PUCCINI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PUCCINI, Giovanni

Emiliano Morreale

PUCCINI, Giovanni (Gianni). – Nacque a Milano il 9 novembre 1914 da Mario, scrittore, e da Sandra Simoncini. Fu fratello maggiore di Massimo (sceneggiatore, noto anche con lo pseudonimo di Massimo Mida) e di Dario (ispanista).

I suoi primi scritti, di cinema e letteratura, risalgono al 1933. L’anno successivo partecipò ai Littoriali della cultura di Firenze nella sezione della critica letteraria, dove conobbe Pietro Ingrao, che rimase fra i suoi amici più cari. Oltre a prose di viaggio ed elzeviri, cominciò a scrivere sempre più assiduamente di cinema, con un interesse particolare per la produzione hollywoodiana e per il ruolo degli attori.

Nel 1935, ancora studente universitario (si laureò in letteratura tedesca nel 1938), si iscrisse al neonato Centro sperimentale di cinematografia (CSC) cominciando anche a collaborare all’organo della scuola, Bianco e Nero, che tuttavia abbandonò l’anno dopo per entrare nella redazione della rivista Cinema e per collaborare all’Istituto internazionale per la cinematografia educativa (IICE), organo della Società delle Nazioni diretto da Rudolph Arnheim. Per la rivista si firmò spesso con lo pseudonimo Puck.

In quell’epoca scrisse vari soggetti non realizzati per il cinema, e diresse il film amatoriale Vacanze borghesi a Falconara (1935). Di grande importanza per la sua formazione fu un soggiorno in Danimarca nel 1939, che gli permise di assistere a diversi film proibiti in Italia, e di confrontarsi con la cultura scandinava (a cominciare da Johannes V. Jensen, poi premio Nobel per la letteratura nel 1944). Fu al ritorno da questo viaggio che Puccini partecipò più organicamente al progetto di Cinema, nel frattempo passata dall’editore Hoepli a Rizzoli, sotto la direzione di Vittorio Mussolini. Del gruppo entrarono a far parte alcuni giovani della sinistra fascista che ben presto aderirono al Partito comunista italiano clandestino, tra cui Giuseppe De Santis, Domenico Purificato, Mario Alicata, Carlo Lizzani.

Negli anni della guerra, tra il 1941 e il 1943, la rivista, grazie soprattutto a Puccini e De Santis, divenne sede di una battaglia culturale accanita, in difesa di una linea letteraria che si richiamava a Giovanni Verga, e contro molta produzione italiana corrente: le commedie cosmopolite, ma anche il filone degli adattamenti letterari di Mario Soldati o Ferdinando Maria Poggioli che vennero bollati come ‘calligrafici’. Il culmine dell’attività del gruppo fu l’elaborazione collettiva di Ossessione, esordio cinematografico di Luchino Visconti, collaboratore della rivista, dopo varie ipotesi di adattamenti verghiani (tra cui L’amante di Gramigna, bocciato dalla censura).

Il contributo di Puccini all’elaborazione di Ossessione fu determinante, ma non fece in tempo a seguirne le riprese, perché il 2 dicembre 1942 venne arrestato insieme con il fratello Dario durante una retata e rimase in carcere fino alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943. Una volta libero, riprese l’attività a Cinema e in seguito, nella Roma occupata dai tedeschi, quella di cospiratore nei Gruppi di azione patriottica (GAP). Il carcere aveva infatti portato a maturazione la sua coscienza politica, e adesso la militanza comunista gli appariva come priorità esistenziale. Nel marzo del 1944 venne nuovamente arrestato durante una riunione in casa di Visconti, e rimase in carcere fino alla liberazione di Roma, nel giugno. Nel 1942 si era sposato con Elisabetta Lucarelli, e nel 1945 nacque la figlia Sandra.

