MORLAITER, Giovanni Maria

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 76 (2012)

MORLAITER, Giovanni Maria

Francesco Sorce

MORLAITER, Giovanni Maria (Gian Maria, Gianmaria, Giammaria). – Nacque a Venezia il 13 luglio 1699 da Gregorio, mercante di perle, e da Bortola, di cui si ignora il cognome. Fu battezzato il 19 luglio nella chiesa di S. Luca (Martinelli Pedrocco, 1978, p. 11).

Si formò presso lo scultore Alvise Tagliapietra del quale fu discepolo per cinque anni e mezzo, come si evince dal contratto con il quale si pattuiva il rapporto di apprendistato, a partire dal 17 dicembre 1710 (De Grassi, 1998). Non si dispone di informazioni relative alla sua prima attività, iniziata verosimilmente durante il secondo decennio del secolo. Comunque, risulta iscritto nel 1724 nelle liste del Collegio degli scultori, istituito quell’anno a Venezia (Cogo, 1996, p. 64) e ciò fornisce testimonianza di un profilo professionale all’epoca già delineato. Le più antiche opere documentate risalgono alla fine degli anni Venti e si caratterizzano per modi sospesi tra la tradizione scultorea tardobarocca, rappresentata ancora magistralmente da Tagliapietra e da Giuseppe Torretti (al quale Morlaiter è stato accostato come probabile allievo fino al ritrovamento del citato contratto) e le nuove tendenze rococò, diffuse però soprattutto nel campo della pittura.

Tra il 1728 e il 1730 scolpì le figure della Castità e dell’Umiltà, destinate rispettivamente agli altari dedicati alla Presentazione di Maria e a S. Agostino nella chiesa di S. Ignazio a Ragusa (Dubrovnik). La coppia di statue è stata posta in relazione, sul piano stilistico, con le sculture della cimasa dell’altare di S. Giuseppe nella chiesa veneziana dei gesuiti (una Gloria d’angeli tra le personificazioni della Castità e della Mansuetudine), eseguite verosimilmente nello stesso periodo e attribuibili a Morlaiter secondo De Vincenti (1999, p. 34). I lavori veneziani, però, sono qualificati da un virtuosismo notevole, specie in alcune porzioni dei panneggi della Castità ricchi di pieghe sottili e insistite, che non pare riscontrabile in altri impegni coevi quali, per esempio, i Ss. Giuseppe e Simeone collocati sull’altare del Crocifisso in S. Vidal a Venezia nel dicembre 1729 (Moretti, 1984-85), una disomogeneità formale che, se non smentisce l’ipotesi attributiva, solleva qualche perplessità in merito alla cronologia corrente delle sculture in questione. Nel 1729 nacque a Venezia il figlio Michelangelo (morto nel 1806), che divenne pittore.

Tra il 1729 e 1730 Morlaiter eseguì il rilievo con Il miracolo della mula e il gruppo raffigurante l’Apparizione di Gesù Bambino a S. Antonio da Padova, per la distrutta chiesa veneziana di S. Lucia; entrambe le opere sono oggi conservate a Venezia nella cappella dell’Istituto Canal Marovich. Il rilievo, in particolare, esibisce modi compositivi sobri che si riscontrano nella misurata disposizione delle figure e dei gesti, evidenziando l’attitudine a sperimentare una certa variazione di stili nel quadro della prima attività conosciuta. A questo momento va altresì ascritta l’esecuzione del busto del conteGiovanni Battista Colloredo, sito nella parrocchiale di Colloredo di Montalbano nel Friuli (ibid. p. 45). Sempre tra la fine degli anni Venti e l’inizio del quarto decennio è plausibile situare la modellazione della Madonna col Bambino, del S. Pietro e del S. Giacomo oggi nell’arcipretale di Fregona presso Vittorio Veneto, ma in origine collocati in un oratorio di Motta di Livenza; inscritte sul piano formale nel solco degli esempi di Tagliapietra, le statue sono state assegnate a Morlaiter (ibid. pp. 41-43) in ragione delle somiglianze piuttosto stringenti con le sculture di S. Vidal.

