SARTORI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SARTORI, Giovanni

Leonardo Morlino

SARTORI, Giovanni. – Nacque il 13 maggio 1924 a Firenze da Dante e da Emilia Quentin.

Figlio unico, subito rivelatosi un enfant prodige, si laureò nel 1946 in scienze politiche e sociali presso la facoltà Cesare Alfieri dell’Università di Firenze.

A metà degli anni Quaranta, dopo una prima breve esperienza come praticante giornalista a La Nazione, il quotidiano più importante della città e allora uno dei maggiori del Paese, Sartori iniziò la sua carriera universitaria diventando, nel 1950, professore incaricato di storia della filosofia moderna, ancora presso la Cesare Alfieri, dove tenne il relativo corso fino al 1956, quando iniziò a insegnare scienza della politica (1956-63). Proprio il decennio che va dalla fine degli anni Quaranta al 1959 fu decisivo per la sua carriera universitaria, per definire le sue posizioni epistemologiche e metodologiche di fondo, per stabilire i suoi riferimenti intellettuali nazionali e internazionali, per l’evoluzione e la definizione dei suoi interessi di ricerca.

Innanzi tutto, il giovane professore incaricato conseguì prima la libera docenza in storia della filosofia moderna (1954) e poi una seconda libera docenza in dottrina dello Stato (1955), materia di cui negli anni precedenti era stato assistente di Pompeo Biondi, suo primo mentore ma non suo ‘maestro’: sin dai primi anni accademici Sartori seguì un suo percorso intellettuale che ne avrebbe fatto un autodidatta e un pioniere in Italia della disciplina di cui si occupò negli anni successivi, la scienza della politica. Poi, come diversi professori facevano allora – ma sicuramente da parte sua con un impegno intenso e notevoli risultati –, quegli anni di studio e insegnamento si tradussero in alcune dispense universitarie, quali Da Hegel a Marx: la dissoluzione della filosofia hegeliana (1951), Etica e libertà in Kant (1953), La filosofia pratica di Benedetto Croce (1955), Croce etico-politico e filosofo della libertà (1956) e soprattutto Questioni di metodo in scienza politica (1959). Una parte delle dispense su Croce fu ripubblicata nel volume Stato e Politica nel pensiero di Benedetto Croce (1966), mentre quelle su Questioni di metodo, riviste e integrate, diventarono La politica: logica e metodo in scienze sociali (1979) e, più recentemente, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali (2011), con contenuti ormai diversi rispetto sia alle Questioni di metodo sia a La Politica.

Gli aspetti principali della sua visione epistemologica e metodologica emersero già allora e vanno indicati nell’adesione a un neopositivismo empirico moderato, ovvero fatto di riferimenti alla concretezza del reale; nel conseguente distacco da Croce e dall’idealismo crociano; nell’attenzione al linguaggio comune e ai linguaggi specializzati, propri della scienza, anche sotto l’influenza di Alfred Jules Ayer e dei filosofi del linguaggio di Cambridge di quegli anni; nella concezione delle scienze sociali come di un sapere che deve essere applicativo per avere senso; nella visione del ruolo dello studioso come trasmettitore di conoscenze, ma non necessariamente autore di scoperte originali. Ovviamente, specialmente negli anni successivi e dopo l’esperienza della ricerca empirica, Sartori avrebbe riconosciuto e attribuito al ricercatore anche il compito della scoperta e non solo della trasmissione del sapere.

