MIANI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74 (2010)

MIANI, Giovanni

Francesco Surdich

– Nacque a Rovigo il 17 marzo 1810 da padre ignoto e da Maddalena Miani, servente, sorella di Giovanni, un architetto dell’Arsenale di Venezia, e di Guglielmo, padre di Antonio, che comandò la prima conquista italiana del Fezzan nel 1913. Affidato alle cure di alcuni parenti della madre, che si era trasferita a Venezia al servizio del nobile P.A. Bragadin, trascorse i primi anni mal sopportato dalla famiglia che lo aveva accolto, cercando di imparare l’arte dell’intaglio in legno, prima di potersi ricongiungere nel 1824 con la madre. Da quel momento avrebbe ricevuto «un’educazione principesca» (Miei cenni biografici, p. 5), impartitagli da maestri di musica, lettere, lingue, danza, scienze, arti marziali e disegno, ottenendo, alla morte del suo protettore Bragadin (8 ag. 1828), in un testamento contestato dagli altri eredi, la casa di questo e un capitale di 18.000 lire italiane.

Dopo la morte della madre (1837) si dedicò assiduamente agli studi musicali nei conservatori di Bologna, Milano, Napoli e Parigi, oltre che in Spagna, dove nel 1840 conobbe il diplomatico F.-M. de Lesseps e compose un inno dedicato al generale J.B. Espartero. Fra il 1841 e il 1843 scrisse parole e musica del melodramma Un torneo a Tolemaide, pubblicato nel 1843 a Venezia, dove l’anno successivo, autodefinendosi «maestro di musica speculativa e pratica», diede alle stampe anche il primo fascicolo di una Storia universale della musica di tutte le nazioni, dedicata a G. Rossini: un progetto che lo tenne occupato per quasi vent’anni in viaggi di studio alla ricerca degli strumenti e delle tradizioni musicali e costituì la principale causa della sua rovina economica.

Nel 1848 il M., che la polizia austriaca già nel 1841 aveva incluso nell’elenco dei «sorvegliati e sospetti» per le sue posizioni e le frequentazioni politiche, alla notizia della rivoluzione si spostò a Roma da dove poi raggiunse nel Veneto la divisione pontificia del generale A. Ferrari, formata prevalentemente da volontari. Il M. fu assegnato all’artiglieria terrestre come primo cannoniere col grado di sergente maggiore. Partecipò così alla difesa di Marghera e del forte di San Secondo; ma nell’aprile 1849, denunciato al Dipartimento della guerra per aver aderito alla congiura contro il generale A. Paulucci, incolpato di aver difeso troppo debolmente il forte, fu tradotto nelle carceri di Rialto, radiato dai ruoli e obbligato a imbarcarsi per Ravenna. Dopo avere inutilmente cercato da Ancona di ottenere da D. Manin di essere reintegrato nel corpo degli artiglieri, si trasferì a Malta, dove impartì lezioni di canto e curò la pubblicazione del seguito della sua Storia della musica con la Società editrice maltese. Passato poi a Costantinopoli, vi trovò una scrittura teatrale come tenore e riprese a comporre; poi, compiuta una visita in Palestina, si fermò un anno al Cairo, dedicandosi a studi sul Sinai e a ricerche di archeologia e filologia. Per vivere fu precettore presso la famiglia Lucovich e poi direttore di alcune piantagioni sperimentali di riso.

Rientrato in Italia, riuscì a raccogliere 40.000 franchi per proseguire l’edizione della Storia della musica, senza trovare però nessuno disposto a pubblicarla né a Parigi, né a Londra, dove si era recato per questo motivo. Di nuovo in Egitto, si diede a studiare l’arabo, l’astronomia, la topografia e la storia naturale per prepararsi a un nuovo progetto, la ricerca delle sorgenti del Nilo. A questo scopo già nel 1857 effettuò un viaggio sperimentale nell’Alta Nubia assieme con due giovani francesi (G. Revol di Lione e A. Poussel di Avignone), disegnando una carta della regione fondata, oltre che sulle sue osservazioni e sui documenti di altri esploratori, anche sui resoconti di marinai, mercanti, cacciatori e missionari. Fattala stampare l’anno successivo a Parigi, ne presentò a Napoleone III una copia da allegare a un progetto di esplorazione del bacino del Nilo presentato alla Società geografica di Parigi, che lo accolse fra i suoi membri.

