VISCONTI, Giovanni

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 99 (2020)

VISCONTI, Giovanni

Adelisa Malena

Nacque a Pistoia l’11 novembre 1589 da Antonio, cavaliere di Santo Stefano, e da Ippolita Odaldi, entrambi nobili e molto religiosi. Fu battezzato il giorno seguente nella cattedrale.

La sua biografia è ricostruita nel Ristretto della vita di monsignor Giovanni Visconti... di Benedetto Fabroni, dato alle stampe nel 1688 per volontà del fratello Atto Fabroni dal gesuita Sebastiano Conti, alias Leone Stella. Strutturato secondo uno schema agiografico, il Ristretto era verosimilmente funzionale all’avvio di un processo di beatificazione. È incentrato sulle virtù di Visconti e sul valore dei suoi scritti teologici, mentre – in osservanza delle norme di età urbaniana sulla canonizzazione – omette i miracoli a lui attribuiti, dei quali rimangono invece diverse testimonianze in fonti manoscritte. Vi sono riportati ampi stralci di documenti, per lo più lettere.

La vocazione religiosa di Visconti – alimentata da letture devote e da una costante pratica dell’orazione – si sarebbe manifestata altrettanto precocemente di quella letteraria: da adolescente compose infatti un poema latino in lode di Carlo Borromeo. Apprese l’orazione mentale dal suo primo padre spirituale Giacomo Ippoliti, uno dei fondatori della congregazione dei Sacri Chiodi di Pistoia. Studiò a Pisa dove si addottorò in utroque iure il 21 dicembre 1612, ricevendo la laurea da Turno Pinocci, ordinario di diritto civile. A Pisa nel 1615 fu nominato lettore di istituzioni di diritto civile, cattedra che tenne fino al 1622; nel 1623 fu straordinario di diritto civile e dal 1624 al 1628 ricoprì la prestigiosa cattedra di Pandette. Partecipò alla vita culturale delle accademie: degli Ombrosi, di cui fu anche console e dal 1624 dei Disuniti (con il nome di “Tranquillo”). A Pistoia, negli stessi anni, fu tra gli iniziatori di una accademia di diritto, detta degli Assicurati, in casa del giureconsulto Andrea Rossi. Qui incontrò per la prima volta Benedetto Fabroni, che divenne suo amico fraterno, confessore nei suoi ultimi anni di vita e poi erede, editore delle sue opere e biografo.

Il 1° ottobre 1618 vestì l’abito dei Cavalieri di S. Stefano (con una commenda di patronato a cui suo padre rinunciò in suo favore) e nel luglio 1619 per volere del granduca entrò a far parte del Consiglio dei dodici, consiglio ristretto che aveva il governo e la giurisdizione dell’Ordine. Nello stesso anno fu tra gli autori di una raccolta di poesie in lode di s. Stefano e dell’Ordine stefaniano. A Pisa, sotto la guida spirituale di un padre barnabita, continuava a dedicarsi a orazioni e aspre penitenze. Nel frattempo i suoi rapporti con la corte medicea si consolidarono, come attestano anche la dedica a Maria Maddalena d’Austria di una sua orazione data alle stampe (Firenze 1620) e un’opera celebrativa del quattordicenne Ferdinando II (Pisa 1623). Ebbe un legame di lunga durata con la famiglia Barberini, rafforzatosi col pontificato di Urbano VIII e fu tra gli intermediari informali dei rapporti tra la corte medicea e la Santa Sede.

Dopo la morte del padre (1° maggio 1627) decise di prendere l’abito sacerdotale. Ricevette l'ordinazione dal vescovo di Pistoia Alessandro del Caccia il 29 settembre 1627 e celebrò la sua prima messa il 16 ottobre: in quella occasione secondo alcuni testimoni si sarebbero manifestati fenomeni mistici, destinati a ripetersi nel corso di tutta la sua vita. Per volere del cardinale Francesco Barberini, all’epoca governatore di Fermo, fu chiamato nel 1628 dai Priori della città come lettore primario (ossia della prima cattedra legale della mattina) dello Studio, con una paga di 500 scudi annui. Durante il viaggio verso la cittadina marchigiana, accompagnato dall’amico e allievo Atto Fabroni, si fermò alla santa casa di Loreto. Rimase a Fermo dal 1628 al 1630, periodo in cui si applicò assiduamente agli esercizi spirituali ignaziani sotto la guida del rettore del collegio dei gesuiti Marcello Albergotti. Quella degli esercizi fu una pratica di autodisciplina e di orazione che Visconti non abbandonò mai e che introdusse nei monasteri femminili da lui diretti; ne rimane traccia grafica in uno dei suoi manoscritti giunti fino a noi (Pistoia, Biblioteca Fabroniana, ms. 366). Nel periodo trascorso a Fermo ebbe un intenso rapporto di collaborazione con il vescovo Giovanni Battista Rinuccini: lo accompagnò durante le visite pastorali e lo affiancò nell’azione di controllo e di riforma dei monasteri femminili della diocesi. La direzione spirituale nei monasteri femminili – a Fermo soprattutto in quello domenicano di S. Marta – fu da allora in poi una vera vocazione e una costante nell’attività di Visconti, testimoniata dalle molte opere a stampa rivolte alle religiose.