In quegli anni non vi era solo l’attenzione alla filosofia inglese, ma pure il riferimento costante a Norberto Bobbio e a Bruno Leoni, che furono entrambi suoi sostenitori accademici, oltre che molto influenti nella sua formazione di studioso liberal-democratico contrario alle ideologie totalitarie, che aveva visto in azione da giovane (il nazismo in particolare, ma anche il fascismo), e a quelle vive negli anni Cinquanta, quali il ‘socialismo reale’ nell’Unione Sovietica stalinista e nei Paesi dell’Est Europa. Va aggiunto che in quegli stessi anni Sartori entrò in contatto con l’IPSA (International Political Science Association) organizzando (1954), sotto l’impulso di Giuseppe Maranini, storico delle istituzioni già molto noto e allora preside dell’Alfieri, una tavola rotonda sulla metodologia della comparazione poi pubblicata nella rivista Studi politici, di cui Sartori fu condirettore con Biondi e Salvatore Valitutti. Il convegno di Firenze e soprattutto i viaggi compiuti in particolar modo negli Stati Uniti furono occasioni di incontro con molti tra gli studiosi più rilevanti di quegli anni, che Sartori ricordò nella sua breve autobiografia del 1997 (Chance, Luck and Stubborness), come Seweryn Bialer, Samuel Beer, Zbigniew Brzeziński, Carl Joachim Friedrich, Karl Wolfgang Deutsch, Samuel Noah Eisenstadt, Samuel Phillips Huntington, Harold Dwight Lasswell, Robert King Merton, Talcott Parsons, ma anche con i giovani più promettenti, da Samuel Edward Finer a Seymour Martin Lipset, Stein Rokkan, Hans Daalder. Negli Stati Uniti le istituzioni principali di riferimento per lui furono a New York la Columbia University e la New School for social research, e inoltre Harvard e soprattutto Yale.

L’esperienza americana lo spinse ad approfondire i due orientamenti verso lo studio della politica che sarebbero divenuti importanti successivamente e gli consentirono, già dagli anni Sessanta, di introdurre rilevanti innovazioni nello studio dei partiti. Si tratta della ‘teoria sistemica’, soprattutto per come era stata ripresa e trasferita nello studio della politica da David Easton (1951), e della rational choice come venne sviluppata da Anthony Downs (An economic theory of democracy, 1957), da Duncan Black (The theory of committees and elections, 1958), poi da James M. Buchanan e Gordon Tullock (The calculus of consent, 1962) e che Sartori discusse criticamente nelle dispense sulle Tecniche decisionali e sistema dei comitati nei primi anni Settanta, riviste e abbreviate in un articolo del 1974 (Rivista italiana di scienza politica, n. 1, pp. 5-42).

Anche a seguito di tutti gli stimoli intellettuali, delle conoscenze personali e di alcuni avvenimenti cruciali, come la rivoluzione ungherese (1956), in quegli anni vi fu una profonda trasformazione dei suoi interessi di ricerca, che prima lo portarono a mettere del tutto da parte gli studi di filosofia, poi ad abbracciare un modo di fare teoria politica come tertium genus tra filosofia e scienza politica empirica, infine ad avviarsi verso la ricerca empirica. È opportuno aggiungere che in tutto il suo percorso intellettuale Sartori avrebbe mantenuto le due facce di teorico politico non immediatamente immerso nella ricerca empirica e di studioso empirico della politica, senza dimenticare la sua formazione di filosofo, anche specialista dell’idealismo, attento all’analisi dei concetti, alle definizioni, alle distinzioni, alle classificazioni, al linguaggio, oltre che al rigore analitico.

Con questo retroterra Sartori scrisse in pochi mesi, nell’estate del 1956, il suo primo volume importante, che sancì quasi subito la sua notorietà e l’apprezzamento per lui da parte della comunità scientifica italiana. Si tratta di Democrazia e definizioni, uscito nel 1957, un’opera in cui tutto il sapere filosofico assorbito da un giovane di 32 anni è messo al servizio di una causa, la difesa puntuale della liberal-democrazia di massa.

Il volume rivelò notevole capacità di scrittura, profondità di analisi e una ricchezza di conoscenze che andavano oltre la filosofia idealistica, di cui erano state oggetto le dispense, per inglobare i grandi classici del pensiero da Aristotele a Niccolò Machiavelli, John Locke, David Hume, oltre agli autori ottocenteschi e novecenteschi fondatori delle scienze sociali come Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels, Max Weber, Joseph Schumpeter, senza dimenticare Bobbio e il suo insegnamento. Sartori sarebbe rimasto legato al tema della democrazia per tutto il resto della sua vita intellettuale e già una prima versione più approfondita del suo lavoro sarebbe stata da lui riscritta in inglese qualche anno dopo, Democratic theory (Detroit 1962).

