TRIMARCHI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 96 (2019)

TRIMARCHI, Girolamo

Vincenzo Lavenia

– Nacque a Messina intorno al 1580 da una famiglia baronale nobilitata nel Quattrocento e forse fu fratello del medico Andrea.

Prese i voti nel convento di S. Francesco di Paola dell’Ordine dei minimi e più tardi fu lettore di teologia, di filosofia e di diritto canonico nello stesso cenobio. In quella veste, piuttosto avanti negli anni, pubblicò quella che risulta essere la sua prima, breve opera a stampa: il Legalis abortus seu juridica demonstratio (Matriti 1633).

Si tratta di un parere giuridico stilato per perorare il regresso tra i minimi di un frate domenicano e qualificatore del S. Uffizio spagnolo, il navarro Gabriel López, che a Madrid aveva lasciato l’Ordine di S. Francesco di Paola grazie a un breve di Urbano VIII (1627). Trimarchi lo giudicò illegittimo e nullo, esaltando la durezza della regola dell’Ordine dei minimi rispetto a quella dei domenicani (dell’affare fu investito anche il nunzio Cesare Monti).

In seguito frate Girolamo si trasferì a Nord, divenne definitore e poi vicario generale della provincia di Genova (cui scelse di affiliarsi il 30 settembre 1635), collaborando con il S. Uffizio della città ligure come censore di libri (mentre era giudice il domenicano Vincenzo Preti), come aveva fatto prima con l’Inquisizione di Sicilia (in veste di qualificatore). A quell’arco di tempo, durante il quale fu in stretto contatto con i confratelli Gabriele Pizzorno, Lorenzo de Peyrinis e Ignazio Orengo, insegnando al collegio genovese dei minimi di Gesù e Maria, risalgono le sue principali opere a stampa: una Juridica lucubratio pro divisione Siciliae a reliquo Italiae et Sardiniae, circa regimen sacrae religionis Sanctiss. Trinitatis redemptionis captivorum (Genuae 1634); il trattato De confessario abutente sacramento Poenitentiae (Genuae 1636); le Summulae seu Introductiones ad Logicam (Genuae 1636, anche se l’opera risulta conclusa nel 1633) e le Disputationes in libros Aristotelis meteororum (Genuae 1637), in cui si segnalano le pagine sui terremoti, ricche di osservazioni sui frequenti movimenti del suolo in Sicilia.

L’opera più significativa è senz’altro quella dedicata agli abusi dei sacerdoti nell’atto di amministrare la penitenza, ispirata dalla costituzione Universi Dominici gregis di Gregorio XV (30 agosto 1622) con la quale la Sede apostolica aveva commesso il dovere di indagare sull’adescamento sessuale durante la confessione ai vescovi e soprattutto agli inquisitori (che nella penisola iberica già da tempo si occupavano di quel peccato, assimilato dalla Chiesa tridentina all’eresia). Il timore di malevole denunce da parte delle penitenti, e soprattutto la volontà di preservare l’onore del clero, convinsero un gruppo di confessori a protestare con Roma chiedendo che le donne che avessero ceduto agli impulsi della carne fossero incriminate al pari dei sacerdoti che le avessero sedotte (1635). E forse fu quella la circostanza che spinse Trimarchi (consultato anche a livello locale, nella città di Genova, sul caso di un frate minore osservante) a scrivere il trattato, uno dei primi dedicati alla materia fuori dal suolo iberico. Nella sezione iniziale (pp. 1-20) il frate elenca gli autori (giuristi e teologi) che si sono occupati del problema e dice di avere iniziato l’opera anni prima, a Palermo. Riporta i documenti pontifici dedicati agli abusi commessi dai confessori, partendo da una lettera apostolica di Pio IV destinata all’Inquisizione spagnola fino alle costituzioni di Paolo V per i giudici della fede portoghesi, pubblicando anche le disposizioni del S. Uffizio romano dal tempo di Clemente VIII fino a Urbano VIII e alcune lettere della congregazione dei cardinali inquisitori giunte al tribunale della fede di Genova. Si domanda se i superiori degli Ordini religiosi debbano sottostare all’obbligo di denuncia, se la Universi Dominici gregis valga anche per le terre sottoposte alla giurisdizione del S. Uffizio spagnolo e, più in generale, come affrontare la questione della delazione da parte delle donne adescate, che (come i maschi, precisa più volte, p. 126) devono essere invogliate a rivelare il peccato ai giudici di foro esterno dai confessori cui abbiano raccontato degli abusi subiti da altri sacerdoti o dai propri direttori spirituali. Trimarchi affronta inoltre la minuta casistica dei doni, dei gesti, delle parole, delle scritture, dei toccamenti che possono definirsi come sollecitazione vera e propria anche senza il compimento di atti sessuali completi (o al di là del momento circoscritto della confessione sacramentale). E precisa che non spetta alla donna, specie se incolta, di comprendere la gravità dell’intenzione del sacerdote con cui è venuta in contatto; piuttosto sarà il confessore che ne ascolterà la rivelazione a dovere discernere se si sia trattato di un adescamento, e in caso positivo a dovere spingere la penitente alla denuncia davanti al giudice della fede. Infatti, ribadisce Trimarchi, la donna sollecitata (si tratti anche di una nobile o di una religiosa) ha l’obbligo di denunciare al foro esterno sotto pena di peccato mortale e sotto minaccia di scomunica latae sententiae, come accade con ogni fattispecie di crimine ereticale di cui il fedele abbia notizia; può tuttavia delegare quel compito gravoso a un confessore, per iscritto, e non è tenuta a rivelare se ha consentito o meno alle profferte ricevute. Il sacerdote riconosciuto colpevole dovrà abiurare de vehementi ed essere condannato al servizio nelle galere per cinque anni, a meno che non abbia ceduto a insistenti profferte da parte della penitente: una circostanza che attenuerà ma non cancellerà la pena. Il castigo riguarderà anche il laico che si finga confessore per adescare e persino gli alti esponenti della gerarchia ecclesiastica: nunzi, vescovi, cardinali, generali degli Ordini. Quanto al dubbio se anche la donna sollecitante debba sottostare alle stesse pene del confessore, Trimarchi si pronuncia per il no, sottolineando che le costituzioni pontificie hanno lo scopo di colpire gli abusi del clero nell’amministrazione dei sacramenti, e non i peccati, per quanto gravi, dei fedeli.

