GIOVANNI II Paleologo, marchese di Monferrato

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIOVANNI II Paleologo, marchese di Monferrato

Aldo Settia

Unico figlio maschio di Teodoro I Paleologo, secondogenito di Andronico II imperatore d'Oriente, e della genovese Argentina Spinola (sposata da Teodoro nel 1305 al momento di ereditare il Marchesato di Monferrato), nacque in un luogo a noi ignoto il 5 febbr. 1321 (come si ricava da un'annotazione augurale apposta nel Libro della catena di Nizza Monferrato).

G. aveva quindi da poco compiuto i quattro anni quando il padre, stipulando il 1° marzo 1325 accordi con Filippo principe d'Acaia, lo designava a sposare una delle figlie di quest'ultimo; nel contempo uno dei maschi doveva prendere in moglie la sorella di G., Iolanda, alla quale sarebbe passato il Marchesato di Monferrato nel caso che G. e il padre si fossero trasferiti in Oriente. Tali accordi, rapidamente superati dalle circostanze, caddero ben presto in dimenticanza.

Le notizie mancano per oltre un decennio e si ritorna a parlare di G. solo il 19 ag. 1336, quando Teodoro fece testamento designandolo alla successione. Dal gennaio successivo, benché il padre fosse ancora in vita (morì a Trino il 21 apr. 1338), G. era già direttamente interessato alle cure di governo, confermando investiture ai vassalli.

Il 4 febbr. 1338 prese in moglie Cecilia, figlia del conte Bernardo (VII) di Comminges e nipote del cardinale Gian Raimondo di Tolosa, donna ormai anziana ma che gli portò in dote 40.000 fiorini, per i quali G. dovette offrire in garanzia i luoghi di Chivasso, Moncalvo e Mombello, tra i più cospicui del Marchesato.

Morto il padre, G. diede inizio a una serie di guerre volte a sfruttare le discordie locali in vista di ingrandimenti territoriali a danno dei potentati confinanti, per recuperare diritti già appartenuti ai predecessori. Tale progetto, che con diversa misura, intensità e fortuna G. perseguì per tutta la vita, si tradusse in un frenetico attivismo e in una grande varietà di iniziative, non sempre adeguatamente sostenute dalle risorse economiche disponibili, ma che furono fonte di sicuro prestigio. Egli ebbe infatti tra i contemporanei la fama di principe "probus, sapiens, moderatus et formosus nec non quietis impatiens", come lo ricorda il cronista Pietro Azario (p. 173), e nelle sue incessanti lotte contro il principe d'Acaia, contro i Visconti e contro la superstite potenza angioina in Piemonte, egli si comportò da uomo audace, valente e cavalleresco "taliter quod Hector".

G. esordì nel maggio 1338 cogliendo a pretesto i conflitti familiari in atto nel Canavese tra i conti di Valperga e di San Martino: in comunità d'intenti con il marchese Tommaso di Saluzzo e i fuorusciti locali, tentò di impadronirsi di Caluso e di Chieri, ma ne fu impedito in entrambi i casi dall'intervento di Giacomo d'Acaia. Nel 1339 fece la sua comparsa in Monferrato il cugino di G., Ottone di Brunswick, allora appena ventenne, che fu poi costantemente al suo fianco.

Dopo essersi distinto il 21 febbr. 1339 alla battaglia di Parabiago, contribuendo attivamente alla vittoria contro le truppe mercenarie di Lodrisio Visconti, G. riprese in aprile la lotta contro il principe d'Acaia. Colse il primo vero successo il 26 settembre quando, appoggiando i fuorusciti di Asti, entrò in città, scacciando la fazione avversa dei Solaro, e il 9 ottobre ne venne dichiarato governatore e difensore con diritto di esercitarvi giurisdizione, e uno stipendio di 500 lire al mese. Nel frattempo passò al suo servizio la compagnia di ventura guidata dal tedesco Malerba, che aveva in precedenza desolato il territorio canavesano: è il primo degli assoldamenti di mercenari stranieri ai quali G. ricorse molte volte in seguito.

