GIUDICI, Francesco, detto il Franciabigio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 56 (2001)

GIUDICI, Francesco, detto il Franciabigio

Maria Elena Massimi

Nacque il 30 genn. 1484 nella parrocchia fiorentina di S. Maria in Verzaia - dove venne battezzato il 1° febbraio - dal tessitore di pannilini Cristofano di Francesco; oscuro rimane il nome della madre, dalla quale Cristofano ebbe in seguito i figli Raffaello e Agnolo. La primogenitura del G. può inferirsi dalle testimonianze documentarie, nelle quali nominativo e sottoscrizioni autografe dell'artista precedono invariabilmente quelli di Raffaello; Agnolo, che viene menzionato per la prima volta dopo la scomparsa del G., doveva essere alquanto più giovane di entrambi (McKillop, pp. 5 s.). L'origine milanese del padre - s'ignora se nato o immigrato a Firenze - si desume dal contratto con il quale affittava, in data 26 sett. 1497, una casa con stalla dal convento vallombrosano di S. Pancrazio; l'abitazione rimase locata alla famiglia sin oltre la morte del G., che vi convisse con i fratelli senza mai prendere moglie. Nei pressi di S. Pancrazio dimorò pure, almeno dal maggio 1509, lo zio del pittore Giovanni Antonio di Francesco, marito di Elisabetta e padre di Mariotto.

Ampiamente documentato è il rapporto intercorso tra i due rami della famiglia e il convento, presso cui i Giudici prestavano opera ciascuno per le proprie competenze, attraverso forniture tessili e piccoli lavori di manutenzione. L'ambiente vallombrosano fu per il G. un tramite di conoscenze e gli procurò le prime commissioni. Non è improbabile che proprio a S. Pancrazio incontrasse Mariotto Albertinelli, autore di una perduta Visitazione per la chiesa, presso il quale egli compì, a detta di Vasari (p. 190), un breve apprendistato (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 27).

Nell'ottobre del 1504 il G. risultava già immatricolato come "dipintore" alla Compagnia di S. Luca; nel novembre del 1506 riceveva dai vallombrosani la commissione di quattro "arme" e di una Pietà per il paliotto dell'altar maggiore di S. Pancrazio, terminate nel marzo dell'anno successivo. Sempre in S. Pancrazio affrescava, prima del novembre 1507, una S. Caterina e un S. Bernardo di Chiaravalle (opere perdute).

Benché la S. Caterina trovasse posto su un pilastro della cappella Rucellai, l'esistenza documentata di un anonimo donatore ("una divota persona": McKillop, p. 245) esclude la commissione da parte della famiglia fiorentina. L'opera fornì al pittore una visibilità destinata a tornargli utile successivamente, in virtù della stretta parentela tra i Rucellai e i Medici (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 26). Del S. Bernardo il G. eseguì non l'originale, offerto in epoca imprecisata da alcuni "Betti overo Bernardi" (McKillop, p. 245), ma la nuova versione voluta dai frati in seguito allo spostamento dell'altare intitolato al santo; l'opera si configura come un incarico d'ufficio, rientrando nel novero delle corvées imposte all'artista, al pari della decorazione di candele in oro fino, cui egli attese vita natural durante (ibid., pp. 247 s.).

La perdita dei lavori per S. Pancrazio complica la ricostruzione del catalogo giovanile del G., appartenente a una generazione soggetta all'influenza di Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti, Raffaello Sanzio e al magistero tecnico degli stessi capibottega (fra' Bartolomeo di Paolo [Baccio della Porta], Mariotto Albertinelli, Piero di Cosimo). L'incertezza attributiva che ha lungamente accompagnato alcune fra le opere del pittore denota la sua prossimità ai modi di Giovanni Antonio Sogliani, Giuliano Bugiardini, Ridolfo Bigordi detto del Ghirlandaio e, soprattutto, Andrea del Sarto (Andrea d'Agnolo) che Vasari (p. 8) ricorda al suo fianco nelle sedute di studio dei cartoni delle Battaglie di Cascina e di Anghiari.

