GIUSSO, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSSO, Girolamo

Giovanni Brancaccio

Nacque a Napoli il 25 maggio 1843 nel palazzo Filomarino della Torre da Luigi e Maria Teresa Giusso, una lontana parente sposata in seconde nozze dal padre. Discendeva da una famiglia borghese di origine genovese arricchitasi con la mercatura e con iniziative finanziarie; il padre, infatti, si era trasferito a Napoli durante il decennio francese e aveva investito una parte della sua fortuna economica nell'acquisto di beni immobili, come il palazzo Filomarino, il castello angioino di Vico Equense e il feudo di Galdo nel Principato Citeriore. Rimasto orfano a sedici anni, il G. si dedicò all'amministrazione del suo cospicuo patrimonio; cercava intanto di formarsi una solida cultura umanistica senza però conseguire un titolo di studio.

Le sue prime iniziative ebbero carattere latamente sociale: nel 1864 fondò con il marchese A. Della Valle un istituto per fanciulli poveri di cui nel 1869 assunse la direzione impegnandosi in una lunga lotta per farlo riconoscere come ente morale; all'inizio degli anni Settanta fondò, su sollecitazione di Q. Sella, una sezione del Club alpino italiano; quindi diede un contributo decisivo a B. Capasso nella fondazione della Società napoletana di storia patria, e fu tra i promotori della costruzione della Stazione sperimentale per l'industria delle pelli, che a Napoli vantava antiche tradizioni e, pur con una struttura artigianale precapitalistica, assorbiva una ingente manodopera.

Cresciuto in una famiglia di tradizione cattolica, il G. si presentò alle elezioni comunali del 21 luglio 1878 nelle liste clerico-moderate che condussero un'accesa campagna moralizzatrice contro l'"allegra finanza" dell'amministrazione Sandonato. La vittoria ottenuta dall'eterogenea lista delle Associazioni riunite, nella quale figuravano anche esponenti della Sinistra e indipendenti, e il successo personale da lui riportato proiettarono il G. alla testa del Municipio (12 ag. 1878). Grazie anche al sostegno dell'arcivescovo G. Sanfelice, ebbe allora inizio uno dei momenti più felici, per stabilità e concretezza, della vita amministrativa napoletana.

Di tale esperimento politico-amministrativo, che suscitò grandi attese in quanti auspicavano con la soluzione dei principali problemi una riscossa morale della città, il G. fu il vero leader. Di fronte all'imminente pericolo di un inevitabile fallimento del Comune, si adoperò, sin dai primi giorni del mandato, per colmare lo spaventoso disavanzo di bilancio, inaugurando una politica di rigide economie fondata sulla sospensione di alcuni lavori pubblici, su una più efficiente regolamentazione dei servizi, su una rigorosa disciplina delle gare di appalto e delle tariffe dei prezzi delle opere pubbliche, sulla contrazione delle spese di rappresentanza e del personale, sulla soppressione di quattro convitti e soprattutto sull'aumento della tassa sul valore locativo. I risultati ottenuti, pur non risolvendo il problema del disavanzo, confermarono le capacità amministrative della classe dirigente napoletana e la disponibilità della cittadinanza a ulteriori sacrifici: in tal modo la questione dell'intervento dello Stato, da sempre fattore di accese polemiche sui torti subiti dalla città, perse anche ogni contenuto ideologico.

Nelle elezioni parziali del 1879, malgrado il rigore delle misure adottate, l'amministrazione Giusso si consolidò, ottenendo un vistoso successo sul blocco "nicoterino-sandonatista": concorse a ciò l'emozione suscitata dall'attentato subito dal G. a Roma il 24 luglio, quando, alla vigilia delle consultazioni, fu ferito da un ex dipendente del Comune di Napoli, licenziato nel 1872. Il successo elettorale, confermato dalle elezioni per il rinnovo del quinto nel 1880, rafforzando la compagine municipale accelerò il programma di risanamento del deficit, che registrò alla fine dell'anno una riduzione del 40 per cento. Presentando il bilancio, nel gennaio di quell'anno, il G. aveva dichiarato, ribadendolo qualche mese dopo in un memorandum al governo, che la causa principale, se non unica, del disavanzo risaliva all'applicazione del dazio-consumo, che costringeva Napoli a pagare il decimo di tutta l'esazione sebbene la sua ricchezza fosse notevolmente inferiore a quella percentuale e nonostante la sua popolazione rappresentasse appena la sessantesima parte di quella del Regno. La richiesta al governo di accollarsi un'aliquota degli oneri che ingiustamente gravavano sul bilancio comunale, di ridurre le proporzioni del canone daziario e di rendere meno soffocante il peso dei debiti contratti nel periodo portò alla legge del 14 maggio 1881, che convertiva e unificava i debiti già contratti e concedeva al Comune un prestito a basso tasso di interesse, consentendo alla giunta guidata dal G. di raggiungere il pareggio e di realizzare gran parte delle opere (porto, collegamento stazione ferroviaria - stazione marittima, trasporti pubblici, acquedotto del Serino) invero già avviate da G. Sambiase Sanseverino di Sandonato. L'insorgere di divergenze all'interno delle forze cattoliche sulla questione del legittimismo e dell'astensionismo e la formazione di una corrente di opposizione che faceva capo a N. Amore portarono il G. a rassegnare nell'agosto 1883 le dimissioni, confermate anche dopo che molti consiglieri le ebbero respinte promuovendo una raccolta di firme tra le quali figurò anche quella di F. De Sanctis.

