Giubileo e Roma

Il Libro dell'Anno 2000

Francesco Rutelli

Giubileo e Roma

Che da l'un lato tutti hanno la fronte…

e vanno a Santo Pietro

Roma e il Grande Giubileo del 2000

di Francesco Rutelli

24 dicembre 1999 - 6 gennaio 2001

Come è avvenuto in occasione di tutti gli Anni Santi, anche il Giubileo del 2000 è stato un evento importante non solo per gli aspetti propriamente religiosi e spirituali, ma anche dal punto di vista organizzativo, urbanistico e culturale. Roma si è preparata in tal senso con significativi interventi atti a migliorare la qualità delle infrastrutture, delle strutture di accoglienza dei visitatori e dell'offerta culturale e turistica in genere. I lavori sono stati coordinati dal Sindaco della città, Francesco Rutelli, che dal dicembre 1997 ha rivestito anche l'incarico di Commissario straordinario del Giubileo.

Una grande sperimentazione

Non è cosa agevole tracciare un 'consuntivo' del Giubileo del 2000 a Roma, riassumere in breve il senso di un simile evento e la sua complessità. Molti infatti sono stati nel corso di questi anni i fattori in gioco, molte le prospettive delineatesi, innumerevoli le interazioni tra le diverse tessere che hanno composto il mosaico. Ma la ricchezza e la complessa articolazione del fenomeno-Giubileo non hanno reso sfuggente la percezione dell'evento nella sua totalità: fatto di molte cose e di molti piani di realtà (dal dibattito teologico alle questioni organizzative minute), l'Anno Santo 2000 si è già guadagnato un'immagine diffusa molto 'compatta', unitaria e anche - se le convergenti rilevazioni della pubblica opinione non mentono - sostanzialmente positiva. Di norma, quando ciò accade, è perché dietro un fatto si sente la presenza di un'idea-guida, o di un assieme di idee bene armonizzate. Se questo è vero e se dunque esiste un punto di vista coerente da cui osservare le diverse facce del fenomeno, allora stilare un pur sommario rendiconto non appare impossibile. Qual è l'idea-guida che è stata dietro a questo Giubileo? Non mi riferisco ovviamente agli aspetti religiosi e spirituali, ma a quelli civili e laici, per i quali ho avuto cospicue responsabilità. Anche se va subito sottolineata l'eccellente riuscita della collaborazione tra autorità civili e religiose: lo spirito di servizio delle prime ha correttamente supportato le iniziative volute da papa Giovanni Paolo II con un richiamo morale di eccezionale respiro. Il filo conduttore che lega le tappe successive e i molteplici versanti dell'operazione civile del Giubileo in un assieme coeso è stato un vasto esperimento su scala metropolitana, dispiegato lungo un arco temporale di alcuni anni, un esperimento che ha coinvolto buona parte dei settori in cui normalmente si articola la vita dell'organismo-città, dall'urbanistica all'economia, dal turismo all'uso del patrimonio storico. Questo esperimento si è innestato su processi di trasformazione già in atto, imponendo a volte ripensamenti, altre volte accelerazioni, sempre e comunque una forma mentis straordinaria, nel senso stretto di non-ordinaria, non legata alla routine e tale da imporre azioni quasi mai individuali ma quasi sempre concertate, compiute da più soggetti sulla base di una visione d'assieme. E, poiché parliamo di Roma, ci si è mossi con l'occhio sempre rivolto alla compatibilità fra tali azioni e il rispetto dovuto a un'eredità davvero monumentale, che nessuno può pensare di subordinare ad altre istanze, pur forti e decisive. Anzi, si è agito cercando di oltrepassare un semplice 'principio di conciliazione' per far sì che l'intervento presente e l'eredità antica si giovassero l'uno dell'altra: non escludendosi, né semplicemente 'coabitando', ma potenziandosi a vicenda. Insomma, il Grande Giubileo del 2000 è stato per Roma il banco di prova della modernizzazione compatibile, conciliata con il rispetto per il patrimonio storico della città. Se abbiamo appreso dalla storia recente delle città che l'acceleratore costituito da un evento, pur potendo tradursi in una trappola, in molti casi costituisce l'occasione per tagliare traguardi impegnativi in modo condiviso e più efficace, per Roma l'Evento del 2000 è stato il grande banco di prova per la valorizzazione più compiuta della città del passato e la sua riconciliazione con le prospettive future.

A proposito di condizioni strutturali, Roma ha un carattere assolutamente specifico, che esiste da sempre e da sempre ne condiziona il destino: la perenne 'riformulabilità' dell'esistente, che si può modificare e destinare a nuove funzioni, mai davvero distruggere per sostituirlo con il nuovo. Roma 'funziona' effettivamente così: molto accogliendo, molto metabolizzando, tutto sintetizzando, nulla eliminando. Da quasi tre millenni, la città vive applicando su scala urbana il 'nulla si crea, nulla si distrugge' della fisica democritea. Ciò vale per ogni aspetto: dall'edilizia (i materiali di epoca imperiale che diventano parti di chiese o anche di umili botteghe) all'architettura (il riuso infinito e la risemantizzazione di centinaia di spazi urbani), all'urbanistica (tra gli innumerevoli esempi, il circo di Domiziano che fa da base e tema formale per l'edificazione di una delle più singolari piazze d'Europa), alla vita civile e culturale, in cui ogni novità non ha mai soppiantato, ma sempre integrato, la matrice classico-cristiana (già in sé frutto di sintesi, una tra le più complesse e cruciali della storia occidentale). Questa vocazione ha chiaramente un duplice effetto: per un verso, predispone Roma a essere per eccellenza il laboratorio della fusione e della contaminazione, il luogo ideale per sperimentare incroci altrove impossibili; e lo si vede bene anche oggi con i flussi migratori dai paesi, che scoprono in Roma, al di là di qualche caso isolato d'intolleranza, una delle città più disponibili a farsi percorrere da culture altre. Per altro verso, impedisce che il cambiamento assuma la forma della catarsi, della rinascita in forme assolutamente nuove. Se Roma non ha conosciuto modernizzazioni a tutto campo e a suon di ruspe, se non è mai esistito un equivalente nostrano di Haussmann che spiana la vecchia Parigi per rifarla selon l'esprit du siècle, non è solo per l'ipoteca dell'antico da preservare - che tra l'altro ha agito molto meno in passato - o per la fame di guadagno facile e immediato di certa impresa piratesca, interessata per sua natura a interventi di corto respiro, ma per un incrocio particolare di fattori: un innato senso della traccia da mantenere, un diffuso gusto del collage di stili e di apporti, il limite strutturale dell'Italia moderna aliena dalle grandi sfide della trasformazione, il dominio 'fisico' della dimensione dell'antico, in una metropoli che è tornata a raggiungere il milione di abitanti solo diciotto secoli dopo il fulgore dell'Impero. Roma non è mai stata fino in fondo amica né nemica del nuovo, ma è, per così dire, affascinata dalle possibilità combinatorie e sedimentarie tra ingredienti e strati diversi. In sé non è né un pregio, né un limite: è un carattere. Trattandosi di carattere intrinseco della città, ogni tentativo di aggirarlo non è attuabile e non può comunque funzionare. A ben vedere, non è neppure auspicabile, poiché quel carattere (ovviamente depurato dagli aspetti deteriori) è anche un seme formidabile, potenzialmente molto produttivo: è partendo da esso che si può, per es., delineare un ruolo estremamente interessante per la Roma del terzo millennio, quello di crocevia euro-mediterraneo, cerniera di dialogo tra i quattro punti cardinali del mondo.

