LASCARIS, Giovanni Paolo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LASCARIS (Lascaris di Castellar), Giovanni Paolo

Luigi Cajani

Nacque nel 1560 a Castellar, nella contea di Nizza, figlio secondogenito di Giannetto e di Franceschetta di Agostino Lascaris. Apparteneva all'antica famiglia dei conti di Ventimiglia, imparentata con i Lascaris che erano stati imperatori di Bisanzio. Nel 1584, seguendo una tradizione assai diffusa nella sua famiglia, entrò nell'Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, nella Lingua di Provenza. Sulla sua vita prima dell'elezione a gran maestro non si hanno molte notizie. Visse per oltre trent'anni nel convento di Malta e ricoprì diverse cariche: fu preposto ai grani e successivamente, nel 1615, ai forni dell'isola, e realizzò notevoli economie. Nel 1625 ebbe il comando di una galera, la "S. Antonio", ma non risulta che abbia mai partecipato ad azioni militari. Nel 1632 fu inviato come ambasciatore presso il re di Spagna per trattare una controversia relativa al priorato di Castiglia e di León, che risolse con successo. Nel 1636 era conservatore dell'Ordine. Fu anche investito delle dignità di commendatore di S. Eulalia e, dal 1634, di balì di Manosque.

Alla morte del gran maestro Antoine de Paule, avvenuta il 9 giugno 1636, i favoriti alla successione erano il L. e soprattutto il balì di S. Eufemia, Signorino Gattinara, graditi al rappresentante papale, l'inquisitore Fabio Chigi, il primo per la sua onestà e austerità di vita, il secondo come uomo di governo capace ed energico. Ciò che determinò l'elezione del L., dopo un brevissimo conclave, furono le manovre di un terzo concorrente, il priore di Navarra Martin de Redin, che non essendo riuscito ad assicurarsi la vittoria malgrado i suoi molti maneggi, preferì far confluire sul L. i voti di cui disponeva.

Nel corso del suo lungo e difficile magistero, il L. si rivelò un lucido e prudente uomo politico, che seppe alternare opportunamente duttilità e fermezza nelle relazioni internazionali; tenne saldamente in pugno l'Ordine e diede prova soprattutto di notevoli capacità organizzative e amministrative.

In campo internazionale l'Ordine era condizionato dalla duplice dipendenza dal papa, che ne era il capo supremo, e dalla Spagna, di cui era vassallo dal 1530. In questo quadro uno dei problemi più spinosi che il L. dovette affrontare fu il mantenimento della neutralità nei confronti degli altri Stati cristiani, in primo luogo in occasione del conflitto franco-spagnolo. Molti cavalieri francesi presero a combattere su navi battenti bandiera francese contro quelle spagnole fin nel canale di Malta, provocando risentimenti e sospetti a Madrid e a Palermo e conseguenti ritorsioni. Già nel 1636 il viceré di Sicilia bloccò le esportazioni di grano verso Malta, colpita da una carestia, e l'anno seguente due galere dell'Ordine furono cannoneggiate dai forti di Siracusa.

Il L. riuscì a ricomporre la crisi inviando una ferma protesta al re di Francia e diffidando i cavalieri francesi dal proseguire le loro azioni. Incidenti analoghi si ripeterono negli anni 1650-51. Nel 1654 invece il contrasto fu con la Francia, perché il L. aveva fatto cannoneggiare una flotta da guerra francese, danneggiata da una tempesta, all'ingresso nel porto. La Francia pretese allora che anche alle navi spagnole fosse vietato l'approdo a Malta: il L. non poteva naturalmente acconsentire a questa richiesta, che fu poi lasciata cadere e tutto si appianò.

Una grave violazione della neutralità dell'Ordine, quale mai si era avuta prima di allora, si verificò in occasione della guerra di Castro: nel 1642 e nel 1643 il papa Urbano VIII chiese perentoriamente l'intervento delle galere maltesi a fianco della sua flotta e, pur dopo molte rimostranze, il L. dovette cedere. Comunicò tuttavia agli ambasciatori di Venezia, Firenze, Modena e Parma - gli Stati coalizzati contro il papa - che le sue navi si sarebbero limitate ad azioni dimostrative, come infatti avvenne. Ciononostante, in questi Stati i beni dell'Ordine furono sequestrati e restituiti solo al momento della pace, nel 1644.

Con il magistero del L. la flotta dell'Ordine, che da lungo tempo non operava più autonomamente, ma solo di conserva con altre flotte cristiane, riprese attivamente la guerra di corsa contro i Turchi, ottenendo ripetuti successi e rimpinguando con le prede il Comun Tesoro.

Il successo più clamoroso e più gravido di conseguenze fu la cattura di un galeone turco al largo di Rodi, avvenuta il 28 sett. 1644, che comportò un ricchissimo bottino e soprattutto la cattura di un bambino che molti indizi fecero credere un figlio del sultano. Condotto a Malta, anni più tardi il ragazzo si convertirà e vestirà l'abito domenicano. Negli ambienti cristiani l'audace impresa della cattura, compiuta così vicino alle coste turche, non fu affatto salutata con entusiasmo: si accusò l'Ordine di provocare sconsideratamente l'avversario; in particolare i Veneziani temevano che il sultano avrebbe colto il pretesto per un attacco contro di loro, dato che le navi dell'Ordine, dopo lo scontro, avevano fatto scalo in un porto di Creta.

