SFORZA, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SFORZA, Giovanni

Edoardo Rossetti

– Nacque nel 1466 in data imprecisata da Costanzo, signore di Pesaro, e da Fiore Boni, figlia di Ugolino.

Sforza crebbe probabilmente in casa della madre naturale fino a quando, nel 1475, il padre si sposò con Camilla Marzano d’Aragona; dopo questa data Giovanni e il più giovane fratello Galeazzo si trasferirono alla corte di Pesaro e furono educati dalla Marzano.

Senza discendenza legittima, nel giugno 1483, il padre tentò tardivamente di avviare la pratica di legittimazione di Giovanni, ma morì il 19 luglio 1483, lasciando vacante il vicariato pesarese e il suo stesso Stato nel caos. Spettò a Camilla la complessa gestione della successione. Sventato un tentativo di colpo di Stato promosso da Carlo Sforza (fratellastro di Costanzo), la Marzano dichiarò il figliastro Giovanni nuovo signore della città adriatica. La donna riuscì a ottenere l’investitura pontificia per sé e per il figliastro solo il 28 novembre dopo mesi di estenuanti trattative che coinvolsero le corti di Bologna, Milano e Napoli, e causarono la minaccia di una cessione di Pesaro a Girolamo Riario come ritorsione per il passaggio di Costanzo al servizio di Venezia. Il 16 dicembre 1483, Giovanni fu pure reclutato da Milano e Roma con una condotta di 12.000 ducati, ottenendo inoltre la restituzione del feudo parmense di Torricella.

Il contingente degli Sforza di Pesaro – nonostante il rinnovo della condotta (1485) – rimase di fatto inoperoso durante le ultime fasi della guerra di Ferrara, ma anche durante le crisi di Osimo (1487) e di Forlì (1488). Considerato il mancato pagamento del soldo, Giovanni fece di Lorenzo de’ Medici il suo principale interlocutore politico scontentando gli Sforza lombardi.

Dal settembre 1486 si avviarono le trattative per il matrimonio di Giovanni con Maddalena Gonzaga; unione parallela a quella di Elisabetta, sorella maggiore di Maddalena, con Guidubaldo di Montefeltro duca di Urbino. La sposa giunse infine a Pesaro nell’ottobre del 1489 con dote di soli 5000 ducati.

A partire dal settembre 1489, sostenuto dal neocognato Francesco Gonzaga e dal cugino Ercole Bentivoglio, lunga mano di Lorenzo de’ Medici, Giovanni progettò l’esautorazione di Camilla Marzano dalla reggenza di Pesaro. La mutazione ai vertici del dominio pesarese allarmò Ludovico il Moro, ma soprattutto Innocenzo VIII, a cui era richiesto il rinnovo dell’investitura all’indirizzo del solo Sforza. Ne seguì una crisi di diversi mesi e un fitto scambio diplomatico volto a tutelare la posizione della Marzano, che si dichiarò infine intenzionata a lasciare al figliastro la signoria pesarese di propria volontà e senza costrizioni; versione alla quale infine i potentati italiani decisero di credere.

Il 7 maggio 1490, Camilla lasciò Pesaro alla volta di Milano – da dove diresse un’annosa causa contro il figliastro per la restituzione della propria dote – con la concessione in appannaggio del feudo di Torricella, mentre dopo ulteriori complesse trattative presso la corte pontificia Sforza ottenne per sé e per i propri discendenti l’investitura delle terre marchigiane solo il 27 luglio 1490. Maddalena Gonzaga morì all’approssimarsi del primo parto l’8 agosto 1490 e fu sepolta nella chiesa dei minori osservanti di Pesaro. Poco dopo Ludovico il Moro propose al cugino una nuova unione con una delle figlie di Caterina Sforza Riario signora di Imola e Forlì. Giovanni temporeggiò mentre cercò di stringere alleanza con Venezia, dove si recò nel maggio del 1492.

Nel contempo, grazie al sostegno del cardinale Ascanio Maria Sforza all’elezione di Alessandro VI si progettò un matrimonio tra Giovanni e la tredicenne Lucrezia Borgia figlia del nuovo pontefice. Il contratto nuziale fu rogato in forma privata nei palazzi apostolici il 2 febbraio 1493; la sposa portava in dote allo Sforza ben 31.000 ducati. Il signore di Pesaro ottenne anche la concessione definitiva di Gradara (1° marzo 1493) e il rinnovo di una condotta congiunta al soldo dello Stato della Chiesa e del Ducato di Milano. Gli sponsali ufficiali furono celebrati in giugno e gli sposi iniziarono a convivere insieme nel palazzo di S. Maria in Portico a partire dal Natale dello stesso anno.

