CANTELLI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANTELLI, Girolamo

Giuseppe Talamo

Nacque a Parma il 22 giugno 1815 da Lodovico, conte di Rubbiano, e da Luigia dei marchesi Rizzini di Mantova.

Educato inizialmente nel Collegio dei nobili, il C. approfondì la sua preparazione giuridica che gli fruttò, compiuti i venti anni, un impiego nel quale non tardò a segnalarsi. Quando l'Anzianato, nella riunione del 17 apr. 1838, deliberò di distribuire medaglie fatte coniare in onore di Maria Luigia dal comune di Parma, nella categoria "impiegati di Corte" che "meritino particolare riguardo", troviamo il Cantelli. Dallo stesso Consiglio degli anziani egli venne creato, il 19 maggio 1839, revisore dei conti, carica confermatagli il 19 maggio dell'anno successivo e il 15 marzo 1841. A partire da questa data il C. divenne sindaco di quartiere, finché gli Anziani, il 21 genn. 1845, dovettero sostituirlo perché era divenuto podestà di Parma.

Erano gli ultimi anni del regno di Maria Luigia d'Asburgo, vedova di Napoleone I, che aveva saputo farsi accettare dai sudditi contemperando con saggezza la dipendenza da Vienna e il sincero desiderio di migliorare le condizioni del ducato, in particolare della capitale. Anche il matrimonio di Albertina, figlia di Maria Luigia e del Neipperg, con il conte Luigi Sanvitale (ottobre 1833), appartenente ad una delle migliori famiglie di Parma, aveva contribuito a rinsaldare i rapporti tra la duchessa e i suoi sudditi. Ma la generale commozione che percorse l'intera penisola dopo i primi atti di governo di Pio IX raggiunse anche il piccolo ducato padano: a Parma, nel giugno 1847, si verificarono incidenti di una certa entità tra i dimostranti e le truppe austriache di stanza nel ducato.

Maria Luigia - che era solita trascorrere a Schönbrunn i mesi estivi - si trovava in Austria ospite del fratello Ferdinando, salito sul trono imperiale nel 1835, e della cognata Maria Anna di Savoia e da lei si recò il C. per informarla e per protestare contro l'intervento delle truppe imperiali. Questa presa di posizione, che rispecchiava peraltro lo stato d'animo di larghissima parte dell'opinione pubblica parmense, costò la carica al C., sostituito di fatto (come ha scritto A. Moscati) "durante una sua non richiesta licenza da un commissario straordinario, mentre egli si ritirava, sdegnoso, a vivere a Mantova".

L'aggravarsi delle condizioni di salute di Maria Luigia (che morì a Parma il 17 dic. 1847) spinse l'elemento liberale a invitare il C. a rientrare in città per esercitarvi le funzioni di podestà, prima dell'arrivo di Carlo Ludovico di Borbone, già re di Etruria, poi duca di Lucca e ora, col nome di Carlo II, duca di Parma. Ma il nuovo duca era strettamente legato all'Austria, con la quale strinse il 24 dicembre 1847 una convenzione militare. Questo atteggiamento filoaustriaco comportava una politica più autoritaria all'interno, con l'esclusione dei liberali - per moderati che fossero, e tra questi era certamente il C. - da ogni carica. Cadde perciò nel vuoto il consiglio del marchese di Soragna, rappresentante sardo a Parma agli inizi del '48, di formare un ministero liberale capeggiato dal Cantelli. Il 14 febbraio, anzi, in applicazione della convenzione militare del 24 dic. '47 già ricordata, truppe austriache entravano a Parma. Poche settimane dopo, però, l'eco dell'insurrezione viennese e di quelle italiane induceva Carlo II a nominare, il 20 marzo '48, una reggenza (formata da Luigi Sanvitale, Ferdinando Maestri, Pietro Gioia, Pietro Pellegrini e il C.) alla quale era trasferito "il Supremo Potere con la facoltà di dare quelle istituzioni e provvedimenti che nell'attuale condizione delle cose crederà necessari". Qualche giorno più tardi, il 24 marzo, il duca stimolava addirittura la reggenza ad accelerare i lavori per la stesura di una carta costituzionale. Il 29 marzo erano pubblicate, in diciassette articoli, le "basi fondamentali" della costituzione, mentre il duca, lo stesso giorno, dichiarava solennemente di rimettere a Carlo Alberto, a Pio IX e Leopoldo II di Toscana i destini del suo Stato. Il C., insieme con gli altri membri della reggenza, presentò le dimissioni; ma l'11 aprile l'Anzianato di Parma nominò un governo provvisorio composto dal C. e dagli altri membri della reggenza dimissionaria, ai quali vennero aggiunti Giuseppe Bandini e don Giovanni Carletti.

