MARRO, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 70 (2008)

MARRO, Giovanni

Emma Rabino Massa

– Nacque a Limone Piemonte il 29 maggio 1875, da Antonio e Maddalena Viale.

Nel 1900 conseguì la laurea in medicina nell’Università di Torino e indirizzò la sua attività allo studio della psichiatria e dell’antropologia.

Le figure del padre e del fratello Andrea, chirurgo di valore, ebbero una sostanziale influenza sulla sua formazione culturale. In particolare l’attività e gli studi del padre, medico condotto a Limone Piemonte, assistente di C. Lombroso e per trent’anni direttore del manicomio di Torino, influenzarono le scelte scientifico-culturali del M., dotato al tempo stesso di una vasta cultura umanistica e di una rigorosa e seria preparazione scientifica.

Nel 1923 la facoltà di scienze dell’Università di Torino conferì al M. l’insegnamento dell’antropologia, che divenne cattedra nel 1940; fin dagli inizi, egli integrò tale insegnamento con esercitazioni pratiche, condotte utilizzando le proprie collezioni scientifiche e quelle del padre e del fratello; fu quindi costituito l’istituto di antropologia (1926), la cui direzione venne affidata al M., che vi fece confluire la ricca biblioteca di scienze antropologiche appartenuta al padre.

Agli inizi del XX secolo, l’antropologia venne ad assumere una connotazione tipicamente naturalistica, affrancandosi dalle sue origini mediche; a Torino fu proprio il M., grazie al suo percorso culturale da medico a naturalista, a contribuire alla nascita dell’antropologia fisica quale noi oggi la intendiamo. A proposito del M., Fumagalli scrisse: «Concepì l’Antropologia come la Storia naturale dell’Uomo, sintesi di ogni disciplina naturalistica, e l’Uomo studiò, considerandone ogni manifestazione o recondita espressione, nell’anatomia e fisiologia, nell’osteologia, nell’etnografia, nell’archeologia, nella preistoria e nella storia, inquadrando ogni fenomeno biologico nell’ambiente naturale, quale originario promotore e orientatore» (p. 4).

Nel 1926 il M. fondò il Museo di antropologia e di etnografia che riteneva importante in funzione dello specifico compito didattico e necessario complemento di un istituto biologico che si informasse anche a criteri storici e geografici. Di fatto, fin dall’inizio, egli concepì il Museo non come una semplice raccolta di collezioni ma come attivo centro di ricerca (cfr. G. Marro, L’istituto e Museo di antropologia e di etnografia di Torino. Dalla sua fondazione nella Regia Università [1926-IV], Torino 1940).

Psichiatra di riconosciuto valore, già direttore del laboratorio di anatomia dell’ospedale psichiatrico di Collegno, nel 1938 fu nominato direttore del complesso degli istituti psichiatrici di Torino-Collegno, allora denominati Regio Manicomio di Torino, e successivamente membro dell’Accademia di medicina e dell’Accademia delle scienze di Torino.

Oltre all’attività professionale in campo medico e all’insegnamento, il M. si dedicò a numerose campagne di scavo. Su richiesta dell’egittologo E. Schiaparelli, a cominciare dal 1911, partecipò in qualità di antropologo alla Missione archeologica italiana in Egitto, fondata nel 1903; dopo la morte di Schiaparelli (1928) collaborò anche con il nuovo direttore del Museo egizio di Torino, G. Farina, alle ultime campagne di scavo del 1930 e 1935. In tal modo Torino fu arricchita di una collezione di crani e di scheletri egiziani di grande pregio, estratti con varia suppellettile etnografica.

Nel contesto scientifico del XIX secolo l’Egitto si era progressivamente connotato come un modello particolarmente importante sia per la sua dimensione storica sia in quanto crocevia tra i continenti asiatico, europeo e africano. Le collezioni egiziane costituivano pertanto materiale importante per l’antropologia, in quanto strumento utile a descrivere la storia biologica delle popolazioni umane. Il M., partecipando alle missioni archeologiche, ebbe l’occasione di realizzare un ampio programma di ricerche antropologiche e di «mettere insieme» una cospicua raccolta osteologica. Tale collezione, di alto valore scientifico, è la quarta al mondo per importanza e consistenza, ma la prima per le ricerche che su di essa sono state condotte. Consta complessivamente di oltre 650 scheletri completi (59 dei quali di epoca neolitica) e di 1300 crani isolati, la maggior parte in ottimo stato di conservazione; a tale materiale osseo sono da aggiungere 80 teste di mummie, alcune delle quali predinastiche, 5 mummie predinastiche pressoché complete e 15 dinastiche. Tutto il materiale, proveniente principalmente dalle necropoli dinastiche di Assiut e da quella predinastica e dinastica di Gebelèin nell’Alto Egitto, è stato classificato cronologicamente e spazia dalla VI alla XI dinastia.

Gli studi del M. si iscrissero, dunque, in una nuova concezione dell’antropologia fisica, basata sia sull’utilizzo delle collezioni sia sullo studio della relazione tra l’uomo e il suo ambiente; è pertanto in questa nuova prospettiva di classificazione dell’antica popolazione egiziana, ma anche con l’intento di interpretarne la variabilità fisica, che il M. intraprese la sua opera di raccolta (Osservazioni morfologiche ed osteometriche sopra lo scheletro degli Egiziani antichi: [necropoli di Assiut 2500-3000 av. Cr.], Parte prima, Roma 1913; Il profilo della faccia negli Egiziani antichi: [necropoli di Assiut, 2500-3000 av. Cr.], Torino 1915; Il corpo e la statua del defunto nell’Egitto antico: contributo alla psicologia dei popoli, ibid. 1927; Sull’antropologia e sull’etnografia dell’Egitto predinastico, Roma 1936).

