PALATUCCI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 80 (2014)

PALATUCCI, Giovanni

Gianni Fazzini

PALATUCCI, Giovanni. – Nacque a Montella (Avellino) il 29 maggio 1909, unico maschio dei tre figli di Felice e di Angelina Molinari.

Fu battezzato l’indomani nella chiesa di S. Silvestro. Nel Registro degli atti di nascita del Comune di Montella, anno 1909, c. 91, erroneamente lo si indicò nato il 31: in seguito i biografi attribuirono il disguido a un mero errore materiale.

La famiglia Palatucci era molto religiosa; due zii paterni, Antonio e Alfonso, furono francescani, un terzo, Giuseppe Maria, divenne vescovo di Campagna (Salerno) il 28 novembre 1937. L’ambiente familiare influenzò l’animo di Giovanni, inculcandogli abnegazione e amore per il prossimo.

Compì i primi studi a Montella e li proseguì al ginnasio Dionisio Pascucci a Dentecane, frazione di Pietradefusi (Avellino); si iscrisse poi al liceo classico Pietro Giannone di Benevento, ma al termine del primo anno si ritirò a causa di contrasti con i docenti, dopo aver preso le difese di alcuni compagni che riteneva vessati ingiustamente; continuò gli studi privatamente nel collegio Serafico di Ravello (Salerno), di cui era rettore lo zio Giuseppe Maria, e conseguì la maturità da privatista al liceo Torquato Tasso di Salerno il 23 novembre 1928.

Si iscrisse al corso di laurea in giurisprudenza all’Università di Napoli, dalla quale si trasferì a quella di Torino allorché, per assolvere il servizio militare, entrò volontario nella scuola allievi ufficiali di complemento a Moncalieri (Torino), che frequentò dal 26 gennaio 1930 al 21 febbraio 1931. Il 16 dicembre 1932 si laureò all’Università di Torino con la tesi Il rapporto di causalità nel diritto penale, relatore Eugenio Florian (pubblicata nel 2004 a Montella, a cura del nipote Antonio De Simone Palatucci).

Dopo il tirocinio presso lo studio dell’avvocato Luigi Mazzoleni di Torino, superò l’esame di procuratore legale, ma anziché intraprendere la carriera forense – come consigliato da Mazzoleni e nei desideri del padre – nei primi mesi del 1936 presentò domanda per entrare in polizia; prese servizio il 3 agosto alla questura di Genova come vicecommissario aggiunto in prova e dal febbraio all’aprile 1937 frequentò il XIV corso presso la Scuola di formazione per funzionari di Pubblica Sicurezza a Roma; a fine corso fu confermato vicecommissario aggiunto e riprese servizio a Genova il 7 maggio. Qui rilasciò un’intervista che il 26 luglio 1937 apparve anonima su un giornale cittadino (si ignora la testata, ma è noto il contenuto [fascicolo personale nell’Arch. centrale dello Stato]), in cui criticava la polizia, accusandola di burocratismo e di essere lontana dai problemi dei cittadini; l’intervista suscitò scalpore tra i suoi superiori che vennero presto a conoscenza dell’identità dell’autore: fortemente biasimato, Palatucci rischiò l’espulsione, ma ci si limitò a trasferirlo alla questura di Fiume, dove giunse il 15 novembre 1937.

Divenuta drammatica nel 1938, a seguito del cosiddetto Manifesto della razza del 15 luglio e delle cosiddette Leggi razziali del 17 novembre, la posizione dei cittadini italiani di origine ebraica, Palatucci, che era a capo dell’ufficio stranieri della questura, si prodigò per portare aiuto a loro e agli ebrei stranieri che, abbandonando i territori soggetti ai tedeschi, chiedevano di poter entrare in Italia attraverso il valico di Fiume (Sorani, 1983, p. 124; Raimo, 1992, p. 60 ss.; Polizia di Stato 2002, pp. 27 s., 33; Picariello, 2007, p. 54 ss.). Queste azioni durarono fino all’8 settembre 1943. Non potendo rilasciare documenti con i dati reali (razza, nazionalità ecc.), Palatucci fornì visti di transito e passaporti falsi (Sorani, 1983, p. 124; Raimo, 1992, p. 104; Coslovich, 2001, p. 17; Polizia di Stato, 2002, p. 83) e tentò di impedire la deportazione nei centri di internamento italiani degli ebrei che si trovavano a Fiume, come residenti o in transito; quando ciò non fu possibile, cercò per lo meno di farli avviare verso il campo di internamento di Campagna (Salerno), che si trovava nella diocesi dello zio vescovo e, addirittura, era installato all’interno di una struttura della Curia (Picariello, 2007, p. 83): lì sapeva che le condizioni di vita degli internati sarebbero state alleviate dallo zio, con il concorso della popolazione locale (Raimo 1992, pp. 65 s., 70 ss.; Coslovich, 2001, p. 18; Picariello 2007, pp. 81-88).

