FENAROLI AVOGADRO, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FENAROLI AVOGADRO, Girolamo

Andrea Quadrellaro

Nacque a Brescia il 26 febbr. 1754, da un'antichissima famiglia di nobili rurali proveniente da Tavernola sul lago d'Iseo, ascritta in seguito al patriziato "originario" bresciano, col privilegio di sedere nel Consiglio della città.

Il padre Bartolomeo Fenaroli si era distinto in campo letterario, nelle scienze filosofiche e matematiche, e nell'attività volta al miglioramento dell'agricoltura e dell'industria serica. La madre Paola Avogadro era stata l'ultima del ramo primogenito del potente casato dei conti Avogadro - cognome aggiunto poi dai figli a quello dei Fenaroli -, una delle cinque famiglie bresciane ammesse al patriziato veneziano.

Dopo aver compiuto studi fisico-matematici presso l'università di Bologna, dove tenne per qualche tempo la cattedra vacante di matematica., il F. venne ascritto verso il 1780 all'Istituto delle scienze di quella città. Il nobile G. Riccati, matematico, teorico e dilettante di musica, lo giudicò particolarmente versato in acustica ed ebbe con lui una fertile corrispondenza epistolare, che fu all'origine di quattro articoli di scienza musicale che il Riccati dedicò al giovane bresciano sul Nuovo Giornale de' letterati d'Italia di Modena nel 1778 e nel 1779.

Anche in patria il F. ebbe modo di segnalarsi tra i più solerti promotori di iniziative culturali; fu, con F. Zucchini, P. Caprioli, l'abate B. Borgondio e P. Riccobelli, tra i fondatori dell'Accademia dei Leali, sodalizio che avrebbe avuto come sua propaggine l'Accademia del Diametro per cessare l'attività nel periodo francese. Nel 1793 gli accademici Leali offrivano la loro prima raccolta di componimenti al loro presidente F.; nel complesso, tuttavia, la poesia rimase per essi un'occupazione minore rispetto agli interessi coltivati nell'ambito della filosofia, dell'agricoltura, del commercio o delle arti "che in special modo furono di frutto". In seguito, nel 1801, il F. sarà tra i primi membri del Liceo o Accademia del Dipartimento del Mella, da cui deriverà l'Ateneo bresciano (1802), che intendeva diffondere "il progresso delle Scienze, Lettere ed Arti, di tutte insomma le utili cognizioni", e concorrere al "buon andamento al piano d'Istruzione Pubblica".

L'ultimo decennio del secolo si era rivelato per il F. un periodo ricco di avvenimenti. Nel 1792 era iniziata la sua attività pubblica nel Consiglio dei cinquecento, l'organo ristretto, ereditario, dell'oligarchia aristocratica bresciana, precluso, o quasi, ai non nobili; in pratica il reale detentore del potere anche a scapito dell'autorità dei rettori veneziani.

Il F. si fece promotore di un movimento di fronda interna che mirava a togliere al Collegio dei giudici, una sorta di "casta" interna allo stesso Consiglio, il potere di eleggere le primarie cariche degli "abati" e degli "avvocati", che ripartivano le gravezze municipali e amministravano il Monte di pietà e l'Annona. Il partito del F. riusci ad imporre che per l'avvenire l'elezione fosse fatta "da tutto il corpo dei consiglieri" e che anche i non nobili avessero voce in Consiglio, col risultato di sconvolgere "totalmente l'ordine civico"; tale era il parere del confidente G. A. Brocchi, che descriveva il F. agli inquisitori di Stato come uno dei più pericolosi "giacobini" di Brescia: individuo dal carattere torbido, inquieto e di sentimenti irreligiosi; molto intelligente e colto, ma con "la mente guasta da una pazza filosofia". Il F. veniva indicato come "il Mirabeau di Brescia". Membro del Casino de' buoni amici, un circolo frequentato da giovani aristocratici che trascorrevano il tempo nella "piacevole lettura delle pubbliche gazzette e giornali d'Europa e di qualunque altro libro di onesta erudizione e in realtà un ritrovo di liberi pensatori interessati alle novità d'Oltralpe, che ben presto si acquistò fama di club giacobino tanto da essere chiuso dalle autorità.

Nel 1793 il F. sovraintese con C. Bargnani - per incarico del Consiglio cittadino e nel quadro della "riforma delle strade" attuata dai capitani vicepodestà veneti dell'epoca - ai lavori di ristrutturazione della strada che dalla Mandolossa portava ad Iseo. Il 20 febbr. 1795 sposò la contessa Barbara Agosti, di illustre famiglia bergamasca, da cui ebbe quattro figli: Bartolomeo, che sarà in seguito podestà del Comune, Ippolito, futuro senatore del Regno d'Italia, Paolina e Margherita.