Ai primi anni Trenta dovrebbe risalire l’esecuzione delle statue raffiguranti Cristo benedicente, l’Immacolata e S. Giuseppe, poste sul frontone dell’oratorio, edificato nel 1731, nella villa di Agostino Rinaldi di Capodistria a Paderno, nel Trevigiano (De Vincenti, 1999, p. 43), e piuttosto vicine, sul piano dello stile, alla produzione del periodo. In occasione della risistemazione della cappella del Crocifisso in S. Maria di Nazareth (nota come chiesa degli Scalzi) a Venezia, avvenuta nel 1732, fu realizzato un Crocifisso marmoreo, custodito nella stessa cappella, la cui attribuzione è unanimemente ricondotta a Morlaiter: il lavoro è assimilabile allo schema compositivo dell’opera, di identico soggetto, scolpita precedentemente da Torretti per S. Stae (S. Eustachio) e là conservata nella cappella Foscarini. Tra il 1732 e il 1733 Morlaiter ricevette dei pagamenti dalla Scuola di S. Giovanni Evangelista a Venezia. Espunta dal suo catalogo la statua del S. Giovanni nella sala al primo piano (ibid. pp. 59-61), a lungo assegnata allo scultore, a lui si può ascrivere, invece, il Cherubino che orna il timpano dell’altare e forse la finitura della figura dell’Evangelista. Verso il 1733 dovette iniziare anche il rilievo con la Disputa di Gesù nel tempio, destinato alla cappella del Rosario in Ss. Giovanni e Paolo a Venezia. L’opera, terminata due anni più tardi, era parte della prestigiosa impresa voluta dai domenicani per decorare il presbiterio della cappella, vano al quale contribuirono i principali scultori attivi in laguna. Nel 1735 cominciò l’esecuzione del secondo rilievo, raffigurante il Riposo dalla fuga in Egitto, che fu posto nella cappella nel 1738 (Guerriero, 1994).

Le due scene evangeliche esibiscono modi compositivi di spiccata individualità. In esse confluiscono vari motivi stilistici e iconografici derivati dalla maniera di Sebastiano Ricci, nella sua fase di maggiore recupero della cultura figurativa veronesiana. Quanto all’impianto generale, la Disputa trova riscontro, per esempio, nella tela riccesca, di identico soggetto, conservata nell’oratorio della villa Guarnieri a Tomo (Feltre); nel Riposo, invece, sono mescolati elementi desunti dal repertorio di Ricci e da quello della bottega del Veronese, ottenendo, nel complesso, un risultato prossimo a quel gusto rococò di cui proprio Ricci fu uno dei principali rappresentanti. È noto, del resto, che Morlaiter fu tra i frequentatori della casa di Ricci, insieme ad alcuni personaggi di spicco della Venezia dell’epoca, come i pittori Francesco Fontebasso e Francesco Polazzo, il console inglese Joseph Smith, il mercante d’arte Domenico Fontana, il noto erudito Antonio Maria Zanetti.

Le suggestioni della pittura coeva esercitarono una chiara influenza soprattutto sulle fasi progettuali dei lavori, elaborate in terracotta e terracruda: un corpus piuttosto cospicuo di modelli, rimasto nella bottega del maestro alla sua morte, giunto poi attraverso vari passaggi a Ca’ Rezzonico (De Vincenti, 2010), oltre a fornire evidenze decisive in merito a varie questioni filologiche, attesta la pratica dello scultore di confrontarsi, soprattutto nell’ambito del bozzetto, con le increspature delle superfici e con i relativi effetti luminosi della produzione pittorica ispirata da Ricci, poi parzialmente tradotti anche nei marmi. A tale riguardo è emblematica la terracotta raffigurante l’Adorazione dei magi (Venezia, Ca’ Rezzonico), datata 1730 e pensata probabilmente per la cappella del Rosario, ma mai modellata in marmo, poiché la commissione per il rilievo andò poi a Giovanni Bonazza.

Poco prima della metà del decennio si deve datare anche il S. Giovanni Battista conservato nell’oratorio di villa Rezzonico a Bassano del Grappa (edificato tra il 1733 e il 1734), assegnato in modo convincente a Morlaiter da De Vincenti (1999, pp. 44 s.) e connotato dalla figura allungata e dal moto accentuato, tratti ricorrenti nel catalogo delle opere di questo periodo. La studiosa (pp. 49 s.) ha inoltre proposto di attribuire a Morlaiter alcune sculture del giardino della villa, tra la quali un Bacco fanciullo, forse di qualche anno posteriore rispetto alla statua del Battista. Il progetto dell’edificio si deve all’architetto Giorgio Massari, che chiamò molte volte Morlaiter a collaborare alle sue imprese. Forse proprio tramite Massari, che nel 1734 aveva sposato la vedova di Paolo Tamagnin (o Tamagnino) e ne aveva ereditato la dimora, Morlaiter ottenne l’incarico di eseguire il busto di quest’ultimo oggi nell’oratorio di villa Lattes a Istrana, nel Trevigiano, che presenta molti caratteri in comune con la sua sia pur limitata produzione ritrattistica. Intorno alla metà del quarto decennio (Pavanello, 2003, p. 484) dovrebbe porsi anche la realizzazione delle statue raffiguranti la Madonna col Bambino, la Speranza e la Fede, collocate nella chiesetta annessa alla villa Baglioni di Massanzago nel Padovano.

