AMATI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 2 (1960)

AMATI, Girolamo

Armando Petrucci

Nacque a Savignano di Romagna il 13 giugno 1768, da Pasquale, che lo indirizzò ancora fanciullo allo studio del latino e del greco e lo mise in contatto con i conterranei Pietro Borghesi e Gaetano Marini. Trasferitosi nel 1786 a Ferrara, insieme con il padre, incominciò a seguire i corsi di diritto in quella università, preferendovi, però, sempre lo studio degli antichi monumenti e degli antichi testi. Nel 1791 Gaetano Marini chiese e ottenne dall'A. la copia delle epigrafi esistenti nell'università di Ferrara e la trascrizione di un lavoro sulle iscrizioni greche e latine di ebrei italiani già preparato e mai portato a compimento da Gaetano Migliore; l'A. corredò queste due copie di numerose, originali osservazioni che dimostravano già, oltre a una notevole accuratezza, anche un precoce senso critico. Nel 1796, abbandonato definitivamente il diritto, l'A. si trasferì a Roma, come segretario di mons. Lorenzo Caleppi, per incarico del quale redasse una breve biografia del Garampi, che fu premessa al catalogo della sua libreria (De vita Iosephi Garampii Cardinalis commentarius, in Bibliothecae Iosephi Garampii Catalogus, I, Romae 1796, pp. 3-14). Nel 1798, per interessamento di Gaetano Marini, entrò all'Archivio Vaticano, collaborando attivamente, nel turbinoso periodo della Repubblica romana, al salvataggio degli archivi romani. Nel febbraio del 1799 fu fatto professore di greco alla Sapienza, ma tenne l'incarico per poco tempo. Nel 1800, infatti, tornò a Savignano, ove sistemò alcune private faccende patrimoniali e ove, il 3 aprile 1801, insieme con Bartolomeo Borghesi, figlio di Pietro e legato a lui da cara amicizia, fondò l'Accademia Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi. L'anno appresso tornò a Roma, e vi creò l'Accademia Tiberina, di cui fu primo segretario, e che mantenne in stretto contatto con quella di Savignano. A Roma prima lavorò presso l'Archivio Vaticano, poi, dal 1804, come scrittore di greco presso la Biblioteca Vaticana. Nel frattempo aveva dato inizio a un progetto di riedizione dei Rerum Italicarum Scriptores, trovando anche i necessari finanziamenti e allestendo l'edizione della cronaca di fra' Salimbene (la copia di mano dell'A. con alcuni fogli di stampa si conserva nel ms. Vat. Ross. n. 1039). Ma questa iniziativa non ebbe seguito, anche perché l'A., come scrittore della Vaticana, fu preso da molti e diversi lavori, primo fra i quali il rifacimento del terzo volume dell'inventario dei codici vaticani greci; inoltre, in parte per dovere, in parte per bisogno, egli condusse un gran numero di ricerche, collazioni e trascrizioni per conto di studiosi e filologi stranieri, fornendo fra l'altro a F. J. M. Raynouard la copia di tutti i componimenti provenzali contenuti in codici vaticani. Ma i contatti che in questo modo l'A. venne a stringere con i migliori filologi tedeschi e francesi non influirono sull'orientamento dei suoi studi; egli rimase sempre legato alla sua formazione provinciale di autodidatta e a Roma trovò un ambiente ove i suoi interessi, volti piuttosto, in senso tradizionale, all'antiquaria e all'epigrafia che non alla filologia, poterono tranquillamente svilupparsi. Così si spiega, da una parte, lo strano silenzio che egli mantenne intorno alla sua maggiore scoperta, quella del sistema di note tachigrafiche contenute nel famoso cod. Vat. greco 1809, e, dall'altra, il gran numeno di saggi, articoli, ricerche da lui dedicato alle più modeste scoperte epigrafiche di cui via via veniva a conoscenza e che continuamente discuteva, in lunghe e circostanziate lettere, con Bartolomeo Borghesi. Per quanto riguarda le note tachigrafiche greche egli tentò in tutti i modi di tenere nascosta la fonte della sua scoperta, avvenuta certamente prima del 1810; ma non vi riuscì, perché il Mai, che mal sopportava le reticenze e le precauzioni con le quali l'A. copriva di segreto i propri lavori di bibliotecario, pubblicò nel 1832 un facsimile del codice nel VI volume della sua Scriptorum Veterum Nova Collectio (Romae 1832), con accanto l'indicazione del passo relativo; i molti appunti presi dall'A. e contenenti la decifrazione di tutte le note del codice (più di milletrecento) rimasero inediti e sono oggi conservati presso la Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone. Altro merito dell'A. in campo filologico fu quello di aver negato la secolare attribuzione del Sublime a Cassio Longino; ma neppure la nuova attribuzione che ne fece a Dionisio di Alicarnasso è oggi accettata dalla critica. D'altra parte, anche di questa sua ipotesi l'A. preferì non dare comunicazione a stampa, limitandosi a discuterne con gli amici.