McKillop (pp. 125 s.) suppliva al vuoto di documentazione visiva del primo decennio riferendo al pittore la Madonna col Bambino e s. Giovannino della Galleria degli Uffizi, la tavola di identico soggetto della collezione Ranieri di Sorbello (Perugia) e la Sacra Famiglia della Galleria dell'Accademia (Firenze), in debito con i modi di Piero di Cosimo e Raffaellino Del Garbo e attribuibili piuttosto all'Indaco, Iacopo Torni (Sricchia Santoro, 1993, II). Pretestuoso è il rinvenimento della mano del G. in particolari minori o decisamente marginali della Crocifissione (certosa del Galluzzo in Val d'Ema) e della Madonna col Bambino fra i ss. Girolamo e Zenobio (Parigi, Louvre), eseguite da Mariotto Albertinelli nel 1506 (McKillop, pp. 123 s.).

Il 13 sett. 1508 moriva Cristofano di Francesco; nell'ottobre successivo (e ancora nel novembre del 1517 e del 1523) il contratto d'affitto della casa in piazza S. Pancrazio venne rinnovato a nome del G. e di Raffaello, suoi figli. Nel dicembre 1508, ad annum con l'assunzione di nuove responsabilità familiari, il G. si immatricolava all'arte dei medici e degli speziali e apriva bottega con Andrea del Sarto a piazza del Grano. Era sicuramente membro della Compagnia di S. Giobbe, con sede limitrofa alla Ss. Annunziata, nel luglio 1509; prossima al vero è l'ipotesi che il soprannome "bigio" unito al diminutivo "Francia" - non riscontrabile nei documenti e apparso per la prima volta nel testo dell'Anonimo Magliabechiano - sia derivato all'artista dal colore della veste degli affiliati al sodalizio (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 26; Franklin, p. 140).

Al 1510 risale l'Adorazione dei pastori (Firenze, Museo di S. Salvi), originariamente affrescata per i Lioni nella cappella di villa Dani a Montici.

L'opera mostra tracce dell'alunnato presso Mariotto Albertinelli nella volontà di accordare concezione moderna della forma e prassi descrittiva quattrocentesca. Al tragico destino del Salvatore alludono il lamento funebre degli angeli, l'agnello inerte al braccio dell'offerente e la fasciatura sudario del Bambino; nei pastori il G. eseguì, probabilmente, i ritratti en travesti di Francesco Lioni e del suo erede Giovanni Alessandrini. La commissione trovò origine nell'ambito di S. Pancrazio, dove si presume che i Lioni possedessero una tomba di famiglia (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 44 n. 19).

Stilisticamente prossimo all'Adorazione è il tabernacolo di Rovezzano con la rovinata Crocifissione, per il quale è lecito supporre una datazione coeva.

Nel passaggio fra primo e secondo decennio dovettero vedere luce alcune delle "molte opere di compagnia" che Vasari (p. 8) attribuisce al G. e ad Andrea del Sarto, tra cui le perdute cortine dell'altar maggiore della Ss. Annunziata, compiute nel marzo 1509 e raffiguranti un'Annunciazione e una Deposizione.

La commissione delle cortine precedette di poco quella delle Storie di s. Filippo Benizzi, affrescate da Andrea nel chiostrino dei Voti dell'Annunziata; per le due storie realizzate sullo scorcio del 1509 (La vestizione del lebbroso e La punizione dei peccatori) è ipotizzabile l'intervento del G. nel paesaggio e in alcune figure di impianto masaccesco (Natali - Cecchi, p. 31). Stante l'operatività del sodalizio, Natali e Cecchi (p. 143) propongono di individuare la mano del G. anche nel primo degli affreschi sartiani al chiostro dello Scalzo (Il Battesimo di Cristo, 1509 circa), dove si addice alla sua maniera la plastica figura del Battista.