In quest’ultima personificazione Morlaiter si cimentò nel difficile tema del volto velato, confrontandosi con le prove all’epoca già celebri di Antonio Corradini e Antonio Gai, la Fede del quale, posta sull’altare maggiore di S. Vidal, è documentata al 1730, poco dopo, quindi, l’ intervento di Morlaiter nella stessa chiesa. Risale forse a questo periodo pure la statua dell’Aequitas, ora in una nicchia del cortile interno di palazzo Farsetti a Venezia, ma di provenienza ignota, accostata ai lavori della prima maturità di Morlaiter da De Vincenti (1999, p. 51) sulla base delle analogie stilistiche con le altre figure muliebri dello scultore.

Nel 1735 compì la S. Scolastica e il S. Benedetto per la chiesa dei Ss. Biagio e Cataldo alla Giudecca, oggi nella parrocchiale di Fratta Polesine. Le due sculture, caratterizzate da pose dinamiche, presentano un panneggio dalle pieghe abbondanti e dall’andamento singolarmente irrigidito rispetto ad altre prove della prima attività, che si ritrova, però, anche nel S. Antonio Abate eseguito tra il 1736 e il 1737 per la chiesa di Udine dedicata al santo, insieme al busto di Dioniso Dolfin. Negli stessi anni Morlaiter scolpì il Profeta Daniele e il S. Michele Arcangelo per il duomo di S. Daniele del Friuli. Verso il 1737 eseguì i santi Francesco Borgia e Francesco Regis per l’altare della cappella di S. Francesco Saverio nella chiesa di S. Ignazio a Graz, in Stiria; completò, inoltre, la cornice posta sopra l’altare di S. Luca nella chiesa dei carmelitani a Brescia. Le soluzioni strutturali dell’opera bresciana anticipano per certi versi quelle impiegate nella cornice posta sull’altare di S. Domenico nella chiesa dei Gesuati (S. Maria del Rosario) a Venezia, che accoglie una rappresentazione del santo di Giambattista Piazzetta: elaborata tra il 1737 e il 1738, essa risulta contraddistinta da uno schema di disposizione delle figure che rompe l’equilibrata simmetria della precedente, rendendo estremamente mossa la vorticosa organizzazione delle presenze angeliche.

L’Angelo, in basso a sinistra, oltre a echeggiare quello della pala di Piazzetta raffigurante la Visione dei SS. Ludovico Bertrando, Vincenzo Ferrer e Giacinto, posta sull’altare successivo e dipinta nello stesso 1738, ricorda anche uno degli angeli della tela di Ricci con I SS. Gregorio Magno e Girolamo intercedono per le anime purganti (1731) in S. Alessandro della Croce a Bergamo e conserva forse una memoria di quello scolpito da Francesco Cabianca nel Monumento a Giuseppe Maria Bottari (1708) in S. Maria Gloriosa dei Frari.

Nel 1738 nacque il figlio Gregorio (morto nel 1784), anch’egli scultore, impegnato prevalentemente nell’orbita della bottega paterna.

Entro la fine del quarto decennio sembra possibile datare la statua di S.Barbara della chiesa dei Gesuiti, che fu forse ordinata a Morlaiter dopo il 1736 (De Vincenti, 2010, p. 145). L’opera, in ogni caso, presenta alcuni dei caratteri tipici delle figure femminili della produzione coeva dell’artista, slanciate e avvolte in panneggi dalle ondulazioni insistite e ornamentali.

Dopo la prova dell’altare di S. Domenico, all’inizio degli anni Quaranta Morlaiter ricevette le prime commesse per la sua impresa maggiore, la decorazione scultorea della chiesa dei Gesuati, protrattasi fino alla metà del decennio successivo. Nel 1740 ebbe un acconto per la decorazione della cupoletta posta a coronare il ciborio sopra l’altare maggiore, terminata nel 1743 ed eseguì la conchiglia policroma poi posta sulla sua sommità. Tra il 1741 e il 1743 ottenne compensi per una serie di Angeli posti a ornamento degli altri altari e degli stalli del coro. A partire dallo stesso 1743, infine, cominciò l’elaborazione di una serie di rilievi con Storie di Gesù, collocati nella parte superiore della navata e associati alle statue di Apostoli e Profeti poste più in basso, entro nicchie.

