Ventimiglia, Giovanni

Enciclopedia Dantesca (1970)

Ventimiglia, Giovanni

Gianvito Resta

Letterato (Messina 1624 - Palermo 1665). Appartenente a una delle più illustri famiglie della città di Messina, viaggiò a lungo per l'Italia, soggiornando per qualche tempo a Roma, ove una profonda amicizia lo legò a Leone Allacci.

Fornito di una vasta cultura, dotto nelle scienze matematiche e naturali, predilesse gli studi letterari: frutto dei suoi interessi culturali sono numerose opere, ancora inedite (tramandateci dal codice 2558 della biblioteca Nazionale di Roma), tra cui particolarmente notevole una sua antologia di poeti siciliani, dai più antichi greci sino ai contemporanei. L'attività del V. fu, comunque, volta soprattutto alla rivendicazione municipalistica del primato della lingua siciliana, agganciandosi alla polemica iniziata da Mario Claudio Arezzo.

In questa prospettiva, l'opera dantesca è vista, nei Discorsi sopra la lingua siciliana, come il momento cruciale, in cui, per la forza dell'arte di D., il primato siciliano si era trasferito in Toscana (notevole, a questo proposito, il paragone instaurato tra D. e Amerigo Vespucci, colui che aveva dato il nome al nuovo continente invece del legittimo scopritore). Il V. ebbe una sicura e ampia conoscenza di quasi tutte le opere dantesche, delle quali, frequentemente e con indovinata scelta, riportò brani e versi. La Vita Nuova, il Convivio, il De vulgari Eloquentia, le Rime, la Commedia offrirono di volta in volta al V. l'occasione di erudite disquisizioni, di dotti riferimenti, di polemiche asserzioni, ma, soprattutto, gli fornirono il mezzo per rafforzare con autorevoli esempi l'assunto che intendeva sostenere.

È necessario tuttavia osservare che talora le citazioni risultano indirette, mediate attraverso quelle opere cinquecentesche (di Trissino, Bembo, Giambullari, ecc.), che sono poi oggetto di polemica. Malgrado la vasta conoscenza della Commedia (e nonostante l'atmosfera barocca che egli respira), il V. rimane, comunque, fondamentalmente legato al gusto petrarchesco, e ancora inserito pienamente nella cultura cinquecentesca: ne è testimonianza, oltretutto, la scarsa simpatia che egli dimostra per certa audacia delle metafore dantesche, e si veda quanto dice a proposito dell'immagine del sole come lucerna del mondo (Pd I 38), che risente " del puzzo dell'olio ", con immagine che è già nel Della Casa.

Bibl. - A. Mongitore, Bibliotheca sicula, I, Palermo 1708, 367-368; L. Perroni-Grande, Per la storia della varia fortuna di D. nel Seicento, in Da manoscritti e libri rari, Reggio Calabria 1935, 57-67.

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