Nell’immediato dopoguerra tentò di dedicarsi all’attività di militante comunista a tempo pieno, lavorando come redattore al quotidiano l’Unità, dove però assunse subito anche la rubrica di critica cinematografica. Nell’estate del 1945, coordinò per una casa editrice vicina al Partito Film d’oggi, settimanale popolare di cinema innovativo, ma che ebbe breve vita. Distaccatosi da Visconti, iniziò con Riso amaro (1949) un’intensa collaborazione con Giuseppe De Santis, del quale sceneggiò tutti i film fino a Uomini e lupi (1957), apportando un fondamentale contributo di scrittura.

Frattanto, dopo vari episodi, affrontò per la prima volta il set come regista con Persiane chiuse (1950), ma avendo confidato al produttore delle profonde insicurezze dopo pochi giorni di riprese, questi lo esautorò affidando la regia in corso d’opera a Luigi Comencini. Puccini si vide dunque costretto, per dimostrare nel mondo del cinema la propria affidabilità, ad accettare la regia di un film più commerciale, Il capitano di Venezia (1951), su un immaginario Robin Hood nella Venezia del Duecento; tuttavia il film, che si segnalava per curiosi elementi di realismo insoliti in un film in costume, per vicissitudini distributive uscì solo tre anni dopo.

La regia successiva di Puccini, Parola di ladro (1957), firmata a quattro mani con l’esordiente Nanni Loy, fu una commedia in costume ambientata negli anni Venti, su un ladro gentiluomo che tenta un colpo alle spese di un astuto gioielliere. La coppia Puccini / Loy fu poi ingaggiata per una co-produzione italo-spagnola, Il marito (1958), con Alberto Sordi.

Il copione era costruito su misura per l’attore (il soggetto era di Sordi e Rodolfo Sonego, la sceneggiatura di Mino Maccari ed Ettore Scola). Vi emergeva un tema fondamentale nel cinema di Puccini, ossia il confronto con le nuove sensibilità, i nuovi stili di vita e le nevrosi generate dal miracolo economico.

In questa chiave si può leggere anche il successivo titolo, Carmela è una bambola (1958), appartenente al filone del film-canzone napoletano, che proponeva un personaggio modernissimo di donna aspirante avvocato, aggiornando i consueti ruoli di Marisa Allasio. Il film fu decisivo per l’incontro tra Puccini e Nino Manfredi, e segnò il lancio cinematografico dell’attore.

Commedia matrimoniale dallo spunto esile, Il nemico di mia moglie (1959) con Marcello Mastroianni e Giovanna Ralli, ancora una volta si concentrava sui temi della modernizzazione, dell’«americanizzazione» dei costumi e della crescita dei consumi, e fu l’unico film in cui Puccini poté trattare al cinema una delle proprie passioni: lo sport. Nel corso del decennio, infatti, aveva scritto ripetutamente di calcio e di ciclismo per l’Unità e in Vie nuove (con un’inchiesta in più puntate, Salviamo il calcio, del 1957). Nell’arco del decennio, comunque, anche per ragioni economiche, l’attività di giornalista e quella di sceneggiatore continuarono ad affiancare il lavoro di regista.

La commedia rimase il campo di azione privilegiato di Puccini, che ne rivendicò la coerenza con la propria esperienza di critico e teorico neorealista, offrendo i migliori esempi negli anni del boom.

L’impiegato (1960), secondo film con Nino Manfredi, si ispirava a The secret life of Walter Mitty (1939) di James Thurber, da cui era stato già tratto l’omonimo film (1947; Sogni proibiti), diretto da Norman Z. McLeod con Danny Kaye, ma lo trasportava nel mondo della piccola borghesia impiegatizia capitolina.

Più controllato e acuminato delle commedie precedenti, la sua parte migliore è il versante di «commedia sociale»: la descrizione delle solitudini dell’impiegato che vive con la sorella e dei piccoli sotterfugi degli uffici.

Finalmente il regista riuscì a coniugare il proprio gusto per la commedia con temi impegnati in Il carro armato dell’8 settembre (1960), ispirato a un soggetto di Rodolfo Sonego e scritto insieme con Elio Bartolini, Goffredo Parise, Pier Paolo Pasolini e Giulio Questi, oltre al collaboratore abituale Bruno Baratti.