L’artista realizzò Gesù appare alla Maddalena e il S. Paolo tra il 1743 e il 1744, la Samaritana al pozzo e S. Pietro nel 1744, i due rilievi collocati nel presbiterio e raffiguranti l’Apparizione del Risorto a S. Tommaso e il Battesimo tra il 1744 e il 1747, la Piscina probatica e Mosè tra il 1748 e il 1750, Gesù che guarisce il cieco e l’Aronne tra il 1750 e il 1751, Gesù e il centurione e Abramo nel 1754, terminando con il S. Pietro salvato dalle acque e Melchisedech nel 1755 (Niero, 2006). Le statue, soprattutto le prime in ordine cronologico, sono contrassegnate da posture mosse e panneggi con fitti reticoli di pieghe sottili, non di rado spigolose, che frammentano le superfici generando effetti di luce vibrante. Tratti morfologici analoghi emergono anche nei rilievi, in cui i piani corrugati delle vesti contribuiscono a far tremolare l’illuminazione, animando i racconti insieme alla gestualità alquanto enfatica delle figure.

Nei primi anni del quinto decennio Morlaiter fu altresì impegnato nei lavori per l’altare maggiore di S. Maria della Fava a Venezia. Nel 1741 aveva verosimilmente già compiuto il rilievo marmoreo raffigurante la Cena in Emmaus, posto sul retro del tabernacolo e la portella in marmo dorato con la Trasfigurazione; solo nel 1747 (De Vincenti, 1999, p. 46), tuttavia, portò a termine l’impresa mettendo in opera i due Angeli ai lati dell’altare, prossimi per dinamismo e grazia a quelli della cornice marmorea dei Gesuati. Essi precedono di poco la coppia di Angeli collocati sull’altare maggiore della parrocchiale di Belvedere d’Aquileia e sono da porre, secondo De Grassi (1995, p. 94), tra il 1746 e il 1749. Lo stesso studioso ha plausibilmente assegnato a Morlaiter anche la statua del S. Marco che orna l’altare della chiesetta dedicata all’evangelista nella medesima località, sulla scorta dei molti punti di contatto con le statue dei Gesuati. Il 9 agosto 1746 Morlaiter ricevette la commissione per i busti di papa Benedetto XIV e del Cardinale Rezzonico, realizzati per il duomo di Padova, mentre, nel 1749, fu tra i beneficiari di un pagamento per lavori non precisati da parte di Angelo Maria II Labia, da porre forse in rapporto con la ristrutturazione del palazzo della famiglia presso S. Geremia. Secondo De Vincenti (1999, p. 46), inoltre, è da collocare intorno al 1750 la Madonna Immacolata posta sull’altare dell’oratorio di villa Giusti dal Giardino a Bassano del Grappa.

Avvalendosi dell’apporto della bottega e parallelamente agli interventi per la navata nella chiesa dei Gesuati, Morlaiter eseguì diversi lavori di decorazione plastica (putti, cornici) in palazzo Rezzonico sul Canal Grande, sia all’interno sia all’esterno della dimora, nell’ambito delle opere di costruzione progettate da Massari, che si protrassero dal 1750 al 1758. Tra i contributi di maggior impegno si può fare menzione della Madonna Immacolata che si trova sul pilastro sinistro dell’ingresso di terra dell’edificio, agevolmente riconducibile all’attività dello scultore attraverso l’analisi formale (De Vincenti, 1999, p. 55). Nel corso del sesto decennio ottenne, inoltre, varie altre commesse prestigiose. Nel 1751, per esempio, portò a compimento la statua del Beato Girolamo Miani, per la chiesa di S. Maria della Salute. Intorno al 1753 eseguì poi il S. Paolo conservato nella parrocchiale di Camponogara, ma proveniente dalla chiesa veneziana di S. Stin (S. Stefano confessore). Tra il 1753 e il 1756 realizzò il tabernacolo dell’altare maggiore di S. Vidal.

