GIROLAMO da Cremona

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIROLAMO da Cremona (dei Corradi)

Federica Toniolo

Non sono noti il luogo e la data di nascita di questo miniatore, figlio di Zanino, del quale è ormai accertata l'appartenenza alla famiglia cremonese dei Corradi (Pastore - Manzoli, pp. 120 s.). È probabile però che egli sia nato, comunque, cresciuto, a Mantova, dato che il padre è documentato come pittore alla corte dei Gonzaga dal 1419 fino al 1443, data in cui fece testamento (Braghirolli; Pastore - Manzoli, pp. 120 s.; De Marchi, p. 235 n. 15). L'appellativo "da Cremona" potrebbe quindi derivare dalla città d'origine della famiglia.

Dai pochi documenti rimasti - il primo è un atto notarile del 21 apr. 1460 (Gerola) - e dalle numerose opere ancora conservate, di cui alcune firmate, è possibile evincere che l'artista svolse l'attività di miniatore entro la seconda metà del Quattrocento in alcuni dei centri più importanti del Rinascimento italiano. L'alta qualità del suo stile dà ragione del prestigio dei committenti laici e religiosi che a lui si rivolsero.

Tra la metà del sesto e la fine del settimo decennio del Quattrocento egli lavorò per il duca di Ferrara Borso d'Este, per i monaci benedettini padovani di S. Giustina e per Barbara Hohenzollern, marchesa di Mantova. Nella maturità fu a Siena dove, tra la fine del 1469 e l'inizio del 1474, miniò in collaborazione con Liberale da Verona alcuni corali del duomo; nel 1474 a Firenze lavorò per committenze religiose e laiche. Nella tarda attività veneta, presumibilmente iniziata verso il 1475, fu invece impegnato a Padova, per il vescovo Iacopo Zeno, e a Venezia per patrizi di alto rango e uomini raffinati e di grande cultura, quali per esempio i Mocenigo e Peter Ugelheimer - commerciante e bibliofilo di Francoforte che visse a lungo a Venezia - nella decorazione di incunaboli realizzati da Nicolas Jenson e da altri stampatori attivi in laguna.

G. si aggiornò con prontezza e intelligenza sulle novità della pittura contemporanea e in specie sull'opera di Andrea Mantegna, arrivando a esiti a volte eccezionali nella costruzione prospettica e luminosa dello spazio, nel realismo della narrazione e nella memoria dell'antico. Diede prova di grande fantasia nella decorazione dei fregi marginali, inventando soluzioni d'ornato naturalistiche o antiquarie, volte a conferire alla pagina miniata effetti di grande illusionismo.

La ricostruzione del catalogo dell'artista iniziò alla metà del XIX secolo, quando Milanesi (1850; 1854), grazie a un esame dei documenti nell'Archivio del duomo di Siena, attribuì a G. le miniature di undici Corali del duomo senese (Libreria Piccolomini), datandole tra il 1467 e il 1475. Egli inoltre identificò la stessa mano in alcune pagine del Breviario eseguito per la chiesa fiorentina di S. Maria Nuova, finito di scrivere, come si desume dalla data segnata in explicit, il 9 dic. 1473 (Firenze, Museo nazionale del Bargello, ms. 68), e nell'Operachemica di Raimondo Lullo (ibid., Biblioteca nazionale, B.R. 52).

Successivamente Berenson (1902; 1907; 1917; 1918; 1932), basandosi sul confronto con alcune iniziali dei Corali senesi eseguite in realtà da Liberale da Verona, attribuì a G. una serie di dipinti, tra i quali la pala con Redentore e santi del duomo di Viterbo e le predelle con Storie di s. Pietro, oggi divise tra la Gemäldegalerie di Berlino e il Fitzwilliam Museum di Cambridge. Sarebbe però spettato agli studi di Longhi (1955), Volpe (1961) e Del Bravo (1960; 1967) chiarire i termini della collaborazione tra Liberale e G. a Siena, comprendendo come le opere pittoriche attribuite a G. fossero invece da riferire a Liberale.