Il 29 nov. 1339 firmò con il principe d'Acaia una tregua - patrocinata dai Visconti e dal conte di Savoia - poi scarsamente rispettata, come molte altre che vennero in seguito, tanto che il conflitto con il principe durò di fatto sino al 1° apr. 1356. Contemporaneamente G. estese la lotta in Canavese e contro gli Angioini nel Piemonte meridionale: le sue forze erano però limitate e scarsi furono complessivamente i risultati ottenuti; segno di debolezza anche la cessione - cui fu indotto il 9 ag. 1342 - di Asti a Luchino Visconti, signore di Milano allora suo alleato, e con il quale rimase, almeno per alcuni anni, in buoni rapporti.

L'attività di G. fu interrotta dal maggio all'agosto del 1344 da una grave malattia che lo immobilizzò nel suo castello di Mombello: egli era ancora senza figli e in caso di morte l'erede designato sarebbe stato Amedeo VI di Savoia, molto interessato perciò alla salute del congiunto; ma la guarigione sopravvenuta frustrò ogni sua attesa. In quell'anno, se da un lato G. ottenne la dedizione della città di Ivrea, il Comune di Vercelli lo sollecitò per contro a restituire Trino e altre importanti località che erano nelle mani dei Monferrato da molti anni. La fortuna fu ancora dalla sua parte nel marzo del 1345, allorché Reforza d'Agoult, siniscalco angioino in Piemonte, attaccò i fuorusciti chieresi rifugiati nel castello di Gamenario; G. si precipitò in loro soccorso e ottenne il 22 aprile una brillante vittoria campale che preluse al definitivo tramonto della potenza angioina. Benché non ricavasse sul momento grandi vantaggi, il raggio dei suoi interessi giunse a comprendere Tortona, dove nell'estate del 1346 versò per ben tre volte cospicue somme ai fuorusciti.

Nel settembre 1346 intervenne in Milano al battesimo dei figli di Luchino Visconti, con il quale proseguiva intanto la comunità d'intenti, e l'anno successivo i loro eserciti affiancati occuparono le terre angioine di Bra e di Alba. G. si impadronì anche di Vergnano mirando ancora una volta a Chieri, ma questo importante Comune preferì sottomettersi ai Savoia; il 19 giugno 1347 ottenne in compenso la dedizione di Valenza Po e in dicembre fece propria la città d'Ivrea. Il 2 marzo 1348, sempre con Luchino, conquistò Cuneo, ma nell'aprile avvenne fra i due la prevedibile rottura a causa delle reciproche gelosie di potere, tanto che nell'agosto G. dovette precipitosamente fuggire da Milano per non esservi imprigionato dall'avversario intenzionato a sottrargli i luoghi a sinistra del Po.

Nell'ottobre 1348 G. si procurò però protettori alla corte papale di Avignone; nel giugno 1349 attaccò in Canavese conquistando faticosamente Caluso che conservava quando, nell'agosto, dovette venire a compromesso con il principe d'Acaia e con il conte di Savoia restituendo buona parte delle terre occupate, salvo la metà di Ivrea che tenne in condominio con Amedeo VI di Savoia.

Nel dicembre del 1349 è segnalata la presenza di G. in visita agli Estensi a Ferrara e ai Carraresi a Padova: è forse di questo periodo il piano di una spedizione volta alla conquista dell'Impero d'Oriente sul quale egli ancora vantava diritti ereditari, ed è collegabile a tale iniziativa la richiesta, avanzata nel 1351, di poter disporre dei crisobolli dell'imperatore Andronico conservati a Venezia. Il progetto rimase sulle carta ma non fu mai del tutto abbandonato, poiché G. ne accennò ancora vent'anni dopo nel suo testamento. Intanto il 2 ag. 1351, in accordo con la fazione dei Cane, ottenne la dedizione di Casale Monferrato dove avviò tosto la costruzione di un castello.

Per dare maggior credito alle sue aspirazioni, G. non trascurò di collegarsi alla tradizione imperiale della sua casata. Nel gennaio 1355, in occasione della discesa in Italia di Carlo IV di Lussemburgo, presenziò alla cerimonia di incoronazione in Milano e quindi lo accompagnò nel viaggio verso Roma ottenendo la conferma di numerosi privilegi che gli imperatori avevano concesso in passato ai marchesi di Monferrato; la conferma venne così a legittimare formalmente l'eventuale recupero di luoghi e di vassalli un tempo soggetti ai suoi predecessori, benché essi fossero ormai nelle mani di altri signori. Nel maggio, durante il viaggio di ritorno, mentre G. soggiornava in Pisa con l'imperatore, contribuì con il suo energico comportamento a reprimere una pericolosa sollevazione imprigionando alcuni membri della famiglia Gambacorta, in seguito giustiziati.