L'eventuale compresenza degli artisti sui ponteggi dell'Annunziata e dello Scalzo induce a una riconsiderazione dei rapporti all'interno della bottega, sede di scambio e sperimentazione comune più che arena concorrenziale. A riprova di una mutua influenza e dell'esercizio su moduli iconografici similari sta la discorde attribuzione della Madonna con Bambino datata 1509 (Roma, Galleria nazionale d'arte antica a Palazzo Corsini), di Andrea per alcuni (Padovani, p. 198; Sricchia Santoro, 1993, I, pp. 30 s.; S. Alloisi, Guida alla Galleria Corsini, Roma 2000, p. 30), del G. per altri (McKillop, pp. 129 s.). Del dipinto esiste una copia in controparte concordemente riferita al G. (Birmingham, AL, Museum of art), che, nel caso la versione Corsini appartenesse al Sarto, denuncerebbe il procedere parallelo dei due pittori attraverso l'utilizzo dello stesso cartone (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 30: la McKillop, p. 169, considera invece il dipinto un'autocitazione tarda in un momento di crisi inventiva). Alle medesime incertezze attributive è soggetta la Madonna col Bambino tra i ss. Giuseppe e Pietro Martire, databile entro il primo decennio (Roma, Galleria nazionale d'arte antica a Palazzo Barberini). All'inizio del secondo decennio (forse nel 1511: McKillop, p. 10) il G. e Andrea del Sarto si trasferirono da piazza del Grano alla Sapienza, nei pressi del convento dell'Annunziata, dove già tenevano bottega Gianfrancesco Rustici e Iacopo Tatti detto il Sansovino e dove giungeranno, di lì a poco, Giovanni Battista di Iacopo (il Rosso Fiorentino) e il Pontormo (Iacopo Carucci).

L'isolamento del G. in seguito all'amicizia sbocciata tra Andrea del Sarto e il Sansovino e all'esclusione dalle compagnie goliardiche del Paiuolo e della Cazzuola, delle quali Andrea fu con certezza membro, non sono provati né comprovabili, benché la McKillop li rivendicasse a spie della personalità "bigia" e ancillare dell'artista (pp. 10, 12).

Nell'ambito della "scuola dell'Annunziata" il G. venne definendo il carattere peculiare della propria arte, con esiti di sostanziale diversità rispetto alle soluzioni sartiane, pur nella contiguità di intenti mostrata dal Ritratto virile del Louvre (1512 circa), ideale pendant del Ritratto virile di Andrea conservato ad Alnwick Castle.

Entrambi i dipinti presentano lo sfondo paesaggistico che il G. assunse a cifra dei propri ritratti, con singolari "marche d'autore", come l'albero spoglio (o in alternativa il cespuglio) frammisto alla vegetazione rigogliosa. Comune è l'approccio psicologico, di matrice leonardesca; propria del G. la pensosità autoreferenziale del ritrattato, privo di elementi che ne specifichino lo status o lo impegnino in un'azione rivelatrice. Il modello raffaellesco dell'Agnolo Doni (Firenze, Galleria Palatina) assume presso il G. una singolare declinazione introspettiva; come in molti dei ritratti successivi, lo sguardo del soggetto non interpella lo spettatore ma scivola lungo una direttrice interna al quadro.

Nel frattempo l'artista soddisfaceva agli obblighi di vicinato con il convento di S. Pancrazio: sono del marzo e del maggio 1513 i pagamenti per "una arme del pontefice" e la decorazione di due candele (McKillop, p. 247).

Nello stesso 1513 il G. ricevette la commissione dello Sposalizio della Vergine per il chiostrino dei Voti della Ss. Annunziata, nel quale Andrea del Sarto aveva già affrescato, oltre alle Storie di s. Filippo Benizzi, il Viaggio dei magi (1511) e parte della Natività della Vergine (datata 1514); l'opera gli venne pagata tra l'agosto e il settembre 1513.

