutò la carica. Non trova invece alcuna conferma l'affermazione di Pietro Gradenigo (p. 74), secondo la quale il G. sarebbe andato qualche mese dopo a Genova in missione diplomatica - accompagnato da Andrea Falier - per convincere i Genovesi a non ostacolare la navigazione veneziana nel Mar Nero.

Il 17 maggio il G. fu chiamato a far parte, insieme con Giustiniano Giustinian, Simone Dandolo e Marino Falier, della delegazione veneziana presso il cardinale e legato pontificio Gui de Boulogne, il quale da Padova ritornava ad Avignone. Il 1° ag. 1350 venne quindi eletto in Pregadi per l'anno consiliare che avrebbe avuto inizio il successivo mese d'ottobre, ma non riuscì a completare il mandato, in quanto il 2 giugno 1351 fu nominato oratore residente a Pietro IV d'Aragona, in luogo di Giovanni Steno, la cui azione non stava dando i frutti sperati.

Un compito particolarmente difficile attendeva il G. in Spagna: egli doveva infatti persuadere il diffidente sovrano, in quel momento alleato di Venezia, che le trattative di pace avviate con Genova a seguito dell'intervenuta mediazione del pontefice non significavano automaticamente la fine della Lega veneto-aragonese, e soprattutto non comportavano l'immediato venir meno del sostanzioso aiuto finanziario fornitogli dalla Repubblica. Nonostante gli sforzi messi in atto, non fu però possibile vincere del tutto la diffidenza del re, che persisteva nel mostrarsi offeso per essere stato escluso dai negoziati con i Genovesi. La missione ebbe termine nella primavera del 1352 senza un vero e proprio successo; anzi fu giocoforza per il G. registrare, e comunicare poi al Pregadi, un certo raffreddamento della corte aragonese nei confronti della Repubblica.

Dopo una parentesi in Pregadi dall'ottobre del 1353 al settembre dell'anno successivo, si aprì per il G. un decennio particolarmente impegnativo, tutto speso al servizio della Repubblica, alternando il seggio senatorio alla paziente e defatigante trattativa diplomatica, e sperimentando pure i tormenti di una prigionia ingiusta e umiliante. Nel settembre del 1355 fu eletto ambasciatore presso l'imperatore bizantino Giovanni V Paleologo, con l'obiettivo di ottenere una proroga della tregua in corso e la restituzione del mutuo di 30.000 ducati che proprio lui aveva negoziato con l'imperatore allorché era stato bailo a Costantinopoli. La sua permanenza in Levante si protrasse fino all'estate inoltrata del 1357, quando il Pregadi lo autorizzò a rientrare in patria, una volta ottenuta la conferma della tanto sospirata tregua e solo dopo la nomina di un bailo in sua vece.

Il 22 novembre dello stesso anno, mentre ancora si protraevano le ostilità con gli Ungheresi, il G. fu eletto dal Pregadi, unitamente a Pietro Trevisan e al cancelliere Benintendi de' Ravagnani, ambasciatore al re d'Ungheria, Luigi I d'Angiò, allora a Zara. Si era infatti appena conclusa senza esito alcuno la missione esplorativa di Andrea Contarini e Marco Giustinian presso Nicolò, conte palatino del re, di stanza in Trevisana, e la Repubblica si trovava nella necessità di mettere fine a una guerra estremamente dispendiosa, anche a costo di dolorosi sacrifici territoriali - su tutti la rinuncia a Zara e alla Dalmazia - pena la perdita dell'Istria e delle città trevigiane da poco entrate a far parte del suo Stato da Terra. Obiettivo dichiarato dei diplomatici veneziani, che in questa occasione avevano avuto dal Pregadi la massima libertà d'azione, era infatti quello di chiudere una volta per tutte il prolungato conflitto con il bellicoso e tenace sovrano ungherese e raggiungere la pace.