Fondamentali furono gli studi di Toesca (1912) e Pacchioni (1915), i quali riconobbero G. nell'artista che proseguì l'opera di Luchino Belbello da Pavia nella decorazione del Messale gonzaghesco del capitolo del duomo di Mantova (Pastore - Manzoli). Pacchioni (1915) propose, infatti, di identificare G. nel giovane miniatore anonimo citato in una lettera del 10 nov. 1461 scritta da Barbara Hohenzollern, moglie di Ludovico III Gonzaga marchese di Mantova, al figlio Francesco. Nella missiva la marchesa esprimeva la sua decisione di affidare a "un zovane di questa terra el quale minia molto bene" il completamento della decorazione di un Messale già affidato a Belbello da Pavia nel 1442 da Gianlucido Gonzaga; per contattare il giovane miniatore la marchesa dichiarava di essersi rivolta ad Andrea Mantegna, allora pittore alla corte mantovana (p. 370, lettera n. 9). Questa preziosa informazione permise di evincere che G. nel 1461 stava accingendosi a miniare il Messale, ed era già in contatto con Andrea Mantegna. Nel 1918 Toesca attribuiva a G. una miniatura ritagliata, allora identificata come la Disputa di s. Caterina d'Alessandria davanti a Massenzio, firmata "Ieronimus F." (Londra, Victoria and Albert Museum, inv. 817-1894) in precedenza riferita al miniatore veronese Girolamo Dai Libri.

Poco dopo Salmi, oltre a notare l'affinità stilistica esistente tra le vignette ascritte a G. del Messale Gonzaga e le miniature della Bibbia di Borso d'Este (Modena, Biblioteca Estense, Lat. 422 = V. G. 12; Lat. 423 = V.G.13) attribuite da Hermann (1900) a Marco dell'Avogaro, precisava il percorso artistico di G., mettendo in evidenza l'influenza mantegnesca. Inoltre, in quanto responsabile di alcune miniature del Breviario del Bargello, G. veniva dubitativamente identificato con quel "Girolamo padoano" citato da Vasari come autore di decorazioni in libri della chiesa fiorentina di S. Maria Nuova. Ciò avrebbe attestato come già nel Cinquecento fosse evidente il debito stilistico di G. nei confronti dell'ambiente padovano mantegnesco. D'altro canto, più tardi Del Bravo avrebbe proposto di identificare con G. quel "Ieronimo suo compagno" che seguì Mantegna a Firenze nel 1466 (1967, p. 18).

Levi D'Ancona propose nuove attribuzioni e rintracciò nuovi documenti (1964). Riconobbe quali opere giovanili di G., legatissime al Mantegna della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, la già nota Disputa di s. Caterina di Londra e un'altra iniziale ritagliata, allora in collezione Wildenstein e oggi al Musée Marmottan di Parigi (n. 64), identificata come il Battesimo di Costantino, dove la studiosa leggeva la data 1451 che in seguito si sarebbe rivelata inesistente. Secondo la ricognizione di Levi D'Ancona, a partire dal 1461, e fino al 1468, G. lavorò a Mantova al Messale Gonzaga e ad alcune miniature dell'Antifonario dei ss. Cosma e Damiano (London, Burlington House, Society of Antiquaries, ms. 450) eseguito in collaborazione con il miniatore mantovano Franco dei Russi. Fu inoltre rivisitata la documentazione riguardante l'attività senese del miniatore, allora ritenuta circoscrivibile tra il 1468 e il 1474, evidenziando nei Corali del duomo un'influenza reciproca fra G. e Liberale, ravvisabile anche in un Libro d'ore della Free Library di Filadelfia (Lewis Collection, ms. 118). Si pubblicarono due importanti lettere scritte da Venezia nel gennaio del 1475 e nel giugno del 1476, nelle quali Benedetto da Cepperello, agente di Lucrezia Tornabuoni, vedova di Pietro di Cosimo de' Medici, la informava che "Maistro Ieronimo miniatore" era a Venezia, dove stava decorando per lei un messale (pp. 92 s., doc. nn. 104-105), cui la studiosa riconduceva dubitativamente tre frammenti della Free Library di Filadelfia (Lewis Collection, ms. 27, cc. 27-29). Venivano avvicinate a G. altre opere venete: il De civitate Dei di s. Agostino, stampato a Venezia da Nicolas Jenson nel 1475 e miniato per i Mocenigo (New York, The Pierpont Morgan Library, E 13), e gli Opera di Aristotele in due volumi, stampati per i tipi di Andrea Torresan0 e Bartolomeo de Blavis nel 1483 e miniati per Ugelheimer (ibid., E 41A ed E 2.78B). In un successivo intervento sulle miniature di scuola lombarda della collezione Wildenstein, Levi D'Ancona attribuì a G., datandole al 1475 circa, anche due miniature con la Presentazione al tempio e con l'Adorazione dei magi, oggi al Musée Marmottan di Parigi (1970, pp. 66-69).