Nel 1859 il M. intraprese un viaggio in Africa, partendo il 10 maggio dal Cairo su due imbarcazioni: lo accompagnavano Poussel, un capitano di marina incaricato di effettuare le ricerche astronomiche, un fotografo, un pittore e un traduttore arabo-francese.

La spedizione risalì il Nilo fino ad Assuan, superò la cateratta per via di terra, riprese la navigazione fino a Wādī Ḥalfa e dal 9 giugno attraversò il deserto su cammelli e dromedari fino a Dongola. Ripresa la navigazione sul Nilo e percorso successivamente il deserto di Bajuda, il 20 luglio il gruppo arrivò a Omdurman, porto di Kharṭūm sul Nilo Bianco.

Ospite nella rakuba (casa dei forestieri) del dottor A. Peney, ex ufficiale medico della marina francese, il M. conobbe un ricco commerciante maltese, A. De Bono, e convinse gli europei a formare una società per cercare di raggiungere Gondokoro; la successiva proposta di spingersi oltre per fondare una nuova casa commerciale, «donde traffico e scienza n’avrebbero grande utilità e troverebbe nello stesso tempo ai Signori Commercianti la gloria di aprire una nuova strada, la quale a poco a poco ci condurrebbe ad innalzare il velo che copre le origini misteriose di questo fiume colossale» (Diari e carteggi, pp. 396-398), fu però respinta dai suoi compagni. Al M. non restò allora altro che accettare l’invito del dottor Peney per un’escursione nel Sennār a bordo di un’imbarcazione governativa: partito il 20 settembre da Kharṭūm, vi ritornò il 7 novembre, insieme con la moglie e il figlio del Peney, De Bono, uno scrivano e quattro soldati.

Finalmente il 5 dicembre poté ripartire per l’agognata spedizione alla ricerca delle sorgenti del Nilo: il 9 genn. 1860 raggiunse Santa Croce, stazione dei missionari cattolici situata nelle paludi del Sudd, e il 24 gennaio Gondokoro, abbandonata dai missionari austriaci. Non fu invece in grado, causa i molti ostacoli naturali, di superare le cascate Makedo, per cui decise, anche per le precarie condizioni di salute, di rientrare a Gondokoro. Un paio di mesi di sosta lo rimisero in forze. Ripartì via terra con un centinaio di uomini, marciando per circa 200 km attraverso boschi, colline rocciose e letti di torrenti, e seguendo a distanza la riva destra del fiume fino a giungere, il 26 marzo, a Galuffi. Qui il M. incise il proprio nome sotto il tronco di un grande tamarindo detto di «Miani» o «del viaggiatore», indicato da tutte le carte dell’epoca e ritrovato forse da J.H. Speke e sicuramente da S. Baker. Fiaccato dalle febbri e da una violenta dissenteria, tormentato da un piaga infetta, messo in difficoltà dalle piogge torrenziali, dalle resistenze dei suoi uomini e dall’ostilità degli indigeni che si opponevano al passaggio sui loro terreni, il 29 marzo il M. rinunciò a proseguire: malgrado fosse arrivato a 3° 32’ di latitudine Nord, oltre l’attuale confine fra il Sudan e l’Uganda, e quindi al punto più vicino alle sorgenti del Nilo raggiunto fino ad allora, si convinse di avere davanti ancora un mese di cammino quando non ne distava che 60 miglia. Ripiegò allora su Kharṭūm giungendovi il 22 maggio 1860.

Successivamente, tra la seconda metà di luglio e i primi giorni di agosto, procedendo prima in barca lungo il fiume e poi su cammelli e dromedari, giunse a Suakin, sul Mar Rosso, dove incontrò l’esploratore Carlo Piaggia. Quando finalmente il 24 agosto tornò al Cairo, fu costretto all’immobilità per oltre un mese per curare la piaga al piede sinistro, ma riuscì a pubblicare la relazione del suo viaggio di cui mandò copia a tutte le società geografiche europee; un estratto, corredato da uno schizzo con l’indicazione delle località attraversate e del percorso da compiere per raggiungere le sorgenti del Nilo, fu consegnato al ministro degli Esteri egiziano, che ricambiò garantendo il «patronato» del pascià-viceré e aiuti concreti (strumenti scientifici, denaro e mezzi di trasporto).