Negli anni Sessanta il profilo scientifico di Sartori assunse una sua coerenza e una direzione precisa di consolidamento e sviluppo: completò il percorso accademico e quello intellettuale dalla filosofia alla ricerca empirica, pubblicò la prima versione della teoria sui partiti, rafforzò la presenza internazionale definendo la sua identità e originalità di studioso capace di diffondere la scienza politica in Italia.

Nei primi anni Sessanta Sartori aveva ormai i titoli per diventare professore ordinario di scienza politica, ma cattedre di questa materia in Italia non esistevano. Dunque, la soluzione più ovvia era vincere un concorso in una materia affine: così sarebbe avvenuto quando, seguendo le regole del tempo, nel 1963 venne ‘ternato’, ovvero designato come uno dei tre professori idonei, in un concorso di sociologia e poi chiamato a Firenze a ricoprire la cattedra di sociologia applicata. Nel 1966 passò finalmente a scienza politica, dove rimase fino a che non diede egli stesso le dimissioni nel 1977, dopo un anno di aspettativa e avendo deciso di rimanere alla Stanford University come successore di uno dei maggiori e più influenti studiosi della disciplina del secondo dopoguerra, Gabriel A. Almond. Dal 1969 al 1972 era stato anche preside dell’Alfieri dopo Maranini.

Intanto, nel 1969, Sartori aveva sposato Giovanna Paternò dei marchesi di San Giuliano, dalla quale ebbe una figlia, Ilaria. Divorziato, nel 2007 incontrò l’artista Isabella Gherardi, che sposò nel 2013.

Il ‘salto’ all’analisi empirica si era completato negli anni Sessanta innanzitutto dirigendo una ricerca sulle élites partitiche e parlamentari italiane, oltre che sul funzionamento del Parlamento.

Il disegno della ricerca mostrava come Sartori fosse al corrente degli studi internazionali più avanzati sul tema, a cominciare da quelli condotti da Gerhard Loewenberg e dai suoi collaboratori presso l’Università dell’Iowa. Vi furono coinvolti anche altri giovani studiosi molto promettenti (Luigi Lotti, Alberto Predieri e Stefano Somogyi). Dopo Il Parlamento italiano 1946-1963 (Napoli 1963) lo studio delle élites parlamentari e delle attività del parlamento sarebbe diventato un settore importante nella scienza politica italiana, poi proseguito e sviluppato da Giuseppe Di Palma, Franco Cazzola e, soprattutto, Maurizio Cotta.

In quegli anni e in seguito la ricerca empirica che assorbì maggiormente Sartori fu quella sui partiti. Il modo in cui raggiunse risultati rilevanti e originali è degno di particolare attenzione. Innanzi tutto, come aveva fatto negli anni Cinquanta su temi filosofici, Sartori propose le prime riflessioni in un volume di dispense, Partiti e sistemi di partito (Firenze 1965). Per Sartori, sin da quando era un giovane professore, era fondamentale comunicare con chiarezza e con argomentazioni cogenti, e il test più immediato e significativo era quello delle lezioni, oltretutto con la conseguenza di dare agli studenti la possibilità di seguire un corso originale e importante. In secondo luogo, era sempre cruciale conoscere la letteratura, magari scegliendosi un ‘nemico’, ovvero uno studioso illustre sulle cui spalle salire per andare oltre. In sostanza, era il modello del ‘pensare contro’ che la conoscenza di Croce gli aveva insegnato. In questo caso, il ‘nemico’ fu Maurice Duverger, che nel 1951 aveva pubblicato il volume ritenuto allora il più importante sui partiti (Les partis politiques). In terzo luogo seguì l’esempio di Almond, al quale Sartori era legato e che usava combinare punti di vista diversi: il risultato originale fu raggiunto mettendo insieme i diversi orientamenti appresi da Sartori negli Stati Uniti, ovvero coniugando aspetti dell’approccio sistemico e della rational choice soprattutto in chiave critica rispetto a Downs. I frutti di questa riflessione si sarebbero visti nel 1976, oltre dieci anni dopo, quando Cambridge University Press pubblicò Parties and party systems, che poco dopo divenne uno dei volumi più citati in scienza politica della fine degli anni Settanta e del decennio successivo.