Chiamato nello stesso anno alla direzione generale del Banco di Napoli, il G. mirò a potenziare il credito agrario e popolare e a estendere a tutto il paese l'azione dell'istituto con l'apertura di filiali nelle più importanti città italiane. Rinunziò all'incarico quando con le sue reiterate interferenze F. Crispi colpì l'autonomia dell'istituto ma non cessò il suo impegno nella promozione del credito fondiario e popolare come socio fondatore della Banca popolare cooperativa di Napoli, presieduta dal principe di Torella Giuseppe Caracciolo. Nel 1886 il G. fu eletto deputato nel collegio di S. Ferdinando, e ricoprì lo stesso seggio nella XVII legislatura, rappresentando poi dal 1890 fino al 1913 il collegio di Manfredonia - Monte Sant'Angelo.

Il contrasto col Crispi emerse nuovamente nel giugno 1895, quando il G. insieme con altri deputati chiese con una mozione la soluzione della grave questione morale che intralciava il lavoro parlamentare. Nel clima della repressione militare e giudiziaria di fine secolo che colpì anche uomini e organizzazioni di parte cattolica, il G., pur essendo un avversario convinto delle lotte del movimento operaio, attaccò la linea governativa di restrizione delle libertà politiche e sollecitò l'adozione di misure atte a rimuovere le cause del malcontento sociale.

Nel febbraio 1901 G. Zanardelli affidò al G. il ministero dei Lavori pubblici, dal quale egli si dimise l'anno dopo per un problema di coscienza determinato dal progetto di legge sul divorzio che il capo del governo aveva presentato su pressione delle correnti democratico-massoniche che lo sostenevano in Parlamento. Un ulteriore motivo di dissenso emerse quando il G., che come titolare dei Lavori pubblici si era occupato dell'ammodernamento delle infrastrutture del porto di Genova e della rete ferroviaria meridionale e aveva dato un impulso decisivo all'avvio della legislazione e dei finanziamenti per l'acquedotto pugliese, si oppose, perché contrario all'interventismo statale, al progetto giolittiano dell'esercizio pubblico delle ferrovie. Proprietario di vaste estensioni cerealicole nel Foggiano ma aperto alla introduzione di nuove tecniche produttive, il G. vide nell'acquedotto, oltre che un vantaggio per l'agricoltura, un mezzo di miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie.

Le convinzioni liberiste portarono il G. a scontrarsi con la difesa degli interessi della grande proprietà terriera pugliese sostenuta da A. Salandra, salvo poi a concordare con il suo avversario nella richiesta al governo di ridurre l'imposta fondiaria e portare a termine il catasto. Nel marzo 1903, come presidente dell'Associazione dei proprietari e agricoltori di Napoli, il G. inviò al presidente del Consiglio un documento in cui, con la riduzione dei dazi, chiese nuovi trattati commerciali a sostegno dell'esportazione delle eccedenze agricole, ma si oppose poi alla ratifica dell'accordo commerciale stipulato con la Spagna ravvisandovi un ulteriore danno per l'agricoltura meridionale.

La conoscenza delle campagne meridionali valse al G. la nomina (4 dic. 1906) a membro della commissione parlamentare sulle condizioni dei contadini e sulle cause dell'emigrazione. Declinò l'invito rivoltogli da Giolitti a entrare nel suo ministero, pur conservando con lui rapporti di cordialità. Come presidente della commissione parlamentare sulla marina militare, il G. aveva denunciato (luglio 1906) le gravi responsabilità dell'amministrazione in ordine all'acquisto di materiale scadente e, in contrasto con il suo intransigente liberismo, propose, per allestire una potente flotta militare, la creazione di "un'acciaieria di Stato". Allo stesso modo, sebbene continuasse a professarsi un liberista ortodosso, si oppose alla riduzione del dazio sul grano, paventando gravi conseguenze per l'agricoltura e per i proprietari meridionali.