Probabilmente anche in conseguenza di tale episodio, Carlo IV il 10 maggio gli confermò nominativamente tutti i luoghi posseduti in passato dai suoi antenati, gli concesse il giorno dopo lettere di assoggettamento di alcune potenti famiglie e infine, il 3 giugno, anche il vicariato imperiale a Pavia. L'imperatore inoltre, non a caso, esortò i Visconti a vivere in accordo con G.: si era infatti alla vigilia di un nuovo prolungato periodo di conflitti con Galeazzo Visconti che appunto aspirava ad allargare il suo potere in Piemonte in competizione con Giovanni II.

Il 30 ott. 1355 aderì - a nome del Comune di Pavia e della potente famiglia pavese dei Beccaria - all'alleanza antiviscontea comprendente i Gonzaga e gli Estensi. In dicembre sfidò direttamente Galeazzo e il 23 genn. 1356, col favore della fazione dei Garretti, gli tolse Asti; la città alcuni giorni dopo fece regolare atto di dedizione nelle sue mani, in quanto rappresentante dell'imperatore; ai primi di febbraio seguì l'omaggio di Mondovì, Cherasco, Alba e delle terre minori dell'Astigiano. In aprile anche Pavia riconobbe a G. l'autorità di vicario imperiale ed egli vi pose un proprio podestà. La città, tosto assediata da Galeazzo Visconti, il 27 maggio riuscì a liberarsi con una vittoriosa sortita.

In Piemonte intanto il principe d'Acaia attaccava in Canavese e riusciva per tradimento a impadronirsi di Ivrea. G., insieme con le forze della lega antiviscontea, si rivalse occupando a sorpresa Novara il 9 nov. 1356 e di là diresse una spedizione nel Vercellese. Il 24 dicembre si collegò con Amedeo VI di Savoia, che gli cedette la sua metà di Ivrea; il 7 febbraio successivo rinnovò i patti con il Comune di Casale, ma si guastarono, per contro, i rapporti con i Cane scacciati da Casale con l'accusa di intrigare con i Visconti. Nuovo successo conseguì togliendo Collegno al principe d'Acaia (con il quale nondimeno si riappacificò), occupò Voghera e in giugno il fedele Ottone di Brunswick batté per lui i Visconti a Valenza. Mettendosi in rotta con i potenti Beccaria creò però, nello stesso tempo, le premesse per la perdita di Pavia.

Nel frattempo G. era rimasto vedovo e ancora senza figli: pur non rallentando la sua frenetica attività politica e militare, egli decise quindi di risposarsi; la scelta della moglie, decisa in Avignone da una commissione cardinalizia, cadde su Elisabetta, figlia del re di Maiorca e nipote del re di Aragona: il 2 maggio 1358 G. incaricò suoi delegati di iniziare ufficialmente le pratiche: il contratto di matrimonio venne sottoscritto il 12 ottobre.

A G. spettò una dote di 70.000 fiorini, di cui 30.000 a carico del fratello della sposa e 40.000 del re di Aragona, da versare a rate annuali di 10.000 fiorini, delle quali, in realtà, sarebbe stata pagata soltanto la prima. Nel gennaio 1359 G. promise di non contravvenire alla rinuncia al trono di Maiorca cui la moglie si era impegnata. Da quel mese in poi vediamo spesso G. risiedere in Asti e rilasciare documenti in presenza della consorte, che conferì nuovo prestigio alla sua persona.

L'8 giugno 1358, intanto, fra la lega e i Visconti fu stipulata una pace nella quale ciascun componente si impegnava a restituire le conquiste fatte: G. perse quindi Novara e Alba, ma fallì il tentativo di sottrargli a tradimento Valenza in favore dei signori di Milano, con i quali anzi il 22 agosto concordò una provvisoria alleanza.