Nel maggio 1630 al termine delle lezioni tornò per le ferie a Pistoia, dove fu costretto a rimanere a causa del dilagare della peste. Qui, ancora una volta con l’aiuto del cardinale Francesco Barberini, ottenne una prebenda canonicale, fu nominato canonico della cattedrale e negli anni seguenti fu molto attivo nella vita ecclesiastica della città. Si incaricò dell’edificazione e del restauro di edifici, come la sagrestia, distrutta da un incendio e la cappella di S. Rocco in duomo. Promosse la devozione verso la Madonna dell’Umiltà e la sua immagine miracolosa, che più tardi diffuse nei monasteri da lui diretti a Pisa e a Firenze. In quegli anni si legò alla carismatica Orsola Fontebuoni.

Dapprima conversa e dal 1619 badessa del monastero benedettino di S. Mercuriale, Orsola, sebbene quasi analfabeta, fu madre spirituale di Visconti, di Benedetto Fabroni e di molti altri e, grazie a una consorella che le faceva da scrivana, ebbe una ricca corrispondenza epistolare, anche con la granduchessa Maria Maddalena d’Austria. Nota in tutta la Toscana soprattutto per i poteri taumaturgici che le venivano attribuiti, nel 1630 cadde in sospetto di santità affettata e fu processata dal vescovo Alessandro Del Caccia a ciò delegato dalla Congregazione del Sant’Uffizio.

Negli anni seguenti Visconti fu confessore straordinario delle monache benedettine di S. Maria degli Angeli dette di Sala, anch’esse falcidiate dalla peste degli anni passati. Intraprese un’opera di riforma del monastero in linea con i dettami del concilio di Trento. Riportò le monache alla regola originaria, superando resistenze e opposizioni, e si occupò anche delle condizioni materiali degli edifici. La devozione delle benedettine di S. Maria di Sala nei confronti di Visconti è testimoniata nel libro di ricordi del monastero, dagli scritti di Felice Dondori, successore di Visconti come confessore delle monache, dalla pubblicazione postuma di un’opera di Visconti per iniziativa dell’allora badessa Maria Vincenzia Chiarenzi (Meditationi per tutto l'anno 1658) e dalla richiesta delle monache, dopo la morte del prelato, di poterne custodire il cuore nel monastero.

Nel suo periodo di residenza a Pistoia Visconti si adoperò affinché fosse accolta in città la Compagnia di Gesù – cui egli era molto legato e nella quale da giovane aveva probabilmente sperato di entrare –: grazie soprattutto alla famiglia Rospigliosi e a un cospicuo prestito ottenuto dalla Camera ducale furono acquistati gli edifici destinati a ospitare i gesuiti. Il collegio fu aperto a Pistoia nel novembre del 1635 e nel 1647 fu posta la prima pietra della chiesa di S. Ignazio. Nel 1641 Visconti fu scelto dal capitolo della cattedrale come uno dei deputati per il Sinodo assieme al preposto Camillo Rospigliosi. Ma nello stesso anno il pranduca lo nominò priore della chiesa conventuale dei Cavalieri di S. Stefano, ruolo a cui era associata la carica di provveditore dello Studio di Pisa.  Visconti ricoprì questi incarichi dal 1641 al 1647. Nel lasciare Pistoia chiese di rinunciare al canonicato in favore di Benedetto Fabroni, richiesta che il capitolo della cattedrale accolse.

