VICINI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VICINI, Giovanni

Riccardo Piccioni

– Nacque a Cento il 20 giugno 1771 da Giuseppe e dalla svizzera Caterina Walter.

Cresciuto in una famiglia benestante, studiò lettere, scienze e filosofia presso il seminario clementino di Cento. Cultore di studi storici, in particolare delle opere di Plutarco e di Niccolò Machiavelli, nella città natale fu anche nominato membro dell’Accademia dei Rinvigoriti, nella quale si discutevano idee letterarie e filosofiche. Passò quindi a studiare legge all’Università di Bologna. Conseguita la laurea, fece apprendistato nello studio legale dell’avvocato Ignazio Magnani.

L’arrivo delle truppe francesi a Bologna nel giugno del 1796 segnò l’inizio dell’attività politica di Vicini. I cittadini di Cento lo nominarono loro rappresentante ai vari congressi delle città emiliane che poi, nel corso del congresso di Reggio Emilia del dicembre del 1796, diedero vita alla Repubblica Cispadana. Radunatasi successivamente l’assemblea a Modena, Vicini, oltre a partecipare attivamente alle sedute che elaborarono la nuova carta costituzionale, riuscì a far nominare Cento capoluogo del neonato Dipartimento dell’Alta Padusa. La città natale, nel corso delle elezioni del marzo del 1797, gli rinnovò la fiducia nominandolo ancora suo rappresentante nel Corpo legislativo della neonata Repubblica Cispadana. Nella prima seduta del Consiglio dei sessanta, che si svolse a Bologna il 26 aprile 1797, essendo egli uno dei più giovani deputati, fu nominato segretario dell’assemblea assieme a Giacomo Mingarelli. Si distinse nel corso delle varie riunioni per interventi di carattere democratico, come quelli relativi alla tassa progressiva sulla ricchezza e alle norme che avrebbero dovuto regolare il prestito forzoso. Riveduto da Napoleone Bonaparte l’ordinamento interno della Cispadana e istituito un ristretto Comitato centrale, Vicini ne fu nominato presidente. Radicalizzatosi il processo di politicizzazione, Vicini tentò di tenere a freno i più esagitati, cercando di evitare che la situazione prendesse pieghe violente. Quando, nel luglio del 1797, la Cispadana confluì nella Cisalpina, Vicini fu nominato giudice del Tribunale supremo di revisione; per dare legittimità alla sua nomina, dal momento che non aveva ancora conseguito il titolo di avvocato, questo gli fu concesso con un apposito decreto governativo del 21 ottobre 1797. Eletto membro del Gran Consiglio della Cisalpina radunatosi a Milano alla fine del 1797, fu nominato segretario provvisorio e poi presidente nell’aprile del 1798.

Nei discorsi tenuti in questo periodo, accanto al propugnatore dei principi democratici in tema di istruzione pubblica, tassazione e matrimonio civile, emerge un Vicini particolarmente attivo contro quelli che egli stesso giudicava «allarmisti», che mettendo in discussione la stabilità della Repubblica, erano accusati di minare la coesione sociale e di perturbare l’ordine pubblico, e per i quali chiedeva pene esemplari.

Oramai era sempre più evidente la volontà dei francesi di accentrare il potere, restringendo gli spazi di autonomia dei cittadini italiani, tanto che quando i governanti cisalpini si rifiutarono di sottoscrivere un nuovo trattato di alleanza tutto sbilanciato a favore dei francesi, questi ne approfittarono per fare approvare una nuova costituzione. Vicini, nominato membro del nuovo Corpo legislativo, non accettò la deputazione poiché trattavasi di una nomina calata dall’alto, rifiutando pure l’indennità che per legge gli spettava per aver fatto parte per un anno del vecchio Corpo legislativo.