Fu tale governo provvisorio a indire, l'8 maggio del '48, un plebiscito che, su 39.904 votanti, diede 37.451 voti per l'annessione al regno sardo. Ma le alterne vicende della guerra riportarono gli Austriaci a Parma (18 agosto) con un governo provvisorio militare retto dal comandante del IV corpo d'armata, conte di Thurn. Nei convulsi avvenimenti parmensi della primavera del '49 il C. non ebbe, almeno ufficialmente, alcuna parte. A restaurazione avvenuta - il 18 maggio Carlo II aveva ripreso possesso del ducato - il C., in esilio a Genova, fu sottoposto a inchiesta giudiziaria per l'uso fatto del denaro pubblico durante il governo provvisorio. A conclusione dell'inchiesta, i beni del C., al pari di quelli dei componenti la reggenza e il governo provvisorio, vennero posti sotto sequestro, oltre che per rappresaglia politica, anche per sopperire alle spese militari che il duca intendeva affrontare. Dopo la morte di Carlo II (1854) il sequestro venne abrogato. Il C., rientrato a Parma qualche tempo dopo, nell'impossibilità di svolgere qualsiasi attività politica o amministrativa, cooperò, tra l'altro, alla creazione di un istituto bancario cittadino allo scopo di fornire un più largo credito alle attività economiche del ducato e facilitare i traffici con gli altri Stati della penisola.

I contatti con il governo di Torino avvenivano, soprattutto, mediante il Massari: è a quest'ultimo che il C. chiese il 14 ag. 1856, da Genova, di inserire "in alcuni dei più accreditati giornali del Piemonte" un articolo che rispondesse alle accuse lanciate contro i cittadini di Parma dalla stampa austriaca e dal foglio ufficiale parmense. La collocazione politica del C. si presenta in questi anni - e tale rimarrà anche nel futuro - di rigida chiusura nei confronti dei governi restaurati e dei reazionari da un lato e dello "sciocco e infame partito mazziniano" dall'altro (come egli lo definiva in una lettera del 10 luglio 1857 al Massari dopo i "fatti" di Genova).

Sembravano pericolosi al C., allora e negli anni immediatamente successivi, anche gli ex repubblicani convertiti all'unitarismo monarchico. Nella primavera del '59, ad esempio, il C. si mostrava allarmato per i contatti che Filippo Linati, "onestissimo e italianissimo" (come scriveva il 29 marzo al Massari), "non repubblicano né cieco di mente", aveva con elementi "già repubblicani", divenuti favorevoli all'annessione al regno sardo, ma illusi sulla possibilità di "un movimento in Parma", ritenuto "improbabilissimo se non impossibile". Il C. dava invece la sua opera al comitato per i soccorsi ai volontari (tra i quali il suo primogenito) che andavano a prendere servizio nell'esercito piemontese.