Nel 1642, poco dopo aver assunto l’incarico di priore (il 23 settembre 1641) fece una visita generale di tutte le chiese e luoghi pii sottoposti alla Religione stefaniana e distribuiti in diverse zone dello Stato mediceo. Si adoperò per rimediare alle condizioni di degrado materiale e religioso e per restaurare la giurisdizione dell’Ordine, laddove necessario. Apportò migliorie alla chiesa conventuale dei Cavalieri e alla canonica e cercò di intensificare la devozione – anche attraverso l’acquisizione di nuove reliquie e la valorizzazione di quelle già presenti – e il culto. Fece sì che le funzioni religiose fossero celebrate con più zelo ed era lui stesso ad amministrare i sacramenti. Per l’avvento e per la quaresima fece chiamare dal granduca i più validi predicatori italiani; accolse un gruppo di missionari gesuiti, guidati dal portoghese António Francisco Cardim (procuratore della Compagnia in Giappone), con i quali collaborò proficuamente. Rivolse una particolare attenzione ai monasteri femminili sotto la giurisdizione stefaniana: quello della SS. Concezione di Firenze e quello di S. Benedetto di Pisa dei quali divenne superiore, dedicando al primo circa due o tre settimane all’anno e otto mesi al secondo.

Dopo la sua morte Benedetto Fabroni pubblicò un volume di Lettere ed instruzioni spirituali destinate alle religiose dei due monasteri (poi più volte ristampato) che documenta la sua intensa azione di riforma e di direzione. Dalla prefazione del volume si apprende che Visconti trovò le monache fiorentine molto osservanti ma assillate da scrupoli e angustie interiori: il suo compito fu quello di rasserenarle e istradarle nel cammino di perfezione. Documento prezioso della direzione spirituale di Visconti in quel monastero sono gli scritti di una delle monache, suor Maria Gabbriella, intitolati Frutti cavati dai ragionamenti di Monsignor Giovanni Visconti trascrizione parziale di sermoni pronunciati tra il 1642 e il 1647 alle grate del monastero, a volte commentati dalla religiosa. Oltre che rara testimonianza della ricezione di prediche e istruzioni, questa reportatio restituisce un volto del prelato per lo più rimosso dai testi a stampa: quello di un Visconti non solo esperto di mistica e maestro di perfezione, ma fruitore lui stesso di grazie speciali e di esperienze mistiche.

Ben diversa era la situazione di S. Benedetto di Pisa, dove nella prima metà del Seicento i decreti tridentini erano ancora disattesi. Non era osservata la clausura e l’introduzione del regime di vita comune era resa particolarmente difficile dalla precaria situazione economica che aveva favorito il permanere del sistema “per celle”. Visconti intraprese un’opera di radicale riforma, la cui completa attuazione fu tuttavia impossibile in tempi brevi. Incaricò la badessa di redigere un inventario dei beni delle monache, che avrebbero dovuto espropriarsene mettendoli a disposizione della comunità. Cercò di eliminare i legami troppo stretti delle monache con le loro famiglie d’origine e proibì l’abitudine di dare da mangiare ai parenti alle porte della clausura, o di mettere in scena commedie in maschera nel periodo del carnevale. Questa opera di riforma ebbe inizio, simbolicamente, nel giorno della conversione di s. Paolo del 1645 quando, dopo un «fervente sermone» del prelato, la badessa Angiola Felice Lacchi si sarebbe prostrata ai suoi piedi, pregandolo di «voler con le sue mani accomodarle il velo, in quel modo che più gli piaceva», seguita in quel gesto dalle consorelle. Il giorno seguente le monache si sarebbero presentate a Visconti «in divotissimo drappello, protestandosi di voler vivere sotto i cenni dell’obbedienza» (Ristretto, pp. 215-217).

Anche a S. Benedetto Visconti introdusse gli esercizi ignaziani, la comunione frequente, diverse devozioni (come quella alla Madonna dell’Umiltà, di cui donò alle monache una copia dell’immagine pistoiese). Nella direzione delle claustrali era centrale il tema dell’obbedienza, intesa da Visconti come invito alle monache a porsi come morte nelle mani di direttori e superiori, rinunciando a esercitare la propria volontà. L’obbedienza era imposta da Visconti sia in virtù di una sua competenza in materia spirituale, fondata sullo studio, sulla direzione che lui stesso aveva ricevuto e sulla sua lunga esperienza, sia per il carisma che gli veniva riconosciuto. Nelle fonti manoscritte, emerge un’autorappresentazione di Visconti come sant’uomo ispirato da Dio e “portavoce” della volontà divina e come tale egli proponeva alle monache la sua guida. L’opera di riforma intrapresa a S. Benedetto fu portata a compimento diversi anni dopo da una delle sue figlie spirituali: suor Francesca Fabbroni, badessa dal 1663 al 1675. Vissuta a lungo in fama di santità, la monaca – che aveva sempre messo in relazione il proprio cammino mistico con gli insegnamenti di Visocnti – subì un lungo processo per “affettata santità” da parte dell’Inquisizione romana, conclusosi con una condanna postuma nel 1689.