Sconfitti i francesi dalle truppe austriache nel 1799 e restaurati i vecchi governanti, iniziarono le vendette contro i dirigenti repubblicani: Vicini venne espulso da Bologna. Con il ritorno vittorioso in Italia delle armate francesi del primo console Napoleone Bonaparte nell’anno successivo, furono creati nuovi organi istituzionali come una Consulta legislativa composta da cinquanta individui, fra i quali fu chiamato anche Vicini, che si distinse come oppositore delle eccessive richieste dei governanti francesi. Di fronte alle minacce di rappresaglie e di saccheggio, Vicini rispose che «ove si avesse a venire a tali estremi, abbiate la bontà di considerare che la disperazione converte in eroi anche i più codardi, e ricordatevi che furono Italiani anche coloro che diedero ai francesi quella brutta e orrenda festa del Vespro Siciliano!» (Vicini, 1897, p. 138). Con il passare dei mesi, infatti, nonostante la favorevole accoglienza dei vari provvedimenti legislativi atti a modernizzare la vita economica e sociale della seconda Cisalpina, Vicini si era oramai reso conto sia degli effettivi progetti di dominio che i francesi stavano attuando in Italia, sia del fatto che le speranze di unione dei patrioti italiani in uno Stato libero e indipendente stavano venendo meno. Le imposte altissime, l’organizzazione della vita sempre più in funzione delle esigenze belliche e i traumi delle guerre alienarono ai governanti francesi molte simpatie della popolazione, soggetta a un potere sempre più oppressivo. Dimessosi per questi motivi dalla Consulta, Vicini tornò a Bologna. Poco dopo partecipò comunque, come deputato del Dipartimento del Reno, alla Consulta straordinaria convocata a Lione alla fine del 1801, alla quale Bonaparte aveva chiamato a partecipare alcune centinaia di notabili cisalpini, con lo scopo di dare un nuovo assetto istituzionale ai territori dell’Alta Italia. L’assemblea, della quale Vicini fu nominato segretario, approvò la nuova costituzione, alla cui elaborazione anch’egli aveva fattivamente contribuito. Nonostante l’impegno profuso, Napoleone lo escluse dalle nomine degli alti funzionari, giudicandolo una «testa calda capace di porre in iscompiglio la repubblica» (ibid., p. 143). Fu nominato ancora una volta, nel 1802, deputato del Dipartimento del Reno al Corpo legislativo della neonata Repubblica Italiana, ma, dopo la nascita dell’Impero in Francia, Vicini, fermo nei suoi convincimenti repubblicani e democratici, condannò la soppressione della Repubblica e la sua conversione in Regno d’Italia. Uscito dalla vita politica, si trasferì definitivamente a Bologna, dove si dedicò alla pratica forense, nel corso degli anni facendo del suo studio uno dei più prestigiosi del territorio.

Dopo la definitiva sconfitta di Napoleone e la restaurazione del governo pontificio, Vicini ricoprì per alcuni anni la carica di giudice del tribunale civile di Bologna, ma invano si rivolse nel 1824 al cardinale Carlo Oppizzoni per chiedergli di tenerlo in considerazione per la cattedra di diritto civile della Pontificia Università felsinea. Nel frattempo si era sposato con Marianna Conti, con la quale aveva avuto diversi figli. Fu un matrimonio assai breve, a causa della precoce morte della moglie nel 1824. Nel 1827, a seguito della pubblicazione di un parere legale nel quale Vicini si era espresso, seppure con grande cautela, a favore della capacità ereditaria degli ebrei, fu condannato a pagare una forte multa e a scontare giorni di penitenza in un chiostro. La pena inflittagli contribuì ad accreditare Vicini negli ambienti liberali della penisola e gli valse varie attestazioni di solidarietà, fra le quali quella di Pietro Giordani.

Non è un caso infatti che, sulla scia degli avvenimenti di Modena, scoppiata la rivolta a Bologna agli inizi del febbraio del 1831, egli venisse subito inserito in quel ristrettissimo numero di notabili chiamati a gestire la fase di transizione dal governo pontificio al nuovo ordine rivoluzionario. Costituitosi il governo provvisorio della città di Bologna, Vicini ne fu messo a capo. Il governo bolognese procedette spedito nell’opera di rinnovamento interno, tanto che già l’8 febbraio dichiarò decaduto il potere temporale del papa sul territorio della città e della provincia di Bologna.