Nel marzo del 1645 il sultano dichiarò guerra all'Ordine e a Malta il L. organizzò sollecitamente la difesa: fece completare le fortificazioni, evacuò in Sicilia tutti coloro che non potevano combattere, arruolò soldati all'estero, ammassò notevoli scorte di viveri e munizioni, e richiamò in convento tutti i cavalieri, sotto la pena della perdita dell'abito. A Malta si raccolsero quindi 18.000 combattenti, di cui 1400 fra cavalieri e serventi d'arme. L'attacco però non venne. I Turchi sbarcarono invece una grossa armata a Creta, obiettivo ben più interessante, dando così inizio alla lunga guerra di Candia, che si concluse nel 1669 con la perdita dell'isola da parte dei Veneziani. Le navi dell'Ordine parteciparono con continuità a questa guerra, talora insieme con quelle di altri Stati cristiani, in altri casi da sole, e si segnalarono più volte, particolarmente nelle vittorie ai Dardanelli del 1656 e del 1657.

Il L. rivolse molte cure alla flotta: si preoccupò di rimpiazzare subito una galera naufragata nel 1646, e nel 1651 fece costruire a proprie spese una settima galera, battezzata "Lascara". Nel 1655 stanziò una cospicua somma, sempre dal suo patrimonio, per la costruzione di un potente vascello da 40-50 cannoni. Era una scelta opportuna, perché questo tipo di nave, molto più potente delle galere e in grado di operare anche d'inverno, si stava ormai affermando anche nel Mediterraneo; ma alla morte del L. il progetto sarebbe stato abbandonato e non fu realizzato che alla fine del secolo.

Negli anni della guida del L., l'Ordine si trovò costantemente in difficoltà finanziarie perché, a causa della guerra dei Trent'anni, diminuirono fortemente i contributi annuali delle commende, che erano la principale fonte di entrata. In particolare cessarono del tutto le commende tedesche, molte delle quali furono definitivamente perse dall'Ordine con la pace di Vestfalia (1648). Il L. dovette tuttavia prendere diverse misure soprattutto per far fronte alle spese straordinarie che i lavori di fortificazione di Malta e la guerra di Candia comportarono e contrasse quindi ingenti debiti, per circa 600.000 scudi. Questo determinò scelte economiche decise: il corso forzoso della moneta di rame per 200.000 scudi; nuove tasse e dazi sugli abitanti e sui prodotti di Malta, nonché contribuzioni volontarie ai cavalieri; imposte straordinarie sui beni dell'Ordine; il conio di 20.000 scudi con l'argenteria del palazzo magistrale, della Conservatoria e delle chiese. Il L. ricavò inoltre altri 120.000 scudi con la creazione di 100 cavalieri e di 20 serventi d'armi, ciascuno dei quali pagò 1000 scudi per il "passaggio". Egli stesso diede un notevole contributo personale, come per la flotta: nel 1646 stanziò più di 100.000 scudi per mantenere a Malta scorte permanenti nell'eventualità di un assedio e fra il 1649 e il 1651 versò nel Comun Tesoro 30.000 scudi.

Quanto al governo di Malta, uno dei primi provvedimenti che il L. prese appena eletto fu la militarizzazione degli abitanti, addestrati e inquadrati in compagnie al comando dei cavalieri. Per sfuggire a quest'obbligo molti presero gli ordini minori, con la connivenza del vescovo Michele Giovanni Balaguer. Il L. protestò vivacemente presso il re di Spagna e il papa Urbano VIII. Quest'ultimo nel 1638 stabilì con un breve l'obbligo del regolare servizio militare per i chierici coniugati e la loro sottrazione alla giurisdizione ecclesiastica ordinaria per essere sottoposti a quella di un ecclesiastico nominato concordemente dal gran maestro e dal vescovo. Ciò non servì ad appianare i rapporti tra il L. e Balaguer, che rimasero tesi.

Nel 1639 il L. fu costretto ad allontanare per un certo tempo i gesuiti dall'isola, a causa di un incidente apparentemente banale, ma dietro il quale si muoveva forse un risentimento più profondo.

Egli aveva infatti proibito alle donne di mascherarsi e di andare a teatro durante il carnevale. Si disse che questo provvedimento gli era stato suggerito dai gesuiti, uno dei quali era anche suo confessore. Ne nacque un tumulto popolare, aizzato e diretto soprattutto dai cavalieri italiani seguaci del Gattinara, nel corso del quale la sede del collegio dei gesuiti fu devastata. Fu il Gattinara stesso che contribuì a sedare gli animi, e dopo questo episodio non ci furono più casi di contestazione.