Quanto ai saggi epigrafici, essi trovarono la loro sede più adatta nel Giornale Arcadico,che venne fondato a Roma nel 1819 da Giulio Perticari, Bartolomeo Borghesi, Pietro Odescalchi e Luigi Biondi e che, malgrado il titolo, fu essenzialmente una rivista di archeologia e di antiquaria. Dal 1820 al 1831 l'A. vi pubblicò circa venti articoli illustranti epigrafi e oggetti di scavo greci, etruschi, italici, romani e anche egiziani, nei quali, secondo l'acritico metodo antiquario ereditato dagli eruditi del Settecento, mentre l'epigrafe o l'oggetto in sé erano trascurati, venivano prolissamente illustrati, mediante pesanti e spesso incongrui raffronti con le fonti storiche e letterarie, gli usi, gli ordinamenti, gli istituti, i toponimi, cui nel monumento era fatto anche occasionale riferimento. Se, però, l'A. ignorava i più recenti indirizzi della filologia e della ricerca erudita europea, era, nel suo campo, ugualmente ben preparato; fra i suoi saggi non mancano quelli dai quali traspaia una sicura conoscenza del greco e l'esigenza di un metodo rigoroso nello studio dell'epigrafia antica. Tipica è, a questo proposito, la dura recensione da lui fatta a un'opera di G. Ravizza Epigrammi antichi de' mezzi tempi e moderni pertinenti alla città di Chieti, e apparsa nel Giornale Arcadico, XXXV (luglio-settembre 1827), pp. 67-81; in essa l'A., dopo avere con sicuro mestiere corretto gli errori palesi in cui era incorso l'editore, ne bollava con chiare espressioni ildilettantismo provinciale e richiamava gli studiosi a un più vigile senso critico. Importante è anche il saggio La grande iscrizione di Stratonicea, pubblicato nel XXXIII volume del Giornale Arcadico (gennaio-marzo 1827), pp. 41-65, perché in esso l'A., oltre a dare una brevissima notizia della scoperta delle note tachigrafiche greche e a promettere un completo trattato di paleografia - che poi non scrisse mai -,lanciò molte frecciate contro suoi avversari e detrattori, mai nominati, ma che forse vanno identificati col Mai, e innalzò un sentito elogio alla cultura filologica e archeologica romana, di cui si sentiva vivo protagonista. Agli studi epigrafici l'A., come disse egli stesso nel 1820 (Illustrazione di una iscrizione greca, in Giornale arcadico, VI [aprile-giugno 1820], p. 216), era portato "da uno slancio di passione"; ma forse la maggior parte del suo tempo fu dedicata agli " istudi e lavori della paleografia greca e latina e della diplomatica de' tempi di mezzo" (G. A., Scelta d'iscrizioni, in Giornale Arcadico, L [aprile-giugno 1831], p. 275); di essi nulla ci èrimasto a stampa; ma i suoi zibaldoni conservati nella Biblioteca Vaticana (codd. Chigiani R. VI. b., R. VI. c e Vat. lat. 9734-9782) contengono un enorme numero di appunti e note estratti da manoscritti della biblioteca Chigi (di cui l'A. fu anche prefetto) e di quella Vaticana, nonché dai fondi documentari di molti archivi, e dimostrano (specialmente il Vat. lat. 9782, contenente Diplomata, instrumenta aliaque acta e tabulario oppidi Asprae [Aspra, in prov. di Rieti] in Sabina), sia pure nell'ambito di una conoscenza puramente strumentale della paleografia e della diplomatica, una notevole capacità di distinguere il documento genuino da quello falso, e di giudicare e utilizzare un manoscritto medievale, greco o latino che fosse.

L'A. passò in gravi strettezze gli ultimi anni di vita. Chiuso e sospettoso com'era, si raffreddò un poco anche col Borghesi, rifiutando sempre di raggiungerlo a San Marino, ove l'amico voleva ospitarlo, ed esprimendosi criticamente nei riguardi di alcuni suoi lavori (Scelta d'iscrizioni, cit., p. 275). Ammalatosi ai primi del 1834, rifiutò ogni cura, e morì il 15 aprile dello stesso anno.

Le sue carte rimasero in parte alla Bibioteca Vaticana, in parte finirono nella Biblioteca dell'Accademia dei Filopatridi di Savignano sul Rubicone, ove è conservato anche il suo ricco epistolario.

Fonti e Bibl.: Oeuvres complètes de Bartolomeo Borghesi publiées par les ordres et aux frais de S. M. l'Empereur Napoléon III, Lettres, I, Paris 1868, passim; G.Mazzatinti, Inventari dei manoscritti, V, Forlì 1895,p. 293 (lettere di G. A. a G. B. Vermiglioli nella Biblioteca Comunale di Perugia); A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti, LII, Firenze 1933, p. 234 (15 lettere di G. A. a G. Perticari nella Biblioteca Oliveriana di Pesaro); [P. Visconti], G. A., in E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri, III, Venezia 1836, pp. 197-207; G. Pelliccioni, Comunicazioni sopra una scoperta paleografica dell'abate G. A. e illustrazione di un flatterio esorcistico, in Atti e mem. d. Deput. di storia Patria delle provincie dell'Emilia,n. s., V, 2 (1880), pp. 177-201; M. Pelaez, Lettera di G. A. a G. Perticari,in Atti d. Accad. Lucchese,XXIX (1898), pp. 342-347; G. Gasperoni, La vita e gli studi di G. A. in alcune lettere inedite di Bartolomeo Borghesi, in La Romagna, XI (1914), p. 34-40, 143-152; M. Mailender, Storia delle Accademie d'Italia, II, Bologna 1927, pp. 442, 445; C. Frati, Diz. bio-bibliogr. dei bibliotecari e bibliofili italiani, Firenze 1933, pp. 21 s.; G. Mercati, Per la storia del contacio di Propaganda, ora Vaticano,in Opere minori, III, Città del Vaticano 1937. pp. 357-363; Idem, Note per la storia di alcune biblioteche romane, Città del Vaticano 1952, pp. 31, 36, 38 s.,40, 41, 48-58; S. Timpanaro jr., La filologia di G. Leopardi, Firenze 1955, pp. 96, 195; M. Parenti, Aggiunte al Dizionario... di C. Frati, I, Firenze 1957, p. 33.

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