Vivace e combattuto come non mai il dibattito che agitò in quelle settimane le adunanze del Pregadi e della zonta che a questo era stata aggregata, proprio al fine di assicurare una più ampia occasione di discussione e di confronto. Nel dibattito, puntualmente riportato dalle fonti documentarie e cronachistiche, si scorgono le due linee di tendenza che animavano la dirigenza veneziana di metà Trecento. Da un lato vi era infatti chi voleva spingere a oltranza, fino all'ultima risorsa, il confronto militare con l'Angiò, correndo il rischio però di perdere tutto, forse anche la stessa sovranità statuale, visto che per la Marca si agitava minaccioso anche l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo; dall'altro vi era chi più realisticamente puntava a una soluzione di compromesso, magari in attesa di tempi migliori, e a salvare il salvabile. Ottenuta il 29 novembre dal Pregadi la "commissione", i tre rappresentanti veneziani si avviarono alla volta di Zara e in poco più di due mesi di trattative serrate, sempre sul punto di essere interrotte, riuscirono a vincere l'intransigenza del sovrano ungherese - che puntava soprattutto a umiliare la Repubblica e a sottrarle il controllo dell'Adriatico - e a raggiungere un accordo tutto sommato accettabile, che comunque comportò per Venezia la cessione della Dalmazia e per il doge la forzata rinuncia all'intitulatio maxima. A questo prezzo fu però possibile rientrare in possesso dei centri costieri dell'Istria e di quelli della Marca trevigiana occupati dalle truppe di Luigi. Il trattato di pace venne infine concluso il 18 febbr. 1358 a Zara, città simbolo delle aspirazioni adriatiche del re d'Ungheria, nella sacrestia della chiesa di S. Francesco, e sottoscritto dal sovrano nello stesso giorno; il 24 febbraio fu quindi pubblicato a Treviso e il 25 ratificato dal Maggior Consiglio.

Di ritorno da Zara il G. si trattenne per qualche tempo in Istria, dopo essere stato nominato dal Pregadi provveditore, insieme con Marco Soranzo, Giovanni Querini, Luca Zusto e Giovanni Bondumier, con il compito di condurre un'attenta e particolareggiata inchiesta sulla delicata situazione finanziaria in cui versavano Capodistria e le altre città istriane soggette a Venezia, e di prendere tutti i provvedimenti necessari all'occorrenza, avvalendosi anche della collaborazione dei rettori locali. Rientrato in patria, il G. venne immediatamente inviato a Serravalle quale podestà, rimanendovi almeno fino a tutto marzo del 1359.

Subito dopo, alla fine di maggio di quell'anno, il G. fu eletto ambasciatore in Germania presso l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo. Gli furono colleghi in questa occasione Marco Corner e Lorenzo Celsi, entrambi futuri dogi.

L'obiettivo primario della missione era quello di ottenere dall'imperatore il riconoscimento del possesso veneziano di Treviso e degli altri centri della Marca, fosse anche entro la cornice giuridica del vicariato imperiale, in un primo momento respinta con fermezza dal Pregadi, che optava per la sovranità piena e assoluta, e poi accolta come inevitabile soluzione di compromesso. L'imperatore, forse spazientito dall'atteggiamento poco deferente della delegazione veneziana, disposta a cedere nella forma ma non nella sostanza, conformemente alle istruzioni ricevute, o forse anche a seguito delle interessate pressioni ungheresi, a un certo punto si rifiutò di concedere l'investitura richiesta e, ai primi di gennaio del 1360, licenziò i diplomatici. Il G. e il Corner furono allora richiamati in patria, mentre al Celsi venne ordinato di rimanere a corte e di riannodare le fila delle trattative rimaste a mezz'aria, che comunque si arenarono ancora una volta nel nulla.

Sulla via del ritorno, in territorio austriaco, il G. e il Corner furono fatti prigionieri da Barbaro Regolo, castellano di Sench, il quale intendeva in questo modo vendicarsi dei Veneziani che durante la guerra con gli Ungheresi avevano distrutto un suo castello. Il 26 gennaio il Pregadi, venuto a conoscenza del loro arresto, si attivò immediatamente con le opportune pressioni presso il duca d'Austria Rodolfo IV e lo stesso imperatore per ottenerne la liberazione. In questa occasione le trattative furono particolarmente lunghe e complesse e si conclusero alla fine dell'estate del 1361, quando l'intervento deciso ed energico di Rodolfo convinse l'ostinato castellano a liberare i prigionieri, che rientrarono a Venezia il 29 sett. 1361 accompagnati dallo stesso duca.