Nato, a detta di Vasari (pp. 15, 192 s.), in un clima fortemente concorrenziale, l'affresco sarebbe stato scoperto prematuramente dai committenti e danneggiato per rappresaglia dello stesso autore. Stante la realtà dello smartellamento, tuttora visibile sul volto della Vergine e sull'ignudo seduto in primo piano, il movente va cercato non nella frustrazione provata dinanzi alla Natività di Andrea (McKillop, p. 138), quanto in un misterioso contrasto con la committenza; il sollecito di riparazione rivolto all'artista nel giugno 1515, con minaccia di ricorso alle vie legali, rimase puntualmente disatteso. La resa massiccia dei corpi, l'acutezza caricaturale delle fisionomie, l'attenzione alla varietà e al realismo di pose e gesti, un certo gusto per l'inserto "di costume" - qui riassunto nella donna con treccia che accudisce l'infante capriccioso - si qualificano come elementi del linguaggio maturo del Giudici. Fra i volti degli astanti sono stati rintracciati l'autoritratto del pittore e il ritratto di un personaggio velato identificabile con Lorenzo de' Medici, il futuro duca di Urbino, forse chiesto dai frati per celebrare il ritorno dei Medici al governo della città (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 28). Il grandioso fondale architettonico presupporrebbe, a detta della McKillop (pp. 39 s.), una conoscenza diretta delle Stanze raffaellesche, attinta durante un viaggio a Roma tra 1512 e 1513. L'eventualità di un soggiorno romano è smentita da Vasari (p. 198), secondo il quale il G. "non volle mai uscir di Firenze"; a prescindere dall'attendibilità dell'informazione, l'orizzonte culturale dello Sposalizio è fiorentino e interno al chiostrino dei Voti: l'impianto scenico riecheggia volutamente, superandolo in complessità e ricchezza di ornato, quello della prospiciente Guarigione dell'ossessa di Andrea del Sarto. Un'eco dell'architettura pluripartita e centralizzante messa a punto nello Sposalizio è rintracciabile nella minuscola Calunnia (Firenze, Galleria Palatina, 1513 circa), firmata con il monogramma "FRC". Rispetto al precedente botticelliano l'azione si sdoppia, con il re consigliato prima da Ignoranza e Sospetto, poi da Verità. Lo scarto iconografico va attribuito non all'uso di una diversa fonte letteraria, ma alle indicazioni del colto committente, intenzionato a chiedere equa sentenza dopo la congiura antimedicea del febbraio 1513; al messaggio politico concorrono la presenza dell'arma dei Medici sul seggio del monarca e il distico latino che invita il governante a ignorare le voci dei cattivi consiglieri.

Nel 1514 il G. firmava il Cenacolo nel refettorio del convento maltese di S. Giovanni della Calza.

L'opera, di rilevante impegno compositivo, fu realizzata per volontà della badessa Antonia, legata ai Medici da rapporti di parentela (Milanesi, p. 194 n. 2). Nell'affresco il G. mise a punto una rigorosa costruzione prospettica, intesa a risolvere in unità la scansione spaziale imposta dai lunettoni della volta, e rinnovò la tradizione ghirlandaiesca sostituendo al viridario simbolico tre vedute del paesaggio urbano. Particolarmente congeniale all'artista la varietas espressiva e gestuale richiesta dal tema; degli schizzi preparatori rimane uno studio di posa con la figura di s. Giacomo (Oxford, Ashmolean Museum).

Datato al 1514 e firmato con due monogrammi è il Ritratto di un cavaliere di s. Giovanni (Londra, National Gallery), raffinata icona destinata alla fruizione elitaria.

L'uso combinato di più registri comunicativi - visivo e verbale: la lettera impugnata dal ritrattato, l'iscrizione "Tar ublia chi ben eima" (Tardi dimentica chi molto ama) - è spia di un mestiere sottile, in grado di andare incontro e oltre le aspettative di resa psicologica della committenza. L'identità del Cavaliere rimane ignota; sconveniente e non suffragata da dato alcuno è l'identificazione con Giulio de' Medici, a quella data già cardinale (McKillop, pp. 140 s.; Sricchia Santoro, 1993, I, p. 46 n. 42). Data la contemporaneità di esecuzione tra il ritratto e il Cenacolo di S. Giovanni della Calza, è assai probabile che le religiose maltesi fungessero da tramite fra committente e artista. Nel dipinto la McKillop rintracciava ascendenze venete, per le quali va postulato non il soggiorno dell'artista extra moenia, ma lo spoglio attento delle riproduzioni incisorie in circolazione; nel circuito delle immagini tradotte veniva peraltro immessa, di lì a poco, una Madonna col Bambino, s. Giovannino e due angeli di Agostino De Musi, il Veneziano, d'après lo stesso G. (il dipinto originale è perduto: Sricchia Santoro, 1993, I, pp. 47 s. n. 51).