Ancora negli anni Sessanta, con la pubblicazione di un articolo subito diventato noto e discusso (Constitutionalism: a preliminary discussion, in American political science Review, 1962, n. 4, pp. 853-864), Sartori pose le basi di un altro filone di ricerca, che sarebbe divenuto molto importante dalla fine degli anni Settanta, quando i processi di democratizzazione fecero diventare centrali nella riflessione politica l’‘ingegneria costituzionale comparata’, ovvero la possibilità che il sapere politologico possa proporre riforme costituzionali consapevoli, tenendo presenti tutte le condizioni culturali di fondo e quelle più specifiche di un certo Paese in un dato momento storico. L’ingegneria costituzionale comparata fu poi sistematicamente sviluppata nei primi anni Novanta e, da ultimo, nel volume del 1994 Comparative constitutional engineering.

Negli anni Sessanta Sartori ampliò e rafforzò le sue relazioni a livello internazionale e soprattutto la conoscenza di alcuni degli studiosi più importanti di democrazia e di partiti. Tornò alcune volte come visiting professor presso il Dipartimento di scienza politica della Yale University, dove insegnavano già da tempo David E. Apter, Robert A. Dahl, Robert E. Lane, Charles E. Lindblom, Joseph La Palombara e altri, oltre a Juan J. Linz, appena arrivato. Nel periodo 1967-76 fece parte del comitato esecutivo dell’IPSA in rappresentanza dell’Italia e nel 1970 creò il COCTA (Committee On Conceptual and Terminological Analysis) all’interno dell’IPSA per promuovere il programma metodologico, le cui basi erano state presentate nel 1970 in Concept misformation in comparative politics; il COCTA è tuttora attivo con il nome di Committee on concepts and methods (C&M) e rimane assai importante nella disciplina. La lezione di Sartori sarebbe diventata oggetto costante di insegnamento nei corsi di dottorato oltre a essere ripresa da David Collier e John Gerring in un volume a lui dedicato, pubblicato nel 2009 (Concepts and method in social science).

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta vi furono altre due iniziative volte a porre le basi di uno sviluppo sostanziale degli studi politologici in Italia. Innanzitutto, nel 1969 Sartori ricevette un consistente finanziamento dalla Fondazione Ford, che aveva deciso di promuovere le scienze sociali in Europa e in Italia, e che finanziò, oltre al Centro di politica comparata diretto da Sartori a Firenze, un centro simile diretto da Bobbio a Torino e due istituti di ricerca di orientamento economico rispettivamente a Napoli e ad Ancona. Lo scopo del sovvenzionamento al centro era quello di potenziare gli studi di scienza politica reclutando giovani borsisti.

L’impatto del finanziamento Ford fu particolarmente significativo perché subito dopo vi fu l’espansione delle università europee occidentali, quella italiana compresa, che da istituzioni di ricerca e insegnamento di élites diventarono gradualmente istituzioni rivolte a una platea di giovani molto più ampia e, dunque, furono necessari molti più docenti. Nel 1971, inoltre, uscì il primo numero della Rivista italiana di scienza politica (RISP), fondata da Sartori con il gruppo di giovani studiosi che aveva creato intorno a lui e con Gianfranco Pasquino come capo redattore fino al 1977. Dalla sua nascita e per diversi decenni la Rivista diventò la pubblicazione periodica principale del settore e diede a tutti i giovani studiosi italiani la possibilità di pubblicare i propri lavori, una volta superato il vaglio degli organi della rivista stessa. In quegli anni anche i maggiori studiosi stranieri pubblicarono, su invito di Sartori, i loro lavori sulla RISP, contribuendo a sprovincializzare e internazionalizzare la disciplina. Nel 2003 Sartori donò la testata, di cui era proprietario, alla Società italiana di scienza politica, che ne avrebbe fatto la sua rivista ufficiale.