Nelle prime settimane del 1494, l’interesse di Ludovico il Moro per le rivendicazioni di Carlo VIII di Francia verso il Regno di Napoli spinsero Alessandro VI ad allacciare un legame con gli Aragonesi in funzione antifrancese. Giovanni fu tra i primi a subire le ritorsioni di questo mutamento di posizioni: i parenti milanesi alleati con i francesi gli sospesero il pagamento della loro porzione di condotta. Inoltre, le pressioni dello Sforza nel favorire l’elevazione al cardinalato dell’ex cognato Sigismondo Gonzaga misero in crisi i suoi rapporti sia con il cugino Ascanio Maria che con il suocero.

Forse a causa della peste che imperversava a Roma, lo Sforza e la moglie Lucrezia lasciarono l’Urbe diretti a Pesaro (aprile 1494), ma quando nel settembre Carlo VIII valicò le Alpi portando il suo esercito in Romagna, Giovanni al soldo del suocero dovette portarsi verso nord per contrastare l’avanzata delle forze franco-milanesi. A seguito della sottoscrizione della lega antifrancese (21 marzo 1495), Alessandro VI chiese ai veneziani che il genero fosse assoldato per una condotta, stipulata infine per 18.000 ducati da corrispondersi congiuntamente dal pontefice, dai veneziani e dagli Sforza di Milano entrati pure nella nuova alleanza.

Il 16 giugno 1495, Giovanni e Lucrezia raggiunsero il papa a Perugia, rientrando poco dopo nell’Urbe, ma il contingente pesarese approntato dallo Sforza non raggiunse per tempo il campo di Fornovo (6 luglio 1495). Mentre preparava con Francesco Gonzaga un contingente in soccorso di Ferdinando II d’Aragona, lo Sforza entrò in conflitto con il suocero che si rifiutò di lasciare che Lucrezia l’accompagnasse nel Regno. Alla fine di agosto Sforza e Guidubaldo di Montefeltro furono richiamati nello Stato della Chiesa per combattere contro gli Orsini, mentre già il 17 settembre Giovanni fu sollevato dall’incarico e richiesto con insistenza da Alessandro VI a corte. Dopo settimane di tensioni con i Borgia, Sforza fuggì (24 marzo 1497) da Roma raggiungendo in un solo giorno Pesaro, mentre si diffondevano le voci di un complotto dei Borgia per ucciderlo e di relazioni incestuose di Lucrezia con padre e fratelli.

Seguirono un paio di mesi di fitta corrispondenza tra le corti di Roma, Milano e Pesaro, per costringere Sforza a rientrare nell’Urbe, ma Giovanni si rifiutò e richiese inutilmente che la moglie lo raggiungesse a Pesaro. Infine (5 giugno 1497), il papa inviò dal genero frate Mariano da Genazzano per rendere espliciti i propri intenti e trattare la separazione. Nello stesso periodo sembra che Sforza partecipasse a un progetto di lega dei signori di Marche e Umbria contro il pontefice, mentre di lì a poco l’assassinio del duca di Gandía (16 giugno 1497), Giovanni Borgia, figlio del papa, gettò un’ombra di sospetto su Giovanni e sul fratello Galeazzo come mandanti dell’omicidio.

Infine, il 20 dicembre 1497, Alessandro VI dichiarò nullo il matrimonio per mancata consumazione – con sottointeso riferimento all’impotenza dello sposo che poté comunque conservare la dote – e rese palesi le trattative di nuove nozze tra Lucrezia e Alfonso duca di Bisceglie, cugino del nuovo re di Napoli.

Con la crisi dello Stato di Milano, dovuta all’attacco congiunto di Francia e Venezia (estate del 1499), Ludovico il Moro chiese aiuto militare anche al cugino pesarese, ma Giovanni si dichiarò incapace di aiutare il parente, dato probabilmente veritiero perché da quasi tre anni – fondamentalmente emarginato dopo l’annullamento del matrimonio borgiano – non aveva nessuna condotta militare. Pesaro fu comunque la base per l’invio degli ambasciatori milanesi nel territorio turco in chiave antiveneziana rendendo ancora più inviso Giovanni all’ex suocero.

Il 16 agosto 1499 – mentre su Milano si stringevano le armate franco-veneziane – Alessandro VI dichiarò destituiti dai loro vicariati Sforza insieme con gli altri signori di Romagna per inadempienza del censo e ottenne in breve l’assenso del re di Francia e della Serenissima a creare un nuovo Stato per il figlio Cesare, ormai per tutti duca Valentino, che avviò una campagna militare contro gli ex vicari della Chiesa.