La vicenda ebbe tuttavia un seguito poco gratificante per il G. e il Corner. Il 17 marzo dell'anno successivo essi presentarono un'istanza alla Signoria al fine di ottenere il trattamento economico spettante agli ambasciatori anche per il periodo in cui erano stati trattenuti prigionieri; ma il Pregadi, che pure in un primo momento aveva riconosciuto l'opportunità di rifondere loro le spese di viaggio effettivamente sostenute e gli altri oneri di cui si erano fatti carico, e per i quali avevano contratto non pochi debiti, il 27 aprile, su proposta del doge e di cinque consiglieri su sei, respinse la richiesta.

Componente del Minor Consiglio dal luglio del 1362, il G. venne eletto l'8 agosto di quell'anno ambasciatore a Genova, ma rifiutò la nomina; accettò invece il 26 dello stesso mese la designazione ad ambasciatore incaricato, insieme con Marco Corner e Pietro Trevisan, di rappresentare la Repubblica nelle trattative di pace in corso tra i Visconti e il legato apostolico Egidio de Albornoz e collegati. Del pari, nel gennaio del 1363 accettò di andare ad Avignone, sempre con Marco Corner e Pietro Trevisan, in qualità di ambasciatore presso la corte pontificia. Ritornato in patria, il 22 luglio di quello stesso anno venne chiamato a far parte, in qualità di savio, di una commissione deputata a esaminare la delicatissima materia dei rapporti veneto-bizantini e a suggerire al Pregadi i provvedimenti ritenuti più opportuni al fine del mantenimento della tregua in corso.

Scoppiata nell'agosto del 1363 la rivolta dei "feudati" veneziani di Candia, il G., l'11 settembre, venne inviato nell'isola, unitamente ad Andrea Contarini, Pietro Zane, Francesco Bembo e Lorenzo Dandolo, nelle duplice veste di provveditore e di ambasciatore della Repubblica, con il compito di persuadere i ribelli a sottomettersi all'autorità dello Stato.

La mediazione della legazione non sortì alcun effetto e ai primi di novembre, vista l'inutilità di qualsiasi sforzo e l'ostinazione dei rivoltosi nel voler ricercare a tutti i costi lo scontro con la madrepatria, i cinque rappresentanti fecero ritorno a Venezia senza esserne stati preventivamente autorizzati. Per questa ragione il 23 novembre i cinque vennero sottoposti dal Pregadi a regolare processo; il Contarini, che aveva guidato la delegazione, lo Zane e il Bembo furono accusati di aver disatteso le istruzioni ricevute e, riconosciuti colpevoli, condannati a pene pecuniarie di una certa rilevanza; il Dandolo e il G. furono invece assolti.

Dopo essere stato inviato ambasciatore nel 1364, insieme con Michele Morosini e Zaccaria Contarini, presso Amedeo VI di Savoia che si era offerto quale mediatore di pace tra Veneziani e Genovesi, il G. poté godere, almeno fino al febbraio del 1367, di alcuni anni di relativa tranquillità in patria, durante i quali, comunque, fu più volte eletto in Minor Consiglio e in Pregadi. Nel luglio del 1365 fece anche parte del Collegio dei quarantacinque che concorsero all'elezione del doge Marco Corner. Il 12 febbr. 1367 venne quindi inserito nella nutrita delegazione veneziana che si recò ad Avignone per accompagnare papa Urbano V nel suo viaggio verso Roma. Il G. anzi fu uno dei cinque ambasciatori della Repubblica incaricati di imbarcarsi sulla galera che da Marsiglia portava il pontefice in Italia. Il 13 novembre fu chiamato a far parte dei Sapientes electi ad provisionem aquarum, una speciale commissione - anticipazione remota ma significativa dei futuri savi ed esecutori alle Acque - incaricata di studiare i rimedi più opportuni al pericoloso fenomeno di interramento della laguna; in quell'occasione il G. venne affiancato da Giovanni Priuli, Nicolò Falier, Paolo Loredan e Giovanni Mocenigo. Nel gennaio del 1368 prese quindi parte alle operazioni elettorali che portarono sul trono ducale Andrea Contarini.

