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RUCELLAI, Giovanni

di Guido Mazzoni - Enciclopedia Italiana (1936)
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RUCELLAI, Giovanni

Guido Mazzoni

Nacque a Firenze il 20 ottobre 1475, da Bernardo, famoso umanista, e da Nannina sorella di Lorenzo il Magnifico. Avviato agli studî classici, acquistò cultura elegante viaggiando a Venezia e in Provenza. Tornato a Firenze, seguì naturalmente la parte medicea; e, fattosi ecclesiastico, ricevé vantaggi dal cugino Giovanni divenuto Leone X, dal quale ebbe l'onorevole incarico di un'ambasceria straordinaria a Francesco I. Era ancora in viaggio quando seppe l'elezione di Adriano VI cui presentò con una solenne orazione i rallegramenti e gli augurî della repubblica fiorentina; dal successore di Adriano, Clemente VII, il R. fu preposto al Castel S. Angelo, ufficio di grande importanza al quale si connetteva, nel parere di tutti, la prossima nomina a cardinale. Ma Giovanni morì, in Castel S. Angelo, il 3 aprile 1525.

Come ecclesiastico, non fu né peggiore né migliore di tanti altri d'allora; come uomo acquistò e mantenne amicizie onorevoli; la principale è quella con Giangiorgio Trissino: nella critica e nell'arte il R. non fece nulla che in alcun modo non si riconnetta con le idee e anche con gli esempi del Trissino. Ci fu anzi fra i due una specie di collaborazione, della quale fa testimonianza Il Castellano, dialogo dove il Trissino, tre anni dopo la morte dell'amico, immagina che in una discussione tenuta nell'aranceto del castello il R. sostenesse, d'accordo col suo Trissino, che la lingua volgare non ha da chiamarsi toscana ma italiana. Un altro documento contemporaneo accenna ad altre loro discussioni nella "Achademia tragica idest di Castello"; e si raccontò da persona degna di fede che i due recitassero a gara pezzi di loro tragedie. Al Trissino dedicò il R. con magnifiche lodi il poemetto Le Api, esaltando la Sofonisba e l'avviato poema L'Italia liberata dai Gotti.

Ma la personalità artistica del R. si allontanò assai, nella sua essenza, da quella del Trissino, ancorché ne segua la tendenza imitativa. In conformità a questa, lo studio delle Georgiche di Virgilio suggerì al R. di parafrasarne il 4° libro in endecasillabi sciolti; però le Api, pubblicate nel 1539 dal Trissino per incarico di Palla Rucellai, ebbero quasi una nuova vita dall'amorosa osservazione che il parafrasatore aveva fatto degli alveari nella splendida villa dei Rucellai a Quaracchi, presso Firenze. Ne derivò un rinfrescamento poetico di tutta la materia, talvolta con versi perfetti di rappresentazione e di armonia. Quanto allo strumento dell'endecasillabo sciolto, non è dubbio che egli ne fu un bel maestro, con influssi su tutti coloro che poi se ne valsero.

Tanto la Sofonisba del Trissino quanto la Rosmunda del R. erano già terminate sui primi del 1516; spetta adunque a esse il primato cronologico nella storia della moderna tragedia classicheggiante; ma la Rosmunda non fu recitata (come a torto si credette) nel 1518, o sui primi dell'anno seguente, negli Orti Oricellari, cioè dei Rucellai, o altrove in Firenze, per la venuta di Leone X. Comunque, quella tragedia, senza distaccarsi risolutamente da alcune "rappresentazioni" o "feste" di quell'età, cerca di osservare le unità pseudo-aristoteliche, secondo che allora s'intendevano, e narra i casi di Rosmunda, figlia del re dei Gepidi, Cunimondo, caduta tra le mani di Alboino, re dei Longobardi; casi che il R. desunse dalla storia di Paolo Diacono, non senza tenersi a modello, per alcune parti, l'Antigone di Sofocle. La semplicità agile ed elegante della versificazione, in gran parte lirica, e dello stile, è spesso meritevole di ammirazione. L'altra tragedia del R., Oreste, è una parafrasi dell'Ifigenia in Tauride di Euripide; slombata e di stile più lirico e ornato che non convenisse al fatto, il quale, peraltro, va notato ch'è di fine lieto, e concedeva perciò una recitazione più viva che non la Sofonisba e la Rosmunda: vi si può anche avvertire l'avviamento al fastoso spettacolo melodrammatico.

Bibl.: G. Mazzoni, Le opere di G.R., Bologna 1887, con uno studio introduttivo; id., Noterelle su G.R., in Propugnatore, Bologna 1890; F. Neri, La tragedia italiana del Cinquecento, Firenze 1904 (con rimandi bibliografici particolari); F. Cavicchi, Il libro IV delle Georgiche di Virgilio e le Api del R., in Rivista abruzzese, marzo-aprile 1900; P. Pagliucchi, I castellani di Castel S. Angelo di Roma, Roma 1906, pp. 77-78; A. Marpicati, Saggi critici, Firenze 1934.

Vedi anche
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