La situazione politica di Parma, confusa nel maggio del '59 per l'alternarsi di una Commissione di governo, creata dalla reggente Luisa Maria di Borbone, e di una Giunta provvisoria nominata dal Comitato nazionale cittadino, si chiarì con la partenza della reggente il 9 giugno; per otto giorni il C. presiedette una Commissione di governo, nominata dal municipio e incaricata di reggere il paese finché vi giunse il 17 giugno l'incaricato di Vittorio Emanuele II, Diodato Pallieri. Nelle elezioni del 4 sett. 1859 per l'Assemblea dei rappresentanti del popolo delle province parmensi il C. fu eletto dal terzo collegio di Parma (136 voti su 438 in prima votazione, 214 su 324 in seconda); il 9 settembre divenne, con 37 voti su 52, presidente della stessa Assemblea, e ne diresse i lavori "in modo decoroso e imparziale", come suonò l'unanime "voto di ringraziamento" dell'Assemblea il 15 dello stesso mese, allorché i suoi lavori vennero prorogati contemporaneamente alla partenza per Torino della delegazione incaricata di portare a Vittorio Emanuele II il voto delle popolazioni del ducato. Lo stesso giorno il C. era stato designato a guidare la deputazione incaricata di portare a Napoleone III un indirizzo di ringraziamento, composta di Pietro Torrigiani e di Ranuzio Anguissola. Il Farini, che non aveva approvato l'iniziativa ("je ne comprend pas raison de ton voyage à Paris", scrisse al C. il 26 ottobre), lo inviò presso Ricasoli per coordinare un'azione comune per la preparazione dei plebisciti. Il 25 marzo 1860 il C. era eletto deputato nel secondo collegio di Parma, contro Ausonio Franchi, e vi era riconfermato nelle elezioni dell'anno successivo, per l'VIII legislatura, durante la quale fu anche questore nella prima sessione (18 febbr. 1861-21 maggio 1863) e vicepresidente nella seconda (25 maggio 1863 -7 sett. 1865).

Nel 1861 venne affidato al C. l'incarico di commissario civile presso il luogotenente del re nelle province napoletane (r.d. 14 luglio 1861), proprio mentre il Cialdini iniziava la sua politica di collaborazione con tutte le forze liberali, comprese quelle "democratiche", verso le quali i moderati conservavano, invece, un atteggiamento sospettoso se non ostile. Un dissenso fra i due non tardò a manifestarsi sul problema dell'ordine pubblico cui si aggiunse il contrasto tra il C. e M. Pironti sui tempi dell'unificazione ("continuo incubo di Cantelli", come Pironti scriveva al Mancini il 2 ag. 1861, cit. in Scirocco, p. 312). Si trattava, in realtà, di divergenze profonde che riflettevano dissensi fra il governo centrale e la luogotenenza, fra lo stesso Ricasoli e il Cialdini, che a metà agosto giunse a rassegnare le dimissioni. La crisi, per il momento, venne superata ma il C. fu sostituito (r.d. 25 ag. 1861) da Giovanni Visone, "intendente generale di Piacenza, che seppe agire con maggior tatto, facendo tesoro dell'esperienza del suo predecessore" (A. Scirocco, p. 265). Su questa breve missione a Napoli, giudicata favorevolmente da Petruccelli della Gattina e negativamente oltre che dal Cialdini stesso, com'era naturale, anche da D. Pantaleoni, il C. scriveva al Massari da Parma il 27 ott. del '61: "Non ti parlo della Luogotenenza: parce sepultis! dirò solo che se la mia dimissione ha in qualche modo contribuito ad affrettarne la morte, non sarà stata affatto inutile la mia andata a Napoli!".

In un momento particolarmente delicato - si era alla vigilia della Convenzione di settembre - il C. assunse la carica di prefetto di Firenze (7 sett. 1864).

Il giudizio del C. sui Fiorentini è indubbiamente severo ("non muove da un amore sviscerato per Firenze", ha scritto G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze 1967, p. 201): egli auspica la fine più rapida dell'autonomia amministrativa toscana, in linea del resto con i suoi precedenti atteggiamenti: "Scendendo... alle tendenze, allo spirito morale di questa popolazione - scriverà in un rapporto del 5 gennaio 1865 al ministro dell'Interno, cfr. Spadolini, pp. 203-206 - trovasi ragione per desiderare un sensibile miglioramento. Causa principale la poca energia, o meglio la forza d'inerzia che distingue il popolo toscano ed in ispecie il fiorentino; d'onde l'oziosità, la mendacità, il mai costume in larga scala... In quanto a politica, essa è qui, come tutt'altro, debolmente sentita. Non esito ad affermare che non esiste un vero e forte partito politico. Chiamerò forte il più numeroso, e questo è certamente quello che accetta l'attuale ordine di cose".