Posto dunque che a Roma, in qualsiasi caso, ogni processo di modernizzazione deve fare i conti con l'esistente, puntando alla sintesi con esso, e che questo passaggio obbligato è sia culturalmente irrinunciabile sia utile, resta comunque un dato inoppugnabile: per Roma l'innovazione - e dunque l'ingresso a pieno titolo nella dimensione delle metropoli contemporanee - è strutturalmente più ardua che in altre città: Berlino o New York, metropoli fondate, per così dire, sul principio del cambiamento, si trasformano, sì, in virtù di interventi complessi, ma senza dover passare la dogana delle compatibilità storiche, è la loro stessa storia a prevedere rigenerazioni cicliche, anche se solo parziali; sono le città in cui il cantiere ha perfino un suo autonomo significato, è esso stesso un pezzo di metropoli in divenire. A Roma è il contrario: ogni intervento va misurato sul metro di una storia gelosa, che ammette solo - come ho detto - integrazioni e mai sostituzioni. Ed è oggettivamente difficile, molto difficile, dare respiro e senso a un cantiere aperto, che tutti, anche i turisti, inevitabilmente percepiscono come un intruso capitato per errore nel labirinto della memoria. Per inciso, è per questo che si è tentato di 'romanizzare', nel corso dei lavori cui il Giubileo ha dato impulso, il metodo nordeuropeo del cantiere-segno: l'iniziativa del Campidoglio I cantieri della memoria ha fatto di numerosi cantieri, molti di scavo archeologico, altrettante occasioni per invitare i passanti a soffermarsi sulla storia dei luoghi interessati dai lavori, attraverso una serie di testimonianze letterarie fisicamente collocate sulle recinzioni delle aree d'intervento; materiali di diverse epoche, ma sempre di forte pregnanza nel ricostruire l'ambiente passato di quei luoghi che i cantieri aperti hanno inteso riscoprire e valorizzare. L'esperimento ha avuto successo, a testimonianza di un atteggiamento positivo della città nei confronti di modelli non del tutto propri, purché rivisitati alla luce della specificità romana, attingendo al vasto fondale di miti e tradizioni autoctone.

Gli interventi urbanistici

Roma ha 'tollerato' centinaia di cantieri in attesa del Giubileo, moltissimi in centro e non pochi in periferia. Quelli strettamente finanziati con gli stanziamenti della legge nr. 651 del 1996 (sugli interventi straordinari per l'Anno Santo) si sono aperti a partire dal settembre 1997, quando i primi fondi sono stati concretamente erogati. Ma già da alcuni anni la capitale si era abituata a convivere con i cantieri, inevitabile scotto da pagare al miglioramento della città. L'impatto, pertanto, c'è stato, ma non ha avuto le dimensioni catastrofiche temute da molti. Per evitarle si è cercato di distribuire i lavori nel tempo e nello spazio, scongiurando possibili saturazioni. D'altro canto, la stessa legge ha vincolato l'uso dei fondi al rispetto di tempi e precise modalità. Non sono mancati alcuni ritardi, qualche falla si è aperta, in qualche caso si sono incontrati ostacoli che hanno suggerito di dirottare le risorse su altri obiettivi. Ma le 'patologie locali', date l'entità dello sforzo e la sua novità per Roma, erano nel conto. Nel complesso, i cantieri pre-giubilari hanno fatto da acceleratore a un'importante serie di tendenze già in atto nei settori dell'edilizia, della manutenzione e delle opere pubbliche: per la Pubblica Amministrazione committente, pianificazione, sistematicità d'intervento, coordinamento tra i diversi soggetti chiamati a intervenire; per le imprese, revisione in chiave europea dei metodi di lavoro e del modo di stare sul mercato; infine, diffusione a macchia d'olio della partnership pubblico-pubblico e pubblico-privato, ovvero una spinta crescente a progettare e investire insieme, a ricercare terreni d'intesa piuttosto che arroccarsi dietro i bastioni delle competenze burocratiche o dei reciproci sospetti. Nuove prassi, queste, che sono l'esatto contrario di ciò che si è ritenuto comunemente sul Roman way of building fatto di soldi a pioggia, subappalti più o meno parassitari, gelosie tra diverse amministrazioni, occasionalità, individualismo. Dei 13.000 miliardi che sotto il coordinamento del Comune si avevano a disposizione non si è sprecato nulla: i circa 2700 miliardi destinati alla città dalla legge 651 ne sono stati parte decisiva, ma inferiore a tanti investimenti ordinari coordinati tra loro. La parte più ampia è andata in opere che restano alla città, dai nuovi reparti di pronto soccorso degli ospedali alle tratte ferroviarie urbane, dalle due gallerie stradali presso Castel Sant'Angelo al restauro delle facciate dei palazzi di abitazione (128 miliardi di incentivi a proprietari e condomini, 2400 restauri, un rigido capitolato per l'uso dei colori di rivestimento in centro storico), fino ai 359 nuovi bagni pubblici, di cui 88 per disabili: si tratta di opere grandi e piccole, nel loro complesso necessarie per innalzare il livello di qualità e di vivibilità della capitale. La tranche relativamente maggiore dei fondi giubilari assegnati al Comune di Roma è stata investita nel plesso accoglienza-sanità-igiene-risanamento ambientale-sicurezza. Ogni intervento si è inquadrato in 'filoni' già avviati, in una strategia complessiva che da anni punta a dotare Roma di servizi migliori: i 1081 miliardi investiti nel trasporto pubblico, per es., sono arrivati come un'utile integrazione a un programma che in cinque anni aveva già messo in campo risorse per 9000 miliardi, di cui 7500 per i mezzi su rotaia; questi fondi, a loro volta integrati da investimenti dell'Azienda comunale dei trasporti (ATAC), hanno prodotto un aumento del parco mezzi pari a 400 autobus e 18 nuovi tram ad alta capacità, oltre alle nuove ferrovie a due piani: progressi misurabili nella vita di ogni giorno, come i bus delle linee 'J', gestiti da privati e presto integrati nella rete dei trasporti. Si sono realizzate opere assai rilevanti: la ferrovia Viterbo-S. Pietro è la più importante linea ferroviaria regionale realizzata in Europa negli ultimi anni. E le gallerie sotto l'Appia Antica, lungo il Grande Raccordo Anulare e sotto il Gianicolo sono le più lunghe costruite a Roma. Buona parte degli investimenti, e senz'altro i più cospicui, sono stati cofinanziati dal Comune, dallo Stato, da altri enti pubblici, da privati: la terza corsia nel tratto sud-est del Raccordo Anulare e lungo l'autostrada Roma-Fiumicino è frutto di investimenti ANAS integrati da fondi del Giubileo; gli speciali 'compattatori' per la raccolta dei rifiuti in centro storico sono stati acquistati con fondi sia giubilari sia dell'AMA, l'azienda che con quei mezzi opera. Il grande rinnovamento della stazione Termini, già avviato negli anni precedenti dall'amministrazione capitolina che aveva ridisegnato per intero il piazzale, si è compiuto grazie alle risorse sia del Giubileo, con cui il Comune ha restaurato la cosiddetta 'ala mazzoniana', sia delle Ferrovie dello Stato e della società Grandi Stazioni, che hanno rifatto l'impianto interno dotandolo di nuovi servizi e del nuovo centro commerciale. Risorse che generano risorse: l'ingresso di partner privati nella gestione della stazione è in realtà una grande operazione di messa a reddito degli investimenti compiuti. Così è avvenuto anche, su dimensioni inferiori, alla stazione di S. Pietro, al cui rinnovamento hanno ugualmente contribuito fondi sia giubilari sia privati. Come si vede, si è trattato di una potente spinta di investimenti che ha indotto molti attori economici a sciogliere le riserve, imboccando la via dell'impegno diretto. Ma la rivoluzione della cultura gestionale favorita e sollecitata dal Giubileo si è attuata, con una forza davvero inedita e immediatamente percepibile, sul terreno dell'accoglienza, della pianificazione e del controllo in occasione dei grandi eventi, della capacità di prevenire e fronteggiare l'emergenza sanitaria. Dietro la buona convivenza tra le manifestazioni religiose e la vita quotidiana della città, che ha globalmente smentito i profeti di sciagure, dietro la sostanziale tenuta del traffico, che non ha registrato significativi incrementi nonostante le migliaia di pullman circolanti e i cortei di pellegrini, dietro la riuscita degli eventi maggiori (tra cui il Primo Maggio e soprattutto la Giornata mondiale della gioventù) ha agito un'efficiente macchina organizzativa guidata dall'ufficio del Commissario Straordinario per il Giubileo, capace di fornire risposte adeguate ai problemi complessi posti dai grandi numeri. Dietro le quinte, l'Anno Santo è stato ed è anche l'anno delle sale di controllo. Si tratta di un sistema, oltre che tecnologicamente all'avanguardia, di concezione nuovissima perché al tempo stesso molto articolato e totalmente coordinato, come può essere illustrato in modo particolare da due esempi. La Sala situazione dell'Agenzia per il Giubileo, cuore del sistema, in occasione del Primo Maggio e della Giornata mondiale della gioventù ha ospitato i rappresentanti di ventidue istituzioni compresa la Santa Sede; al suo interno si sono pianificati in via generale gli eventi e se ne sono seguiti gli sviluppi in tempo reale; a ogni necessità di intervenire, il responsabile dell'istituzione interessata, presente in sala con gli altri, passava le indicazioni del caso alla propria sala operativa: niente conflitti di competenza (risolti all'origine), rapidità e flessibilità nel fare fronte a ogni necessità del momento. Ad agosto, poi, con la Giornata mondiale della gioventù alle porte, si è compreso che il sistema andava ulteriormente rafforzato e si è quindi allestita una sala operativa interforze ad hoc, con la presenza aggiuntiva dei Vigili del Fuoco e dell'azienda di trasporto pubblico che gestisce la metropolitana e le linee extraurbane; si potrebbe pensare a una sovrapposizione con la sala dell'Agenzia, ma così non è stato, perché la sala interforze ha agito - come unica struttura di controllo - sulle sole aree interessate dalla Giornata, mentre in quel caso la Sala situazione ha continuato a monitorare il resto della città. Il successo è stato pieno. E i giovani convenuti a Roma - ne sono stati contati otto milioni e trecentomila nell'arco di una settimana - hanno potuto ricevere l'assistenza di un apparato logistico che fa onore alla professionalità degli operatori e dei tecnici di tutte le strutture coinvolte, aziende e realtà pubbliche locali.