Dopo la rivolta di Palermo e quella napoletana di Masaniello, nel settembre del 1648 Trimarchi fu coinvolto nell’affare dell’affronto inflitto da Messina al legato di Palermo Pietro Valdina, non ricevuto dai senatori della città mentre andava incontro a don Juan José de Austria, nuovo viceré di Sicilia (Palermo, Biblioteca comunale, Misc. XLVI.G.45.7: Copia d’una risposta mandata da don Ferdinando Comitelli al signor Nicolò Dattilo, nella quale si contengono le cagioni, perché dall’illustrissimi senatori della nobilissima, & esemplare città di Messina don Gioseppe Stayti, don Giovanni Di Gregorio, Vincenzo Calabro, don Antonio Ruffo, et Antonino Di Leo non fù ricevuto, & accompagnato il signor d. Pietro Valdina principe di Valdina, come ambasciadore della città di Palermo, nell’ambasciaria à S.A. Serenissima il Signor D. Giouan d’Austria, Cosenza [ma Messina] 1648; sul frontespizio delle 6 carte si legge una nota manoscritta: «Questa lettera si è del P. Gerolamo Trimarchi Messinese religioso di S. Francesco di Paola»; l’opera meritò una replica da parte del palermitano Giuseppe De Voglia). E fu forse per sanare i dissidi tra la città natale e la corte di Filippo IV, o più probabilmente per affari interni all’Ordine dei minimi, che Trimarchi dovette recarsi in Spagna.

Sempre nel 1648, al rientro, morì durante una sosta a Cagliari.

Opere. Oltre a quelle citate, gli antichi repertori bibliografici gli attribuiscono anche la stesura di opere di cui non abbiamo altro riscontro: i Commentaria in caeremonias Ordinis Minimorum; un De horis canonicis; un De praeceptis Ecclesiae; un De methodo studendi; un corso di filosofia. Secondo Domenico Schiavo (1756), prima del 1642, per rispondere alle posizioni di un prelato siciliano e per incarico del cardinale Giovanni Doria, arcivescovo di Palermo, Trimarchi avrebbe scritto anche una Lucubratio – la cui stampa non riportava indicazioni di luogo – per dimostrare l’obbligo canonico per ogni vescovo della Sicilia di recarsi a Roma ogni tre anni e di inviare una relazione ad limina sullo stato della propria diocesi. François La Noue (Chronicon generale Ordinis Minimorum, 1635) accenna al fatto che per scrivere la sua storia dei minimi aveva attinto a un repertorio stilato da Trimarchi (forse un abbozzo) con le vite degli uomini illustri dell’Ordine.

Fonti e Bibl.: F. La Noue, Chronicon generale Ordinis Minimorum, Lutetiae Parisiorum 1635, p. 593; P. Samperi, Iconologia della gloriosa Vergine madre di Dio Maria, protettrice di Messina, Messina 1644, p. 154; P. Reina, Delle notitie istoriche della città di Messina seconda parte, Messina 1668, p. 521; B. Maggiolo, Vite dei primi compagni del glorioso patriarca de’ Minimi S. Francesco di Paola, con le vite e memorie d’altri religiosi e religiose, Genova 1678, p. 122; Diari della città di Palermo dal secolo XVI al XIX, a cura di G. di Marzo, III, Palermo 1869, Diario di Vincenzo Auria, pp. 334-337.

A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, II, Panormi 1708, p. 287; D. Schiavo, Memorie per servire alla storia letteraria di Sicilia, II, 1, Palermo 1756, pp. 13 s.; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, II, Palermo 1881, p. 433; G.M. Roberti, Disegno storico dell’Ordine de’ Minimi dalla morte del santo istitutore fino ai nostri tempi: 1507-1902, II, Roma 1908, pp. 504-506; G. Ruffini, Sotto il segno del Pavone. Annali di Giuseppe Pavoni e dei suoi eredi, 1598-1642, Milano 1994, ad ind.; A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari, Torino 1996, pp. 537 s.; M. Craig, Alchemy and the Renaissance commentary tradition on ‘Meteorologica IV’, in Ambix, 2004, vol. 51, n. 3, pp. 245-262.

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