Ma il C. sa cogliere anche il malcontento per il vertiginoso aumento dei fitti, ed intende l'importanza di distinguere la Sinistra legalitaria e possibilista dalla Sinistra intransigente e mazziniana. Si occupa delle prediche trascinanti di padre Alessandro Gavazzi, della creazione di una "associazione per la tutela e lo svolgimento dei diritti costituzionali" in antitesi con le società "democratiche" di tendenza repubblicana, ma anche delle trame reazionarie, della nascita del Fiammifero, di netta tendenza granduchista, come la Bandiera del Popolo. Ciò che il C. teme maggiormente è la collusione delle estreme, il tentativo reazionario di servirsi della protesta operaia (era appena sorta a Firenze un'associazione fra i tipografi per difendere il livello salariale e preparare uno sciopero), l'azione dei predicatori quaresimali che toccavano spesso problemi di natura strettamente politica, con l'aiuto, come si legge nel rapporto dell'8 apr. '65, di "celesti apparizioni".

L'8 ott. 1865 il C. venne nominato senatore (categorie II, III e XXI). Due anni più tardi Luigi Federico Menabrea, nel primo ministero che presiedeva (27 ott. 1867 - 5 genn. '68), gli affidò il dicastero dei Lavori Pubblici, e fino al 18 nov. '67, l'interim dell'Istruzione Pubblica. Ma egli continuò a dirigere la prefettura di Firenze fino al 3 nov. `67 - il giorno di Mentana - quando vi fu inviato come reggente il consigliere delegato Francesco Constantin de Magny (soltanto il 13 febbr. '68 Firenze avrà un prefetto titolare nella persona di Massimo Cordero di Montezemolo, già prefetto di Napoli). Perciò il governo Rattazzi dimissionario, per bocca di alcuni suoi membri, tentò poi di far ricadere su di lui la responsabilità del mancato intervento nei confronti dei volontari e dello stesso Garibaldi che si dirigevano verso lo Stato pontificio.

Nel secondo ministero Menabrea (5 genn. 1868-13 maggio 1869) il C. conservò il dicastero dei Lavori Pubblici fino al 23 ott. '68, quando gli venne affidato il ministero dell'Interno, di cui aveva l'interim dal 10 settembre dopo le dimissioni di Carlo Cadorna causate dalla mancata approvazione dei suoi progetti di riforma dell'amministrazione centrale e provinciale. Nel 1872 il C. divenne consigliere di Stato. Il 1º ottobre di quell'anno Antonio Scialoia, che dal 5 ag. 1872 reggeva il dicastero dell'Istruzione Pubblica nel ministero Lanza (14 dic. 1869 - 10 luglio 1873), lo nominò presidente della Commissione d'inchiesta sull'istruzione secondaria maschile e femminile.

Il decreto del 29 sett. '72, in 6 articoli, che ordinava un'inchiesta sugli istituti di istruzione secondaria maschile e femminile "sia che appartengano al governo, a corpi morali o a privati, sia che costituiscano fondazioni speciali destinate all'insegnamento ed all'educazione" (art. 1), stabiliva che l'inchiesta sarebbe stata fatta per mezzo di interrogatori scritti, elenchi di domande formulate dalla commissione, interrogazioni orali, lettere circolari alle autorità scolastiche, visite ad istituti.

I 77 quesiti - inviati anche a privati cittadini, ma solo per mezzo del consiglio scolastico o del sindaco - vennero pubblicati in opuscolo (Commissione d'inchiesta sulla istruzione secondaria maschile e femminile. Quesiti, Roma-Firenze 1872) che conteneva anche dei fogli bianchi intercalati fra gli stampati per consentire la risposta.

L'11 genn. 1873 il C. venne eletto vicepresidente del Senato, ma conservò la carica solo per pochi mesi perché il Minghetti gli affidò, nell'ultimo ministero della Destra (10 luglio 1873-25 marzo 1876), il dicastero dell'Interno (dal 6 febbr. 1874 ebbe anche l'interim delle Finanze). Fu indubbiamente questa la pagina della vita politica del C. oggetto di più aspre censure e sulla quale si sono alternati i più contrastanti giudizi. Non soltanto gli internazionalisti, ma anche i repubblicani e i radicali, che con i primi non avevano alcun obiettivo politico comune, erano fatti segno (come ha scritto recentemente A. Galante Garrone) ad una "stolida persecuzione", culminata nell'arresto a villa Ruffi, nei pressi di Rimini, di ventotto personalità repubblicane, tra le quali A. Saffi e A. Fortis, intervenute ad una riunione organizzata dalla Consociazione delle società popolari di Romagna per stringere accordi in vista delle elezioni dell'8 novembre '74.