Sotto quale profilo tutto ciò, oltre che evidentemente innovativo, può dirsi 'compatibile' nel senso cui alludevo prima? Sotto due punti di vista: guardando alla fase di attuazione, perché interferisce sì, ma limitatamente - e accettabilmente, se si considera il rapporto tra sacrificio e risultati - con la vita della metropoli; guardando agli esiti, perché si pone in rapporto dialettico con l'esistente, puntando a migliorarlo, integrarlo, ridefinirlo senza soppiantarlo.

Il patrimonio culturale

Questo medesimo schema interpretativo - ampliamento di tendenze in atto, compatibilità con l'esistente e sua valorizzazione, unione di forze per conseguire risultati - vale specialmente a proposito di quanto si è fatto in campo culturale. Il lavoro compiuto per vivificare il patrimonio storico-archeologico della città è stato di tale mole da rendere inopportuna un'elencazione delle opere, anche solo delle maggiori: tra restauri di basiliche, chiese, fontane e palazzi storici, piazze riportate alle forme originali, ripristino delle Mura Aureliane e relative porte, giardini e ville d'epoca rinati in tutto o in parte, nuovo verde pubblico realizzato a coronamento di grandi monumenti, il numero degli interventi - quasi 250 - e i fondi del Giubileo così investiti - 432 miliardi - non rendono pieno conto della realtà. Può essere invece interessante osservare come molte delle opere maggiori siano state rese possibili dal sistema del cofinanziamento: gli interventi nelle ville storiche (Borghese, Ada, Pamphili, Torlonia con la Casina delle Civette) sono stati attuati, come la ricostruzione della passeggiata-giardino di viale Carlo Felice lungo le mura, unendo risorse giubilari e fondi ordinari del Comune. I principali musei e palazzi antichi della città - Farnese, Altemps, Barberini, Borghese, Chigi, Massimo ecc. - sono stati restaurati grazie a un mix di fondi giubilari, ordinari, pubblici e privati, dalla composizione di volta in volta diversa. In tutti questi casi, l'occasione fornita dall'Anno Santo si è innervata tra le fibre di un tessuto già in pieno sviluppo da anni e che continua a crescere anche autonomamente, in parallelo alla 'ventata' giubilare (ma non senza legami con essa); la Galleria Borghese e i Musei Capitolini sono tra gli esempi più noti di questa estesa renaissance, favorita da un nuovo clima di collaborazione tra enti e soggetti: le soprintendenze operanti a Roma, comunale e di Stato, ma pure le istituzioni religiose. Una rinascita che sarebbe limitante considerare in termini puramente quantitativi, poiché si tratta in primo luogo di ritorno alla qualità: la stagione dei grandi restauri a Roma, corposamente incrementata dal Giubileo, si va configurando come un'autentica fioritura del restauro scientifico, in cui la scuola italiana (notoriamente tra le migliori al mondo) ritrova campo per esprimere il suo potenziale. La facciata di S. Pietro è la punta più alta e visibile di un iceberg vastissimo, che scende fino al cesello e alla minuzia preziosa di un'edicola sacra. Da un punto di vista più ampio, si può a ragione parlare di un ritorno del gusto e del rispetto filologico nel mettere mano alle bellezze della città; rispetto non solo della 'lettera', ma anche dello spirito di tutta una tradizione, anche quando si tratta di ricostruzioni o di nuove realizzazioni che arredano un grande sito monumentale: ne sono testimonianza la sobrietà e il gioco sottile di rapporti spaziali - caratteri pienamente italiani e romani in particolare - che improntano sia i giardini di viale Carlo Felice (attenta replica della passeggiata anni Trenta di Raffaele De Vico e asse ideale di congiungimento tra le basiliche di S. Giovanni e S. Croce in Gerusalemme), sia il nuovo giardino di Castel Sant'Angelo, che impiega il più romano dei materiali - il travertino - per disegnare spazi essenziali quanto intimi, nel contempo, ridando cornice al grande monumento e nesso prospettico all'asse che lo unisce alla cupola di S. Pietro, nesso che la precedente cesura, imposta dal traffico allineato sul Lungotevere, aveva praticamente cancellato.

Anche sul fronte archeologico il Giubileo ha avuto la funzione di importante risorsa aggiuntiva, sopravvenuta nel pieno di una già avviata ripresa di interessi e di interventi concreti. Anche in questo campo, il Giubileo ha consentito cospicui avanzamenti di progetti in corso e ha cementato la prassi della collaborazione istituzionale, del lavoro a più mani oltre i confini rigidi delle competenze attribuite allo Stato e al Comune in materia di studio e tutela dell'antico a Roma: mentre sul Colle Oppio riapriva la Domus Aurea ed emergeva lo straordinario affresco della 'Città Dipinta', con i fondi per il Giubileo in Campidoglio si compiva il restauro del Tabularium. E alle sue pendici si è avviata la fase cruciale dei nuovi scavi ai Fori Imperiali, premessa indispensabile per la realizzazione dell'idea di Antonio Cederna: il grande parco archeologico romano lungo l'asse Campidoglio-Fori-Passeggiata Archeologica-Terme di Caracalla fino all'Appia Antica. Qui, intanto, con i fondi per il Giubileo, il Comune di Roma ha completato importanti interventi di restauro: il sepolcro di Annia Regilla e il Ninfeo di Egeria nella valle della Caffarella sono i principali. Nella stessa area, la Soprintendenza archeologica di Stato ha compiuto il restauro della Villa dei Quintili, che è stata riaperta al pubblico. Come si vede, in preparazione dell'Anno Santo le istituzioni deputate alla tutela del patrimonio culturale romano hanno saputo cogliere l'occasione e hanno forzato i tempi. Anche su questo terreno si è potenziato l'effetto del genius loci che - mi passi il lettore la metafora - nel frattempo aveva cominciato a indossare panni moderni sulle spoglie di sempre: il 'cuore antico' sta tutto nella molteplicità di attori e contributi, la veste nuova nella capacità di investire in positivo la medesima pluralità di soggetti, coordinandone l'azione verso obiettivi condivisi. Dietro il mosaico coerente del lavoro compiuto sul patrimonio storico-archeologico e artistico di Roma in vista del Giubileo, non campeggia un centro unico di irradiazione, ma una costellazione organizzata, costituita dai soliti pianeti con le loro orbite, che però hanno deciso di gravitare attorno a un nucleo di finalità e progetti. Superfluo, a questo punto, chiedersi cosa costituisca, in questo settore, quella 'modernizzazione compatibile' di cui dicevo al principio: la risposta è nei fatti. E conferma che Roma, per modernizzarsi, non ha tanto bisogno di 'cose' nuove quanto di un nuovo 'modo' di pensare e gestire il suo patrimonio.