Il F. non figura, al contrario del fratello Giuseppe, tra i componenti del governo provvisorio che nel marzo del 1797 si insediò in città, cacciando i rappresentanti della Serenissima. Il suo nome compare la prima volta in un decreto governativo dell'8 aprile che comunicava la sua avvenuta elezione ad uno dei tre posti della Commissione straordinaria criminale, che doveva "giudicare e sentenziare li rei cospiratori contro la Libertà Pubblica".

Poco dopo la proclamazione della Repubblica bresciana era scoppiata una serie di sanguinose insurrezioni "controrivoluzionarie" che ebbe come epicentri la Val Sabbia, la Val Trompia, la Riviera di Salò. Alcuni esponenti dei clero locale e della piccola nobiltà rurale furono i capi di queste rivolte che impegnarono seriamente, soprattutto in maggio, i reparti della Legione lombarda, di quella bresciana e dell'esercito francese. Per fronteggiare la situazione il governo provvisorio di Brescia adottava "la massima che li traditori della Patria sieno puniti colla morte" (27 marzo) e la Commissione straordinaria criminale comminò condanne, bandi e confische contro i rivoltosi in armi ed anche contro chi fu giudicato reo di "tradimento" per meno gravi delitti politici. Contemporaneamente operò in quei mesi anche una Commissione criminale e una Deputazione straordinaria criminale cui spettava di giudicare in materia di delitti comuni, compresi quelli commessi dai numerosi briganti. Le autorità avevano previsto che le sentenze di morte fossero "sanzionate dal Governo medesimo", tuttavia, osservò G. Brognoli nelle sue Memorie (II, p. 216), "la Camera del Governo non ha mai disapprovata una sola fra le tante sentenze di morte proposte dalle Commissioni Giudiziarie". La Commissione straordinaria criminale non fu tuttavia la sola responsabile delle fucilazioni, perché a comminare sentenze di morte ai "controrivoluzionari" o ai "briganti emigrati", furono anche le varie commissioni militari istituite al seguito delle truppe che operarono in quei mesi nel Bresciano.

Nell'estate del 1797 il F. lasciò per breve tempo Brescia per portarsi in Val Trompia, dove stentava a ritornare la normalità e continuavano "i maggiori saccheggi, latrocinj, violenze". Il 6 ottobre venne eletto giudice del nuovo Tribunale nazionale criminale, che nelle intenzioni delle autorità avrebbe dovuto sostituire le commissioni "straordinarie" in materia di delitti di lesa patria, continuando tuttavia a giudicare colle stesse facoltà e la medesima procedura della cessata Commissione i processi promossi dal Comitato di vigilanza e di polizia.

Il 21 novembre il governo provvisorio cessava di esistere e la Repubblica Bresciana confluiva nella Cisalpina; per contrastare il fenomeno del brigantaggio e dei delitti politici, le autorità cisalpine decidevano di mantenere in vigore le Commissioni straordinarie militari e di crearle nei nuovi dipartimenti, in primo luogo in quello del Mella e del Benaco, in cui la situazione critica l'avesse richiesto; le commissioni avrebbero giudicato con processo statario finché non fossero stati attivati i tribunali criminali contemplati dalla costituzione.

Il F. fu nominato tra i cinque "probi e illuminati cittadini di non equivoco attaccamento al sistema repubblicano" della Commissione militare per i dipartimenti del Mella, del Benaco e per la Valcamonica. Eletto anche presidente del tribunale criminale del dipartimento del Mella, nel marzo del 1798, si mostrò intenzionato a rassegnare le dimissioni dalla Commissione militare, "non essendo[gli] possibile" adempiere "ad ambedue gl'impieghi"; il Direttorio tuttavia gli rispose l'8 aprile che avrebbe dovuto continuare "col solito zelo a disimpegnare" il vecchio incarico, non essendo ancora attivato il nuovo sistema giudiziario costituzionale.

Quando nell'aprile del 1799 le forze austro-russe occuparono la Lombardia, si scatenarono le vendette personali: moltissimi furono gli arrestati per "delitto di giacobinismo", ma pochi ebbero un regolare processo. Nei primi giorni della reazione, dopo l'arrivo del conte L. Coccastelli, commissario generale imperiale, il F. fu, con il fratello Giuseppe, bersaglio di una feroce satira che lo apostrofava come "il sicario". Fattosi il clima sempre più pesante, decideva di lasciare Brescia: passando per la Valsabbia e la Bergamasca raggiungeva il territorio dei Grigioni con l'intenzione di raggiungere Neuchâtel. Era tuttavia costretto a riparare a Chiavenna e l'8 dic. 1799 era fatto arrestare dal podestà di Gravedona. Tradotto nelle prigioni di S. Antonio a Milano, vi rimase rinchiuso fino al maggio del 1800.