In calce a un atto del 20 genn. 1359 accanto ai dignitari di corte sottoscrissero anche due medici, segno di evidenti problemi di salute, cui certo si accompagnarono preoccupazioni finanziarie; benché i collegati gli avessero appena fornito 17.000 fiorini, per averne a mutuo dai Genovesi altri 7000 impegnò in quello stesso mese il borgo di Novi Ligure. L'urgente bisogno di denaro coincise con la violenta ripresa della lotta contro i Visconti in modo decisamente sfavorevole per G., dal momento che allora lo stesso imperatore Carlo IV si schierò apertamente dalla loro parte. Anche la compagnia di ventura del conte Lando (Corrado di Landau), assoldata da G. in primavera, passò in ottobre al nemico, Pavia venne definitivamente espugnata dai Viscontei il 15 nov. 1359, e la stessa Asti rischiò di cadere nelle loro mani. Non compensò certo i gravi insuccessi militari il prestigio internazionale conferito a G. dalla richiesta, comunicatagli il 9 apr. 1359, di fungere da arbitro fra Genova e Pietro di Aragona per le loro controversie in Corsica e in Sardegna. G. presentò prima un progetto di compromesso ed emise sentenza il 27 marzo 1360, ma a causa del rifiuto di sottostarvi espresso dall'Aragonese, il 28 dic. 1361 rinunciò al suo mandato.

Si deve riportare al 1360 la nascita del figlio primogenito Secondo Ottone o Secondotto, che infatti avrà 12 anni alla morte del padre; egli probabilmente ebbe tale nome in onore di s. Secondo, patrono della città di Asti, ormai considerata da G. la capitale dei suoi domini, e del fedele collaboratore Ottone di Brunswick. S. Secondo figura anche sulle monete ("mezzi grossi" e "bianchetti") battute a suo nome in Asti, zecca che egli affiancò a quelle tradizionali di Chivasso e di Moncalvo, da cui provengono altre sue monete.

Nonostante i rovesci subiti, G. non considerò affatto chiusa la partita con i signori di Milano, potendo contare sugli stretti rapporti stabiliti con Genova e con papa Innocenzo VI. Già il 22 genn. 1361 assoldò a Rivarolo una compagnia di venturieri tedeschi e nel maggio varcò le Alpi, mettendosi ai suoi ordini, anche la famigerata Compagnia bianca formata da inglesi al comando del tedesco Alberto Sterz, resa libera da una pausa della guerra dei Cent'anni. Al pagamento degli stipendi contribuì il papa con 14.500 fiorini. Nel dicembre 1361 si era intanto giunti a un primo progetto di pace, poi non realizzato, col Visconti: esso prevedeva il matrimonio fra Secondotto e la figlia di Galeazzo, Maria, che avrebbe portato in dote la città di Asti.

Gli inglesi della Compagnia bianca, agendo in proprio, catturarono in dicembre lo stesso Amedeo VI di Savoia costringendolo a pagare un ingente riscatto; questi fu così indotto ad allearsi con i Visconti mentre la compagnia continuava a stazionare nel Canavese e partecipò poi ad azioni in altre località; essa rimase a disposizione di G. sino al gennaio 1365 provocando terribili guasti tanto alle terre nemiche quanto a quelle amiche; a essi si aggiunse l'infierire di una grave pestilenza. Il 23 nov. 1363 G. venne dichiarato da Giacomo di Maiorca erede nominale del suo Regno; intorno al 1361-62 si deve collocare la nascita del secondogenito, il futuro Giovanni III, e nel 1364 venne certamente alla luce Teodoro, cui seguì, l'anno dopo, Guglielmo.

Il 27 genn. 1364 la pace fra G. e i Visconti fu solennemente proclamata dall'abate di Cluny: essa prevedeva lo scambio dei possessi detenuti da G. in territorio pavese con quelli viscontei nell'Astigiano accompagnato al matrimonio fra Secondotto e Caterina figlia di Bernabò Visconti, progetto che venne poi effettivamente realizzato, sanzionando così almeno un breve periodo di pace fra le due signorie. Forse approfittando di esso, nell'aprile del 1365, su ispirazione di papa Urbano V, si progettò un'alleanza comprendente, oltre a G., gli ospedalieri di S. Giovanni e i Genovesi, per preparare, in accordo con Pietro re di Cipro, una spedizione contro i Turchi che però non fu mai realizzata.