Il 7 febbraio 1756 fu nominato consigliere dell’appena costituita Accademia di pittura e scultura, presso la quale divenne ufficialmente insegnante il 20 dicembre 1760. Nel corso dello stesso 1756 scolpì il monumento del Maresciallo Johann Matthias von der Schulenburg nell’Arsenale di Venezia e iniziò, insieme ai figli Michelangelo e Gregorio, una serie di interventi decorativi nella chiesa di S. Maria del Giglio. Dopo aver realizzato, nel 1756, una conchiglia in marmo per il fonte battesimale, perduta, fu chiamato, l’anno successivo, a redigere una relazione sui materiali e i costi del nuovo tabernacolo per l’altare maggiore, concepito da Massari, affidando a Gregorio il compito di condurre i lavori e di scolpire il Padre Eterno, gli Angeli sottostanti e due coppie di Cherubini che ornano il tabernacolo stesso. Tra il 1758 e l’inizio del 1759 fu impegnato nella realizzazione del tabernacolo e degli Arcangeli Michele e Gabriele posti sull’altare maggiore della chiesa di S. Maria della Pietà, un poco più rigidi di quelli precedenti di S. Maria della Fava e di Belvedere d’Aquileia. Al 1761 risale la realizzazione della Madonna del Rosario per S. Maria della Presentazione (nota come chiesa delle Zitelle), che si inscrive nella ricca tradizione delle figure della Vergine a figura intera delle botteghe veneziane, esibendo tratti non lontani, per esempio, da quelli della Madonna col Bambino di Alvise Tagliapietra oggi nella parrocchiale di Solesino, nel Padovano, ma proveniente dai Ss. Biagio e Cataldo alla Giudecca, chiesa per la quale aveva lavorato anche Morlaiter (Martinelli Perdocco, 1978, p. 347 n. 18). Dello stesso anno è anche la commissione della statua del Beato Gregorio Barbarigo per S. Maria del Giglio, posta sull’altare del Crocifisso nel 1764 e concepita, per espressa volontà del pievano della chiesa, sul modello del Beato Girolamo Miani scolpito dallo stesso Morlaiter una decina d’anni prima.

Tra il 1765 e il 1769 realizzò per la facciata della chiesa di S. Rocco le figure di S. Girolamo Emiliani e del Beato Pietro Acotanto, collocate sul coronamento, nonché il rilievo, sempre in facciata, con S. Rocco che risana gli infermi. Dal 1765 al 1772 il nome di Morlaiter compare in diversi pagamenti relativi a lavori imprecisati nella chiesa di S. Maria del Giglio (Rossi, 1997, p. 109). Nel 1766 spedì a San Pietroburgo le statue della Fortezza e del Giudizio (o Prudenza?) destinate al giardino del palazzo di Gatčina, voluto dalla zarina Caterina II, e il rilievo con Enea che salva Anchise conservato nella sala Bianca all’interno dell’edificio. Terminò l’anno successivo l’esecuzione dell’altare di S. Doimo nel duomo di Spalato.

Non è possibile stabilire cronologie sicure oltre queste date. Sono da inserire nel catalogo dell’attività tarda dell’artista tre opere veneziane: una Madonna col Bambino in S. Maurizio, ma di provenienza ignota, una scultura raffigurante lo stesso soggetto e posta su una mensola nella calle dei Fabbri, una Santa monaca, conservata in S. Servolo, ma proveniente forse dallo scalone del convento dei Ss. Giovanni e Paolo; nonché la Trinità della chiesa dei Ss. Vito e Modesto di Spinea, realizzata con la collaborazione del figlio Gregorio. Si tratta di lavori in cui traspare l’intervento sempre più massiccio della bottega, distinte da un sensibile appesantimento delle forme, che le allontana dalla ricercata grazia della maturità.

A quelli elencati si possono ricondurre allo scultore altri lavori (De Vincenti 1999, pp. 48, 55), come il Crocifisso del duomo di Sacile, strutturalmente simile a quello degli Scalzi, ma ogni probabilità posteriore e l’altare per la Confraternita dei poveri vergognosi, nella chiesa di S. Luca, su committenza dei Labia, nonché le statue raffiguranti Venere e Marte oggi collocate sotto il porticato della villa Pisani a Stra, ma provenienti da una villa di Tessera e ascrivibili alla maturità dell’artista (Guerriero, 2008, p. 285).