L'attività veneta fu successivamente indagata da Mariani Canova (1969), che ritrovava la menzione di un documento del 30 luglio 1481, non più rintracciabile ma riportato in una trascrizione ottocentesca (Urbani De Gheltof, pp. 20, 27), in cui si registrava un pagamento del vescovo di Padova Iacopo Zeno a "m.o Ieronimo da Mantoa miniatore […] per spese de casa". Giungeva dunque ad annoverare alcuni splendidi incunaboli veneziani, tutti stampati da Jenson, quali il Decretum Gratiani del 1477 (Gotha, Landesbibliothek, Mon. typ. 1477), ancora per Ugelheimer, e il Plutarco del 1478 (Paris, Bibliothèque nationale, Vel. 700), cui Alexander (1969, p. 10) aggiunse il Decretum Gratiani di Londra (British Library, IC.19678) del 1474; tra i manoscritti, Mariani Canova attribuiva a G. il Psalterium di Oxford (Bodleian Library, Can. Liturg. 410) e la Formula di confessione di Venezia (Biblioteca naz. Marciana, Mss. It., cl. I, 61 = 4973).

Per la comprensione delle origini del miniatore furono decisivi i contributi di Ciardi Duprè (1972) e di Righetti (1974), che provarono come le affinità tra le opere giovanili di G. e le miniature della Bibbia di Borso d'Este, un tempo riferite a Marco dell'Avogaro, potessero consentirne un'attribuzione allo stesso Girolamo. Il suo intervento nella Bibbia di Borso d'Este è stato chiarito da Toniolo nel commentario al facsimile del codice (1997), dove si è proposto anche di ascrivere a G., in collaborazione con Franco dei Russi, un Breviario a uso olivetano della Biblioteca apost. Vaticana (Vat. lat. 7235, 7236), presumibilmente databile all'inizio del settimo decennio.

Una difficoltà per accettare l'intervento di G. nella Bibbia era costituita dalla data 1451 letta da Levi D'Ancona nella miniatura Wildenstein, che stilisticamente dimostrava esiti più maturi degli interventi nella Bibbia, opera eseguita tra il 1455 e il 1461. Mariani Canova (1984) provava però l'inesistenza della data nella miniatura Wildenstein, dimostrando inoltre che le due iniziali di Parigi e di Londra, di cui identificò correttamente i soggetti nella Disputa di s. Giustina di fronte a Massimiano (anziché Disputa di s. Caterina) e nel Battesimo di Vitaliano da parte di s. Prosdocimo (e non Battesimo di Costantino), fossero in origine appartenute a un Antifonario della serie dei corali quattrocenteschi della biblioteca del monastero padovano di S. Giustina, presso la quale si conserva ancora oggi un altro volume della stessa serie con alcune iniziali di un collaboratore di Girolamo (Padova, Biblioteca di S. Giustina, corale 2). In tal modo per la prima volta fu avanzata l'ipotesi di una attività padovana di G., verosimilmente databile al principio del settimo decennio, dato che le iniziali eseguite da G. ritornano del tutto simili in un Graduale di S. Benedetto in Polirone datato 1462, ora al Castle Museum di Colchester (ms. 221.32). Grazie a ragioni iconografiche, e a un esame delle fonti documentarie, Mariani Canova ritenne che anche l'Antifonario dei ss. Cosma e Damiano potesse essere stato eseguito a Padova, destinato al monastero benedettino femminile di S. Maria della Misericordia.