Forte dei nuovi finanziamenti, il 2 dic. 1860 il M. ripartì da Būlāq, porto del Cairo, su un battello a vapore alla volta di Isnā. Stavolta aveva con sé il maltese G. Portelli, incaricato delle osservazioni astronomiche, un pittore di nome Damin, che doveva ritrarre paesaggi e costumi, e 150 soldati di scorta, coi quali il 7 dicembre salì su un barcone recante la bandiera ottomana e quella italiana. Arrivati ad Assuan il giorno di Natale, i viaggiatori passarono la cateratta via terra, si imbarcarono di nuovo di fronte all’isola di File e il 17 genn. 1861 giunsero alle cateratte di Wādī-Ḥalfa. Li seguiva una carovana di trenta cammelli, numerosi servi e una guida necessaria per poter superare le cateratte, raggiungere Dongola e passare, a fine gennaio, sulla sponda sinistra del Nilo, secondo un itinerario descritto dal M. con estrema precisione nel suo Giornale. Da Dobba, porto del deserto di Bajuda, si diressero a Omdurman, dove il M. si vide costretto a congedare G. Portelli, che non solo gli aveva sottratto corallo e ambra per venderli al bazar, ma stava progettando di avvelenarlo.

Apprese nel frattempo che De Bono e Peney, partiti da Kharṭūm nel novembre 1860, erano arrivati a Gondokoro e intendevano spingersi verso le sorgenti del Nilo: tentativo poi frustrato dal rifiuto degli indigeni di seguirli in attesa del M., il loro «Leone Bianco», sicché Peney morì per travaso di bile e De Bono riportò la vedova al Cairo, dove intraprese una campagna denigratoria nei confronti del M.; il quale, abbandonato nel frattempo dal fotografo James e da Damin, ostacolato dal mudir Hassan bey, privo di uomini, con le riservate decimate e col materiale danneggiato dal naufragio della sua barca (con conseguente perdita delle pagine finali del diario), decise di tornare in Egitto per far presente la situazione al viceré.

Durante il viaggio da Omdurman al Cairo, fu raggiunto dalla notizia che era in corso la spedizione di J.H. Speke e J.A. Grant, patrocinata dalla Società geografica di Londra. Decise allora di partire il 6 ott. 1861 per l’Europa. Dopo Firenze, dove espose la sua collezione al palazzo Pretorio, e Torino, dove nel gennaio 1862 pubblicò una breve relazione sui suoi viaggi corredata da un carta geografica curata da V.A. Malte-Brun, si recò a Parigi e a Londra. Ad agosto, dopo tredici anni di assenza, rivide Venezia, vestito all’orientale, con turbante e barracano: fu accolto con ironia e scetticismo e guardato con curiosità. A parziale risarcimento delle spese sostenute per organizzare la più antica collezione europea di etnografia (composta da 14 casse, per un totale di circa 1800 oggetti, più alcuni effetti personali dell’esploratore), il Municipio veneziano cui l’aveva donata gli versò 1000 fiorini.

Il 27 ottobre il M. propose alla Camera di commercio di Venezia di costituire a Kharṭūm un deposito di conterie e di perle veneziane da scambiare, a suo parere, con le merci degli indigeni e in particolare con l’avorio. Per scuotere l’opinione pubblica e convincerla dell’importanza e dell’utilità delle sue spedizioni il M. ristampò un suo scritto, pubblicato già nel 1858, sulla Posizione geografica dell’Offir, della Bibbia e dell’origine del Nilo, sottolineando gli enormi profitti che la sua impresa avrebbe garantito: in appendice aggiunse una nota sulle Sventure sofferte nella spedizione alle origini del Nilo.

