GIOVANNI VI

Enciclopedia dei Papi (2000)

Giovanni VI

Luigi Andrea Berto

Nacque in Grecia e la sua data di nascita è sconosciuta. Fu papa dal 30 ottobre 701.

Dimostrò di avere buoni doti diplomatiche grazie alle quali riuscì a salvare la vita al "cubicularius" Teofilatto. Questi, nominato esarca dell'imperatore Tiberio III, cercò di ripristinare in Italia l'autorità imperiale che era praticamente assente da circa dieci anni a causa della rivolta scoppiata nella penisola in seguito al tentativo dell'imperatore Giustiniano II, il quale, rompendo la riconciliazione ottenuta pochi anni prima nel VI concilio ecumenico, aveva cercato di imporre anche in Occidente le decisioni prese nel concilio Quinisesto (691-692). Esse riguardavano la disciplina matrimoniale del clero e una serie di usi liturgici tipici della Chiesa orientale ai quali il papato si era sempre opposto. Altra causa dell'affievolirsi dell'autorità imperiale nella penisola era stata l'instabilità presente nella stessa Costantinopoli per la deposizione di Giustiniano II (695) alla quale seguì poco dopo quella dell'usurpatore Leonzio (698) da parte del comandante della flotta bizantina Apsimaro, che diventò imperatore col nome, appunto, di Tiberio III. Il tentativo dell'esarca Teofilatto provocò immediatamente una sommossa tra le milizie imperiali stanziate in Italia, le quali, temendo probabilmente che, sull'esempio di quanto stava avvenendo a Costantinopoli, l'imperatore volesse punire anche in Italia coloro che gli si erano ribellati e intendesse proseguire nel suo autoritarismo in campo religioso e politico, si recarono nella città di Roma per scacciare dalla penisola il suo rappresentante.

Papa G., preoccupato che si ripetessero i gravi avvenimenti di dieci anni prima, decise di intervenire personalmente; ordinò infatti che fossero chiuse tutte le porte di Roma, affinché venisse impedito ai soldati di entrare in città e di catturare Teofilatto. Inviò inoltre tra le tende dei soldati ribelli accampati intorno a Roma sacerdoti con l'incarico di pacificare gli animi dei rivoltosi e di indurli a desistere dalle loro violente intenzioni, compito che gli ecclesiastici portarono a termine efficacemente. In questo modo G. riuscì ad evitare al massimo rappresentante dell'Impero in Italia le umiliazioni alle quali era stato sottoposto l'inviato dell'imperatore Giustiniano II, salvatosi a stento dal linciaggio, quando aveva cercato di portare a Costantinopoli papa Sergio, colpevole di avere rifiutato di obbedire agli ordini dell'imperatore in materia religiosa. L'azione di G. fu anche importante perché impedì che le milizie italiche si macchiassero di un reato grave come l'alto tradimento, che avrebbe potuto avere come conseguenza il distacco della penisola da Costantinopoli e fornire un valido motivo ai Longobardi per assalire i domini bizantini in Italia. L'esarca Teofilatto, probabilmente per ringraziare il papa, decise di non dare seguito ad una denuncia contro alcuni cittadini romani, che avrebbe permesso di confiscare i loro beni, e di punire invece i delatori. G. ebbe occasione di dimostrare le sue qualità di mediatore anche nei confronti del duca longobardo di Benevento Gisulfo, il quale, forse indotto da quello che era accaduto all'esarca, aveva deciso di approfittare della situazione e si era impadronito di Arce, Arpino e Sora e stava puntando su Roma. Il papa inviò una delegazione a Gisulfo accampatosi nella località detta "Horrea", situata al V miglio della via Latina, ossia ormai quasi in vista di Roma. Gli inviati di G. riuscirono con ricchi doni e il riscatto dei numerosi prigionieri fatti dai Longobardi ad indurre il duca di Benevento ad abbandonare ogni intenzione bellicosa.

L'unica sua lettera pervenuta indica che G. si occupò pure di vicende non italiane. Il vescovo di York Wilfrido (664-709), scacciato per la terza volta dalla sua sede in seguito alla suddivisione della diocesi di Northumbria, andò a Roma nel 703 per appellarsi al papa. G. indisse un concilio, che si svolse a Roma, per risolvere la spinosa questione; anche in questa occasione il pontefice si comportò da accorto diplomatico. Nonostante l'espulsione di Wilfrido fosse in aperto contrasto con i decreti di papa Agatone, egli infatti assunse più il ruolo di arbitro che di giudice per non urtare la suscettibilità della Chiesa inglese. Il sinodo romano riconobbe i diritti di Wilfrido e G. scrisse ai re di Northumbria e di Mercia facendo un fermo richiamo al primato del papa in quanto successore di Pietro e ordinando a Bertwaldo - confermato in precedenza arcivescovo di Canterbury da G. - di organizzare un sinodo per ricomporre il dissidio specificando che, se le parti in questione non avessero trovato una soluzione, i contendenti avrebbero dovuto recarsi a Roma.

I pochi anni in cui rimase in carica, la grave situazione politica e il pesante onere rappresentato dalla liberazione dei prigionieri impedì a G. di impegnarsi a fondo per il restauro degli edifici religiosi di Roma, come avevano invece fatto altri papi di questo periodo. Nonostante ciò, il suo biografo pare voler sottolineare che, anche se poco, qualcosa venne fatto. Egli infatti riferisce che G. fece costruire un nuovo ambone per la basilica di S. Andrea, fornì una tovaglia per l'altare della chiesa di S. Marco e dei veli bianchi da mettere tra le colonne dell'altare della basilica di S. Paolo. Morì l'11 gennaio 705.

fonti e bibliografia

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