Il turismo

Se ciò è vero, se veramente si è prodotto un simile sforzo corale, se ne deve poter rilevare qualche primo frutto. E il termometro più attendibile, trattandosi di Roma e del lavoro compiuto per valorizzarne le carte migliori, è senz'altro il turismo, sul doppio versante delle infrastrutture e dei flussi in arrivo. Quanto alle prime, si può dire che la vecchia tipologia degli alberghi romani, generalmente di livello modesto (con qualche eccezione riservata alla clientela di lusso) e cari, si avvia a divenire non più che un ricordo. Anche in questo caso, il Giubileo ha accelerato un processo di trasformazione già in atto, iniziato con la legge regionale nr. 20 del 1997 che ha semplificato l'iter delle concessioni edilizie e delle autorizzazioni per aprire o ristrutturare gli alberghi: si sono così sommate, fino a tutto il 1999, 207 domande di apertura o ristrutturazione presentate alla Commissione edilizia del Comune. Questa ne ha approvate 198, di cui 120 relative a progetti di hotel in pieno centro storico, 30 per alberghi in zone semicentrali, 52 per alberghi in altre zone della città, il tutto per un totale di 5563 camere. Siamo di fronte a un processo di potenziamento e ammodernamento dell'hôtellerie romana quale non si era mai visto in passato, almeno in un pari lasso di tempo. Si aggiungano le riaperture dopo efficaci maquillages dei grandi alberghi di categoria superiore come il Grand Hotel. Se poi si scende nel dettaglio, si osservano tendenze molto specifiche e indicative del futuro del settore: la 'pervasività' del fenomeno, che coinvolge il rifacimento di esercizi esistenti e la realizzazione di nuovi, i cambi di categoria verso l'alto, le trasformazioni di residence in alberghi, l'adeguamento dei servizi alla clientela; il maggiore dinamismo del segmento medio-alto, dalle tre stelle in su (come dire: dall'evoluzione degli alberghi 'piccoli e tranquilli' in hôtel de charme, senza preoccupanti salti di prezzo, allo scatto d'orgoglio degli esercizi storici che vanno ritrovando stile e fascino internazionale); l'incrinarsi del monopolio mantenuto per decenni dal centro storico nel settore degli alberghi di punta, con la costruzione di importanti strutture nella fascia esterna come all'aeroporto di Fiumicino, a Tor Bella Monaca e a Tor Vergata; la corsa parallela delle grandi catene e delle gestioni indipendenti: in crescita decisiva le prime, non meno agguerrite le seconde. Una polifonia suonata sul registro della sana concorrenza, in cui la rincorsa interna al settore si traduce in un generale effetto-traino, e che vuol dire anche diversificazione dell'offerta, e non solo all'interno del mondo alberghiero: il Giubileo ha chiarito che le case di accoglienza gestite da ordini religiosi sono ormai un dato strutturale, che non collide con il mercato normale ma lo affianca soddisfacendo un target diverso. D'altro canto, più ospiti vengono a Roma, più ne vengono richiamati. Chi soggiorna oggi in una casa religiosa - specialmente se giovane, in gruppo e al momento attratto da soluzioni economiche - potrà domani tornare con maggiori disponibilità e scegliere un buon albergo. Il Giubileo ha aiutato gli operatori turistici romani a fare proprie, appunto, le dinamiche di richiamo e di agglomerazione che, in equilibrio con una concorrenza non selvaggia, favoriscono lo sviluppo del settore. In effetti, il turismo cresce quando l'offerta si aggrega e si diversifica. Nei risultati di quest'anno ha una sua parte anche la novità, lanciata proprio per il Giubileo, del bed & breakfast: 3000 posti-letto per chi cerca un approccio immediato con la realtà del luogo, un'occasione per fare 'impresa domestica' che è stata colta soprattutto da donne (60% degli ospitanti), ultracinquantenni (51%) e giovani sotto i 32 anni (21%).

Ma quali risultati? Tra gennaio e ottobre 2000 gli arrivi di turisti negli alberghi sono aumentati, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, del 4,22%; le presenze (dato medio sulla durata del soggiorno) del 4,06%, e questo nei soli alberghi, mentre i pellegrini sono stati ospitati in larga maggioranza presso istituti religiosi. La crescita è stata fortissima negli hotel a cinque stelle (+34,20% di arrivi e +30,56% di presenze), buona nei tre e quattro stelle con percentuali intorno al 4%: dato il maggiore dinamismo di questo segmento (vedi sopra), è la risposta che ci si attendeva. All'opposto, calano le pensioncine a una stella (-21,30% di arrivi e -18,69% di presenze). Quanto alle provenienze, tengono gli arrivi dal resto d'Italia, mentre sono leggermente diminuiti i visitatori francesi e tedeschi. Discretamente aumentati gli altri europei, con positive sorprese dall'Irlanda (+35,27% di arrivi, +29% di presenze) e dalla Norvegia (+21,27%, +18,73%). Enorme l'aumento degli ospiti polacchi anche negli alberghi (+72,19% di arrivi) e in particolare nei cinque stelle, dove sono più che triplicati. Crescite consistenti anche dagli Stati Uniti e dagli altri paesi americani, trend più che buono dal Giappone, ottimo dal resto dell'Asia. L'effetto Giubileo ha dunque amplificato le tendenze già osservate negli ultimi anni: permanenze discretamente più lunghe, crescita del turismo di qualità, conferme dai mercati tradizionali con l'eccezione di alcuni paesi europei, ampiamente compensata dal decollo di nuovi mercati.

Perché, in concomitanza con il Giubileo, anche i visitatori non direttamente mossi da ragioni di fede sono arrivati a Roma in numero maggiore? Come si è visto, la città offre di più, e proprio negli aspetti che più contano per il turista. Si potrebbe aggiungere che la programmazione culturale della città ha saputo muoversi bene nell'orbita dei temi giubilari o a questi prossimi: mostre come Romei e Giubilei e Bonifacio VIII e il suo tempo a palazzo Venezia, Le donne ai tempi del Giubileo e La memoria dei Papi negli interni del Vittoriano, Giubilei 1300-2000 ai Musei Vaticani, Capolavori dell'arte cristiana in Bulgaria ai Mercati di Traiano, L'assenza invadente del divino e La sostanza dell'effimero a Castel Sant'Angelo, Aurea Roma e Il volto di Cristo al Palazzo delle Esposizioni, Pietro e Paolo al Palazzo della Cancelleria propongono complessivamente una ricostruzione degli sfondi sociali, delle temperie artistiche, dei fermenti spirituali legati alla storia del Giubileo cristiano e alla religiosità cristiana in senso ampio. Si è, insomma, annodato un filo per fare di Roma un centro di riflessione sulla spiritualità tout-court, ruolo che per ovvi motivi le si addice e può accrescerne il richiamo. Ma piace pensare che vi sia anche una ragione più sottile, non nuova (ma c'è ancora bisogno di sottolineare quanto di nuovo, a Roma, può emergere dall'usuale?) eppure anch'essa rinnovata: credo che il visitatore senta palpabilmente la cordialità e la spontanea vocazione ad accogliere che la città conserva da sempre, l'humanitas che tempera la grandiosa profondità della storia, e penso che al visitatore non dispiaccia il modo molto romano in cui Roma entra nella realtà contemporanea, investendo nei caratteri universali della sua unicità. Nell'epoca in cui le grandi metropoli tendono a somigliarsi sempre di più, questa città che sta imparando a usare al meglio le sue fibre antiche per rinnovarsi, magari importando i materiali più compatibili con la sua trama e annodandoli con la materia propria, non può che incuriosire. Del resto, Roma è ospitale da sempre: dai tempi dell'asylum, che già agli albori della storia dell'Urbe dava ricetto agli stranieri sul colle del Campidoglio, accogliere è stata una necessità, una scelta, un'abitudine, un mestiere. Il Giubileo del 2000, con il suo richiamo ecumenico ma anche con lo scatto organizzativo che ha prodotto, ha concorso in modo determinante alla riscoperta di questo antico e nobile profilo professionale della Città Eterna. Ecco che il bilancio del Giubileo si inserisce, arricchendola, nella valorizzazione delle capacità competitive di Roma, capitale oggi più amata anche grazie al buon servizio reso al paese nel corso dell'anno.