Storia di un gruppo di soldati sbandati che vagano senza sapere cosa fare del carro armato in cui si trovano (curiose le assonanze con Tutti a casa di Luigi Comencini, dello stesso anno), risultò però un’opera squilibrata nelle sue componenti, anche a causa di vicissitudini censorie.

Uno dei risultati più rilevanti fu il successivo L’attico (1962), con Daniela Rocca nei panni di una donna della provincia laziale trascinata tra uomini indegni nella Roma in piena crescita economica.

Il film portava a compimento l’analisi dei simboli e delle tendenze dell’Italia del miracolo economico, aggiungendo uno stile che risentiva di influssi delle nouvelles vagues.

A partire da quel momento la carriera di regista diede però sempre minori soddisfazioni a Puccini, che nel frattempo aveva visto la morte dell’amato padre (nel 1957) e la separazione informale dalla moglie. Nel lungo episodio di Cuori infranti (1963) intitolato E vissero felici ritrovò comunque Manfredi, con risultati felici, sospesi tra atmosfere balneari, malinconia e gusto del paradosso: la descrizione della domenica al mare di una famiglia composta da madre prostituta, padre casalingo e figlioletto.

Il genere della commedia a episodi vide Puccini impegnato successivamente, in maniera quasi esclusiva, per diversi anni ma con esiti raramente all’altezza: nel 1964 i quattro episodi di Amore facile, gli episodi La prima notte e Sabato 18 luglio del film L’idea fissa, e l’episodio Amore e arte di Amore in quattro dimensioni (parodia di uno sceneggiatore bloccato dagli appetiti sessuali della giovane moglie); nel 1965 i cinque episodi di Io uccido, tu uccidi improntati a un umorismo nero (in cui si segnala quello su due bambini assassini), i ben tredici episodi di I soldi, e Morire per vivere per Racconti a due piazze, da Eduardo De Filippo, che si stacca dalla produzione dell’epoca.

Negli ultimi anni di carriera, Puccini tentò altri generi. Ballata per un miliardo (1967), scritto con un giovane Bernardo Bertolucci, era una versione ironica del classico ‘film su un colpo’, mentre Dove si spara di più (1967) ambientava una storia alla Giulietta e Romeo all’interno di una faida tra famiglie del West, con alcune bizzarre idee di sceneggiatura e qualche accensione di violenza.

Puccini riuscì infine a realizzare uno dei progetti lungamente accarezzati, I sette fratelli Cervi (1968), che rileggeva la storia dei martiri della Resistenza con riferimenti alla guerriglia rivoluzionaria latino-americana e un impianto narrativo a flashback che risentiva del cinema del decennio. Subito dopo questo film, che ottenne un buon successo di pubblico, lavorò al progetto di un film di ambientazione non definita, su un poliziotto (Lo schiavo), nel quale contava di rimettere al centro temi politici, sull’onda del rinnovato interesse che avevano suscitato in lui la contestazione giovanile e l’occupazione sovietica della Cecoslovacchia.

Colto improvvisamente da infarto, Puccini morì a Roma il 3 dicembre 1968.

Fonti e Bibl.: Sulla vita e l’opera, E.G. Laura, Parola d’autore. G. P. tra letteratura e cinema, Roma 1995. Fra i repertori, ad vocem: A.G. Mancino, Dizionario dei registi del cinema mondiale, a cura di G.P. Brunetta, Torino 2006; R. Menarini, Enciclopedia del cinema, Roma 2004. E inoltre: M. Argentieri, G. P., in Storia del cinema italiano, XI, 1965-1969, a cura di G. Canova, Roma-Venezia 2002, pp. 136 s. Sull’esperienza di Cinema: Il lungo viaggio del cinema italiano. Antologia di «Cinema»1936-1943, a cura di O. Caldiron, Venezia 1965 (con saggio introduttivo dello stesso Puccini: Storia di «Cinema»). Sui film degli anni Sessanta: L. Micciché, Cinema italiano: gli anni ’60 e oltre, Venezia 2002, pp. 124 s.

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