Per la verità, la logica che aveva giustificato l’eversione del potere temporale dei papi non era certamente una logica moderna, in quanto si riesumavano i vecchi accordi fra il Papato e il Senato bolognese e i relativi diritti in essi prescritti che si riteneva fossero stati in passato calpestati dai governanti pontifici. Fu lo stesso presidente Vicini, in un proclama ai suoi concittadini del 25 febbraio 1831, a fornire la giustificazione più completa di quanto operato dal governo provvisorio. Via via che le città della Romagna, delle Marche e dell’Umbria si ribellavano al dominio del papa, costituendosi in governi provvisori che guardavano a quello di Bologna come capofila, attendendone le mosse, si pose il problema del coordinamento e dell’unione delle varie iniziative insurrezionali.

Un’assemblea dei delegati provenienti dalle varie città insorte del territorio dell’ex Stato pontificio si riunì a Bologna il 26 febbraio 1831, e come primo atto nominò Vicini alla presidenza dell’assemblea. Le fratture fra una componente moderata, capeggiata dallo stesso Vicini, e una più radicale, guidata dal generale Giuseppe Sercognani – che con la sua Vanguardia di volontari aveva iniziato una marcia puntando su Roma –, non tardarono a manifestarsi e a indebolire il fronte liberale. Le sorti della rivolta erano comunque segnate e invano, fino all’ultimo, Vicini e i suoi colleghi sperarono nella protezione che, nella loro visione, inevitabilmente la Francia, avendo proclamato il principio del non intervento, avrebbe dovuto loro accordare. L’assemblea, che poté riunirsi solo per poche sedute a causa dell’avvicinarsi delle truppe austriache, proseguì l’opera di rinnovamento interno promulgando il 4 marzo il Provvisorio Statuto costituzionale dello Stato per poi, entrato subito in vigore quest’ultimo, procedere sia alla costituzione del nuovo governo delle Provincie Unite Italiane, ancora una volta presieduto da Vicini, sia alla convocazione dei comizi elettorali (che non si sarebbero mai riuniti). Quando gli austriaci entrarono a Bologna a metà marzo, i membri del governo provvisorio erano già in fuga verso Ancona, dove lo stesso Vicini firmò una capitolazione con il cardinale Giovanni Benvenuti, legato a latere del pontefice, che prevedeva una serie di garanzie per quanti si erano compromessi nella rivoluzione.

Tornato a Bologna, Vicini apprese che la capitolazione era stata sconfessata dal pontefice. Iniziò così per lui e per il figlio Timoteo – entrambi fra i trentotto individui non compresi nell’amnistia concessa, poiché ritenuti fra i principali animatori della rivoluzione – un periodo di esilio, che dalla Toscana, dopo un breve soggiorno a Lucca e a Bastia in Corsica, li portò a maggio fino a Marsiglia. Nei mesi trascorsi in Francia, Vicini consolidò i rapporti con l’ambiente dell’emigrazione italiana e redasse pure note e memorie per le autorità francesi sulle vicende rivoluzionarie dei mesi precedenti, sulla situazione politica nello Stato pontificio e per chiedere soccorso al fine di un rapido rimpatrio. Tornò a Bologna all’inizio di dicembre del 1831, ma subì una serie di vessazioni da parte delle autorità e della polizia pontificie. Più volte, infatti, fino alla fine del 1832, gli fu intimato di partire dallo Stato, finché, grazie anche all’intercessione presso il papa del granduca di Toscana, ottenne il permesso definitivo di risiedere sul territorio, ma non a Bologna.