Nel 1863, su invito della Società geografica austriaca, il M. fu accolto a Vienna con grandi manifestazioni di stima e ricevuto a corte dall’imperatore che gli prospettò il finanziamento di una nuova spedizione; ma l’arrivo di un dispaccio dall’Africa, nel quale si segnalava che Speke e Grant avevano scoperto le sorgenti del Nilo, scompaginò i suoi piani; per di più le sue carte geografiche furono smentite da un calcolo più preciso che spostava a Nord il punto da lui raggiunto. Francesco Giuseppe gli offrì comunque 1000 fiorini per tornare in Egitto, dove al Cairo, nel gennaio 1864, il M. pubblicò una carta geografica poligrafata, dedicata al viceré d’Egitto Ismāīl Pascià e contenente a destra lo schizzo del viaggio di Speke e Grant ricavato dalla carta Petermann del 1863, a sinistra la rappresentazione grafica del suo giudizio negativo sulle scoperte degli Inglesi. Cercò anche di dimostrare, sbagliando, che il fiume emissario del lago Ukerewe/Vittoria non era il Nilo, ma un tributario del Giei (Baḥr el-Ghazāl) e che le sorgenti del fiume si trovavano più a Est, presso i rilievi montuosi di Patico.

Non volendo arrendersi all’evidenza cercò di difendere le sue teorie con scritti e conferenze; ricevuto nel 1865 da Vittorio Emanuele II, ricevette il titolo di cavaliere dell’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e promesse di aiuto per una nuova spedizione. Al Cairo, dal ministro Sharīf-Pascià ottenne però soltanto il benestare e una barca a vapore; a Costantinopoli, invece, alla corte del sultano, gli diedero aiuti concreti per poter pubblicare una memoria presentata al presidente della Società geografica di Londra, R. Murchison, che aveva chiesto la sua collaborazione per ritrovare l’esploratore inglese S. Baker.

Fu poi il governatore del Sudan a incaricarlo di occuparsi del giardino zoologico per 10 soldi mensili, somma che il M. tentò di arrotondare compiendo ricerche su commissione per alcuni musei europei, lavori occasionali per conto di commercianti e indagini economiche per conto della Camera di commercio di Trieste che gli fornì anche un sostegno economico poi integrato con i 1000 fiorini stanziati dal Municipio di Venezia. Confidando su questi e altri mezzi, tornò in Egitto dove progettò un nuovo viaggio d’accordo con un’impresa interessata alla ricerca di avorio nel Monbuttu.

Il 15 maggio 1871 ebbe così inizio, su alcune barche partite da Kharṭūm, la sua terza spedizione. Dopo una sosta forzata di tre mesi a Gaba-Sciambil (7° lat. Nord) sul Nilo Bianco, la carovana ripartì allontanandosi dal Nilo e dirigendosi a ovest attraverso i villaggi del Lao, del Farial, del Mittu e del Mondu. Arrivò, così, stremato a Monfa nel 1872. Due mesi dopo, però, all’arrivo di nuove risorse riprese la marcia e raggiunse Amamba, piccolo regno del sultano Kuffa, dove poté riprendere a nutrirsi dopo tanti giorni di quasi digiuno.

Ripreso il viaggio, attraversò il fiume Gadda, uno dei rami sorgentiferi dell’Uele; passando poi per Abissenga e attraversando il sultanato di Mangià, quindi per Angaria, il 3 luglio arrivò a Bakangoi.

A questo punto, però, la scorta si rifiutò di seguirlo: allora il 16 settembre riprese la via del ritorno seguendo un itinerario più settentrionale, a destra dell’Uele; ma, dopo aver raggiunto per la seconda volta la residenza di Munsa a Tangasi, il 21 nov. 1872 si spense, distrutto dalle fatiche, sfinito dalla dissenteria e colpito da una necrosi al braccio, a circa 3° di latitudine Nord presso un subaffluente dell’Uele.

Munsa, il capo della confederazione denka, volle radergli la barba lunga e fluente e appendersela al collo per mantenere su di sé lo spirito dell’amico; poi lo avvolse in una coperta, gli pose accanto la pipa e un vaso di tabacco e, con quattro chiodi forgiati dallo stesso M. per questa circostanza, chiuse la sua rozza bara, affidandola alla terra in una località situata tra i fiumi Uele e Bokomandi, a circa 18 km a sud-ovest di Niangara.