Quando, dopo l’8 settembre 1943, i tedeschi presero possesso di Fiume, le loro forze di polizia avocarono le funzioni della questura, relegando al ruolo di mera esecuzione di ordini la polizia italiana, alla quale furono sequestrati armi, munizioni e automezzi. Gli altri funzionari della polizia di Fiume si fecero allora trasferire presso sedi dislocate nella neonata Repubblica sociale italiana, ma Palatucci preferì restare. Rimasto il più alto in grado, gli vennero affidate le funzioni di vicequestore (con lett. prot. 14569/Gab. del 28 febbraio 1944 della Questura di Fiume, conservata ll’Arch. centrale dello Stato). Poté così continuare a soccorrere i profughi ebrei, sottraendoli anche alla deportazione nei campi allora esistenti in Italia.

Violando le leggi razziali vigenti, Palatucci si esponeva a gravi rischi ma, pur avendone la possibilità, non volle porsi in salvo in Svizzera, come gli fu proposto da un console svizzero suo amico (tra i biografi c’è disaccordo pure sulla sua identità): col pretesto di una missione da svolgere presso il governo della RSI, accompagnò la fidanzata ebrea Mika (Mikela) Eisler e sua madre al confine con la Svizzera, ma non le seguì (Coslovich, 2001, p. 22; Picariello, 2007, p. 227) e tornò invece a Fiume.

Venuto sempre più in sospetto alle autorità militari tedesche, arrivò perfino a distruggere gli elenchi degli ebrei in suo possesso (Raimo, 1992, p. 104 ss.; Polizia di Stato, 2002, p. 83), in modo da renderne impossibile l’individuazione e la cattura, finché, per ordine del tenente colonnello della Gestapo Herbert Kappler, nella notte fra il 12 e il 13 settembre 1944 fu arrestato con l’accusa di collaborazione e intelligenza con il nemico. Rinchiuso per circa un mese nel carcere Coroneo di Trieste, venne poi tradotto al KZL (Konzentrationslager) di Dachau, dove giunse il 22 ottobre 1944; gli fu tatuata sul braccio la matricola 117826, fu assegnato alla baracca 25 e, in quanto internato politico di nazionalità italiana, indossò una casacca con un piccolo triangolo rosso avente al centro la lettera I.

Morì il 10 febbraio 1945 per l’epidemia di tifo petecchiale che imperversava nel campo dal dicembre precedente e fu sepolto nella fossa comune sulla collinetta di Leitenberg, situata a circa un chilometro dal campo di concentramento.

Qualche anno dopo giunsero i riconoscimenti del suo operato, dapprima da parte ebraica, poi anche da parte italiana. Nel 1953, a Ramath Gan, cittadina alle porte di Tel Aviv, alla presenza degli zii paterni Giuseppe Maria e Alfonso, gli fu dedicata una via, la Rechov Hapodim, fiancheggiata da 36 platani, uno per ogni anno della sua vita; il 17 aprile 1955 gli fu intitolata una foresta nei pressi di Gerusalemme e l’Unione delle comunità israelitiche (oggi ebraiche) italiane gli assegnò una medaglia d’oro alla memoria; nel settembre 1990 lo Yad Vashem (Ente nazionale per la memoria dell’olocausto) di Gerusalemme gli riconobbe il titolo di «giusto tra le Nazioni».

