ZENTI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 100 (2020)

ZENTI, Girolamo.

Patrizio Barbieri

– Nacque a Viterbo intorno al 1609-1611 da Francesco. Non è noto il nome della madre.

Fu il più noto cembalaro italiano del suo tempo, con sporadica attività anche come organaro. Ancora nel 1741 un manoscritto riporta che ebbe «plauso universale per il suo argento, e quantità d’armonia» (Mischiati, 1972, p. 106). Alcuni suoi cembali sono oggi riprodotti in copia da diversi costruttori.

La sua attività romana viene segnalata a partire dal 1635, anno in cui fornì un cembalo a don Taddeo Barberini, nipote di Urbano VIII. Nel 1641 venne ufficialmente nominato manutentore degli strumenti da tasto della famiglia Barberini, succedendo a Giovanni Battista Boni da Cortona, deceduto il 2 giugno di quell’anno (la circostanza che la moglie di Boni fosse Elizabetta Zenti, zia di Girolamo, fa ritenere assai probabile che quest’ultimo si sia formato alla scuola del celebre zio). Ricoprì poi lo stesso incarico presso i principi Pamphili (1645-46), per i quali costruì almeno un cembalo. Sull’onda della fama acquisita in Roma, operò anche all’estero: a Stoccolma (alla corte di Cristina di Svezia, 1652/53-1656), a Parigi (1660-circa 1662, 1666-67) e a Londra (1664, in qualità di virginal maker di Carlo II). Prima di trasferirsi in Svezia la sua vita fu però piuttosto travagliata e forse disordinata. Nel periodo 1641-50 vengono infatti segnalati alcuni debiti da lui contratti, con relative richieste di dilazione (Barbieri, 1989, pp. 155 s.). L’indubbia fama di cui già allora godette come costruttore venne comunque confermata nel 1650, quando un influente prelato portoghese, Vincenzo Noghera (Noguera), gli commissionò un complicato clavicembalo cromatico-enarmonico da spedire a Giovanni IV del Portogallo per ingraziarselo, sapendo che il monarca era assai interessato alla cosa: si trattava del cembalo triarmonico, dotato di tre tastiere e tasti ‘spezzati’, ideato da Pietro della Valle; questi prevenne tuttavia lo scaltro prelato, facendo costruire analogo strumento da un cembalaro di sua conoscenza (Pietro Polizzino), talché Zenti dovette restituire a Noghera l’anticipo già ricevuto, di ben 76,90 scudi. Tra i suoi lavoranti, tre si distinsero in particolare: Andrea Testa (che nel 1664 gli succedette alla corte inglese), Giovanni Battista Giusti (un suo magnifico cembalo è custodito a Bologna, nella collezione Luigi Ferdinando Tagliavini) e Carlo Perelli.

Sposato con Antonia Cafaggi (nata intorno al 1620), a Roma Zenti figura inizialmente con bottega nella zona di via del Pavone; dopo il ritorno dalla Svezia si spostò definitivamente nei pressi dell’ospedale di S. Spirito. Con lui è registrata anche la sorella Camilla, vedova del pittore Francesco Sabbatini (autore, fra l’altro, degli affreschi della chiesa di S. Rosa, a Viterbo). Nella sua bottega compare anche il pittore Carlo Reggio (noto anche come Carlo Raimo), marito di una figlia del summenzionato Boni. Raimo fu probabilmente suo collaboratore, dato che alcuni suoi strumenti erano riccamente decorati. La spinetta traversa costruita da Zenti nel 1637, ossia quando lavorava già con i Barberini, presenta infatti un elaborato dipinto raffigurante ninfe, pastori e satiri che danzano e suonano strumenti intorno a un’erma del dio Priapo (Ripin, 1973, pp. 76 s.). Un annuncio di vendita parigino del 1753 riguarda inoltre un «clavecin à ravallement de Gerolamo de Sentis. L’enlèvement des Sabines est peint en dehors et de grands morceaux d’architecture ornent le dedans» (Boalch, 1956).

Morì a Parigi, alla fine del 1666 o ai primi del 1667. Lo si desume dal fatto che dal 1660, nella sua bottega di Roma, oltre ai lavoranti i censimenti annuali registrano solo la moglie: ma in quello effettuato nella quaresima del 1667, l’ultimo in cui compare detta bottega, Cafaggi risulta vedova. Che il decesso sia avvenuto a Parigi è testimoniato da un documento di Stato inglese del 1668, in cui Testa, suo successore alla corte londinese, chiede di ricevere il salario che era stato di Zenti, in quanto quest’ultimo era morto «a Parigi, al servizio del sovrano francese» (Ripin, 1973, p. 72).