Nel ruolo di provveditore dello Studio pisano Visconti si distinse come pacificatore di un ambiente molto conflittuale, al suo interno e nei rapporti con le altre istituzioni cittadine. Cooperò con l’arcivescovo Scipione Pannocchieschi d’Elci, anche dando vita a un’accademia ecclesiastica nella sede dell’arcivescovado.

Nell’agosto del 1647 lasciò Pisa per trascorrere alcuni giorni a corte a Firenze e tornare quindi a Pistoia. Quell’estate fu ospite nella villa del priore Francesco Maria Sozzifanti e lì, dove stava scrivendo una raccolta di meditazioni (Le glorie degli anni di Maria) a settembre si ammalò. Compresa la gravità del male e assistito dal medico Tommaso Bellucci tornò poco dopo nella casa di famiglia. Pianificò nei dettagli le sue ultime volontà, lasciando i propri beni al fratello e gli scritti all’amico Benedetto Fabroni.

Morì il 7 ottobre 1647. Le sue ultime ore e il trapasso sono descritti nel Ristretto come una “morte santa”: Visconti avrebbe rivolto parole di pietà e conforto agli astanti (tra i quali il balì Rospigliosi, Atto e Benedetto Fabroni, il gesuita Luigi Lamberti, rettore del collegio pistoiese), abbracciato il crocifisso, pregato fino all’ultimo istante, accolto con gioia i sacramenti, dopo aver provato – ancora una volta – momenti di rapimento mistico. Come era ormai prassi nel XVII secolo nei casi di persone morte “in odore di santità”, venne eseguita l’autopsia. Le esequie furono celebrate il giorno seguente nella cattedrale alla presenza del vescovo e della autorità cittadine; l’orazione funebre fu affidata al gesuita Lorenzo Sozzifanti. La bara fu poi esposta nella cappella che fungeva da chiesa dei gesuiti, dove fu oggetto di grande devozione popolare e venne quindi tumulata in una parete, in attesa del completamento della chiesa di S. Ignazio o dello Spirito Santo, dove fu traslata un anno più tardi. Nel 1716 fu eretto il monumento funebre, tuttora presente nella chiesa.

Oltre ad alcuni testi poetici Visconti pubblicò in vita opere di diritto, legate alla sua attività accademica, orazioni pubbliche e due scritti religiosi. La maggior parte dei suoi testi mistici e di direzione furono dati alle stampe postumi per lo più da Benedetto Fabroni e poi dal fratello Atto, secondo un preciso progetto editoriale (illustrato nella premessa ai Progressi dell’amor divino, 1652) che coinvolgeva editori e curatori non solo pistoiesi ma anche bolognesi e romani. Le mappe dei luoghi di edizione e gli apparati paratestuali sono indicativi delle reti di relazioni di Visconti e dei suoi editori, oltre che del bacino di diffusione della sua opera.

Opere manoscritte

Pistoia, Biblioteca Fabroniana, Mss., 363: Arte retorica (1615); 364: Collectanea liber  primus sententiarum (1614); 365 La luce del divino amore  consolatione per le anime di ogni stato con una aggiunta operetta nel fine degl'atti pratici di Amore di Dio per esercitio de i viventi e per gl'agonizzanti, et una divota lega spirituale del medesimo Autore; 366-367: Concetti sacri distesi negli anni 1615, 1625 e 1630 et seguenti (2 voll.); 368: Specchio di consolatione; 369: Lo sposo del cuore dell’anno 1636; 370: Affetti unitivi di preparatione e ringraziamento per la comunione (1636); Scelta di osservazioni di Santi padri e maestri di spirito necessarie d'interdersi e praticarsi per dispostamente ricever il divinissimo cibo degli angeli.