La sua tomba fu però subito violata e saccheggiata dagli indigeni: le ossa, recuperate nel 1879 per iniziativa di R. Gessi nell’ex sultanato di Munza, furono custodite prima dalla vedova dello stesso Gessi, poi dalla Società geografica italiana, in attesa che ne venisse accertata l’identità, attestata con certezza da una lettera inviata da Tangasi, il 10 sett. 1881, da G. Casati. I resti, consegnati alla Società geografica italiana, furono trasferiti a Rovigo, dove sono tuttora custoditi, in un’urna di legno, presso il museo dell’Accademia dei Concordi.

Oltre alle casse contenenti il materiale da lui raccolto, dopo la sua morte, per interessamento del kedivé Ismāīl, furono portati in Italia dal suo fedele accompagnatore, Hussein-el-Benkans, sergente di un reggimento denka, due giovanetti di una tribù di pigmei Akkà o Tikki Tikki, primi esponenti di questa etnia che vennero fatti circolare ed esibiti in Europa.

Scritti del M.: Un torneo a Tolemaide, Venezia 1843; Storia della musica di tutte le nazioni, parte I, ibid. 1846; Nouvelle carte du bassin du Nil indiquant la commune origine de ce fleuve avec les rivières du Zanguebar. Renseignements pour une expédition future aux sources du Nil, Paris 1858; Carte du cours du Nil depuis les sources présumées, ibid. 1858; Spedizione verso le origini del Nilo, Il Cairo 1860; Posizione geografica dell’Offir, della Bibbia e dell’origine del Nilo, Venezia 1862; Relazione sulla lingua degli Auidi, tribù nilotica equatoriale, in Il commercio d’Egitto, Il Cairo 1863; Esplorazione verso le origini del Nilo, ibid. 1864; Confronto geografico intorno alle scoperte del Nilo fatte dai sigg. Speke e Grant e G. M., Venezia 1864; Relazione sopra un’escursione fatta col dott. Schweinfurth all’istmo di Suez, in L’Osservatore triestino (Trieste, 1864); Le spedizioni alle origini del Nilo, omaggio all’illustre cav. signor Ferdinando de Lesseps, presidente della Compagnia per il taglio dell’istmo di Suez, Venezia 1865; Memoria dedicata al sig. Roderick Murchison presidente della Società geografica di Londra, Costantinopoli 1865; Scherzo sul numero tre, Venezia 1865; Descrizione sul paradiso artificiale descritto dal veglio della montagna, ibid. 1865; Corrispondenze. G. M., in Bollett. della Società geografica italiana, IX (1873), pp. 25-38; G. Miani: ricordi biografici e note di viaggio, a cura di A. Cappellini, Rovigo 1927; Diari e carteggi (1858-1872), a cura di G. Rossi-Osmida, Milano 1973 (edizione integrale dei manoscritti del Miani).