Nello stesso anno il G. fu eletto duca di Creta. In un contesto ancora segnato dagli ultimi fuochi di una rivolta che aveva costretto la Repubblica a intervenire con mano ferma e decisa, ma anche pesante, nei confronti dei propri feudati, il G. seppe operare con equilibrio e saggezza e dare un'ottima prova di sé, al punto che qualche anno dopo, nel febbraio del 1374, fu chiamato una seconda volta a ricoprire il delicatissimo incarico. Rientrato in patria alla chiusura del primo mandato cretese, il G. fu inserito, il 3 ott. 1370, in una commissione di cinque savi deputata a esaminare la complessa materia delle decime richieste dal vescovo di Castello. Ai primi di agosto del 1371 fu eletto sapiens Tervisane et Istrie e di seguito nominato podestà di Treviso. Alla scadenza del mandato (settembre 1372) fu poi inviato provveditore in campo, sotto Treviso, terzo collega di Andrea Zeno e Pietro Mocenigo. Eletto il 1° ott. 1372 in zonta al Pregadi, tra il febbraio e il giugno dell'anno successivo fu nominato governatore dell'esercito schierato contro Francesco il Vecchio da Carrara, ancora una volta insieme con il Mocenigo.

In questa occasione i due governatori furono chiamati a reprimere severamente i reiterati episodi di indisciplina che stavano impedendo alle forze veneziane di trarre profitto della loro superiorità numerica. Espletato con successo il mandato, il G. poté concedersi solamente qualche mese di riposo, in quanto nuovamente atteso a Creta quale duca: non prima, però, di venir eletto nel settembre del 1373 sapiens pro factis Padue, e il 2 ottobre seguente chiamato in zonta al Pregadi, dove ritornò al rientro dall'isola, a seguito dell'elezione del 30 sett. 1376.

Sul finire del 1376 il G. fu inviato, in veste di provveditore, unitamente a Pietro Corner e al capitanio Antonio Venier, a Tenedo, l'isola di assoluta importanza strategica, posta quasi a guardia dei Dardanelli, che nell'ottobre di quell'anno si era data ai Veneziani, con il compito: "de dì in dì de metello in più forteça che se podesse; e cussì se partì de Veniexia. E qui chomenza la guera e l'incendio da Veniciani a Genovexi" (Chinazzo, p. 20). Per uno strano e bizzarro scherzo del destino il G. si trovò così protagonista dei prodromi della guerra di Chioggia e qualche anno dopo fu uno degli ambasciatori che, a Torino, negoziarono il trattato di pace che pose fine al conflitto, il più drammatico che Venezia dovette affrontare prima di Agnadello.

Durante la sua permanenza a Tenedo il G. venne incaricato, insieme con Pietro Corner (marzo 1377), di alcune delicate e difficili missioni diplomatiche: all'imperatore di Costantinopoli, Giovanni V, per chiedergli conto dei danni inferti dai suoi sudditi ai mercanti veneziani che commerciavano in Levante; ad Amurat bey, "grande ammiraglio dei Turchi", per negoziare un'alleanza tra lui e la Repubblica; e infine ad Andronico (IV), figlio dell'imperatore di Costantinopoli, che si era ribellato al padre, per tentare di rappacificarli.

Nel 1379, nel pieno della guerra di Chioggia, mentre le sorti dei Veneziani sembravano volgere al peggio, il G. fece parte, con Zaccaria Contarini, Nicolò Morosini, decretorum doctor e protonotario apostolico, Michele Morosini, procuratore di S. Marco, Giacomo Priuli e, in un secondo momento, anche con Leonardo Dandolo, della delegazione veneziana che a più riprese tentò invano di negoziare condizioni accettabili di pace, dapprima con Luigi d'Angiò, a Buda (25 maggio - 2 luglio), quindi con Carlo d'Angiò Durazzo, nipote del re d'Ungheria e futuro re di Napoli; queste seconde trattative si svolsero a Sacile e sotto Treviso assediata (7 agosto - 10 novembre). Insieme con Zaccaria Contarini e il fratello Andrea, il G. partecipò, seppure in un secondo momento, alle riunioni fra i rappresentanti delle città nemiche, svoltesi a Cittadella tra l'estate e l'inverno del 1380 per iniziativa di papa Urbano VI, premessa dei futuri negoziati di Torino.