Negli anni Settanta ci furono grandi cambiamenti nella sua vita professionale, certamente per il suo ulteriore coinvolgimento in attività internazionali, come la partecipazione, dal 1973 al 1976, al comitato direttivo dell’Associazione europea di scienza politica (ECPR - European Consortium for Political Research ) insieme ad altri studiosi di primo piano quali Jean Blondel, Hans Daalder, Stein Rokkan, Rudolf Wildenmann, Gunnar Sjöblom, Mattei Dogan; ma soprattutto perché la pubblicazione, nel 1976, di Parties and party systems gli diede ancora maggiore notorietà e riconoscimenti: il volume sarebbe diventato nel corso dei successivi quarant’anni l’opera sui partiti più citata della scienza politica internazionale, anche più di quella di Duverger. Vi fu inoltre la decisione di Sartori di accettare le offerte venute dagli Stati Uniti, in particolare la cattedra alla Stanford University dopo il pensionamento di Almond (1976) e dal 1979 la Albert Schweitzer Chair in the Humanities presso la Columbia University. In questa università Sartori rimase per tredici anni circa, fino a quando decise di rientrare in Italia, nel 1992, chiamato sulla sua antica catte-dra in scienza politica a Firenze, che coprì fino alla pensione (1994). Il periodo passato negli Stati Uniti, circa sedici anni, lo aveva spinto a riavvicinarsi a quel tertium genus della fine degli anni Cinquanta, ovvero a una teoria politica confrontata con la scienza politica senza esaurirsi esclusivamente nella ricerca empirica. La gran parte di quegli anni fu, infatti, occupata a riscrivere e ripensare Democrazia e definizioni e quando uscì The theory of democracy revisited (Chatam 1987), in due volumi, del libro giovanile non era rimasto molto. The theory sarebbe rimasto nel tempo il testo di riferimento di qualsiasi studioso di democrazia.

Gli anni italiani dal 1992 in poi furono molto più dedicati a temi di attualità e di grande rilevanza, comunque tutti legati da un filo teorico ai temi trattati o emersi nel suo volume sulla teoria democratica. Ad esempio, l’analisi dell’impatto negativo della televisione sulla formazione dell’opinione pubblica in Homo videns (1997), ovvero lo spostamento dell’attenzione su un tema centrale, per qualsiasi democrazia contemporanea, come quello della società multietnica in Pluralismo, multiculturalismo e estranei (2000). In quegli anni molta dell’attenzione di Sartori e, conseguentemente, i suoi scritti furono dedicati anche alle vicende politiche italiane, puntualmente commentate sul Corriere della sera, di cui era editorialista di successo.

I fondi sul Corriere spesso furono raccolti in volumi che davano un’idea precisa della loro coerenza e rilevanza. Così, ad esempio, Mala Tempora (2004), Il sultanato (2009), Il paese degli struzzi (2011). A essi si può aggiungere La corsa verso il nulla (2015), che nasce da altre riflessioni di Sartori su aspetti di fondo del mondo contemporaneo. Negli scritti di quegli anni Sartori riscoprì la sua verve polemica sempre arricchita da chiarezza espositiva, conoscenze, ironia e grande attenzione a un linguaggio in grado di catturare il lettore. L’uso del latino maccheronico per i nomi delle leggi elettorali (Mattarellum o Porcellum) fu proprio il risultato di questa attenzione, sia pure ironica, e quelle espressioni sarebbero entrate subito nel linguaggio giornalistico e poi in quello comune, al punto che altre leggi elettorali poi discusse sarebbero state chiamate anch’esse, per imitazione, in latino maccheronico (Italicum). In ogni caso non vi è dubbio che in quegli anni Sartori divenne un intellettuale letto e influente nel dibattito politico italiano, non solo sulle riforme elettorali e costituzionali, ma anche su altri temi di fondo per la democrazia.

