GIOVANNI VIII Paleologo, imperatore d'Oriente

Enciclopedia Italiana (1933)

GIOVANNI VIII Paleologo, imperatore d'Oriente

Angelo Pernice

Quando successe al padre Manuele II (1425) l'impero si riduceva alla capitale, limitata verso terra dalla linea di fortificazione fra Selimbria e Derkos, a parte della penisola calcidica col Monte Athos, a Salonicco, a quasi tutta la Morea e a poche isole e qualche altro luogo della costa del Mar di Marmara e del Bosforo, ma G. esercitava il potere soltanto in Costantinopoli, poiché gli altri luoghi erano tenuti dai suoi cinque fratelli fra i quali per valore e capacità si distingueva Costantino Dragazes. La sua azione militare e diplomatica, in tali condizioni, era ben delimitata: egli doveva da un lato difendere la città dagli attacchi degli Ottomani (nel 1422 questi avevano sferrato una violenta offensiva che però era stata respinta); dall'altro, provocare un nuovo e più efficace intervento dell'Occidente nella Balcania. A questo doppio compito G. dedicò la sua attività con costanza, sebbene con scarsi risultati. Nonostante le poche risorse dell'erario, egli fece restaurare le mura della cinta teodosiana che costituiva il più formidabile baluardo della difesa di Costantinopoli. Per ottenere poi l'intervento delle potenze cristiane, egli lavorò a guadagnare . l'appoggio del papato effettuando l'unione della chiesa greca con la chiesa romana, unione che era stata discussa e proclamata sotto i suoi predecessori, ma non mai sinceramente effettuata. Non è qui il caso di entrare in particolari né sul tentativo fatto dai padri del concilio di Basilea per attrarre nella loro orbita l'imperatore, né sui negoziati fra la Santa Sede e la corte bizantina che portarono alla convocazione del concilio di Ferrara. G., accompagnato dal fratello Demetrio, dal patriarca Giuseppe e da parecchi altri alti prelati fra i quali Bessarione, salpò da Costantinopoli il 24 novembre 1437 lasciando la reggenza al fratello Costantino. Sbarcato l'8 febbraio 1438 a Venezia, assistette poi alle sedute del concilio di Ferrara, dove invano tentò di abbreviare le discussioni teologiche insorte fra i rappresentanti delle due chiese, per affrontare il problema dei soccorsi militari. Finalmente il 6 luglio 1439 nel duomo di Firenze, dove il concilio di Ferrara si era trasferito nel gennaio precedente, fu proclamata l'unione e sanzionata con un solenne atto di sottomissione dell'imperatore e degli altri prelati greci al papa Eugenio IV. Questi, secondo gl'impegni presi, predicò la crociata e cominciò a organizzarla facendo quanto gli era possibile per indurre i principi cristiani, principalmente i re d'Ungheria e di Polonia, i Genovesi, i Veneziani, a unire le loro forze. Ma i propositi del pontefice e la buona volontà di G. s'infransero contro resistenze e incomprensioni. Nel febbraio del 1440, rientrando nella capitale G. fu accolto con atroci ingiurie dal popolo e dal clero, i quali piuttosto che la supremazia del papa erano disposti a subire il dominio turco. A capo dell'opposizione si misero Demetrio, che intrigò contro il fratello nella speranza di prenderne il posto, e Marco di Efeso avversario dell'unione. G. procedette con energia: Marco fu imprigionato a Lemno; essendo morto il patriarca Giuseppe, il clero di Santa Sofia fu costretto a eleggere l'unionista Metrofane vescovo di Cizico; Demetrio fu allontanato da Bisanzio. Quanto alla crociata, malgrado gli sforzi del pontefice, essa non si poté organizzare secondo i piani prestabiliti. Si mossero soltanto gli Ungheresi ai quali si unirono milizie polacche, valacche e serbe. L'esercito crociato mosse da Buda nell'estate del 1443 al comando del giovane re d'Ungheria, Ladislao, del cardinale legato Giuliano Cesarini e dell'eroe transilvano Giovanni Hunyadi. Il sultano Murād II l'affrontò a Kunovica, presso Niš, ma fu completamente sconfitto. Il 24 dicembre i crociati presero Sofia; ma per la scarsezza delle loro forze e per gelosie insorte fra loro, essi non poterono trarre grandi vantaggi dalla vittoria e nel luglio dell'anno seguente Giovanni Hunyadi conchiuse un accordo con gli Ottomani per la sospensione delle ostilità. Il cardinale Giuliano Cesarini non volle accettare la tregua e, nonostante che l'accordo fosse stato firmato per quindici anni e che i Turchi cominciassero ad applicarlo restituendo ai cristiani alcuni territorî della Serbia già occupati da loro, indusse il sovrano ungherese a rompere la tregua. I crociati si avanzarono nella Bulgaria, ma a Varna, il 10 novembre 1444, furono sconfitti. Essi ripresero la via del ritorno e per Costantinopoli tramontò ogni speranza di soccorso da parte dell'Occidente. G. allora conchiuse la pace coi Turchi e la mantenne fino alla sua morte (31 ottobre 1448). Ebbe tre mogli: Anna di Russia, Sofia di Monferrato, Maria Comnena di Trebisonda, ma da nessuna ebbe figli. Il trono, alla sua morte, passò al fratello Costantino IX, l'ultimo imperatore cristiano di Costantinopoli.

Bibl.: Ch. Diehl, Les mariages des derniers Paléologues, in Figures byz., serie 2ª, Parigi 1921, p. 271 segg.; id., L'empire byz. sous les Paléologues, in Études byz., Parigi 1905, p. 217 segg.