Il 19 maggio 1995 il Presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro conferì alla memoria di Palatucci una medaglia d’oro al merito civile. Il 9 ottobre 2002 il Tribunale diocesano del Vicariato di Roma aprì il processo canonico di beatificazione del «Servo di Dio Giovanni Palatucci, laico, funzionario della Polizia di Stato, martire in odio della fede», postulatore p. Gianfranco Zuncheddu, cui successivamente subentrò p. Franco Stano; il processo si concluse in tempi rapidissimi il 10 febbraio 2004 e gli atti furono trasmessi alla Congregazione delle cause dei santi per la fase successiva. Nel 2006 furono concesse due medaglie d’oro al merito civile: il 25 settembre alla città di Campagna, il 12 dicembre alla memoria dello zio vescovo, per la loro azione di assistenza e salvataggio degli internati operata di concerto con Palatucci. Negli anni furono intitolate a Palatucci strade e sedi di commissariato della Polizia di Stato in numerose città d’Italia e il 29 maggio 2009 le Poste italiane emisero un francobollo a suo nome.

Tuttavia, intorno alla figura di Palatucci occorre cautela nel discernere tra apologia e verità. Le numerose testimonianze della sua opera a favore degli ebrei provengono da istituzioni ebraiche, da persone da lui salvate, dalla famiglia e da varie istituzioni italiane (Comuni di Montella e di Campagna; Comitato Giovanni Palatucci di Campagna; Associazione Giovanni Palatucci di Roma; Polizia di Stato). Secondo alcune fonti, egli contribuì a mettere in salvo di circa 5000 profughi ebrei. Altre ricerche hanno ridimensionato questi dati (Ballarini, 1999, 2003; Coslovich 2001, 2002, 2008), rilevando anche come Palatucci non sarebbe stato in alcun modo nella posizione di aiutare così tanti perseguitati. L’equivoco sarebbe sorto nell’agosto 1945 a Londra, alla prima Conferenza ebraica mondiale, allorché il delegato italiano Raffaele Cantoni, accennando al salvataggio di circa 5000 ebrei a opera dell’armata alleata, menzionò anche Palatucci, ma senza fare un collegamento diretto.

Per la causa di beatificazione, è sorta una querelle sul legame affettivo che unì Palatucci a Mika Eisler, negato dagli agiografi ma sostenuto dai critici; in aggiunta, vengono talora disconosciuti i contatti di Palatucci con la resistenza italiana, narrati dai biografi (che gli attribuiscono il nome di battaglia di dottor Danieli: Sorani, 1983, p. 125; Raimo, 1992, p. 114; Picariello, 2007, p. 168), ma non suffragati da prove certe. Infine, i biografi e la stampa si sono più volte riferiti a lui come all’ultimo questore di Fiume italiana: in realtà Palatucci fu soltanto questore reggente e penultimo, perché dopo la cattura fu nominato al suo posto Giuseppe Hamerl.