Ebbe in quel periodo molti riconoscimenti sia in Italia, dove già nel 1992 era stato nominato socio dell’Accademia dei Lincei, sia internazionali. Ricevette nove lauree honoris causa da diverse università nel mondo, oltre a numerosissimi premi tra cui l’Outstanding Book Award dell’Associazione americana di scienza politica (APSA) per Parties and party systems (1998), il Lifetime Achievement Award dell’ECPR (2005), il premio Príncipe de Asturias in ciencias sociales (Spagna, 2005), il Lifetime Achievement Award dell’APSA (2006), il Mattei Dogan Foundation Prize dell’ECPR (2007), il Karl Deutsch Award dell’IPSA (2009), il premio Isaiah Berlin (2013), oltre alla Gran Croce dell’Ordine Bernardo O’Higgins (Cile, 2014) e all’Orden del Águila Azteca (Messico, 2015). Senza dire dei premi che portano il suo nome, come il Giovanni Sartori Book Award dell’APSA.

In sintesi, la lezione e l’esempio che ha lasciato sono da lui stesso lucidamente analizzati nel già citato saggio autobiografico del 1997 in cui suggerisce come il caso e la fortuna, insieme alla capacità di lavoro e alla tenacia nel perseguimento degli obiettivi, siano stati gli aspetti più importanti della sua vita professionale e intellettuale. Il suo lavoro, che verte almeno su tre grandi temi, partiti, democrazia e metodologia, si comprende meglio quando si ricorda il suo modo di intendere la scoperta scientifica, che non era per lui solo il risultato di accumulazione, nel senso di conoscenza profonda del pensiero di altri studiosi, ma anche sistematica contaminazione di saperi specifici diversi – filosofia, storia, sociologia, economia, scienza politica, diritto costituzionale – con i problemi posti dalla realtà.

Nel 1951 Duverger aveva analizzato i partiti con le loro organizzazioni, ideologie e risultati elettorali, ma Sartori notò come nel fare campagna elettorale, nel presentare le proprie proposte di policy, i partiti da un lato cercavano di crearsi identità specifiche che li rendessero attrattivi e facilmente identificabili da parte degli elettori-cittadini, dall’altro dovevano accettare la competizione elettorale con gli altri partiti del Paese e, quindi, non potevano essere considerati in se stessi, come avevano in sostanza fatto Duverger, Otto Kirchheimer o altri studiosi, ma sempre in relazione agli altri. La principale lezione della teoria sistemica è proprio nell’idea delle relazioni tra i partiti come luogo di definizione di ciascuno di essi: le parti sono definite dalle loro relazioni con l’insieme. Nel tempo e con lo svanire delle ideologie e il forte indebolimento, se non la scomparsa, delle organizzazioni partitiche, questa intuizione dei primi anni Sessanta è diventata anche empiricamente molto più solida e fondata.

Sartori si pose il problema di come ‘contare’ i partiti di un certo Paese a livello nazionale. Se si considerassero tutti i partiti che hanno avuto rappresentanti eletti e i loro relativi voti in Parlamento, si avrebbe un risultato ingannevole: un partito con il 2 o il 3 % dei voti e due seggi potrebbe essere del tutto irrilevante, ma se quei due seggi fossero necessari per raggiungere la maggioranza a sostegno del governo allora il partito andrebbe ‘contato’ perché avrebbe un forte ‘potenziale di coalizione’. In questa chiave, un partito con il 20% dei voti e molti seggi potrebbe non essere contato se fosse condannato a rimanere fuori da qualunque alleanza. Un partito di tali dimensioni andrebbe, invece, contato se avesse un ‘potenziale di ricatto’, ovvero se fosse in grado di condizionare politiche e strategie di altri partiti contigui per ideologia e votanti. Così fu per l’influenza in tema di politiche pubbliche del Partito comunista italiano (PCI) sul Partito socialista italiano (PSI) ovvero del Movimento sociale italiano (MSI) sulle correnti di destra della Democrazia cristiana (DC) dalla fine degli anni Quaranta al 1992.