repertorio

La città degli Anni Santi

Anche prescindendo dagli aspetti più propriamente religiosi e devozionali, le ricorrenze giubilari hanno sempre comportato per la città di Roma fondamentali interventi organizzativi, urbanistici, artistici. Infatti, per quanto si possa affermare che l'afflusso a Roma di forestieri richiamati dal desiderio di visitare i luoghi sacri alla memoria degli Apostoli e dei Martiri e i monumenti artistici della città non si sia mai interrotto nel corso dei secoli, e pur considerando che Roma non ha mai cessato di essere meta abituale di sovrani stranieri con i loro imponenti seguiti, di ambasciatori, di mercanti, di artisti, di letterati, di religiosi, è evidente che la straordinaria concentrazione di visitatori durante gli Anni Santi ha sempre reso necessaria un'organizzazione del tutto particolare riguardo alla viabilità, all'approvvigionamento di derrate, all'accoglienza dei pellegrini. Non si può dimenticare, inoltre, che soprattutto a partire dal Rinascimento i Papi videro nel Giubileo un'occasione speciale per sottolineare anche visivamente la grande dignità della Sede apostolica presso tutti i popoli cristiani e promossero a tal fine un'imponente attività di abbellimento urbano e di rinnovamento edilizio, sicché si può dire che gli Anni Santi hanno inciso profondamente non solo sulla vita religiosa ma anche su quella architettonica e artistica della città.

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L'urbanistica, l'architettura e l'arte

14° secolo

Anche se l'indizione del primo Giubileo da parte di Bonifacio VIII nel 1300 fu un fatto quasi improvviso, sembrava che Roma si fosse preparata a quell'evento con una stagione di straordinaria fioritura architettonica e artistica. Il Giubileo fu un ulteriore stimolo per la ripresa edilizia e urbanistica che riguardò non solo chiese e monumenti, ma anche abitazioni private e servizi pubblici. Al Vaticano fu eretto un porticato coperto, che conduceva sino alla basilica di S. Pietro, proteggendo i fedeli dalla pioggia in inverno e dal sole in estate, e di analoghe strutture furono dotate S. Paolo e le altre chiese più importanti. Lo straordinario afflusso di persone verso il Vaticano spinse ad adottare soluzioni intese a migliorare la viabilità, come l'apertura di una nuova porta nelle mura Leonine vicino alla meta Romuli (monumento funebre di età romana) e la suddivisione di ponte Sant'Angelo in due sensi di marcia, uno per l'andata, l'altro per il ritorno. In città erano intanto attivi, oltre a grandi pittori locali quali Pietro Cavallini e Jacopo Torriti, i maggiori artisti del momento, come Arnolfo di Cambio, Cimabue, Giotto. A quest'ultimo viene attribuito, in particolare, un affresco che secondo la tradizione rappresenterebbe papa Bonifacio VIII nell'atto di indire il Giubileo e che fu posto a decorazione della Loggia delle Benedizioni, fatta costruire nel Patriarchio di S. Giovanni in Laterano da Bonifacio VIII stesso; in seguito alla distruzione della Loggia nel 1586, l'affresco venne trasferito nella navata laterale della basilica lateranense.

Il primo monumento appositamente realizzato in vista di un Giubileo fu la scalinata di accesso alla basilica di S. Maria in Aracoeli sul Campidoglio, che venne inaugurata nel 1349, poco prima che un forte terremoto causasse danni di grande entità in tutta la città. Alla ricostruzione delle basiliche più gravemente colpite furono devolute le elemosine lasciate dai pellegrini in quell'anno.

15° secolo

Fu Niccolò V, negli anni immediatamente precedenti il 1450, il primo Papa a ideare un piano globale di rinnovamento architettonico e urbanistico e di potenziamento delle arti finalizzato a un Giubileo, in modo che in quella occasione la città si presentasse come superba espressione visiva della fede e dell'autorità del papato. Il piano prevedeva importanti interventi di ricostruzione nelle basiliche patriarcali e in altre chiese della città, il restauro delle Mura Aureliane, la fortificazione di Borgo (il quartiere compreso tra S. Pietro e Castel Sant'Angelo), lavori di ampliamento e di abbellimento nei palazzi Vaticani, dove Niccolò V stabilì definitivamente la residenza pontificia. In particolare furono allora impiantati i giardini e fu eretta la cappella cosiddetta Niccolina, a decorare la quale fu chiamato il Beato Angelico. In seguito a un grave incidente occorso il 19 dicembre 1450 sul ponte Sant'Angelo, dove a causa della troppa folla morirono calpestate decine e decine di persone, furono allargati gli accessi al ponte demolendo numerose botteghe e l'arco trionfale romano dedicato a Graziano, Valentiniano e Teodosio.

Per snellire ulteriormente il traffico verso S. Pietro, prima del successivo Giubileo del 1475 Sisto IV fece costruire un altro ponte, che da lui prese il nome. Altri interventi importanti fatti eseguire per lo stesso Giubileo furono la ricostruzione dell'ospedale di S. Spirito, il restauro dell'acqua Vergine, la risistemazione del sistema viario di Borgo, dove fu pavimentata in marmo la via Santa, l'ampliamento della via Recta, che collegava ponte Sant'Angelo con il Pincio, e della via Papalis, che il Papa percorreva per recarsi dal Vaticano alla basilica di S. Giovanni in Laterano. Sisto IV fece anche ricostruire la sua chiesa prediletta, S. Maria del Popolo, ma il suo nome è soprattutto legato alla Cappella Sistina al Vaticano, iniziata nel 1473 e terminata nel 1477. A Sisto IV si deve, infine, la fondazione, nel 1475, della Biblioteca Vaticana.

Anche Alessandro VI, in vista dell'Anno Santo 1500, promosse grandi opere, la più importante delle quali fu una nuova strada di collegamento fra Castel Sant'Angelo e S. Pietro: la via Alessandrina, poi comunemente nota come Borgo Nuovo. Per la sua realizzazione fu operato il primo sventramento della storia della città, con la demolizione delle case comprese fra Borgo Vecchio e Borgo Sant'Angelo e della meta Romuli; la strada, lunga 450 m, fu portata a termine in dieci mesi e fu inaugurata il 24 dicembre 1499, in occasione della solenne cerimonia di apertura del Giubileo. Alessandro VI provvide inoltre di nuove fortificazioni Castel Sant'Angelo, che fu circondato da un fossato, e fece restaurare il Passetto di Borgo, il tratto di mura che connette il Castello con i Palazzi Vaticani. A S. Pietro, in corrispondenza dell'antica cappella della Veronica, fu aperta la Porta Santa. Numerose chiese furono restaurate, altre furono costruite ex novo. S. Maria Maggiore fu dotata di un soffitto aureo, per il quale venne adoperato l'oro proveniente dal Nuovo Mondo.

16° secolo

Sul versante dell'architettura l'opera principale cui si dedicarono i Papi del 16° secolo fu la nuova basilica di S. Pietro, voluta da Giulio II per sostituire quella costantiniana, ritenuta inadeguata a svolgere il ruolo di chiesa più importante di tutta la cristianità. La costruzione durò più di un secolo e vi lavorarono i massimi architetti, da Bramante a Raffaello, a Michelangelo e a Bernini. Fu un impegno enorme anche dal punto di vista finanziario: per sopperirvi si diffuse la pratica della vendita della concessione delle indulgenze, scandalo che fu alla base della protesta di Martin Lutero e della Riforma protestante.

Per l'Anno Santo 1525 a S. Pietro fu portata a termine la costruzione della Confessione, su progetto di Bramante, mentre proseguivano i lavori della crociera meridionale. In occasione dello stesso Giubileo, nonostante le molteplici difficoltà incontrate da Clemente VII nel suo pontificato, furono realizzate diverse opere di rilievo, fra cui la ricostruzione dell'ospedale di S. Giacomo, il tracciato di via del Babuino, a completamento del cosiddetto Tridente di piazza del Popolo, e l'erezione di nuove chiese (fra cui S. Giovanni dei Fiorentini e S. Marcello al Corso).