Nel 1380 il G. fece parte anche del Consilium sapientium guerre, il Consiglio al quale il Pregadi aveva delegato l'intera materia del conflitto, rivestendone più volte la delicata e importantissima funzione di capo.

In questa veste il 31 ottobre di quell'anno, unitamente al collega Nicolò Romano, propose la "parte", poi approvata, istitutiva di una commissione di sei savi incaricati di sovrintendere alla complessa gestione degli "imprestitidi", in modo tale che fosse sempre assicurato alle casse della Repubblica il denaro necessario alle esigenze della guerra, senza inutili e dannose perdite di tempo e con la massima equità possibile. Alla fine di quello stesso mese di ottobre fu inoltre nuovamente eletto in zonta al Pregadi.

L'anno successivo il G. fu inviato a Torino, con Zaccaria Contarini e Michele Morosini, alle trattative di pace promosse da Amedeo VI di Savoia. Eletto il 4 aprile, il G. partì da Venezia il 16 dello stesso mese, dopo che la delegazione ebbe ricevute dal Pregadi le opportune istruzioni, e dopo aver dettato al notaio-cancelliere Rafaino Caresini il proprio testamento. Le trattative si protrassero per oltre tre mesi in mezzo a difficoltà e incomprensioni di ogni genere, ma alla fine, l'8 ag. 1381, fu conclusa la pace, pubblicata poi a Venezia il 3 settembre.

Eletto in Quarantia sempre nel settembre dello stesso anno, il G., quale capo di quel Consiglio, insieme con Andrea Morosini e Bianco Emo, fu uno fra i proponenti la "parte" che concesse l'ammissione al Maggior Consiglio a trenta popolari che si erano particolarmente distinti nelle operazioni militari contro i Genovesi e per il rilevante contributo finanziario offerto allo Stato durante la guerra di Chioggia (4 sett. 1381). Secondo la Cronica del Chinazzo, che però in questo caso non trova ulteriori conferme, il G. sarebbe invece rientrato a Venezia solamente l'11 settembre. Il 30 del mese fu anche chiamato a far parte della commissione di savi cui il Senato delegò la trattazione, in via preconsultiva, degli affari legati in vario modo ai capitoli della pace di Torino e rimasti ancora in sospeso.

In Quarantia il G. rimase fino al 1° ottobre, quando venne eletto savio del Consiglio. Il 1° marzo 1382 fu quindi inviato a Genova presso il conte di Savoia, insieme con Michele Morosini, per scusare la Repubblica di non avere ancora provveduto alla cessione di Tenedo (occasione della rivalità fra Genovesi e Veneziani e condizione prevista esplicitamente dalla pace di Torino).

Il ritardo era imputabile - questo era quanto dovevano dire gli ambasciatori - non tanto alla cattiva volontà o alla malafede di Venezia, bensì alle resistenze di Giovanni Muazzo, il rappresentante veneziano di Tenedo, che si rifiutava di abbandonare l'isola. In realtà i due diplomatici dovevano anche tentare di conseguire un risultato ben più ambizioso: sondare la possibilità di raggiungere un accordo con i Genovesi al fine di conservare alla Repubblica l'isola, ricorrendo, se necessario, all'arbitrato del duca. Di analoga missione a Torino fu incaricato, lo stesso giorno, Zaccaria Contarini. Ricevuta la commissione il 10 marzo, il giorno successivo la delegazione lasciò Venezia; i Genovesi non vollero però in alcun modo acconsentire alle richieste veneziane, visto che proprio a causa di Tenedo era scoppiata la guerra appena conclusa, e a metà maggio licenziarono gli ambasciatori, dopo aver comunque accolto le scuse della Serenissima per l'imprevisto ritardo.