Opere a stampa

Ioannis Viscontii Pistoriensis Academici Umbrosii… Eglogae III et Epigrammata, ad Illustriss. Ac Excellentiss. Principem D. Carolum Medicem, Florentiae 1613; Commentarius in primum librum Institutionum Iustiniani imperatoris. In quo singillatim tituli nova interpretationis methodo expenduntur. In fronte operis eiusdem Iustiniani vita. In calce nota institutio pro legalibus quaestionibus expendendis, ac disputandis; qua facile termini supposita, et puncta Tyronibus innotescunt. Auctore Ioanne Visconte..., Venetiis, apud Ioan. Baptistam Combum, 1619; Poesie toscane, e latine di nobilissimi ingegni in lode di S. Stefano glorioso pp. e martire, e della Sacra Religione de suoi Cavalieri publicate il dì 2. di agosto 1619, giorno della festa di detto santo in Pisa nella Chiesa de Cavalieri, Pisis, apud Ioannem Fontanum, 1619; Orazione del cavalier Giovanni Visconti pistorese, recitata da lui al Capitolo Generale della Religione de’ Cavalieri di Santo Stefano Papa e Martire in Firenze il mese di febb. 1620. Alla Serenissima Arciduchessa Maria Maddalena d’Austria Gran Duchessa di Toscana, In Firenze, nella stamperia di Pier Gieronimo Cecconcelli, alle Stelle Medicee, 1620; In serenissimi Ferdinandi II Mag. Etrur. Ducis feliciter exactam infantiam. Panegyris. Ioannis Viscontii Acad. Disuniti, cognomento Aggirati, Pisis, apud Ioannem Fontanum, 1623; Commentarius in priores duos Institutionum Iustiniani imperatoris libros. Auctore Ioanne Visconte I.V.D., patricio Pistoriense… in almo olim Pisano Lyceo iuris civilis professore ordinario…, tom. I. Ad illustissimum ac reverendiss. Principem D. Franciscum Barbarinum, S.R.E. Cardinalem Amplissimum, Pistorii, Excudebat Petrus Antonius Fortunatus, 1628; Isagoge sive introductio in IIII Libros Institutionum Iustin. Imp. Auctore Io. Visconte I.V.D. patritio Pistorien.…, Pistorii, apud Petrum Antonium Fortunatum, 1633; Regola della vita ragionevole e tranquilla per introdursi alla christiana perfezione con facilità... di Giovanni Visconti canonico della cattedrale di detta città, In Pistoia 1640 (altra edizione Pisa, Bindi, 1715?); Affetti unitivi di preparazione, e di ringraziamento per la Santissima ComunioneDi Monsig. Giovanni Visconti patrizio pistorese. Dedicati alla gloriosissima Vergine Maria Madre di Dio, In Fiorenza, Per il Massi e Landi, 1641 (II ed. Affetti unitivi di preparazione, e di ringraziamento per la Santissima Comunione. Di Monsig. Giovanni Visconti..., con alcune meditationi unitive della passione del SignoreSeconda editione più corretta, In Roma, Nella stamperia di Manelfo Manelfi, 1644; altra ed. In Macerata, appresso Carlo Zenobi, 1685); Discorso accademico dell'origine, ordine, e progresso della vita interiore, di monsignore Visconti. In Pisa, nella stamperia d'Amador Massi, e Lorenzo Landi, 1643; [G. Visconti] La luce del Divino Amore, consolazione per le anime di ogni stato. In Roma, per gli heredi di Manelfo Manelfi [1650]; Lo sposo dell’anima, di Monsignor Gio. Visconti patritio pistorese. All’Illustriss. et Eccellentiss. Sig.… Maria Mattei Gonzaga, Ducchessa di Sabioneta, In Bologna, per Giacomo Monti, 1651; I progressi dell’amor divino, di Monsignor Giovanni Visconti pistorese, divisi in tre parti. Alla Gloriosa Regina del Paradiso Maria Vergine Madre di Dio. In Pistoia, per Pier Antonio Fortunati, 1652; Lettere spirituali di monsignor Gio. Visconti patritio pistorese, con alcuni avvisi, et ordini di devotione per instruttione de' monasteri di suo governo, raccolte, e date in luce dall'amico di lui ad universale utilità, e consolatione di tutte l'anime, che breve, e facilmente d'arrivare aspirano al sommo della vera cristiana perfettione. All'eccellentissima, et reverendissima signora… e patrona colendissima la signora donna Margarita Farnese, monaca benedettina nel monasterio di Sant'Alessandro di Parma, In Bologna, per gl'Err. del Dozza, 1653 (altre ed.: In Bologna e di nuovo in Macerata, per Giuseppe Piccini 1673 e 1675; In Bologna et in Firenze, nella Stamp. di S.A.R. per Jacopo Guiducci e Santi Franchi, 1716); Meditationi per tutto l'anno sopra la vita, e passione di Giesù e Maria, per via d'affetti amorosi. Opera postuma di monsignor Giovanni Visconti pistorese, divisa in tre parti, purgativa, illuminativa, e unitiva stampata ad istanza della r. madre suor Maria Vincenzia Chiarenzi monaca di S. Benedetto, e dedicate dall’istessa al suo venerabile monastero di S. Maria degli Angeli in Pistoia. In Pistoia, per il Fortunati, 1658; Avvisi et istruttioni della vera forma dello stato di perfettione con diverse orationi alla beata Vergine et il ministero della passione di Christo Nostro SignoreOpera di monsignor Giovanni Visconti dalle di cui lettere e stata cavata per maggior comodità et utilità di quelli che aspirano alla vera perfettione, In Macerata, per Carlo Zenobj, 1673 (ristampa 1674).