Fonti e Bibl.: La documentazione sulla nascita del M. e sul suo ambiente familiare si trova a Rovigo nell’Archivio parrocchiale dei Ss. Stefano e Giustina, Matrimoni e nell’Archivio parrocchiale S. Stefano, Baptizatorum liber; nell’Archivio di Stato di Rovigo, Stato civile napoleonico. Nati e morti 1806-1810 e Notarile, notaio G.B. Locatelli, b. 883/141; nell’Archivio del Comune di Venezia, e nell’Archivio di Stato di Venezia (Direzione generale di Polizia, anni 1824-36; Tribunale civile di prima istanza, anni 1828-36). Per il periodo successivo, e in particolare per quello relativo ai viaggi nell’area del Nilo, molta documentazione è reperibile a Roma, Archivio della Società geografica italiana, fondo Miani (anni 1869-75): cartografia, manoscritti e carteggi; nell’Archivio di Stato di Venezia, Camera di commercio (anno 1864): miscellanea di atti relativi alla spedizione Miani; nel Museo civico Correr di Venezia, Documenti Cicogna (anni 1862-64): corrispondenza col Lazzi e con la Camera di commercio; nel Museo civico di storia naturale di Venezia, Miani (anni 1862-64): diari, disegni, cartografia e manoscritti. L. Menin, Presentazione di una carta del viaggio di esplorazione del Nilo del sig. M., in Atti dell’Ist. veneto di scienze, lettere e arti, s. 3, IX (1863-64), pp. 766-788; S. de Kiriaki, G. M., in Rivista veneta, III (1873), pp. 36-42; Il viaggio di G. M. al Monbuttu, a cura di M. Camperio, Roma 1875; T. Minelli, Della vita e dei viaggi di G. M. di Rovigo, Rovigo 1877; L. Beltrame, Gli Akka di M., in Bollettino della Società geografica italiana, s. 2, IV (1879), pp. 65 s.; L.A. Balboni, Gl’Italiani nella civiltà egiziana del sec. XIX, Alessandria d’Egitto 1906, I, ad nomen; R. Almagià, Il viaggiatore G. M. e le sue raccolte etnografiche, in Rivista mensile della città di Venezia, 1927, n. 6, pp. 511-533; C. Cimegotto, G. M. esploratore, Padova 1930; G. Piva, Un pioniere italiano delle scoperte del Nilo. G. M., il Leone Bianco, Firenze 1930; L. Lotar, Souvenir de l’Uele: M., in Congo, 1930, n. 6, pp. 367-387; Id., G. M. esploratore dell’Uellé nel 1872, Rovigo 1931; C. Zaghi, La morte di M., in L’Oltremare, V (1931), pp. 161-163; L. Cipriani, Nell’Uelé, sul luogo di sepoltura di G. M., in Bollett. della Società geografica italiana, s. 6, VIII (1931), pp. 399-403; Id., In Africa dal Capo al Cairo, Firenze 1932, pp. 491-509; E. Bellorini, M. e Speke alla scoperta delle sorgenti del Nilo, Torino 1932; R. Almagià, Il diario dei primi viaggi di G. M., in Bollett. della Società geografica italiana, s. 6, XI (1934), pp. 653-664; Id., I diari manoscritti del viaggio di G. M. alla ricerca delle sorgenti del Nilo, in Rivista della città di Venezia, 1935, n. 8, pp. 363-370; C. Cesari, Gli Italiani nella conoscenza dell’Africa (i nostri precursori coloniali), Roma 1938, pp. 97-107; A. Mori, G. M., in Atti dell’Accademia dei Concordi di Rovigo, II (1939), pp. 105-127; G. Dainelli, Esploratori italiani in Africa, Torino 1950, pp. 236-243; R. Battaglia, La prima guerra d’Africa, Torino 1958, pp. 28-39; G. Rossi-Osmida, L’esploratore G. M.: i diari e il carteggio, in Africa, XXVI (1971), pp. 189-204; C. Zaghi, G. M. alla ricerca delle sorgenti del Nilo alla luce del suo giornale inedito, in L’Europa davanti all’Africa. La via del Nilo, Napoli 1971, I, pp. 547-584; E. Migliorini, La figura e l’opera di G. M. nel centenario della morte, in Bollett. della Società geografica italiana, s. 10, I (1972), pp. 589-610; C. Zaghi, Mal d’Africa. Studi e ricerche, Napoli 1980, pp. 313-356; G. Rossi-Osmida, Una missione del «Centro studi ricerche Ligabue» sulle tracce di G. M., in La conoscenza dell’Asia e dell’Africa in Italia nei secoli XVIII e XIX, a cura di U. Marazzi, I, 2, Napoli 1984, pp. 1029-1044; S. Puccini, Gli Akka del M. Una storia etnologica nell’Italia di fine secolo (1872-1883), in L’Uomo, VIII (1984), pp. 29-58, 197-217; F. Cimmino, G. M.: alle sorgenti del Nilo, in Viaggiatori veneti alla scoperta del Nilo, a cura di A. Siliotti, Venezia 1985, pp. 117-121; F. Surdich, Dagli esploratori ai colonizzatori, in Africa. Storie di viaggiatori italiani, Milano 1986, pp. 172-176; G. Civiletti, Un veneziano in Africa. Vita e viaggi di G. M. secondo i suoi diari, Torino 1991; S. Puccini, Gli Akka del M. (1872-1883), in Id., Andare lontano. Viaggi ed etnografia nel secondo Ottocento, Roma 1999, pp. 75-116; G. M. e il contributo veneto alla conoscenza dell’Africa. Esploratori, missionari, imprenditori, scienziati, avventurieri, giornalisti. Atti del XXVIII Congresso di studi storici…, Rovigo… 2003, a cura di G. Romanato, Rovigo 2005.

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