Il Giubileo del 1550 fu preparato con grande cura da Paolo III, che non giunse a celebrarlo, con l'intento di farne un momento esemplare di riaffermazione del prestigio papale. A questo fine era rivolta anche la politica urbanistica, che mirò da una parte al recupero dei monumenti antichi e dall'altra a un'organica ridefinizione del tessuto urbano, con la realizzazione di nuove importanti strade (via Trinitatis, verso Trinità dei Monti; via Paola, tra ponte Sant'Angelo e S. Giovanni dei Fiorentini; via dei Baullari, d'accesso al nuovo Palazzo Farnese). Protagonista della stagione architettonica e artistica fu Michelangelo, al quale si devono fra l'altro il nuovo progetto della fabbrica di S. Pietro (condotta nel 1552 fino al tamburo della cupola) e la sistemazione del Campidoglio.

Lo stesso fine di potenziare la magnificenza della città santa ebbero le opere progettate per l'Anno Santo 1575, con il restauro e la riedificazione di numerose chiese (in particolare quelle delle varie confraternite e nazioni, che godettero dell'ampio sostegno di Gregorio XIII, oltre che il Gesù e S. Maria in Vallicella, sedi rispettivamente dei gesuiti e degli oratoriani), il completamento di via Merulana, di raccordo fra S. Giovanni e S. Maria Maggiore, un importante piano di approvvigionamento idrico della città del quale faceva parte la sistemazione di fontane in numerose piazze, la costruzione di grandi granai alle Terme di Diocleziano. Di fondamentale importanza fu l'emanazione di un severo regolamento edilizio, con la bolla Quae publice utilia, nella quale veniva codificata la pratica dell'esproprio per pubblica utilità.

L'attività urbanistica e architettonica che preparò il Giubileo del 1600 apparve come la prosecuzione e il completamento delle grandiose opere intraprese sotto il pontificato di Sisto V. Furono portati a termine il Palazzo Senatorio al Campidoglio, il nuovo Palazzo Vaticano, il Quirinale, si completò la cupola di S. Pietro, furono selciati i principali percorsi urbani e vennero sistemate le piazze di fronte alle chiese più importanti. Notevoli lavori richiese la riparazione dei cospicui danni provocati da una straordinaria piena del Tevere nel 1598. Nell'opera di restauro di numerose chiese, Clemente VIII fu coadiuvato dai cardinali titolari, dei quali fu assai apprezzato che destinassero grandi somme non alla costruzione di principesche dimore, ma a opere volte a esaltare l'autorità della Chiesa.

17° secolo

Nei primi decenni del 17° secolo si è ormai nel pieno di quella stagione straordinariamente feconda per le arti e l'architettura che fu il Barocco romano. I Papi proseguirono l'opera dei loro predecessori nell'abbellimento della città, simbolo della fede trionfante, approfittando spesso dell'occasione giubilare per realizzare interventi di rilievo. A Urbano VIII e all'Anno Santo 1625 è legato uno dei monumenti più famosi di quel periodo, il baldacchino che sovrasta l'altare maggiore di S. Pietro, opera di Bernini, la cui realizzazione iniziò proprio in quell'anno. Fu inoltre completata la chiesa dei teatini, S. Andrea della Valle, e restaurato Ponte Sant'Angelo.

Dell'opera di Bernini si servì ampiamente anche Innocenzo X, che per l'Anno Santo 1650 gli commissionò la decorazione interna di S. Pietro e l'esecuzione della fontana dei Fiumi a piazza Navona. A Borromini fu invece affidato il restauro integrale dell'ormai fatiscente basilica lateranense. Nel complesso Innocenzo X ridusse il numero di interventi, limitandosi ai luoghi di più forte impatto simbolico, quali erano appunto le basiliche patriarcali (un progetto di restauro fu ideato anche per S. Paolo, ma non fu poi eseguito), oppure di maggior prestigio personale, come piazza Navona, sulla quale affacciava il palazzo di famiglia.

Anche per il Giubileo del 1675 Bernini, ormai molto anziano, prestò la sua opera, con la realizzazione del tabernacolo della cappella del Sacramento in S. Pietro. Ma ormai la grande fioritura del Barocco romano, culminata pochi anni prima con il grandioso colonnato di piazza S. Pietro, si era conclusa e, anche a causa della politica di risparmio adottata da Clemente X, gli interventi realizzati in città per quell'Anno Santo furono molto ridotti, limitati a qualche restauro e a un programma di manutenzione delle principali strade di ingresso alla città.

Sebbene la preoccupazione per il decoro della città e dei suoi edifici religiosi continuasse a essere centrale nei preparativi per l'anno giubilare e numerosi provvedimenti fossero presi per assicurare la ripulitura delle chiese e la manutenzione delle principali vie d'accesso alle basiliche, non vi furono per il 1700 opere di rilievo paragonabili a quelle realizzate per i primi Giubilei del secolo. Espressione dell'interesse di Innocenzo XII per le attività assistenziali furono l'ampiamento dell'Ospizio di S. Michele a Ripa (la principale istituzione caritativa della città, fondata nel 1693, che riuniva in un unico complesso ospizi per i fanciulli, per i vecchi e per le 'zitelle' e il carcere minorile e femminile), l'istituzione di un ricovero per gli invalidi del lavoro al Laterano e di un ospizio per vescovi poveri a Borgo. Le due principali chiese dei gesuiti, il Gesù e S. Ignazio, furono arricchite in quell'anno di due sontuosi altari, dedicati rispettivamente a sant'Ignazio e a san Luigi, opera di Andrea Pozzo.

18° secolo

Già nei lavori eseguiti in vista del Giubileo del 1725 si riscontra quel doppio indirizzo della politica architettonica e urbanistica che contraddistinguerà tutto il secolo: da una parte lo sforzo di rendere Roma una città moderna, con servizi pubblici, di accoglienza e di assistenza più adeguati, dall'altra la volontà di celebrare la sua immagine, sia tutelando e restaurando le memorie del passato sia realizzando nuovi importanti monumenti. Così da un lato vengono costruiti due nuovi ospedali, quello dei 'pazzerelli' di S. Maria della Pietà e quello di S. Gallicano, e viene ampliato l'ospizio della Trinità dei Pellegrini, dall'altro vengono restaurate e arricchite di nuove decorazioni numerosissime chiese, soprattutto paleocristiane, e vengono compiute imprese di grande rilievo, prima fra tutte la scalinata di Trinità dei Monti.

Di nuove attrezzature sanitarie la città si arricchì anche in occasione del Giubileo del 1750, quando fu fra l'altro ampliato l'ospedale di S. Spirito. Cura particolare fu dedicata alla manutenzione delle vie sia urbane sia extraurbane (fu allora codificato il nome delle strade, rimaste fino a quel momento prive di una denominazione ufficiale) e all'arredo urbano, soprattutto incentrato sulle grandi fontane monumentali: la più famosa di queste, quella di Trevi, era stata da poco completata. Nell'ambito del forte impegno liturgico manifestato da Benedetto XIV si inquadra la costruzione delle quattordici edicole per la Via Crucis nel Colosseo, con la grande croce innalzata al centro dell'arena. Tipico del tempo fu il fervore degli studi antiquari, che si concretizzò nel 1750 nell'inventario del Museo Capitolino, arricchito allora di nuove importanti acquisizioni.

Fra i provvedimenti presi per l'Anno Santo 1775 figurano l'istituzione di un regolare servizio di posta fra Roma e Civitavecchia, il restauro di vari ospedali, i lavori di riadattamento di molte strade, cui fu devoluta un'apposita tassazione, l'emanazione di una ricca serie di norme per disciplinare l'attività alberghiera. Fra le opere architettoniche spicca, alla fine dell'anno, la costruzione della nuova sagrestia di S. Pietro, della quale ormai da tempo si sentiva la necessità.