I rapporti fra G. e l'imperatore Carlo IV rimasero sempre cordiali: da lui il 20 apr. 1361 aveva ricevuto l'autorizzazione a conferire la dignità cavalleresca al genovese Simone Boccanegra; nel 1364 ottenne nuovi diplomi e riconoscimenti. Nell'ottobre 1368 G. raggiunse Carlo IV a Roma e nel ritorno si occupò per suo incarico delle discordie intestine fra i Senesi, lo seguì poi a Lucca e a Pisa dove ottenne un diploma che gli riconosceva una più netta superiorità sui signori di Cocconato, che indispettiti aderirono da quel momento alla causa dei Visconti.

I buoni rapporti con questi ultimi terminarono ben presto: nel luglio del 1369 erano già in atto nuove ostilità nell'Alessandrino mentre G. trattava occultamente con l'avventuriero inglese Ugo detto il Dispensiere, che aveva indebitamente occupato Alba e Mondovì, terre dei Visconti, e ne ottenne il dominio sborsando 16.000 fiorini. Nel 1370, per contro, Galeazzo Visconti gli strappò Valenza e Casale e inutilmente G. assoldò sempre nuove compagnie di mercenari, compresa nel 1371 quella famosa del conte Lucio di Lando (Gabotto, 1895, p. 193): la loro presenza rinnovò l'ostilità del conte di Savoia che solo l'intervento del pontefice poté temperare.

Nei suoi ultimi anni, dopo una vita di guerre incessanti, G. vide crescere, ormai in modo soverchiante, la potenza dei Visconti, e se ebbe pur sempre all'attivo il possesso di Asti, Alba e Mondovì, importanti vassalli lo abbandonarono e le sue terre furono stremate dagli eccessivi e prolungati gravami fiscali. Del 10 marzo 1372 è la prima notizia della malattia che poi lo stroncò. Presentendo la prossima fine incontrò a Rivoli Amedeo VI conte di Savoia che fu nominato, insieme con Ottone di Brunswick, tutore dei suoi figli.

Morì il 19 marzo 1372 a Volpiano, presso Torino.

Il testamento, redatto il 9 marzo, è lo specchio dei problemi tra i quali G. si dibatteva: ansie religiose, progetti non realizzati, desiderio di pace dopo una vita di guerre. Egli dispose che i suoi domini fossero posti nelle mani di papa Gregorio XI: due cardinali avrebbero ascoltato in Avignone fedeli e ribelli, ed entro un anno avrebbero disposto secondo loro giudizio. Per i suoi "male ablata" sarebbe stato costruito ex novo un monastero in valle Stura e sarebbero stati restaurati in Monferrato chiese e antichi monasteri; gli eredi, per adempiere ai voti da lui formulati, avrebbero dovuto servire per sei mesi con 100 combattenti a San Giovanni di Rodi e visitare il monastero di S. Caterina del Sinai; sarebbero stati restituiti al vescovo di Vercelli e all'abate di Fruttuaria i redditi e le terre occupate per necessità militari; le pesanti taglie mensili imposte alle popolazioni del Marchesato per causa di guerra sarebbero state soppresse non appena possibile.

I vassalli infedeli che avessero fatto atto di sottomissione entro tre mesi sarebbero stati perdonati. Disposizioni speciali furono date per la successione: erede universale fu nominato il primogenito Secondotto, ma avrebbero avuto diritto ad appannaggi gli altri figli minori; erano contemplati anche i diritti vantati sul Regno di Tessaglia e sull'Impero d'Oriente nel caso fosse possibile riconquistarli, ciò che valeva anche per la città di Pavia. Il suo corpo avrebbe dovuto essere sepolto in Asti nelle nuova cappella in S. Secondo, e se ciò non fosse stato possibile per lo stato di guerra, in S. Francesco di Chivasso. E qui di fatto esso finì per rimanere poiché Asti, la perla delle sue conquiste, cadde poco dopo nelle mani di Gian Galeazzo Visconti.

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