Data la sua fama, già dal Settecento molti suoi strumenti risultano essere contraffatti. Di quelli attualmente noti che portano il suo nome, solo cinque sono oggi ritenuti autentici (Ripin - Wraight, 2014): tre cembali e due spinette, una delle quali del tipo bentside, ossia spinetta traversa. Sempre riguardo alla sua produzione, un inventario dei beni di Ferdinando de’ Medici (1700) elenca sei suoi strumenti: tre cembali (1653, 1656, 1658), due spinette e uno spinettino. Il cembalo del 1658 disponeva di «tre registri, cioè due principali unisoni et ottava bassa» (con il termine unisono a quei tempi si intendeva designare un registro all’unisono con la voce umana, cioè il principale 8′); la sua lunghezza, superiore ai tre metri, conferma che doveva essere dotato di un registro di 16′ (Gai, 1969; Montanari, 2009). A detta di qualche studioso, tale strumento andrebbe identificato con quello, poi portato a tre tastiere dal famoso falsario Leopoldo Franciolini, che oggi si conserva nel Deutsches Museum di Monaco di Baviera; il registro grave essendo sicuramente originale, esso sarebbe allora l’unico clavicembalo italiano, attualmente noto, dotato di un registro di 16′ che parte dal do gravissimo (Wraight, 1991, p. 101). Sempre con riferimento all’inventario del 1700, una delle due spinette era armata con «corde d’oro», e presen­ta caratteristiche più tipiche della scuola francese che dell’italiana; firmata e datata «Hyeronimus de Zentis fecit Parisijs anno Domini 1668» (Gai, 1969, p. 7; Montanari, 2009, p. 139), dovette essere completata nella sua bottega dopo la morte. Va osservato che l’alta densità di tale nobile metallo permetteva di ridurre l’inarmonicità e soprattutto la lunghezza delle corde gravi, e quindi l’ingombro dello strumento, cosa assai vantaggiosa per le spinette. Un’altra sua spinetta similmente armata è segnalata nell’inventario della regina Cristina: essa presentava una notevole estensione (che andava dal sol grave al do sovracuto, per complessive quattro ottave e mezza), con ottava grave di tipo corto, con il secondo tasto nero spezzato per il si/mi bemolle. Zenti, come il suo allievo Giusti, costruì anche spinette a due manuali: quello superiore con un 4′, mentre quello inferiore poteva offrire sia la combinazione 8′ + 4′, sia, se spinto in dentro, il solo registro di 8′.

Sempre riguardo alle spinette, quella del 1637 risulta essere il più antico esemplare pervenutoci del tipo detto bentside. È quindi probabile che di tale tipo Zenti sia stato l’inventore, dato che di un possibile precedente esempio (di un costruttore francese, un tal Montazeau, 1632) nulla si sa di preciso. Probabilmente a essa si riferisce Giovanni Andrea Angelini-Bontempi che, ancora nel 1695, nella sua Historia musica (Perugia, p. 47), lo menziona come autore dei «più moderni» clavicembali (ma poi fornisce una descrizione piuttosto confusa d’un suo strumento). Oltre alle limitate dimensioni, tale tipo di spinetta introduceva un’importante innovazione tecnica: contrariamente alla vecchia spinetta trapezoidale (arpicordo), le corde più gravi erano poste sul lato opposto alla tastiera, talché la fila dei salterelli poteva essere disposta quasi parallelamente a quest’ultima, con il risultato di ottenere sia un tocco più uniforme sia un’emissione più vicina a quella del clavicembalo (lo stesso Angelini-Bontempi, nel passo citato, precisa che tali sue spinette «rendono tanta harmonia quanta ne rendono i clavicembali lunghi, di dui e tre registri»). Grazie a queste caratteristiche la bentside ebbe grande diffusione nel Settecento, e cadde in obsolescenza solo con l’avvento del pianoforte a tavolo.

La notevole sonorità degli strumenti di Zenti trova conferma nei carteggi intercorsi tra Parigi e Roma durante i preparativi dell’Ercole amante di Francesco Cavalli, l’opera epitalamica da rappresentare nel vastissimo e sordo teatro delle Tuileries di Parigi (1662): non essendo i clavicembali francesi abbastanza sonori, ne furono fatti venire da Roma due grandi, assieme a un artigiano esperto nell’arte di costruire tali strumenti, appunto Zenti (Prunières, 1913). Già comunque quindici anni prima questi aveva ricevuto dal cardinal Antonio Barberini cinque scudi «per lavori fatti» a due «cimbali grandi» da «mandarsi in Francia» (Biblioteca apostolica Vaticana, Archivio Barberini, Giustificazioni I, vol. 243, c. 39, 9 sett. 1647).

