Giudea

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giudea

Adolfo Cecilia

Nome storico (Ἴουδαῖα in greco, Iudaea in latino), ancora in uso, che indica quel settore della regione siriaco-palestinese che costituisce la parte meridionale dell'altopiano interno della Palestina, fra il Mar Morto e il Mar di Levante. Rappresenta la parte più elevata dell'altopiano (detto Tell ‛Asūr), che scende verso ovest a gradini fino alla cimosa costiera, a sud ripidamente verso il Negeb, a est verso il Mar Nero con dirupi ricchi di gole, mentre non ben delimitato è il confine settentrionale, con la Samaria.

Fu contesa a lungo da Egiziani e Siriani, e apparteneva alla Siria quando i Romani cominciarono a intromettersi nelle complicate vicende interne. Rifugio di pompeiani, aderì poi a Cesare. Alla morte di Erode il Grande, i territori furono divisi tra i tre figli; ma quelli toccati ad Archelao gli furono tolti nel 6 d.C. da Augusto, che lo esiliò e costituì, nello stesso anno, la provincia romana di G., il cui governo fu da allora affidato a procuratori imperiali. Tra il 41 e il 44 vi fu una breve interruzione del dominio romano. Per tutto il I secolo e per la prima metà del II la provincia fu agitata da sommosse religiose e nazionaliste: nel 69 Vespasiano domò quasi tutta la regione (esclusa Gerusalemme, distrutta da Tito nel 70, e alcune fortezze minori conquistate negli anni immediatamente successivi); ancora rivolte e ancora repressioni, soprattutto negli anni 130-133 (trasformazione di Gerusalemme in " Aelia Capitolina ", priva di ius italicum, nel 132). Settimio Severo, infine, rinsaldò il dominio romano e, da allora, la provincia prese il nome di Siria Palestina. Ai tempi di D. nella regione era saldamente consolidato il dominio musulmano (v. anche Gerusalemme).

La G. è citata nell'epistola a Cangrande (XIII 21) ove, in contrapposizione all'Egitto che sta a indicare l'esilio, la schiavitù, la Terra promessa (e quindi la G. e quindi Gerusalemme) sta a indicare la patria, la libertà. D. riporta l'inizio del salmo 113 (il cui primo verso è riportato anche in Pg II 46) e ne fornisce la chiave interpretativa: Qui modus tractandi, ut melius pateat, potest considerari in hiis versibus: " In exitu Israel de Aegipto, domus Iacob de populo barbaro, facta est Iudaea sanctificatio eius, Israel potestas eius ". Nam si ad litteram solam inspiciamus, significatur nobis exitus filiorum Israel de Aegipto, tempore Moysis; si ad allegoriam, nobis significatur nostra redemptio facta per Christum; si ad moralem sensum, significatur nobis conversio animae de luctu et miseria peccati ad statum gratiae; si ad anagogicum, significatur exitus animae sanctae ab huius corruptionis servitute ad aeternae gloriae libertatem.

La questione è ancora trattata, anche se in modo più limitato, in Cv II I 6 Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si pone una scrittura, la quale ancora [sia vera] eziandio nel senso litterale, per le cose significate significa de le superne cose de l'etternal gloria, sì come vedere si può in quello canto del Profeta che dice che, ne l'uscita del popolo d'Israel d'Egitto, Giudea è fatta santa e libera.

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