Le misure cefaliche, ben diversamente da quanto era avvenuto in passato, non rappresentarono più meri elementi di classificazione, ma divennero anche buoni indicatori dei processi di adattamento. Il M. riteneva che, per ricostruire la storia biologica delle popolazioni, le informazioni non dovessero essere desunte solo dai crani, ma dallo scheletro tutto intero, il quale assunse così una propria importanza negli studi di paleobiologia. Se le sue pubblicazioni rappresentarono una insostituibile e talora unica documentazione degli scavi di Schiaparelli (Les nécropoles égyptiennes et les fouilles de la Mission archéologique italienne, Grenoble 1921; L’esplorazione della necropoli di Gebelen: [dai lavori della Missione archeologica italiana in Egitto], Pavia 1929; Scavi italiani in Egitto e loro scopo anthropologico, Paris 1931), le sue ricerche hanno costituito un innovativo punto di incontro tra discipline umanistiche e scientifiche e hanno contribuito alla nascita di un’antropologia egittologica con connotazione biologico-naturalistica.

Il M. diede un ulteriore e notevole apporto alla ricostruzione di alcuni momenti della storia dell’Egitto con il ritrovamento, nel 1921, del corpo epistolare privato di Bernardino Drovetti, console generale di Francia in Egitto. Tale archivio, costituito da oltre 1000 documenti che egli riordinò e studiò con grande attenzione e di cui riferì in varie pubblicazioni (vedi in particolare: B. Drovetti et Champollion le Jeune, in Atti della R. Accademia delle scienze di Torino, LVIII [1922-23], pp. 548-582; Documenti inediti sulla cessione al Piemonte della collezione egiziana Drovetti, ibid., LXIX [1933-34], pp. 595-617; La personalità di B. Drovetti studiata nel suo archivio inedito, in Memorie della R. Acc. delle scienze di Torino, cl. di scienze fisiche, matematiche e naturali, s. 2, LXXI [1951], pp. 39-151; B. Drovetti archeologo, in Aegyptus, XXXII [1952], pp. 121-130), è oggi conservato presso l’Accademia delle scienze di Torino, e si è rivelato una preziosa raccolta di dati storici, archeologici, geografici, naturalistici ed etnografici.

Il M. dette inizio a un ulteriore filone di ricerche nel 1929, con un programma di esplorazioni sistematiche in Val Camonica, dove scoprì un grandioso complesso di incisioni rupestri preistoriche di grande interesse scientifico.

Negli anni 1929-40, in numerosi lavori comparsi in riviste nazionali e internazionali, e quindi anche in estratto o volume (La nuova scoperta di incisioni preistoriche in Val Camonica, Nota prima, Torino 1930 e Nota seconda, ibid. 1931; Dell’istoriazione rupestre in Valcamonica, ibid. 1933; Il grandioso emporio d’arte rupestre di Valcamonica, ibid. 1936), il M. presentò i risultati dei relativi studi, sottolineando «l’aspetto singolarmente importante dell’arte primitiva in Italia, che permette d’iniziare lo studio di un antico sistema religioso probabilmente originale, di apportare contributi alla conoscenza e alla derivazione di antichissimi alfabeti italici, di gettare solidamente le basi per la ricostruzione di una speciale civiltà camuna fino allora ignota» (in L’istituto e Museo…, p. 15). Va pertanto riconosciuto al M. il merito di aver saputo comprendere l’interesse antropologico delle incisioni rupestri: e ancora oggi le sue interpretazioni costituiscono un importante punto di riferimento per la ricerca.

Il M. aveva anche tentato di valutare, sotto il profilo genetico, le differenze e la suddivisione geografica o temporale dei diversi gruppi etnici; se le problematiche da lui proposte presentano ancora alcuni caratteri di attualità e interesse, d’altra parte egli si trovò a operare in un contesto ideologico, legato a taluni presupposti devianti, che lo portò negli anni Quaranta a prese di posizione in campo scientifico e politico di stampo razzista (La sala della razza nella rassegna «Torino e l’autarchia»: 1939-XVIII, Torino 1939; Primato della razza italiana: confronto di morfologia biologia antropogeografia e di civiltà, Milano-Messina 1940; I fattori biologici e geografici del destino storico d’Italia, Roma 1940).

Il M. morì a Torino il 20 luglio 1952.

L’impostazione scientifica del lavoro del M. si situa sia in una prospettiva lamarckiana, quando esamina il ruolo dell’ambiente nel processo evolutivo, sia in quella darwiniana, quando considera il ruolo della genetica e della selezione; la specifica originalità delle sue ricerche, che si inscrivono in una nuova concezione dell’antropologia fisica, consiste nell’aver considerato le grandi collezioni come buoni indicatori per documentare la relazione tra l’uomo, il suo ambiente e i processi di adattamento. Pur valorizzando il metodo comparativo, il M. lo ha superato, in quanto lo ha considerato in senso diacronico, comparando le popolazioni antiche a quelle moderne, e in particolare non limitandosi alla sola sfera morfologica ma estendendo la sua attenzione anche all’etnologia e agli aspetti culturali.

Fonti e Bibl.: S. Fumagalli, G. M. (1875-1952), Pinerolo 1952; A. Corti, G. M. e il Monumento paletnologico camuno, in Riv. di scienze naturali «Natura», 1955, vol. 46, pp. 175-186; D. Davide, Notizie storiche della Collezione osteologica egiziana predinastica e dinastica «G. Marro» conservata al Museo di antropologia ed etnografia dell’Università di Torino in Atti del VI congresso internazionale di egittologia… 1991, Torino 1993, II, pp. 87-92.

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