Giovanni tento di raccogliere un gruppo di armati nelle comunità delle Marche, interpellò i Gonzaga per avviare trattative diplomatiche con i francesi e prese in considerazione l’idea di vendere Pesaro ai veneziani. Il 13 novembre ricevette assicurazione circa la fedeltà dei propri sudditi che fece sfollare nel Ravennate e in Dalmazia.

Il temporaneo rientro degli Sforza in Milano (5 febbraio 1500) fece sperare il signore di Pesaro. Il fronte della guerra si spostò sul ducato lombardo sottraendo al Valentino le milizie francesi: la spedizione in Romagna fu sospesa. Nel Pesarese si organizzarono però congiure contro Sforza e la notizia della ripresa della spedizione del Valentino, unita al divieto di sgomberare la città adriatica, provocò un tumulto (11 ottobre) che costrinse Giovanni ad abbandonare il proprio Stato. Il governatore di Cesena ed Ercole Bentivoglio mediarono la capitolazione di Pesaro al Valentino (16 ottobre), garantendo a Giovanni la conservazione dei beni mobili presenti in città.

Lo Sforza si rifugiò a Venezia dove qualche settimana prima (30 settembre) aveva avviato gli accordi per contrarre matrimonio con Ginevra Tiepolo, figlia del patrizio Matteo. Il matrimonio non fu celebrato, ma Giovanni pretese un anticipo sulla dote e dall’esilio mantovano cercò un abboccamento con il re di Francia.

Alla notizia della morte di Alessandro VI (18 agosto 1503), mentre si sfaldava il ducato accorpato dal Valentino, Sforza si portò rapidamente a Urbino – riconquistata dal duca Guidubaldo – rientrando a Pesaro il 3 settembre e preparando l’assedio della rocca Costanza rimasta in mano alla guarnigione di Borgia. Giovanni conquistò prima la rocca di Fano e solo il 19 ottobre ebbe la riconsegna della fortezza pesarese, coniando moneta celebrativa con la scritta «Patria recepta». Il ruolo avuto da Ascanio Maria Sforza nel secondo conclave del 1503 fece sperare a Giovanni – che ebbe nel contempo un prestito presso il banco romano dei Fugger – di poter riottenere in breve l’investitura di Pesaro. Le trattative in Curia durarono più del previsto, ma infine il 23 aprile 1504 Giulio II rimosse la scomunica e garantì il rinnovo dell’investitura per il prezzo simbolico di 200 ducati. Dopo avere ottenuto il passaggio della gestione finanziaria della città (14 dicembre 1503), Sforza avviò un processo di epurazione degli uomini coinvolti nella ribellioni di tre anni prima, condannando a morte anche Pandolfo Collenuccio già fedele servitore del padre.

Il 9 dicembre 1504, Ginevra Tiepolo, dopo un richiamo del Senato veneziano per l’inadempienza dei patti matrimoniali, raggiunse Gradara, irritando però nel contempo Giulio II, che già progettava la sua vendetta su Venezia. Proprio in funzione della lega antiveneziana di Cambrai, Sforza fu assoldato da Giulio II (7 aprile 1509). Giovanni lasciò anche in questa occasione la guida delle truppe al fratello Galeazzo rimanendo alla corte di Gradara.

Ammalatosi gravemente, testò il 24 luglio 1510 e morì a Gradara il 27. La successione fu garantita dal piccolo figlio Costanzo II (nato dalla Tiepolo 22 febbraio 1510), posto sotto la tutela dello zio Galeazzo. Il piccolo morì però il 5 agosto 1512 e Giulio II pose fine del dominio sforzesco su Pesaro.

Sforza ebbe un altro figlio maschio legittimo dalla Tiepolo morto infante, Ascanio (4 novembre 1505-24 novembre 1507), e due figlie naturali: Battista, deceduta nel 1505, e la più nota Isabella, nata a Mantova durante l’esilio.

Ripercorrendo il gusto dei propri antenati, Giovanni creò a Pesaro una notevole collezione di antichità, richiesta insistentemente alla sua morte da Isabella d’Este. Fece decorare la rocca di Gradara da pittori locali, spagnoli ed emiliani, e arricchì la collezione d’arte di famiglia con quadri di Mantegna, Perugino, Aspertini, Boccaccino. Per la propria sepoltura in S. Giovanni Battista a Pesaro richiese un monumento marmoreo da farsi realizzare a Venezia da Tullio Lombardo.

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