Fonti e bibliografia

Pistoia, Arch. capitolare, Atti capitolari, A1/17bis, c. 26r (nomina a canonico della cattedrale; A1/50, c. 21 (lettera di commiato al capitolo della cattedrale, 26 ottobre 1641); Arch. di Stato di Pisa, S. Stefano, 681, ins. 12, doc. 4 (fede di battesimo di V., 12 novembre 1589, rilasciata il 24 gennaio 1618, e provanze di nobiltà, 9 luglio 1618; S. Stefano, 1127 c. 140r (campione della commenda V. del 9 gennaio  1583); Università, 2, D.II.4, c. 73v, n. 928 (fede di dottorato di V., 21 dicembre 1613 stile pisano [1612]); Corporazioni religiose soppresse, 58, San Benedetto, fzz. 1657, cc. 76 e ss.; Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Rossi-Cassigoli, cass. VII, ins. 1 (lettere di B. Fabroni a V.); ibid., 134: F. Dondori, Selva di varie cose antiche e moderne della città di Pistoia (1639; raccoglie molti documenti relativi ai monasteri femminili di Pistoia e contiene riferimenti all’opera di riforma condotta da V. e a miracoli a lui attribuiti); Biblioteca Riccardiana, Mss., 1779: suor Maria Gabbriella della SS.ma Concezione, Frutti cavati dai ragionamenti di Monsignor G. V.; Roma, Archivum Romanum Societatis Iesu, Rom., 117, cc. 176r-183v (lettere di V. a Lorenzo Martini S.I., sulla fondazione del collegio pistoiese, Pistoia luglio-ottobre 1635). S. Conti (Leone Stella), Vita di Monsignor G. V. pistorese, prelato de' Cavalieri di S. Stefano, scritta dal Canonico Benedetto Fabbroni, ristretto composto da Leone Stella romano ad istanza di Atto Fabbroni, e dal medesimo data in luce, Lucca 1688; F.A. Zacharia, Bibliotheca Pistoriensis, Torino 1752; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, II, Pisa 1792, p. 239; V. Capponi, Biografia pistoiese o Notizie della vita e delle opere dei pistoiesi, Bologna 1878, pp. 397 s.; D. Barsanti, I docenti e le cattedre dal 1543 al 1737, in Storia dell’Università di Pisa, Pisa 1993, pp. 505-567; C. Malaguzzi Valery, G. V. (1641-1647), in I priori della chiesa conventuale dell’Ordine di Santo Stefano e Provveditori dello Studio di Pisa 1575-1808, a cura di D. Marrara, Pisa 1999, pp. 95-106; A. Malena, L’eresia dei perfetti. Inquisizione romana ed esperienze mistiche nel Seicento Italiano, Roma 2003, passim; S.T. Strocchia, Forgotten Healers. Women and the Pursuit of Health in Late Renaissance Italy, Harvard University Press 2019, ad ind.; E. Giaconi, Storia del monastero benedettino di Santa Maria degli Angeli o di Sala di Pistoia, Firenze 2019, pp. 45, 91 s., 95, 97, 100 s., 105; A. Agostini, G. V.: un “personaggio insigne” nella Toscana granducaleibid., pp. 329-338; Ead., G. V.: dalla biografia illustrata alle opere, in La forma della scrittura. Studi in ricordo di Elettra Giaconi, a cura di A. Agostini - M.C. Pagnini 2020, pp. 84-105.

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