Del 1514 è ancora il Ritratto virile della Galleria degli Uffizi, esempio tipico della produzione del G. per soluzioni compositive (il parapetto d'appoggio, l'ambientazione naturalistica) e sottigliezza interpretativa. Anomalo è invece l'Autoritratto del Detroit Institute of fine arts, grosso modo contemporaneo, in cui l'autore rinunciò all'en plein air in favore del drammatico contrasto tra luce artificiale e fondo scuro, adottando un'insolita positura di spalla. Lo stemma monocromo sul retro del dipinto, con squadra e compasso nella metà sinistra, è l'arma creata dal G. appositamente per sé sull'esempio di quelle eseguite per i vallombrosani di S. Pancrazio, che gliene pagavano due (una "del padre generale", l'altra "de' Medici": McKillop, p. 248) giusto nel maggio e nel settembre 1515.

Entro la prima metà del secondo decennio andrebbero collocate, secondo l'interpretazione più recente, due opere generalmente datate a ridosso del terzo, lo Sposalizio di s. Caterina (Roma, Galleria Borghese) e la Madonna col Bambino (Bologna, Pinacoteca nazionale), prossima, nella complessa acconciatura, a certe soluzioni dello Sposalizio della Vergine (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 32).

Verso il 1515 vennero affidate all'artista le parti pittoriche dell'altare di S. Niccolò da Tolentino in S. Spirito, commissionato dal priore Niccolò di Giovanni di Lapo Bicchielli e consacrato prima del 1518.

Del complesso, attualmente smembrato, esiste un progetto (Parigi, Louvre) attribuito alternativamente al G., al Sansovino - che fornì il modello per la statua lignea del santo - e a Giovanni d'Alessio d'Antonio detto Nanni Unghero (L'officina della maniera, p. 180). Per l'altare il G. realizzò due Angeli fiancheggianti il S. Niccolò (Firenze, S. Spirito) e, in asse, due tondi con l'Angelo annunciante e l'Annunciata (Varsavia, Museo nazionale); la predella con Storie del santo, pure di sua mano e ricca di suggestioni masaccesche, è oggi divisa tra Oxford (Ashmolean Museum), Dublino (National Gallery of Ireland) e Arezzo (Museo statale di arte medievale e moderna). Dell'Angelo di sinistra si conserva il disegno definitivo, già quadrettato per la trasposizione (Roma, Gabinetto nazionale delle stampe). La data 1515, recuperata sullo stesso Angelo attraverso una recente pulitura, anticipa lievemente l'intervento del G. rispetto alla tradizionale datazione su base stilistica (1516-17). L'alta qualità dei manufatti è denunciata dalla raffinatezza cromatica e, a un più profondo livello di ricezione, dalla sagacia dell'impianto simbolico, inteso a istituire un parallelo tra la virtù del santo e quella della Vergine.

Sempre intorno al 1515 il G. eseguiva, per l'altare della famiglia Corbizzi in S. Pier Maggiore, l'Annunciazione della Galleria Sabauda di Torino, con un "casamento in prospettiva, il quale fu cosa molto lodata ed ingegnosa" ispirato alla villa medicea di Poggio a Caiano (Vasari, p. 191).

Forme non dissimili doveva presentare la perduta Annunciazione del convento vallombrosano di Montescalari (1516), cui pose mano anche il fratello Raffaello (McKillop, p. 248). Nel frattempo, grazie alla favorevole accoglienza della Visitazione affrescata in un tabernacolo di S. Giobbe (immortalata da un'incisione settecentesca di Cosimo Cherubini), il G. otteneva dalla Compagnia del santo la commissione della Madonna col Bambino in trono fra i ss. Giovanni Battista e Giobbe (Firenze, Museo di S. Salvi).

Firmata e datata 1516 sugli unici particolari in emergenza (il vaso di fiori e la fiaschetta di Giobbe), la pala condivide con gli Angeli di S. Spirito il rigore compositivo, rafforzato da una pregevole tavolozza di grigi e rossi scuri. L'intensità del dipinto, spesso sottolineata dalla critica, trova giustificazione nell'adesione personale dell'artista al culto di Giobbe; dà misura del coinvolgimento emotivo la scelta di ritrarsi nel s. Giovanni, per il quale è possibile istituire un confronto, anche di positura, con l'Autoritratto di Detroit. Il disegno di un giovane nudo nella posa adorante di Giobbe (Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi) illustra la prassi compositiva del G., abituato a quotidiani studi dal vero (Vasari, p. 196).