La contestazione più integrale della ricostruzione della vicenda di Palatucci è stata apportata nel maggio 2013 da una ricerca del Primo Levi Center di New York, i cui esiti hanno avuto un certo risalto sulla stampa internazionale, che ha messo in dubbio non solo le dimensioni del suo intervento, ma il suo contributo effettivo alla causa dei profughi ebrei, fino ad avanzare il sospetto che fosse stato un fiancheggiatore dei nazisti, responsabile della deportazione in Germania di 412 ebrei fiumani. Il dibattito fra gli storici è ancora in corso: il Primo Levi Center si è dato del tempo per approfondire il nuovo filone di ricerca al fine di poter dirimere qualsiasi dubbio e giungere così all’accertamento della verità. Nel frattempo, si sono arrestate tutte le iniziative in favore di Palatucci, dando luogo a un riesame della sua figura e del suo operato da parte sia di Yad Vashem sia del Vaticano.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, 1963, b. 20bis (fasc. pers.); Ibid., A16 ebrei stranieri, b. 6, 10, 18; D. Buzzati, Perché una foresta in Israele ha il nome di un italiano non ebreo, in Il Corriere della Sera, 17 aprile 1955, p. 3; Israele onora un prode italiano, in Israel, XXXVIII, 34, 7 maggio 1953, p. 1; R. N. [Rozsi Neumann, testimone], Il dottor G. P., ibid., 39, 18 giugno 1953, p. 3; S. Sorani, L’assistenza ai profughi ebrei in Italia (1933-1947). Contributo alla storia di Delasem, a cura di A. Tagliacozzo, Roma 1983, pp. 123-125; G. Raimo, A Dachau, per Amore. G. P., Montella 1992; M. Coslovich, Note sulla figura e l’opera di G. P., in Rass. mens. di Israel, LXI (1995), pp. 90-103; Gli Ebrei a Campagna. Piccole storie di grande umanità, a cura di A. Maggio, Campagna 1996, passim; A. Ballarini, Il tributo fiumano all’olocausto, Roma 1999, pp. 16-23; A. Paloscia - M. Coslovich - E. Di Francesco, Per non dimenticare G. P. ultimo…, Roma 2001; G. Petroni, Gli ebrei a Campagna durante il secondo conflitto mondiale, Campagna 2001, pp. 127-135; Polizia di Stato, G. P. Il poliziotto che salvò migliaia di ebrei, Roma 2002; M. Coslovich, Il caso P. Il poliziotto che salvò gli ebrei?, in Contemporanea, 2002, n. 1, pp. 59-84; G. Zuncheddu, L’ultimo questore di Fiume italiana G. P., Servo di Dio…, in Miscellanea ieri e oggi, I, Quartu Sant’Elena 2003; P. Vanzan S.I, La «Shoah» e G. P. L’avvio della Causa di beatificazione, in Civiltà cattolica, CLIV (2003), 3662, pp. 149-158; A. Ballarini, G. P. favole e storia, in Fiume, n.s., XXIII (2003), 1-6, pp. 48-77; P. Vanzan S.I., Conclusa la prima tappa per la beatificazione di G. P., in Civiltà Cattolica, CLV (2004), 3687, pp. 268-275; G. P. La scelta, le differenze, Atti giornata di studio Avellino, 2001, a cura di L. Parente - F.S. Festa, Atripalda 2004; B. Rivlin, I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945, II ed., Milano 2006, pp. 182-184; Associazione Giovanni Palatucci di Roma, G. P. Il Questore «giusto». Martire della carità a Dachau, Convegno di studi, 2006, Roma 2007; A. Picariello, Capuozzo, accontenta questo ragazzo. La vita di G. P., Cinisello Balsamo 2007; Comitato Giovanni Palatucci di Campagna, «Un grande vescovo». Mons. G.M. Palatucci, a cura di M. Aiello - C. Granito, Campagna 2007, passim; M. Coslovich, G. P. Una giusta memoria, Atripalda 2008; G. Di Luzio, Il disubbidiente. Il poliziotto…, Milano 2008; P. Vanzan S.I., G. P. «Giusto tra le Nazioni», Gorle 2008; N. Giusti, L’ultimo questore. La vera storia di G. P.,…, Livorno 2009; F. Stano, Ebbe come criterio il cuore, Montella 2009; P. Vanzan S.I. - M. Scatena, G. P. il Questore «giusto», IV ed., Roma 2009; U. Pacifici Noja - S. Pacifici Noja, Il cacciatore di giusti. Storie di non ebrei che salvarono i figli d’Israele dalla Shoah, Cantalupa 2010, pp. 109-113; M. Bianco - A. De Simone Palatucci, G. P. un giusto e un martire cristiano, Napoli 2012; A. Farkas, P., Tutte le ombre sulla vita dello «Schindler italiano», in Il Corriere della Sera, 23 maggio 2013; P. Cohen, Italian praised for saving Jews is now seen as nazi collaborator, in New York Times, 19 giugno 2013; A. Carioti, «P. non fu un Giusto». Yad Vashem riapre la questione, in Il Corriere della Sera, 21 giugno 2013; P. Conti, «Salvò i miei genitori in fuga dalle SS», ibid., 23 giugno 2013; P. Brazzo, P.: è il momento di passare dal mito alla storia, in Mosaico, http://www. mosaico-cem.it/articoli/palatucci-e-il-momento-di-passare-dal-mito-alla-storia, 29 lug. 2013; G. Preziosi, La grande rete di Fiume. Figli e nipoti dei colleghi del questore raccontano, in L’Osservatore romano, 5 agosto 2013.

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