Il provvedimento - che si rivelò un grosso errore politico, come dimostrarono l'immediata reazione dell'opinione pubblica e la successiva generale assoluzione degli imputati da parte della magistratura - pare sia stato opera più che del C., assente, del segretario generale L. Gerra; però (come ha scritto A. Moscati) "la non breve durata della detenzione e la ulteriore permanenza nell'ufficio del Segretario generale ancora per diversi mesi, apparivano come la tacita approvazione da parte del ministro dell'operato di chi lo aveva, per eccesso di zelo, non encomiabilmente sostituito" (p. 48). Tanto più che il 5 dic. 1874 era presentato alla Camera dal C., di concerto con il ministro di Grazia, Giustizia e Culti, Vigliani, un progetto di legge su Provvedimenti straordinari di pubblica sicurezza che miravano (secondo le parole del proponente) "soltanto ad aggiungere forza alla legge ordinaria... per virtù di mezzi appropriati a circostanze straordinarie di tempo e di luogo", ma in realtà davano ai prefetti, sottoprefetti e questori dei poteri pericolosamente vasti e incontrollabili, quali: l'arresto preventivo di persone sospette di far parte di associazioni miranti ad offendere "le persone o le proprietà"; le visite e le perquisizioni domiciliari "in qualunque tempo e dovunque [il prefetto, il sottoprefetto ed il questore] abbiano motivo di ritenere che si trovino persone, armi ed oggetti" attinenti alle associazioni predette; il domicilio coatto da uno a cinque anni "per decreto del ministro dell'Interno sulla proposta del prefetto, inteso il parere di una Giunta locale presieduta dal prefetto stesso e composta del presidente e del procuratore del Re del tribunale del capoluogo della provincia e del comandante dei reali carabinieri della provincia medesima".

Bisogna aggiungere, però, che misure così palesemente illiberali - la durata di due anni confermava, del resto, la loro eccezionalità - nascevano in un contesto di gravi tensioni politico-sociali (tentativi mazziniani, moti contadini, attività di nuclei internazionalisti) nel quale giuocava un ruolo determinante la grave crisi economica iniziatasi con la "grande depressione" del 1873.