Dal carteggio che i fratelli Giovanni Antonio e Giuseppe ebbero con la cognata contessa Barbara si evince che erano stati con ogni probabilità i capi della controrivoluzione bresciana, quali il nobile G. B. Fioravanti di Salò, il sacerdote A. Filippi e i fratelli Materzanini della Val Trompia, condannati a morte in contumacia dalla Commissione straordinaria criminale, ad aver denunciato il Fenaroli. Questi in un'autodifesa asseriva che le disposizioni sanguinarie erano state emanate "in opposizione ai voti della Commissione" e che questa dopo due mesi aveva dichiarato al governo di "essere tempo di sopprimere il metodo statario convertendo la Commissione in Tribunal regolare". Indicava anche i nomi di quegli inquisiti che erano stati salvati dalla morte proprio dalla Commissione; infine assicurava di essere rimasto "sempre attaccato alla Religione", portando in sua difesa la testimonianza di alcuni ecclesiastici.

A causa dei precipitare degli eventi politico-militari, il 29 maggio, qualche giorno prima che le truppe austriache abbandonassero nuovamente Milano, il F. fu fatto partire per Brescia, in compagnia di una trentina di condannati politici, tra cui vi erano figure di primo piano del passato governo come il professore P. Moscati. Dalla sua città natale proseguì per Verona - dove si unirono per breve tempo al gruppo milanese altri detenuti, tra cui F. Apostoli, che nelle sue Lettere sirmiensi ricordò il triste incontro con lui - e per Venezia, dove si imbarcò alla volta di Cattaro, nell'Albania austriaca, che raggiunse il 2 luglio.

La relegazione in "questa Siberia austriaca" fu dura, particolarmente nei primi mesi trascorsi nella casamatta di Posto Soranzo; ino tre il F., che da prima della partenza dall'Italia aveva avuto gravi problemi di salute, era ormai ridotto su due stampelle. L'anonima Ristretta descrizione degli avvenimenti occorsi ai Cisalpini nello trasporto e permanenza loro a Cattaro ... (Milano, a. IX Rep.) testimonia che il F. era riuscito a ricevere dalla moglie una rilevante somma di denaro che aveva con generosità prestato ai compagni, ripartendola per accrescere il misero soldo giornaliero dato per il mantenimento.