Di Zenti in quanto organaro si segnala un solo strumento, che nel 1671 fu trasferito da Roma a Siena per essere installato in cattedrale, nella cappella del Voto (Tagliavini, 2000). Esiste inoltre un contratto del 1660, stipulato con Camillo Pamphili, nipote di papa Innocenzo X, per un grande organo su base 16′ da costruirsi per la chiesa di S. Agnese in Agone, in piazza Navona a Roma, cappella privata del principe. A causa del suo successivo trasferimento a Parigi i lavori si dovettero però arrestare ai mantici e al somiere, tanto che nel 1665 Pamphili gli fece causa e l’anno dopo affidò l’opera al celebre organaro gesuita Willem Hermans, che la reimpostò su criteri radicalmente nuovi. Curatore dei lavori fu però, sia con Zenti sia con Hermans, l’organaro Matteo Marione, che compare stabilmente nel laboratorio romano del cembalaro viterbese anche negli anni in cui questi operò a Parigi.

Fonti e Bibl.: H. Prunières, L’opéra italien en France avant Lulli, Paris 1913, p. 243 ; D.H. Boalch, Makers of the harpsichord and clavichord 1440-1840, London 1956, p. 133; V. Gai, Gli strumenti musicali della corte medicea e il museo del conservatorio Luigi Cherubini di Firenze, Firenze 1969, pp. 6-8; O. Mischiati, Documenti d’archivio: un elenco romano di cembalari redatto nel 1741, in L’organo, X (1972), pp. 105 s.; E.M. Ripin, The surviving oeuvre by G. Z., in Metropolitan Museum journal, VII (1973), pp. 71-87; D. Costantini - A. Magaudda, Musica a Messina in casa Ruffo, in Rivista italiana di musicologia, XX (1985), pp. 277-295; F. Hammond, Some notes on Giovanni Battista Boni da Cortona, G. Z., and others, in The Galpin Society journal, XL (1987), pp. 37-47; P. Barbieri, Cembalaro, organaro, chitarraro e fabbricatore di corde armoniche nella “Polyanthea technica” di Pinaroli (1718-32), in Recercare, I (1989), pp. 123-209; L. Lindgren, Cembalari e compositori per clavicembalo nella corrispondenza di Giovanni Giacomo Zamboni, ibid., pp. 211-223; S. Pollens, Three keyboard instruments signed by Cristofori’s assistant, Giovanni Ferrini, in The Galpin Society journal, XLIV (1991), pp. 77-93; D. Wraight, A Z. harpsichord rediscovered, in Early music, XIX (1991), pp. 99-102; D.H. Boalch, Makers of the harpsichord and clavichord, 1440-1840, a cura di C. Mould, Oxford 1995, pp. 212 s.; L.F. Tagliavini, Il fiffaro o registro delle voci umane. Origine ed evoluzione dei registri battenti, in L’Organo, XXXIII (2000), p. 128; E.M. Ripin - D. Wraight, Z., G., in The new Grove dictionary of music and musicians, London 2001, XXVII, pp. 793 s.; P. Barbieri, More on the Italian activity of the Jesuit organ builder Willem Hermans, 1650-1674, in The organ yearbook, XXXIV (2005), pp. 61-94; Id., Pietro della Valle: the “Esthèr” oratorio (1639) and other experiments in the ‘stylus metabolicus’, in Recercare, XIX (2007), pp. 83-85; L. Purchiaroni, G. Z. and Giovanni Battista Boni da Cortona: an unsuspected relationship, in The Galpin Society journal, LX (2007), pp. 63-70; G. Montanari, The keyboard instrument collection of grand prince Ferdinando de’ Medici at the time of Alessandro and Domenico Scarlatti’s journeys to Florence, 1702-1705, in Domenico Scarlatti en España, a cura di L. Morales, Almería 2009, pp. 117-141; P. Barbieri, I cembalari della Roma di Bernardo Pasquini, in Pasquini symposium 2010, a cura di A. Carideo, Trento 2012, pp. 139-153; E.M. Ripin - D. Wright, Z., G., in The Grove dictionary of musical instruments, V, Oxford 2014, p. 374.

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