Per Sartori, insieme alla visione sistemica, la rational choice può far capire meglio come funziona effettivamente il sistema partitico. Nella reale dinamica di relazione tra i partiti è necessario considerare anche la distanza tra loro, innanzitutto rispetto al conflitto di classe (destra-sinistra) o rispetto al conflitto pro/anti-establishment e alla presenza/assenza di partiti radicali di protesta, antisistema. Possono darsi così sistemi multipartitici moderati in cui il conflitto di classe è attenuato e i partiti anti-establishment, se esistenti, sono molto deboli. Oppure possono esistere sistemi multipartitici polarizzati nell’ipotesi opposta. Inoltre, in presenza di uno o più conflitti profondi, l’elettorato razionalmente si divide altrettanto profondamente allontanandosi dal centro e punendo i partiti di centro in una ‘logica centrifuga’. Diversi studiosi hanno sostenuto che tale logica sarebbe venuta meno con la fine dei partiti comunisti, visti come radicali e antisistema. Ma i partiti di protesta del secondo decennio di questo secolo hanno riproposto la rilevanza dell’analisi di Sartori.

Il tema della democrazia sarebbe stato centrale per Sartori e da differenti prospettive lo rimase in tutto il suo percorso intellettuale. Lo stesso interesse per i partiti derivava dal riconoscerli, almeno negli anni in cui aveva cominciato a occuparsene, come attori centrali e decisivi per una democrazia. Su questo tema il suo punto d’arrivo furono i due volumi di The theory of democracy revisited (1987), ma sarebbe tornato ad analizzarlo in chiave più divulgativa con Democrazia: cosa . (1993) e altri lavori successivi. Alla fine di una lunga e articolata analisi definì la democrazia come un sistema nel quale l’influenza della maggioranza è affidata al potere di minoranze in competizione attraverso le elezioni.

A differenza della grande maggioranza degli altri autori Sartori vedeva e accettava realisticamente la presenza nella democrazia di un intreccio inestricabile tra aspetti ideali (cosa vorremmo che fosse) e aspetti empirici (quanto di quegli ideali è stato realizzato). E sosteneva che una democrazia va sempre vista da entrambe le prospettive. Inoltre, nella realizzazione di quegli ideali e nei meccanismi stessi della rappresentanza democratica le élites politiche sono destinate a giocare un ruolo chiave senza però eliminare il controllo dei cittadini. A un regime democratico, in ogni caso, non si può chiedere quello che non può dare. Ciò porta solo a quel ‘perfezionismo democratico’ che finisce con il delegittimare qualsiasi democrazia reale. Inoltre, in un tale regime l’insieme delle procedure che la caratterizzano, a cominciare dalle elezioni e dalle diverse modalità di controllo del governo, sono decisive. Dunque, proprio quelle procedure hanno profonde implicazioni sostantive. La democrazia è in questo senso un regime in cui tra la libertà, come garanzia reale dei diritti civili e politici, e l’uguaglianza (economica e sociale) vi è una relazione non reversibile, ovvero la libertà sta sempre prima dell’eguaglianza. Questo suggeriscono, ad esempio, il fallimento dei socialismi reali e la caduta del muro di Berlino (1989), che mostrano come nessuna forma di eguaglianza sia realizzabile se non sono prima garantite le libertà civili e politiche. La democrazia, infatti, garantisce che i cittadini non siano perseguitati da un potere politico dispotico, o incarcerati senza ragioni o torturati. In breve, svolge compiti di ‘demo-protezione’, ossia di protezione del popolo. È dunque un regime che può essere instaurato e consolidato fuori dalla civiltà occidentale in cui è stato creato. È un regime ‘capace di viaggiare’ (G. Sartori, How far can free government travel?, 1995).