In campo legislativo il L. rese pubblico nel 1640 il primo codice organico dall'inizio della dominazione dell'Ordine sull'isola: le Prammatiche magistrali (l'opera è rimasta manoscritta ed è conservata nella National Library of Malta, Mss., 148). Nella parte riguardante la procedura penale si fissano le norme per gli interrogatori, le garanzie della difesa e si proibisce ai giudici di applicare la tortura e di pubblicare le sentenze senza l'assenso del gran maestro. Il L. riformò anche il Consiglio popolare, esautorandolo completamente e concentrando ogni potere nelle proprie mani.

Fra le altre iniziative interne prese dal L. sono da segnalare l'istituzione di un pubblico Archivio dei notai (1640), la costruzione di un lazzaretto nell'isolotto di Marsamuscetto e di un ospedale per le donne incurabili a La Valletta (1643), l'introduzione della stampa (1644), l'istituzione della Biblioteca pubblica (1650), creata con libri appartenenti alle eredità lasciate dai cavalieri.

Nel 1652 il L. si lanciò in un'impresa ambiziosa, l'acquisto di alcune isole nelle Antille: San Cristoforo, San Bartolomeo, San Martino, Santa Croce e un altro centinaio di isolette dell'arcipelago delle isole Vergini. Le isole appartenevano alla Francia e ne era luogotenente il cavaliere dell'Ordine Filippo de Lanvillier Poinsy, che ne suggerì l'acquisto al L. al prezzo di 120.000 lire tornesi. In realtà l'iniziativa non si rivelò un buon affare dal punto di vista economico e comunque pochi anni dopo, nel 1665, il re di Francia obbligò l'Ordine a rivendergliele.

Nel 1655 fece rumore un grave incidente con la Repubblica di Genova, con la quale c'era una vecchia ruggine per questioni di precedenza: la flotta dell'Ordine, entrando nel porto di Genova, rese il saluto alla città e all'ammiraglia spagnola che era alla fonda ma non all'ammiraglio genovese. Offesi, i Genovesi obbligarono la flotta maltese al saluto sotto la minaccia dei cannoni. Per ritorsione, il Consiglio dell'Ordine deliberò di non ricevere più alcun cavaliere genovese.

Anche in età avanzata il L. godette di una salute soddisfacente e di una mente lucida. Le sue condizioni cominciarono a declinare sensibilmente solo nel 1656, quando aveva 96 anni. Subito si accese la lotta per la successione, che vide di nuovo protagonista Martin de Redin, il quale questa volta riuscì ad affermarsi. Dopo diverse riprese e ricadute il L. morì il 14 ag. 1657 e fu seppellito nella chiesa di S. Giovanni a La Valletta.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. del Sovrano Militare Ordine di Malta, f. 57: Gr. maestro de L.C. G.; Arch. segr. Vaticano, Segreteria di Stato, Malta, voll. 7-12, 82-83; Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 6681, cc. 61v, 82v; 6687, passim; 6690; Borg. lat., 558, c. 91; Chig., A.I.4, cc. 71v ss.; Chig., N.III.77, cc. 162r-171r; Vat. lat., 7099, cc. 81r-84r; 7484, cc. 1r-7r; G. Dal Pozzo, Imperialis gentis Lascaris genealogia, Veronae 1656, pp. 45-47; O. Bulgarini, Vita del padre maestro F. Domenico di S. Tomaso dell'Ordine de' predicatori…, Napoli 1689, passim; B. Dal Pozzo, Historia della Sacra Religione militare di S. Giovanni gerosolimitano detta di Malta, I, Verona 1703, pp. 607, 741, 807, 828; II, Venezia 1715, pp. 3-257; R. Aubert de Vertot, Histoire des chevaliers hospitaliers de S. Jean de Jérusalem…, IV, Paris 1726, pp. 146-170; S. Pauli, Codice diplomatico del Sacro Militare Ordine gerosolimitano oggi di Malta, II, Lucca 1737, pp. 313, 326-341, 344-354, 356-358, 479 s.; A. Mifsud, Biblioteca maltese, I, Malta 1764, pp. 195, 199; L. De Boisgelin, Malte ancienne et moderne, II, Paris 1809, pp. 304-327; F. de Salles, Annales de l'Ordre de Malte ou des hospitaliers de St-Jean-de-Jérusalem…, Vienne 1889, pp. 161-168, 389-391; A. Guglielmotti, Storia della marina pontificia, VII, Roma 1892, pp. 416, 424; VIII, ibid. 1893, pp. 10, 200; P. Piccolomini, Corrispondenza tra la corte di Roma e l'inquisitore di Malta durante la guerra di Candia (1645-1669), in Arch. stor. italiano, s. 5, 1908, t. 41, pp. 45-127 passim; 1910, t. 45, pp. 303-355 passim; F. Borromeo, Relazione di Malta e suo inquisitorato del cardinale Federico Borromeo, in Malta letteraria, II (1927), pp. 53 s.; E.J.Q. Hugues, The building of Malta, London 1956, pp. 4, 37, 69, 82, 210; C.-É. Engel, Histoire de l'Ordre de Malte, Genève-Paris-Munich 1968, pp. 227, 240, 243 s.; U. Mori Ubaldini, La marina del Sovrano Militare Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme di Rodi e di Malta, Roma 1971, ad indicem.

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