19° secolo

Dopo l'intervallo causato dalla mancata celebrazione del Giubileo del 1800, ai pellegrini di quello celebrato nel 1825 Roma poté esibire una nuova grande realizzazione urbanistica: la risistemazione di piazza del Popolo. L'attività architettonica si concentrò soprattutto sulla ricostruzione della basilica di S. Paolo che un incendio aveva quasi completamente distrutto due anni prima: i lavori iniziarono nel 1824 ma la nuova chiesa fu poté essere consacrata solo nel 1854.

Nella Roma di Pio IX lo sforzo di ammodernamento della città e di ricezione delle innovazioni del tempo, con l'istituzione della ferrovia e di trasporti pubblici, l'impianto di illuminazione a gas delle strade e la costruzione di case popolari, scuole, fabbriche, secondo un piano organico di renovatio urbis, non appare collegato ad alcun Giubileo, poiché Papa Mastai non poté celebrarne nessuno in forma completa. Un indubbio impulso vi diedero però i grandi pellegrinaggi, organizzati a più riprese durante il suo lungo pontificato, in particolare in coincidenza con la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e l'inizio del Concilio Vaticano nel 1869. Furono le ultime manifestazioni di massa della Roma papale.

20° secolo

Se il Giubileo del 1900 era stato visto come fatto eminentemente religioso, che non comportava alcun intervento da parte dello Stato, l'organizzazione di quello del 1925 fruì di un sostanziale appoggio da parte dello Stato e del Governatorato di Roma, con la creazione fra l'altro di una linea tramviaria di collegamento fra le quattro basiliche. Di forte impatto simbolico fu poi il ripristino, al Colosseo, della Croce che era stata rimossa nel 1871. Da segnalare anche l'allestimento di una grande mostra missionaria nei giardini Vaticani, che al termine dell'anno fu trasferita al Laterano, divenendo Museo etnografico e missionario permanente.

Quando fu celebrato l'Anno Santo 1950 Roma era nel pieno della ricostruzione pubblica e privata del dopoguerra. Al Giubileo è direttamente collegata la definitiva sistemazione di via della Conciliazione, con la costruzione dei due palazzi situati all'imbocco della strada verso Castel Sant'Angelo, di cui quello di destra commissionato da Pio XII, quello di sinistra dal Comune di Roma. Nel 1950 Pio XII annunciò, in seguito agli scavi condotti nelle Grotte Vaticane, il ritrovamento della Tomba di Pietro.

La città che accolse i milioni di pellegrini dell'Anno Santo 1975 aveva mutato sensibilmente volto dal 1950 grazie alle numerose opere pubbliche nel frattempo realizzate per eventi di natura secolare, prime fra tutti le Olimpiadi del 1960. Ciò non fu tuttavia sufficiente a evitare rilevanti problemi di traffico e di congestione. Al Vaticano, le folle di pellegrini furono ricevute da Paolo VI o in piazza S. Pietro o nella grande Aula delle udienze costruita su progetto di Pier Luigi Nervi e inaugurata agli inizi degli anni Settanta.

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Le vie d'accesso

Il primo grande problema che dovevano affrontare i pellegrini diretti a Roma era rappresentato dalla lunghezza, dalla scomodità e dalla pericolosità del viaggio. Anche se con il tempo le strade furono sempre meglio tracciate e divennero oggetto di una manutenzione più accurata, da questo punto di vista la situazione rimase sostanzialmente immutata dal Medioevo a tutto il 19° secolo e solo l'avvento dei moderni mezzi di trasporto vi ha posto rimedio.

Nella maggior parte dei casi i romei si muovevano a piedi, percorrendo una ventina di chilometri al giorno. La durata del viaggio era quindi lunghissima, soprattutto per quelli che provenivano da oltre le Alpi, per i quali il cammino fino a Roma poteva richiedere più di due mesi. Durante l'itinerario i pellegrini erano esposti alla fatica, alla difficoltà di procurarsi il cibo, ai rigori del clima e ai pericoli più diversi, che andavano dal contagio delle più svariate malattie alle rapine e alle malversazioni dei briganti. Non erano pochi quelli che trovavano la morte durante il tragitto, tanto che era prassi comune che prima di partire il romeo facesse testamento. Un'ulteriore difficoltà era rappresentata dalla necessità di pagare dazi per l'attraversamento di contee e di ponti. Non sempre avevano successo gli inviti che, nel diffondere le bolle di indizione dei Giubilei, i Pontefici rivolgevano alle varie autorità politiche perché migliorassero l'assistenza ai viaggiatori, si adoperassero per rendere più sicure le strade e abolissero ogni forma di pedaggio.

La via più percorsa dai pellegrini provenienti dal Nord era la Francigena, che oltrepassava le Alpi al Gran S. Bernardo, attraversava la Valle d'Aosta e la Pianura Padana fino a Pavia e, valicati gli Appennini al Passo della Cisa, raggiungeva Lucca per scendere a Siena, Viterbo, Sutri ed entrare infine a Roma attraverso il Ponte Milvio. Un'altra strada dal Settentrione era la Romea, che proveniva dall'Europa orientale e passava per Aquileia, Venezia e Fano; oltrepassati gli Appennini, attraversava l'Umbria per entrare nel Lazio a Rieti, percorrendo infine il tracciato della via Salaria. Per gran parte, infatti, questi itinerari seguivano le tracce delle maggiori vie romane. Dal Sud la via d'accesso principale era la Paolina, che, venendo dalla Sicilia e dalla Calabria, passava attraverso Napoli e Gaeta ed entrava a Roma per l'Appia a Porta S. Sebastiano.

Lungo queste strade si erano impiantati, fino dai primi secoli del Medioevo, monasteri, abbazie e pievi, in genere dotati di una torre campanaria: il suono della 'squilla' costituiva un punto di riferimento sicuro per i viandanti, indicando loro la via da seguire. In queste strutture i pellegrini trovavano rifugio durante la notte e ricevevano gratuitamente del cibo, in obbedienza alla Regola di san Benedetto, che prescrive di "tributare i dovuti onori a tutti gli ospiti, specialmente ai credenti e ai pellegrini". Quando il traffico verso Roma si intensificò, lungo le vie principali, e in particolare vicino ai luoghi più difficili da attraversare, come i valichi di montagna o le paludi, sorsero numerosi xenodochi, cioè dormitori gratuiti per gli stranieri, ospedali, dove si prestava soccorso ai numerosissimi che venivano colti da malattie, e ospizi, molti dei quali erano gestiti da monaci o da ordini cavallereschi o, a partire dal 14° secolo, da frati appartenenti agli ordini mendicanti; fonte di sostentamento erano le elargizioni di nobili e prelati e gli oboli offerti in misura proporzionale alle loro possibilità economiche dai pellegrini stessi.

I viaggiatori più abbienti, invece, usufruivano di locande a pagamento, che erano contraddistinte da un'insegna e dotate di stanze da letto, cucine, stalle e cortili per il posteggio dei carri.

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L'accoglienza ai pellegrini

Anche una volta giunti in città, i pellegrini incontravano non poche difficoltà nel trovare cibo e alloggio. Per chi poteva pagare vi erano locande e osterie, che nel Trecento erano per lo più concentrate nella zona intorno a S. Pietro e a Campo de' Fiori. Il centro dell'attività alberghiera si spostò successivamente nelle adiacenze di piazza Navona e ancora in seguito intorno a piazza di Spagna. Nel 1450 Giovanni Rucellai riferisce che "erano in Roma in questo anno del Giubileo osterie milleventidue che tengono insegna fuori. E senza insegna anche un gran numero in più". Un altro cronista del tempo, Paolo del Mastro, riferisce che le osterie e le taverne erano fra le attività più redditizie per i romani "massime per chi le fece per le strade di fuori". Le tariffe erano, già allora, piuttosto elevate. Un po' più economico era alloggiare in camere d'affitto, dove frequentemente venivano sistemate più persone allo stesso tempo, accomodate alla meglio su letti di fortuna, sacconi ripieni di paglia o giacigli stesi sul pavimento. Non di rado le affittacamere erano donne di incerta fama, anche se all'avvicinarsi degli Anni Santi le autorità emanavano disposizioni per cercare di moralizzare un po' l'ambiente.