In un contesto di ricerca in cui sempre più centrale, influente e praticata è diventata la ricerca quantitativa, comparata e non, la lezione metodologica di Sartori, che aveva le sue basi nelle dispense del 1958-59 (1959) ed era stata poi sviluppata in Concept misformation (1970), The tower of babel (1975) e nel primo capitolo di Social science concepts (1984), si può sintetizzare nell’indicazione delle regole essenziali per definire un concetto: ricostruire sempre come un concetto è stato usato in letteratura; attenersi per quanto possibile alle radici verbali del termine; rispettare il campo semantico, ovvero tener presente che nel linguaggio scientifico ciascun termine deve avere un significato e un referente empirico distinto; inoltre, non violare mai il rapporto inverso tra denotazione e connotazione muovendo lungo la scala di astrazione. Se la denotazione viene ridotta, ovvero i referenti empirici di un certo concetto vengono limitati (invece che tutti i partiti in una democrazia sono considerati solo i partiti di sinistra), allora la connotazione deve essere ampliata e, quindi, più numerose diventano le caratteristiche che definiscono un concetto più specifico (non solo più ‘partiti’, ma ‘partiti di sinistra’). Se non si tiene questo rapporto inverso tra denotazione e connotazione (più denotazione, meno connotazione e viceversa), ne derivano una forzatura con conseguente confusione e problemi di ricerca che mineranno alla base l’intero lavoro empirico. Si può sostenere che la metodologia proposta da Sartori è ‘solo’ la trasposizione adattata alle scienze sociali di un sapere logico, magari ben noto a molti filosofi, ma il fatto è che questo sapere è, di solito, largamente o completamente ignorato dai ricercatori nelle scienze sociali. Sartori morì a Roma il 3 aprile 2017.

Il 12 maggio 2016 gli era stata dedicata una sala nella Biblioteca del Senato, a cui aveva donato i suoi libri. Per l’originalità e la rilevanza dei suoi studi Sartori può essere considerato il maggior studioso italiano di scienza politica e uno dei più importanti e influenti a livello internazionale, dalle Americhe all’Asia, anche grazie alla traduzione in lingue diverse delle sue opere principali.

Opere. Da Hegel a Marx: la dissoluzione della filosofia hegeliana, Firenze 1951; Etica e libertà in Kant, Firenze 1953; La filosofia pratica di Benedetto Croce, Firenze 1955; Croce etico-politico e filosofo della libertà, Firenze 1956; Democrazia e definizioni, Bologna 1957; Questioni di metodo in scienza politica, Firenze 1959; Constitutionalism: a preliminary discussion, in American political science Review, LVI (1962), 4, pp. 853-864; Stato e Politica nel pensiero di Benedetto Croce, Napoli 1966; Concept misformation in comparative politics, in American political science Review, LXIV (1970), 4, pp. 1033-1053; Tecniche decisionali e sistema dei comitati, in Rivista italiana di scienza politica, IV (1974), 1, pp. 5-42; The tower of Babel, in G. Sartori - F. Riggs - H. Teune, Tower of Babel. On the definition and analysis of concepts in the social sciences, Pittsburgh 1975, pp. 7-37; Parties and party systems, Cambridge 1976; La politica: logica e metodo in scienze sociali, Milano 1979; Social science concepts. A systematic analysis, Thousands Oaks-London 1984; The theory of democracy revisited, 2 voll., Chatham 1987; Democrazia: cosa è, Milano 1993; Comparative constitutional engineering, New York 1994; How far can free government travel?, in Journal of democracy, 1995, vol. 6, n. 3, pp. 101-111; Chance, Luck and Stubborness, in Comparative European politics: the story of a profession, a cura di H. Daalder, London 1997, pp. 93-100; Homo videns, Roma-Bari 1997; Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Milano 2000; Mala Tempora, Roma-Bari 2004; Il sultanato, Roma-Bari 2009; Il paese degli struzzi, Milano 2011; Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, Bologna 2011; La corsa verso il nulla, Roma 2015.

Fonti e Bibl.: La scienza politica di G. S., a cura di G. Pasquino, Bologna 2005; Concepts and method in social science. The tradition of G. S., a cura di D. Collier - J. Gerring, New York-London 2009; Paradoxa, 2014, 1, n. monografico: La Repubblica di Sartori, a cura di G. Pasquino; La politica come scienza. Scritti in onore di G. S., a cura di S. Passigli, Firenze 2015; Quaderni di scienza politica, 2016, 3, n. monografico: Classico fra i classici. “Parties and party systems” quarant’anni dopo, a cura di G. Pasquino.

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