Parallelamente, Eberhardt (1983; 1985) rivedeva i documenti relativi all'attività senese dell'artista, precisando come essa dovette svolgersi tra il 1469 e l'inizio del 1474, probabilmente con una breve interruzione tra il 1470 e il 1471. I pagamenti sono così puntuali che è stato possibile identificare con precisione le miniature imputabili a G., e avere dei punti fermi per la ricostruzione della sua attività a Siena.

Il saggio di De Marchi sui miniatori padani a Siena del 1993 ha chiarito ulteriormente l'evoluzione stilistica di G., proponendo di anticipare agli anni precedenti l'attività senese i fogli con la Presentazione al tempio e l'Adorazione dei magi della collezione Wildenstein e il Libro d'ore della Houghton Library di Cambridge, MA (Typ. 465), già attribuito a G. da Alexander (The provenance, 1969).

Nel catalogo dell'esposizione di Padova del 1999, nella scheda (p. 196) sulla Novella in Sextum Decretalium di Giovanni d'Andrea (Padova, Biblioteca capitolare, ms. A 5), codice della fine del Trecento ma nel Quattrocento posseduto da Iacopo Zeno, è stato riconosciuto un intervento di G. nel frontespizio - eseguito, come il resto, dal cosiddetto Maestro della Novella - per adeguarlo al nuovo possessore con l'aggiunta degli stemmi e del putto reggistemma: ciò sarebbe una conferma della presenza di G. a Padova al servizio del vescovo attorno al 1480. Nell'appendice documentaria del catalogo (pp. 579 s.) sono state riportate notizie raccolte da Montobbio riguardo a un'attività del miniatore per la cattedrale di Padova nel biennio 1480-81; e (p. 580) si è accreditata l'ipotesi già suggerita da Trentin (1987) di identificare G. con un "don Hieronymo" nominato a Padova nel testamento di Michele Salvatico del 1456. In realtà una verifica del documento permette di dire che il "don Hieronymo" citato è certamente un religioso, e per di più uno scrittore, non un miniatore. Importante acquisizione per il catalogo di G. è il ritrovamento da parte di Toscano (Enluminures italiennes, 2000, pp. 32-35) dell'iniziale con La morte di s. Martino attualmente al Musée Condé di Chantilly (Divers IV-343), ma in origine appartenuta allo stesso Antifonario di S. Giustina di Padova, dal quale vennero staccate anche le miniature con la Disputa di s. Giustina e il Battesimo di Vitaliano.

Dagli interventi critici fin qui succedutisi risulta dunque che la prima opera conosciuta di G. è la Bibbia di Borso d'Este. Nessun documento avalla il suo intervento nel manoscritto, anche se è possibile ipotizzare che Marco dell'Avogaro, pagato per miniare alcuni fascicoli nel 1458 e nel 1461, avesse subappaltato il lavoro a Girolamo.

Le prime miniature eseguite da G. nella Bibbia si trovano nel quinto e nel sesto quinterno del secondo volume, e illustrano i testi dei libri dei profeti Geremia, Baruch ed Ezechiele. Già in queste prove, seppure con qualche ingenuità dovuta a un retaggio tardogotico, il miniatore dimostra di conoscere, per alcune scelte spaziali, nei paesaggi, nei tentativi di scorciare le figure, alcune scene affrescate da Nicolò Pizolo e da Mantegna nella cappella Ovetari agli Eremitani di Padova, e altre opere giovanili dello stesso Mantegna. Nella pagina d'apertura al Vangelo di Luca (c. 157v), che si trova in quinterni seriori del secondo volume, egli riprende l'invenzione del loggiato tripartito, così come era stato utilizzato da Donatello per l'altare del Santo a Padova e da Mantegna per la pala di S. Zeno a Verona. Gli ultimi interventi nel codice estense, le quattro splendide pagine miniate nel primo quinterno del primo volume (cc. 9rv, 11rv) realizzato a chiusura dei lavori verso il 1460-61, denunciano nella struttura colonnare delle figure un lucido a piombo e una sapiente definizione prospettica, spiegabili con un ulteriore approfondimento sull'opera di Mantegna.