Un'altra forma di accoglienza era quella che cardinali e nobili offrivano a familiari, amici e conoscenti venuti in pellegrinaggio a Roma. Presso i palazzi cardinalizi o nobiliari si formavano così delle vere e proprie corti, delle quali facevano parte non di rado letterati e artisti. Dalle cronache sappiamo, per es., che nel 1525 i Farnese diedero ospitalità a trecentosessantasei persone.

Quelli che potevano permettersi di pagarsi un alloggio o erano dotati di conoscenze illustri erano, tuttavia, una minoranza rispetto alla massa di coloro che arrivavano in città senza mezzi di sostentamento e la cui situazione era tanto più grave in quanto, dopo la fatica e le difficoltà del viaggio, versavano spesso in condizioni di salute precarie. Alle necessità di questa massa di pellegrini poveri cercava di sopperire l'opera assistenziale. Le rappresentanze delle varie nazioni stabilirono all'uopo degli ospizi - come per es. quello tedesco presso la chiesa di S. Maria dell'Anima, quello spagnolo presso S. Maria in Monserrato, quello francese presso S. Luigi -, nei quali si prendevano cura dei loro concittadini, offrendo loro vitto, alloggio, all'occorrenza cure mediche e talvolta un sussidio per il viaggio di ritorno. Analoghi servizi venivano prestati ai loro corregionali dalle comunità italiane, come per es. i bergamaschi, i fiorentini o i genovesi.

Ma un cospicuo numero di pellegrini 'generici' non rientrava in queste categorie e ancora alla metà del 16° secolo non era raro vedere gruppi di essi dormire all'addiaccio, cercando riparo sotto i portici o presso il sagrato delle chiese. Per questo furono istituite numerose confraternite che dell'assistenza ai pellegrini fecero la loro principale attività. Nel 1675 ne esistevano ottanta, la più famosa delle quali era senz'altro quella della Santissima Trinità dei Pellegrini, fondata da san Filippo Neri nell'imminenza del Giubileo del 1550 e che diede prova di grandissima efficienza già durante il successivo Anno Santo 1575, quando ospitò non meno di 135.000 persone, alle quali offrì alloggio e vitto gratuiti mediamente per un periodo di tre giorni. I pellegrini, entrando nell'ospizio della confraternita, ricevevano una tessera di riconoscimento che serviva per accedere al refettorio e al dormitorio e veniva contrassegnata ogni sera. I confratelli, vestiti di rosso e incappucciati per non essere riconosciuti, provvedevano alla lavanda dei piedi, servivano gli ospiti con attenzione e sollecitudine nel refettorio, che era sempre ben imbandito e nel quale era di norma necessario organizzare diversi turni. Dopo aver mangiato, i pellegrini erano indirizzati ai dormitori, che erano separati per maschi e femmine, per malati e per sani. Ogni momento era accompagnato da preghiere, da sermoni e da istruzioni religiose, così che al conforto materiale corrispondesse costantemente quello spirituale. La sera precedente la partenza ogni pellegrino riceveva un libretto di devozione o un altro piccolo ricordo. Dai registri della confraternita risulta che essa ha ospitato nei vari Anni Santi fino al 19° secolo un numero di persone sempre vicino alle 300.000. Dopo il 1870 il sodalizio si è ridotto gradualmente a interessarsi unicamente della promozione del decoro del culto.

Nel 20° secolo, finito lo Stato Pontificio e praticamente cessata l'attività assistenziale delle confraternite, delle esigenze logistiche dei pellegrini si sono occupati, fra le altre loro mansioni, i vari Comitati per l'Anno Santo via via istituiti per provvedere agli aspetti organizzativi delle ricorrenze giubilari. In particolare, il Comitato centrale costituito per l'assistenza ai pellegrini dell'Anno Santo straordinario del 1933 fu trasformato da Pio XI in un organismo stabile della Santa Sede, denominato Peregrinatio ad Petri sedem, che fra le sue finalità ha appunto quella di "coordinare e sostenere il movimento dei pellegrini, isolati e in gruppo" diretti sia verso Roma sia in altri santuari del mondo.

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Guide, carte e souvenir

Gli anni giubilari hanno sempre rappresentato un notevole stimolo alla produzione sia di guide e carte destinate ad accompagnare i pellegrini nella loro visita alla città sia di una vasta tipologia di oggetti ricordo da riportare in patria a visita terminata.

Progenitori delle guide furono i cosiddetti Itinerari, diffusi dai primi secoli del Medioevo, nei quali venivano elencati i principali luoghi sacri della città con indicazioni sui percorsi da seguire per raggiungerli e talvolta con notazioni di carattere pratico. Il più famoso è quello di Einsielden, che prende il nome dal monastero svizzero in cui fu rinvenuto e che risale all'8°-9° secolo: le descrizioni dei luoghi da visitare sono organizzate in dodici tragitti con partenza dalle porte urbane. Dall'ampiamento degli Itinerari derivarono i Mirabilia urbis Romae, nei quali l'attenzione del visitatore è richiamata non solo sui tesori cristiani della città, ma anche sulle sue antichità, avvolte da ogni sorta di leggende mirabolanti e di interpretazioni fantastiche. Fra i più antichi sono quelli attribuiti a un canonico di S. Pietro, Benedetto, risalenti alla metà del 12° secolo. Questi testi ebbero moltissima fortuna e fino al 15° secolo continuarono a essere riprodotti su codici. La loro diffusione crebbe ancor più dopo l'invenzione della stampa ed essi vennero assumendo le funzioni di guide vere e proprie per quei pellegrini che nella loro visita a Roma univano all'interesse religioso quello per le vestigia della Roma pagana. Ai Mirabilia si affiancò poi un altro tipo di pubblicazioni, le Indulgentiae ecclesiarum urbis Romae, guide alla visita delle Sette chiese principali e di altri luoghi di culto della città, di carattere eminentemente agiografico, con un'elencazione delle reliquie e delle indulgenze. Le prime edizioni a stampa dei Mirabilia e delle Indulgentiae, in latino, risalgono al Giubileo del 1475. Negli Anni Santi successivi furono stampate edizioni in italiano, tedesco, francese e spagnolo, spesso corredate di illustrazioni.

Con il passare del tempo le guide vennero perdendo l'aspetto di narrazione leggendaria e le notizie di carattere storico e artistico divennero sempre più accurate e approfondite, con attenzione dedicata oltre che ai monumenti antichi e alle basiliche cristiane anche alle nuove grandiose opere architettoniche e urbanistiche realizzate dai Papi. Prototipo di questo nuovo tipo di guide furono Le cose meravigliose dell'alma città di Roma, più volte ristampate, con aggiornamenti, dalla metà del Cinquecento al 19° secolo, spesso proprio in occasione dei Giubilei. Solo per l'Anno Santo 1575 ne furono fatte sei edizioni. L'esempio massimo della letteratura delle guide di Roma è rappresentato, però, dall'Itinerario istruttivo diviso in otto giornate... che Giuseppe Vasi pubblicò alla meta del 18° secolo successivamente alla monumentale raccolta in dieci volumi di vedute di Roma all'acquaforte.

Come per le guide, anche per la cartografia gli Anni Santi rappresentarono momenti di grandissimo impulso. Tra gli esempi più famosi possono essere ricordate la stampa commemorativa del Giubileo del 1575 di Antonio Lafréry intitolata Le sette chiese di Roma, l'Iconografia della città di Roma di Giovanni Maggi, pubblicata per l'Anno Santo 1600, e la Pianta di Roma di Giovanni Battista Nolli del 1748.

Riguardo agli oggetti ricordo, a parte le presunte reliquie di santi e martiri, pezzetti di ossa o frammenti di tombe provenienti per lo più dalle Catacombe e di cui vi fu ampio commercio fino a tutto il 19° secolo, invano osteggiato dalle autorità ecclesiastiche, i souvenir più tipici furono le placchette di metallo con la rappresentazione della Veronica, diffusissime per tutto il Medioevo, le medaglie e monete fatte coniare appositamente per i vari Anni Santi a partire da quello del 1450, le immaginette sacre e i libretti devozionali. Fra gli oggetti di maggior pregio prodotti dall'artigianato romano per i visitatori più abbienti figurano i mosaici minuti, con vedute dei principali monumenti della città, prima fra tutte la basilica di S. Pietro.

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