Si trasferì così dapprima a Porretta, dove si risposò il 2 giugno 1834 con Caterina Agostini, la giovane domestica che lo accudiva. Con lei ebbe «parecchi figliuoli» (ibid., p. 324), dei quali solamente due sopravvissero. Successivamente, dall’agosto del 1835 si trasferì a Massa Lombarda. Qui trascorse gli ultimi anni di vita, proseguendo negli studi e continuando a elaborare quei pareri legali che in passato gli avevano dato notorietà. Ebbe anche modo di frequentare più volte il cardinale di Imola Giovanni Mastai Ferretti, futuro Pio IX, intrattenendosi a conversare con lui, soprattutto dopo la pubblicazione del Primato giobertiano, anche sulle questioni dell’attualità politica.

Morì a Massa Lombarda il 12 gennaio 1845.

Opere. Causa di simultanea successione di cristiani e di ebrei ad intestata eredità di un loro congiunto. Voto consultivo dell’avvocato Giovanni Vicini, Bologna 1827; Ricordi autobiografici di un patriota italiano, a cura di T. Casini, Bologna 1891.

Fonti e Bibl.: Un nucleo di Carte Vicini è custodito nel Museo del Risorgimento di Bologna. Presso l’Archivio di Stato di Bologna, nella busta Costetti, si trovano alcuni documenti relativi all’attività legislativa dell’Assemblea delle Provincie Unite. Infine, ciò che rimane dell’Archivio del governo provvisorio di Bologna e del governo delle Provincie Unite è depositato a Roma presso l’Archivio segreto Vaticano.

G. Vicini, La Rivoluzione nello Stato romano. Memorie storiche e documenti editi ed inediti, Imola 1889; Id., Documenti inediti sulla rivoluzione del 1831 nello Stato romano, in Rivista storica del Risorgimento italiano, I (1896), pp. 332-337; Id., G. V., giureconsulto e legislatore, presidente del Governo delle Provincie Unite Italiane nell’anno 1831. Memorie biografiche e storiche, Bologna 1897; Id., La formazione del Governo provvisorio in Bologna nel 1831, in Rivista storica del Risorgimento italiano, II (1897), pp. 389-393; Id., Lettera di G. V. sulla legislazione civile e penale dello Stato pontificio, ibid., pp. 581-586; Commemorazione del trentesimo anniversario del 20 settembre 1870 e onoranze a G. V. in Bologna, Bologna 1900; Stato di servizio politico, legislativo e giuridico di G. V., presidente del Governo delle Provincie Unite Italiane nel 1831, Bologna 1900; L. Casini, G. V. e il cardinale Spina, in Archivio emiliano del Risorgimento nazionale, III (1909), pp. 23-45; Le Assemblee del Risorgimento. Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei deputati. Prefazione generale. Piemonte - Lombardia - Bologna - Modena - Parma, Roma 1911, ad ind.; A. Sorbelli, Il Governo delle Provincie Unite e la sua concezione politica, in Strenna storica bolognese, II (1929), pp. 87-90; G. Natali, Notizie e considerazioni sull’Assemblea delle Provincie Unite Italiane del 1831, in Atti e memorie della R. Deputazione di storia patria per le Provincie di Romagna, IX (1931), 1-3, pp. 1-45; P. Zama, La marcia su Roma del 1831. Il generale Sercognani, Milano 1931, ad ind.; La Rivoluzione del 1831 nella Cronaca di Francesco Rangone, a cura di G. Natali, Roma 1935, ad ind.; D. Lanciotti, Il Governo delle Provincie Unite Italiane (3 febbraio - 26 marzo 1831), Roma 1941, ad ind.; E. Morelli, L’Assemblea delle Provincie Unite Italiane (1831), Firenze 1946, ad ind.; L. Pasztor - P. Pirri, L’Archivio dei governi provvisori di Bologna e delle Provincie Unite del 1831, Città del Vaticano 1956, ad ind.; S.G. Hughes, Crime, disorder and Risorgimento. The politics of policing in Bologna, Cambridge 1994, pp. 111, 120; R. Piccioni, Penne filantropiche. Stampa e politica nella rivolta del 1831 nello Stato Pontificio, Macerata 2015, pp. 24-27, 33, 36, 41, 134.

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