Tali vignette risultano perfettamente omogenee alle tre iniziali di Londra, di Parigi e di Chantilly eseguite a Padova entro il 1462 per l'Antifonario di S. Giustina. Nell'iniziale con la Disputa di s. Giustina la colonna centrale della lettera "M" divide la scena introducendo il lettore allo spazio dipinto, come nel Martirio e trasporto del corpo di s. Cristoforo, l'ultimo affresco realizzato da Mantegna nella cappella Ovetari; i rocchi di colonna cinti da ghiere a fascia riflettono soluzioni adottate da Mantegna già nel Polittico di s. Luca eseguito per la cappella omonima in S. Giustina a Padova e oggi a Brera.

Le prime miniature eseguite nel Messale di Mantova, dove G. utilizza un ornato a filigrana con foglie, fiori e sferette dorate alla ferrarese, sono ancora in linea con le iniziali di S. Giustina, mentre più tardi nella Crocifissione e nell'Ascensione (cc. 182v, 204r) si evidenzia nelle figure una maggiore monumentalità, grazie al panneggio divenuto morbido, arrotondato e modellato dalla luce. Lo scenario naturale diviene limpido, denunciando quella resa micrografica, alla fiamminga, ma altresì ripresa da Mantegna, che raggiunge il suo apice nelle vignette dell'Antifonario dei ss. Cosma eDamiano, presumibilmente dipinto attorno al 1465. Nel Messale di Mantova appaiono per la prima volta le cornici scorciate incastonate di perle e pietre preziose che divennero un motivo peculiare di G. negli anni successivi, e influenzarono l'ornato della miniatura veneto-padovana dell'ottavo decennio.

Negli anni mantovani sembrerebbe essere stata eseguita anche la splendida pagina con la Pentecoste acquistata dal Paul Getty Museum di Los Angeles (Kren).

A Siena G., nelle grandi iniziali figurate realizzate con elementi fogliacei arricchiti da gemme, perle, elementi di scultura dipinta, recepì via via stimoli da Liberale, rimanendo colpito dall'espressionismo e dal brio inventivo del compagno. Ciò è evidente nel confronto tra le miniature con l'Assunzione, la Natività e il S. Agostino (corale, cod. 28.12, cc. 49v, 59r, 64r), citate nel primo pagamento effettuato a G. in data 16 febbr. 1470, e i frontespizi con la Resurrezione, la Processione del Corpus Domini e la Pentecoste (cc. 2r, 100v, 132r) nel Graduale segnato 23.8, pagati nel 1473.

Nelle opere fiorentine l'allontanamento da Liberale provoca in G. un affievolimento del patetismo e della verve espressiva mettendo di nuovo in luce l'attenzione per i valori ottici già presente nelle opere mantovane, cui si associa una raffinata epurazione formale, ben ravvisabile nelle miniature degli Opera chemica di Lullo.

Giunto a Venezia G. coglie le novità antiquarie e l'illusionismo della miniatura padovana e veneta, pur continuando a esibire quel gusto per l'oreficeria e il gioiello dipinto che aveva contraddistinto le opere precedenti. Nel Decretum Gratiani del 1477, eseguito per Peter Ugelheimer e oggi a Gotha, G., che lavora con il Maestro delle Sette Virtù e con il padovano Benedetto Bordon, adotta per la prima volta il frontespizio architettonico trasformandolo comunque in una sorta di gioiello. Negli splendidi frontespizi degli Opera di Aristotele del 1483, ultima opera nota dell'artista, egli utilizza l'espediente del foglio di pergamena che si squarcia e rende visibili le scene figurate o i paesaggi abitati da animali di gusto ancora ferrarese e da gruppi di satiri o centauri desunti dall'immaginario antiquario padovano.

Dal 1483, data di stampa degli Opera di Aristotele, non si hanno più notizie di G., del quale rimangono sconosciuti l'anno e il luogo della morte.

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