La caduta della Destra non placò gli avversari del C. attaccato - peraltro incautamente - in Senato dal Nicotera, nuovo ministro dell'Interno, non soltanto per la sua politica autoritaria, per gli illeciti interventi nelle elezioni e per i finanziamenti accordati ad alcuni giornali, ma anche per un preteso atteggiamento servile nei confronti di Luisa Maria. Negli ultimi anni il C., uscito ormai dalla vita politica attiva, ritornò, con esemplare modestia e senso del dovere civico, a partecipare alla vita amministrativa della sua città come assessore comunale e più tardi come presidente del consiglio provinciale di Parma. Morì a Parma il 7 dic. 1884.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Carte ministero Pubblica Istruzione,Personale, fasc. G. C.; Roma, Museo centrale del Risorg.: lettere del C. a G. Massari (b. 810/43, 1-22), a L. C. Farini (b. CLV/78), a G. Medici (vol. 13, n. 8), a P. S. Mancini (b. 608/1, 3), a vari prefetti (b. 391/1, 31, 33, 54, 56); lettere al C. di L. C. Farini (b. CXLII, 712, 12; b. CXLIII, 6/20, 11/8), del prefetto di Lecce (b. 391, 1/9, 10, 12, 19, 53), di Andromaca Bertoldi (b. 286, 2513), di Giuseppe Sanfilippo (b. 338, 2/1); Parma, Archiv. comunale, sez. III, Comune moderno, serie 34, Consiglio degli Anziani,Registro delle consulte (anni 1822-1856); Gridario cittadino (1845, vol. n. 176); Le assemblee del Risorgimento, Roma 1911, I, pp. 591-767; Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislature VII-XIV, ad Indices; G.Massari, Diario dalle cento voci 1858-860, a cura di E. Morelli, Bologna 1959, pp. 168, 178, 271, 351, 371 s., 380, 395 s., 425, 437; Carteggi risorg. Del fondo "Luigi Rava", I, Invent. delle carte Farini, a cura di G.Cortesi, prefaz. di A. Torre, Ravenna 1960, pp. 108, 199; Gli archivi dei governi provvisori e straordinari 1859-1861, I, Lombardia,Provincie parmensi e provincie modenesi. Inventario, Roma 1961, pp. 105-113. Cenni biografici sul C.: G. Adorni, Del conte G. C., Assisi 1876; E. Casa, Commemor. del conte senatore G. C. letta addì 23 settembre 1888; Parma 1888; G. Sarini, G. C. e i suoi tempi, Parma 1888; M. N. Bonini, Inaugurazione del busto in marmo dell'illustre cittadino conte G. C., Parma 1888; A. Pariset, Dizionario biogr. dei parmigiani illustri..., Parma 1905, pp. 22-26; R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa..., II, Roma 1907, pp. 322, 331; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e dell'Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, p. 219; A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, III, Da Mentana alla caduta della Destra, Napoli 1960, pp. 38-60; Dizionario del Risorgimento nazionale, II, pp. 521 s. Sull'azione svolta dal C. nel 1848 a Parma cfr.: G. Sforza, Carlo II di Borbone e la rivoluzione di Parma del 1848, in Nuova Antologia, 1ºagosto 1895, pp. 345 ss.; Id., Carlo II di Borbone e la Suprema Reggenza di Parma,ibid., 1º nov. 1896, pp. 111-143; 1º dic. 1896, pp. 508-532; G. P. Clerici, La Suprema Reggenza e il Governo provvisorio di Parma nel 1848, in Arch. stor. per le prov. parmensi, n.s., XVI (1916), pp. 1-103, in particolare pp. 7, 9 s., 14, 18, 21, 24, 43; G.Drei, Carlo II di Borbone e la rivoluzione del 1848 a Parma, in Rass. stor. del Risorg., XXI(1934), pp. 259-280; sul '59 e i plebisciti cfr. C. Pecorella, I governi provvisori parmensi (1831,1848,1859), Parma 1959, oltre l'introduzione di E. Falconi nel cit. vol. Gli archivi dei governi provvisori e straordinari 1859-1861, pp. 101-125; sull'azione svolta dal C. a Napoli presso la luogotenenza cfr. F. Della Peruta, Contributo alla storia della questione merid. Cinque lettere inedite di D. Pantaleoni,1861, in Società, VI (1950), pp. 69-94; A. Scirocco, Governo e paese nel Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-61), Milano 1963, pp. 262 s., 265, 276, 312; sul C. prefetto di Firenze cfr. G. Spadolini, Firenze capitale, Firenze 1967, pp. 57 s., 75, 78, 93, 97, 99, 106, 113, 133 s., 138 s., 143-145, 148-150, 201-206; sulla successiva attività politica del C. qualche cenno in I. Bonomi, La politica ital. da Porta Piaa Vittorio Veneto,1870-1918, Torino 1966, pp. 33, 44, 87, C in F. Chabod, Storia della politicaestera ital. dal 1870 al 1896, I, Le premesse, Bari 1951, p. 441. Sull'episodio di villa Ruffi (sul quale è da ricordare l'opuscolo pubblicato da A. Saffi, La Consociazione romagnola e gli arresti diVilla Ruffi, edito nel 1875 a Forlì e poi inserito nei Ricordi e scritti di A. Saffi pubblicati per cura del municipio di Forlì, XI, 1872-1886, Firenze 1903, pp. 71-146) cfr. A. Berselli, Gli arresti diVilla Ruffi. Contr. alla storia del mazzinianesimo, Milano 1956. Un recente giudizio sul C. ministro dell'Interno, nel contesto della crisi economico-sociale e politica del 1873-74, in A. Galante Garrone, I radicali in Italia (1849-1925), Milano 1973, pp. 133 s., 140, 155.

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