Nonostante le clausole della pace di Lunéville e i continui interessamenti presso le autorità - della contessa Barbara e, in parte, del fratello Giuseppe - i deportati cisalpini rimasero a Cattaro per altri cinque mesi. Il 6 luglio 1801 il F. abbandonava finalmente il luogo della sua prigionia e il 29 raggiungeva Brescia. Le sue condizioni di salute si erano tuttavia irrimediabilmente aggravate; il 26 febbr. 1802 moriva nella sua casa di Brescia.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Brescia, Fondo Avogadro-Calzaveglia-Fenaroli, cartt. 43, 49 (carteggio tra il F. e la moglie, con molte altre lett. di familiari; suppliche alla Commissione gen. di polizia; docc. relativi alla prigionia a Cattaro. Si tratta del materiale un tempo depositato presso l'Arch. civico, dove fu studiato da U. Da Como); Brescia, Arch. storico civico, Acta deputatorum ... dal 20 ag. 1788 al 12 sett. 1793 (D. X. 877), ff. 118 ss.; Arch. di Stato di Venezia, Fondo Inquisitori di Stato: Confidenti, b. 556 (segnalata da M. Berengo e R. Zilioli); Arch. di Stato di Milano, Fondo Militare p. a., cartt. 81, 82 (per l'attività del F. in seno alla Commissione militare del Dip. del Mella); Fondo Censo p. a., cart. 648 (per il processo ai sindaci A. Nazzari e P. Spagnuoli promosso dalla Commissione criminale straordinaria); Lonato, Fondaz. Ugo Da Como, ms. 136; Diario degli avvenimenti politici di Brescia dal 9 marzo 1797 al 20 nov. 1798; Ibid., ms 18/19 (temporancamente depositati presso la Bibl. Queriniana di Brescia): G. Brognoli, Memorie bresciane, II (18 marzo 1797 - 21 nov. 1798), III (fino al 21 apr. 1799), IV (dal 21 apr. 1799 al 6 giugno 1800); Lettera del sig.... G. Riccati al... Co. G. F. nella qual s'indaga l'artificio di cui si serve la Natura per far si che incitata una corda al suono s'adatti..., in NuovoGiornale de' letterati d'Italia, XIII (1778), pp. 62-79, cui seguirono altre tre lett. sul medesimo argomento, ibid., XIV, pp. 269-86; XVII (1779), pp. 236-308; Componimenti recitati... nel dì 30 luglio 1780..., Brescia s. d., p. XIX (vi si trova un epigramma latino del F.); Raccolta degli ordini e avvisi stati pubblicati dopo il cessato governo austriaco, Milano 1796-1799; Raccolta dei decreti del governo provvisorio bresciano e di altre carte pubblicate a quell'epoca colle stampe, Brescia 1804, I, pp. 107 s., 138 s. e passim (vi sono riportate le sentenze della Commissione straordinaria); III, p. 250; Assemblee della Repubblica Cisalpina, a cura di C. Montalcini-A. Alberti, I, Bologna 1917, pp. 206-225; III, ibid. 1919, p. 621; IComizi nazionali in Lione, a cura di U. Da Como, II, 2, Bologna 1935, p. 741; D. M. Federici, Commentario sopra la vita e gli studi del conte G. Riccati nobile trivigiano, Venezia 1790, pp. 28, 62 s., 102, 115; Poesie sopra il vantaggio de' monti... Al... conte G. F. , Brescia 1793, pp. 3-4; F. Apostoli, Lettere sirmiensi per servire alla storia della deportazione de' cittadini cisalpini in Dalmazia ed Ungheria (pubblicate a Milano nel 1801), a cura di A. D'Ancona, Roma-Milano 1906, p. 150; La polizia austriaca a Milano e a Cattaro. Cenno storico scritto nella sua prigionia a Cattaro da un deportato, a cura di A. Monti, Milano 1914, pp. XXI, 45, 51; F. Gambara, Prose offerte da Francesco Gambara agli illustri ed amabili sposi Bartolomeo Fenaroli e Beatrice Maffei, Brescia 1823, pp. 51 ss.; Id., Ragionamenti di cose patrie ad uso della gioventù, V, Brescia 1840, p. 191; A. Sabatti, Dello stato delle strade bresciane avanti e dopo l'anno 1790..., in Commentari dell'Ateneo di Brescia, 1839, pp. 105-112, partic. p. 108; L. Tettoni, Notizie genealogico-storiche della nobile ed illustre famiglia Fenaroli di Brescia, estr. dal vol. VII del Teatro araldico, Milano 1846; P. Riccobelli, Memorie storiche della provincia bresciana e particolarmente delle Valli Sabbia e Trompia dal 1796 al 1814, Brescia 1847, p. 196; F. Odorici, Storie bresciane dai primi tempi sino all'età nostra, X, Brescia 1861, p. 116; L. Fè d'Ostiani, Delle illustri famiglie bresciane recentemente estintesi, I, Brescia 1890, pp. 65-79; Id., Brescia nel 1796ultimo della veneta signoria, Brescia 1908, pp. 24 s., 58; A. Zanelli, Primi indizi di rivoluzione nell'ordinamento municipale di Brescia nel 1792, Torino 1886; G. Fenaroli, Ilprimo secolo dell'Ateneo di Brescia 1802-1902, Brescia 1902, pp. 8, 14 s., 201, 371; A. Beltrami, Accademie bresciane anteriori all'Ateneo, in La Provincia di Brescia, 5, 12, 13 febbr. e 7 marzo 1902; A. Butti, Ideportati del 1799. A proposito di una nuova pubblicazione, in Arch. stor. lomb., s. 4, XXXIV (1907), pp. 379-427, partic. pp. 400, 412 s. (con alcune inesattezze); U. Da Como, Ilbresciano conte G. F. deportato politico nel 1800, in Rivista d'Italia, XXV (1922), 1, pp. 293-311; Id., La Repubblica Bresciana, Bologna 1926, pp. 46, 107, 110, 233; T. Franzi, Docc. inediti riguardanti i deportati cisalpini a Cattaro, in Atti d. XIII Congresso nazionale per la storia d. 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Gozza, La scienza musicale nel "Nuovo Giornale de' letterati d'Italia" (Modena 1773-1790), in Scienza e letteratura nella cultura italiana del Settecento, a cura di R. Cremante -W. Tega, Bologna 1982, pp. 381 ss.

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