Il 23 maggio il G. e il Morosini erano già ritornati a Venezia, giusto in tempo per prendere parte all'elezione del nuovo doge (7-10 giugno 1382), e dalle urne uscì eletto proprio Michele Morosini. In questa occasione il G. fece parte delle diverse tornate elettorali; il 18 giugno, poi, fu elevato al grado di procuratore di S. Marco de supra in luogo del Morosini.

Dopo essere stato nominato il 6 sett. 1382 nuovamente savio del Consiglio per tutto l'anno a seguire, il G., che inevitabilmente cominciava a sentire le fatiche dell'età e il peso dei tanti viaggi all'estero, ebbe l'opportunità di trattenersi per alcuni anni in patria, interrompendo comunque di tanto in tanto la pressoché quotidiana presenza in Pregadi e tra i Savi del Consiglio con alcune brevi missioni diplomatiche, che non lo portarono mai troppo lontano da Venezia. Di questa presenza, di assoluta rilevanza politica, rimane traccia nei testi delle numerose deliberazioni proposte, quale savio, all'approvazione del Pregadi. Morto il 15 ott. 1382 il doge Michele Morosini, il G. fu inserito, il giorno successivo, tra i correttori della promissione ducale, e tra il 16 e il 21 ottobre prese parte alle operazioni elettorali destinate a concludersi con la designazione di Antonio Venier.

Il 27 maggio 1384 fu eletto ambasciatore presso Francesco da Carrara, signore di Padova, unitamente a Zaccaria Contarini, per richiamarlo all'osservanza dei patti che Venezia aveva a suo tempo stipulato con Treviso e che egli, nuovo signore della città, intendeva invece ignorare. Ritornato a Venezia ai primi di luglio dopo aver felicemente portato a termine il proprio impegno, il G. venne posto a capo (1° agosto) di una commissione di savi incaricata di esaminare la complessa realtà politica in cui versava in quel momento il Friuli, legato a forme istituzionali di carattere feudale, e di riferire in Pregadi, in vista di un possibile intervento militare della Repubblica da quelle parti, come sollecitava il patriarca di Grado, allora a Venezia. In zonta al Pregadi dal mese di ottobre, il G. fu eletto il 30 settembre successivo anche savio del Consiglio per il semestre seguente. Il 17 genn. 1385 venne quindi inviato a Grado, insieme con Leonardo Dandolo e Michele Steno "pro facto ligê cum furlanis" (Arch. di Stato di Venezia, Senato, Deliberazioni miste, reg. 39, c. 77v), con l'incarico cioè di stipulare un'alleanza difensiva con i feudatari friulani contro il Carrarese. Ricevuta la "commissione" il 20 gennaio, il G. si mise subito in viaggio e il 15 febbraio, espletato positivamente il mandato, aveva già fatto ritorno in patria.

La permanenza a Venezia fu però di breve durata; infatti il 20 aprile fu spedito ambasciatore a Verona presso Antonio (I) Della Scala, che desiderava associarsi alla Lega veneto-friulana. Appena rientrato dalla missione, il G. fu nominato (4 giugno) savio del Consiglio fino al completamento del semestre in corso, in sostituzione di Pietro Mocenigo, designato ambasciatore a Milano presso Gian Galeazzo Visconti. Il 15 ottobre dello stesso anno venne quindi chiamato a far parte, con Leonardo Dandolo e Donato Tron, della delegazione che doveva accompagnare papa Urbano VI da Roma a Genova. Ai primi di novembre, infine, fu inserito nella commissione incaricata di studiare nuove e straordinarie forme di finanziamento per le esangui casse della Repubblica. Fu questo, quasi certamente, l'ultimo incarico pubblico portato a termine dal G.: dopo il suo rientro a Venezia non è più menzionato dalle fonti.