Nel 1908, intervenendo sulla mozione Bissolati per l'abolizione dell'insegnamento della religione, difese con forza la libertà religiosa e sottolineò l'utilità della religione per lo Stato liberale, inteso come Stato etico. Nominato nel 1910 presidente del consiglio d'amministrazione dell'Acquedotto pugliese, il G. ottenne l'istituzione della commissione reale che, avvalendosi della consulenza di tecnici della cultura agronomica e ingegneristica (O. Bordiga, E. Perrone, A. Omodeo), studiò la possibilità di utilizzare le acque sotterranee per lo sviluppo della piccola irrigazione e la realizzazione di bacini idraulici per la costruzione di un sistema elettroirriguo. Presidente della sottogiunta pugliese dell'inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini meridionali, firmò nel 1911 la relazione finale, in cui, oltre ai problemi di rimboschimento, irrigazione e viabilità, condannò la grave piaga dell'analfabetismo e pose il tema del secolare pendolarismo fra campagna e città, proponendo la costruzione di case rurali. Sempre in difesa dell'iniziativa privata criticò poi il disegno di monopolio delle assicurazioni, etichettandolo come mera manifestazione del socialismo di Stato.

La decisione di non ripresentarsi alle elezioni del 1913 fece scoppiare un caso: mentre i suoi amici sostennero la tesi di un allontanamento forzato dalla politica, gli avversari parlarono di un accordo segreto per nominarlo senatore, cosa che in effetti avvenne il 16 ott. 1913. Il G. trascorse gli ultimi anni dedicandosi alla sua proprietà fondiaria e alla raccolta di reperti archeologici conservati nel castello di Vico Equense, dove si spense il 25 dic. 1921.

Tra i suoi scritti si ricordano: Sulla importanza che può avere la città di Napoli come centro internazionale di commercio, Napoli 1896; Della convenienza per l'Italia di stipulare con la Francia un trattato di commercio, ibid. 1897; Relazione della commissione reale per lo studio delle ferrovie complementari, Roma 1902.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Presidenza del Consiglio, Gabinetto, cat. 18, f. 19; Ibid., Carte Giolitti, b. 25, f. 67; vedi altresì gli Atti parlamentari della Camera e del Senato per le relative legislature e gli Atti del Consiglio comunale di Napoli per il 1878 e gli anni successivi. Sul G. leader dei clerico-moderati napoletani, cfr. Il Piccolo, 20 luglio 1878; sul suo programma di risanamento del bilancio, ibid., 2 ag. 1878; sui risultati delle elezioni, ibid., 27, 28, 29 luglio, 8 ag. 1878; sull'attentato da lui subito, cfr. La Nazione, 3 e 6 ag. 1879, e Il Piccolo, 4 ag. 1879; sull'eco suscitata dalla relazione sul pareggio del bilancio comunale, cfr. La Libertà cattolica, 16 e 17 luglio 1881; sui risultati delle elezioni comunali del 1882 e 1883, cfr. Il Piccolo, 1° ag. 1882 e La Libertà cattolica, 30 luglio e 4 ag. 1883. Sui contrasti con Salandra cfr. Il Giorno, 6 giugno 1900, nonché Roma, 8 giugno 1900. Sul G. sostenitore degli interessi agricoli pugliesi, cfr. La Puglia agricola commerciale, 26 aprile, 21 e 28 giugno 1903, 30 ott. 1904; sulla sua relazione della sottogiunta parlamentare, cfr. Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, III, t. 2, Relazione della sottogiunta parlamentare. On. G. Giusso presidente relatore, Roma 1911. Sulle sue proposte relative ai bacini idraulici, si veda: Commissione reale per gli studi e proposte relative ad opere di irrigazione. Prima relazione, Roma 1911; Commissione reale per gli studi e proposte relative ad opere di irrigazione. Seconda relazione, Roma 1913; sul caso Giusso, cfr. L'Unità, 14 apr. 1913. Si vedano inoltre: A. Scirocco, Politica e amministrazione a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, pp. 80 ss.; F. D'Ascoli - M. D'Avino, I sindaci di Napoli, I, Napoli 1974, pp. 259-284; F. Barbagallo, Stato, Parlamento e lotte politico-sociali nel Mezzogiorno. 1900-1914, Napoli 1980, ad indicem; A. Aquarone, L'Italia giolittiana (1896-1915), I, Le premesse politiche ed economiche, Bologna 1981, pp. 197, 219, 267; F. Mazzonis, Per la religione e per la patria. Enrico Cenni e i conservatori nazionali a Napoli e a Roma, Paler-mo 1984, passim; L. Mascilli Migliorini, La vita amministrativa e politica, in Napoli, a cura di G. Galasso, Roma-Bari 1987, pp. 167-177; L. D'Antone, Un problema nazionale: il Tavoliere, in La Puglia, a cura di L. Masella - B. Salvemini, Torino 1989, pp. 448-456; F. Grassi, Il sistema politico giolittiano in Puglia, ibid., pp. 684 ss.; R. Colapietra, Errico De Marinis: dalla sociologia alla politica, Salerno 1994, p. 121; G. Brancaccio, Primato di Napoli e identità campana nell'Italia unita, Lanciano 1994, pp. 65-77, 83-89.

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