Nell’inventario dei lavori da assegnare a Morlaiter, ma di difficile ancorché non giovanile datazione, vanno ricordate anche una serie di opere veneziane: la Madonna Immacolata di S. Pietro di Castello e quella di S. Maria del Giglio, la Pietà di S. Eufemia, giudicata genericamente di poco più matura dell’Aequitas da De Vincenti (1999, p. 51), e le statue della Fede e della Carità per la Scuola della carità (oggi Gallerie dell’Accademia), che si trovano ancora in loco. Occorre da ultimo fare menzione del fatto che Giannantonio Moschini (1806, 100), senza però fornire indicazioni cronologiche, annotava tra le attività dello scultore molti gruppi e statue realizzati per la corte di Sassonia, finora non rintracciati.

Morì a Venezia il 22 febbraio 1781.

Fonti e Bibl.: G. Moschini, Della letteratura veneziana, III, Venezia 1806, pp. 99 s.; C. Semenzato, La scultura veneziana del Seicento e del Settecento, Venezia 1966, pp. 62-65, 136-138; G. Mariacher, G. M. M. e la scultura veneziana del rococò, in Sensibilità e razionalità nel Settecento, a cura di V. Branca, II, Firenze 1967, pp. 591-596; G. Mariacher, Nuovi bozzetti identificati di Gianmaria M., in Studi di storia dell’arte in onore di Antonio Morassi, Venezia 1971, pp. 366-374; E. Martinelli Pedrocco, Due documenti inediti sullo scultore Gian Maria M., in Bollettino dei Musei civici veneziani, 23 (1978), 1-4, pp. 10 s.; A. Ress G.M. M. Ein venezianischer Bildhauer des 18. Jahrhunderts, con suppl. di S. Durian-Ress, München-Berlin 1979; E. Martinelli Pedrocco, Giammaria M. scultore veneziano, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXXXVIII (1979-80), pp. 341-354; Id., Catalogo dei bozzetti del “fondo di Bottega” di Giammaria M., in Bollettino dei Civici Musei veneziani d’arte e di storia, n.s., XXVI (1981), pp. 21-34; Id., Il “corpus” delle opere di Giammaria M., in Arte veneta, XXXV (1981), pp. 264 s.; L. Moretti, Notizie e appunti su G.B. Piazzetta, alcuni piazzetteschi e G.B. Tiepolo, in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CXLIII (1984-85), p. 387; S. Guerriero, I rilievi marmorei della cappella del Rosario ai Ss. Giovanni e Paolo, in Saggi e memorie di storia dell’arte, XIX (1994), pp. 165, 169, 185 s., 189; M. De Grassi, Per il catalogo di Gian Maria M.: una precisazione ed una aggiunta, in Arte veneta, XLVII (1995), pp. 94-98; B. Cogo, Antonio Corradini scultore veneziano 1688-1752, Este 1996, pp. 63-66; P. Rossi, I Morlaiter a S. Maria del Giglio, in Arte veneta, LI (1997), pp. 107-115; M. De Grassi, Aspetti della scultura del Settecento tra Friuli e Venezia e una nota su Giambattista Tiepolo, in Arte, storia, cultura e musica in Friuli nell’età del Tiepolo. Atti del Convegno internazionale… 1996, a cura di C. Furlan - G. Pavanello, Udine 1998, p. 97; M. De Vincenti, Nuovi contributi per il catalogo di G. M. M., in Saggi e memorie di storia dell’arte, XXIII (1999), pp. 31-82 (con bibl.); Id.,Gian Maria M. e alcune sue opere giovanili in Stiria e in Dalmazia, in Francesco Robba and the Venetian sculpture of the Eighteenth Century, a cura di J. Höfler, Ljubljana 2000, pp. 197-207; T. Sharman, G. M. M., in La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi, Milano 2000, pp.765-770 (con bibl.); G. Pavanello, Le statue della chiesetta di villa Baglioni a Massanzago, in Venezia, le Marche e la civiltà adriatica: per festeggiare i 90 anni di Pietro Zampetti, a cura di I. Chiappini di Sorio - L. Rossi, in Arte documento, XVII-XIX (2003), pp. 482-85; A. Niero, Tre artisti per un tempio. S. Maria del Rosario-Gesuati Venezia, a cura di R. Rugolo, Venezia 2006, passim; S. Guerriero, in M. De Vincenti - S. Guerriero, Per un atlante della statuaria veneta da giardino. IV, in Arte veneta, LXV (2008), pp. 283-285; M. De Vincenti, G. M. «alter ego» di Sebastiano Ricci in scultura, in Sebastiano Ricci. Il trionfo dell’invenzione nel Settecento veneziano (catal.), a cura di G. Pavanello, Venezia 2010, pp. 137-143 nn. 59-61, 144-146; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 158.

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