Il G. morì a Venezia il 18 giugno 1386.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, cc. 67, 71, 95; 46: Cronaca dei procuratori di S. Marco, p. 43; 59: Cronaca Veniera, cc. 10v, 62r, 63rv; 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, cc. 8v-9r, 10rv, 60v-61r, 72rv, 137v, 172v, 173v, 174v, 175v-176r, 185v, 254r, 284r, 323v, 324v, 343v, 370r, 378v; Misc. codd., III, Codici Soranzo, 21: Historia veneta scritta da Gio. Giacomo Caroldo… in forma di cronica dalla fondazione di Venetia sino l'anno 1361, cc. 290r, 329rv, 405r; 32: G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, II, cc. 582, 584; Archivio notarile, Testamenti, b. 483, Notaio Rafayno de Caresinis, c. 59v n. 119; Misc. atti diplomatici e privati, b. 32 bis, n. 723; b. 24 bis, n. 724 bis; Misc. ducali e atti diplomatici, b. 13, n. 4; Commemoriali, regg. IV, cc. 12v, 26r, 55r, 193v-194r, 197v, 203v; V, c. 115r; VI, cc. 60v, 133r, 137v, 208v, 209r; VII, cc. 39v, 81r, 146v; VIII, c. 42r; Consiglio dei dieci, Deliberazioni miste, reg. 6, cc. 48v-49r; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Novella, cc. 100r, 112v, 177r-178r, 181v, 184r-185r; Pacta, reg. VI, cc. 1-45; Secreta Collegii, regg. 1 (1354-63), cc. 24v, 30r, 32v-33r, 40r, 43rv, 50rv, 52r-56v, 58r; 2 (1363-66), c. 20r; Secreta, Lettere antiche, b. 1, n. 3; Segretario alle Voci, Universi, reg. 1, cc. 3r, 14v, 20v, 53r, 67r; Senato, Deliberazioni miste, regg. 19 (copia), cc. 18v, 22r, 24v, 27v, 34r, 35r, 36r, 38r-40r, 45r, 48v, 54r, 55v, 57v, 64v, 65v, 76v, 77v-78r, 79r, 89r, 90r, 98r, 113v, 115-116r, 118r, 123v, 175r; 21 (copia), c. 102v; 22 (copia), cc. 25r, 92v; 24 (copia), c. 28v; 26 (copia), c. 49rv; 27 (copia), cc. 67r, 274r, 279r; 28 (copia), cc. 19r, 64v, 187r, 192r; 29 (copia), cc. 88v, 156v-157r; 30 (copia), cc. 94v, 172r, 183r, 194v; 31 (copia), cc. 52rv, 87r; 32 (copia), c. 193rv; 33 (copia), cc. 115v, 145rv, 240r-242r; 34 (copia), cc. 56r, 59r, 98r, 116r, 118v, 122r, 132r, 137v, 148r, 276v; 35 (copia), cc. 79r, 248v; 36, cc. 156r, 189v, 190v, 192v-193r; 36 (copia), c. 156r; 37 (copia), cc. 2v, 11v, 12v, 21r, 24r, 36r, 49v, 62r, 76r, 81r, 91v, 105v, 108v-109r, 111v, 112v, 122r, 169r, 220r-221v, 231rv, 232rv, 235v, 248r, 249v, 252r, 257rv, 263r; 38 (copia), cc. 7v, 10v, 18r, 21r, 22r, 25r-26r, 28r, 32v, 35r, 37r, 39v, 40v, 43v, 45r, 49r, 65v, 68v, 72r, 73r, 92r, 95r, 97v, 120r, 125v, 133r-134v, 135v, 144r, 288v; 39 (copia), cc. 22r, 24v, 27v, 34r, 35r, 36r, 38rv, 39v-40r, 45r, 48v, 54r, 55v, 57v, 64v, 65v, 76v, 77v-78r, 79r, 89r, 90r, 98r, 113v, 115v-116r, 118r, 123v, 138v-139r, 175r, 190v, 193r, 195v, 196v, 199rv, 211r, 216r, 217v, 218v, 236r, 242v, 245v, 249v, 252v, 254r, 258r, 261v, 263r, 267r, 270v, 274r, 278v, 281v, 285r, 288v, 296v, 298r, 299r, 302r; 40 (copia), cc. 22r, 26r, 34r, 45v; Senato, Sindicati, reg. 1, cc. 36r n. 98, 65r n. 159, 65v n. 160, 85r n. 200, 96v n. 230, 99r n. 238, 132v n. 323, 133r n. 324, 136v n. 230, 145r n. 349, 146v n. 351, 149r n. 357, 154v n. 372; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 2329: Storia delle famiglie venete…, c. 36r; 3782: G. Priuli, Li pretiosi frutti del Maggior Consiglio…, II, c. 103v; Codd.Gradenigo, 133/I, cc. 30v-31v, 32v-33r, 34v, 184r, 185r, 187r, 189r, 190r, 193r; Ibid., Biblioteca naz. Marciana, Mss. lat., cl. X, 299, c. 63v; Raphaynus de Caresinis, Chronica, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XII, 2, pp. 8, 15, 25, 38, 55, 59 s.; G. Gatari - B. Gatari, Cronaca carrarese, a cura di A. Medin - G. Tolomei, Ibid., XVII, 1, pp. 38 s., 182, 194, 211; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, pp. 200 s.; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, II, Venezia 1878, pp. 122 n. 42, 124 n. 56, 133 n. 96, 193 n. 390, 194 n. 392, 195 n. 398, 197 n. 409, 198 n. 413, 199 n. 416, 269 n. 265, 298 n. 113, 332 n. 312, 336 n. 330; III, ibid. 1883, pp. 38 n. 197, 57 n. 329, 98 s. n. 631, 150 n. 95; Diplomatarium Veneto-Levantinum, a cura di G.M. Thomas, I, Venezia 1880, p. 266 n. 139; Dispacci di Pietro Cornaro ambasciatore a Milano durante la guerra di Chioggia, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1939, pp. 155 s.; D. Chinazzo, Cronica dela guerra da Veniciani a Zenovesi, a cura di V. Lazzarini, Venezia 1958, pp. 20, 65-68, 185, 208 s., 225; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, pp. 251, 253 s., 319; Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, a cura di A. Tagliaferri, III, Milano 1975, p. LIII; F. Manfredi, Dignità procuratoria di S. Marco di Venezia, Venezia 1602, p. 54; F. Verdizzotti, De' fatti veneti dall'origine della Repubblica sino all'anno 1504, I, Venezia 1686, pp. 276 s., 281, 291, 325, 356, 358; F. Corner, Creta sacra, II, Venetiis 1755, pp. 334, 353, 355; G.B. Verci, Storia della Marca trevigiana e veronese, XIII, 1, Venezia 1789, pp. 255, 259 s.; XIV, 2, ibid. 1789, pp. 74, 77 s., 81; XV, 1, ibid. 1790, p. 256; XVI, 2, ibid. 1790, pp. 74 s., 105; XVI, 1, ibid. 1790, p. 85; XVI, 2, ibid. 1790, p. 9; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, III, Venezia 1855, pp. 202, 208 s., 213, 219, 272, 292; R. Morozzo della Rocca, Cronologia veneziana del '300, in La civiltà veneziana del Trecento, Firenze 1956, p. 259; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, pp. 42, 85, 287; Ministero per i Beni culturali e ambientali, Archivio di Stato di Venezia, Dalla guerra di Chioggia alla pace di Torino. 1377-1381 (catal.), a cura di M.F. Tiepolo, Venezia 1981, pp. 22 n. 14, 41 n. 59, 58 n. 96, 76 s. n. 143, 78 n. 150; Id., Aspetti e momenti della diplomazia veneziana (catal.), a cura di M.F. Tiepolo, Venezia 1982, p. 28 n. 41; M.M. Samataro, La rivolta di Candia del 1363-65 nelle fonti veneziane, in Studi veneziani, n.s., XXXI (1996), p. 134 n. 44; Diz. biogr. degli Italiani, XXIII, pp. 475-478 (s.v. Celsi, Lorenzo); XXVIII, pp. 100-103 (s.v. Contarini, Andrea); XXIX, pp. 250 s. (s.v. Corner, Marco).

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