Alle opere di pubblico rilievo il pittore affiancava, in questi anni, le modeste prestazioni per S. Pancrazio e un'attività ritrattistica altamente qualificata: giusto del 1516 è il Ritratto di gioielliere dell'Art Museum di Princeton, notevole per caratterizzazione fisionomica, con i prodotti del mestiere in evidenza e, sullo sfondo, un sentiero in salita allusivo al faticoso raggiungimento della meta prefissata.

Nello stesso anno, a seguito della riconversione dei locali della Sapienza in stalle per i Medici, il G. e Andrea del Sarto abbandonarono lo studio all'Annunziata e separarono le rispettive botteghe, senza peraltro interrompere i rapporti di amicizia e collaborazione.

Fra il luglio del 1518 e il marzo del 1519, durante il soggiorno di Andrea in Francia, il G. portò avanti i lavori nel chiostro dello Scalzo, affrescando, sulla parete est, i due monocromi con il Commiato di s. Giovannino dai genitori e l'Incontro tra s. Giovannino e Gesù.

Dalle specifiche di pagamento risulta che egli ideò la partitura architettonica dell'intera parete; tale circostanza lascerebbe supporre un iniziale contratto per tutti e quattro i riquadri di quel lato del chiostro (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 39). Il G. fu coinvolto nell'impresa sartiana in virtù non di un'acquiescente abilità mimetica, ma di una tecnica in grado di competere - e non sfigurare - con quella di Andrea. L'intervento in corso d'opera non gli impedì di prendere distanza da Andrea sin dalla diversa gradazione tonale del monocromo, né di creare esterni e interni puntigliosamente descritti a fronte dei fondali sintetici dell'amico. Nelle poche, statuarie figure il G. mise a punto considerevoli effetti di panneggio e lume naturale; un intenso studio è il disegno preparatorio per la testa del Battista dell'Incontro (Torino, Biblioteca reale).

Nel 1518 il pittore firmava la Madonna col Bambino e s. Giovannino (già Titta Ruffo, ora di ubicazione ignota), in cui l'ostentata ripresa di modi quattrocenteschi pare imputabile al gusto della committenza; contemporaneo è il tondo con analogo soggetto e schema genericamente raffaellesco conservato alla Galleria Borghese di Roma.

Nell'estate del 1518, insieme con Ridolfo del Ghirlandaio, predispose gli apparati per i festeggiamenti delle nozze tra Lorenzo duca di Urbino e Madeleine de La Tour d'Auvergne e curò l'allestimento scenico delle commedie recitate per l'occasione, tra cui la Mandragola di Machiavelli (7-9 sett. 1518). L'artista non era nuovo a impegni di questo genere, avendo già preso parte alle celebrazioni per la visita fiorentina di Leone X nel 1515 e alle esequie di Giuliano de' Medici duca di Nemours nel 1516 (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 42 n. 10; McKillop, pp. 182 s.).

All'apice della carriera, e in virtù dell'ottima prova fornita in quel settembre, fu incaricato con Andrea del Sarto e con il Pontormo dell'esecuzione degli affreschi nel salone di Poggio a Caiano, commissionati da Leone X in onore di Lorenzo il Magnifico.

Dalle due distinte versioni delle modalità d'ingaggio fornite da Vasari (pp. 35, 195 s.) nella vita di Andrea e in quella del G., risulta che questi fu il primo a essere convocato e forse per l'intera decorazione; non è improbabile che a sceglierlo fosse lo stesso Lorenzo di Urbino, morto già nel maggio 1519 (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 39). Fortemente riduttiva del prestigio assunto dall'artista presso i Medici è l'ipotesi che l'incarico gli pervenisse grazie all'assenza di Andrea del Sarto da Firenze (McKillop); il coinvolgimento di Andrea e del Pontormo sembra essere avvenuto invece in un secondo tempo e per diretto interessamento di Ottaviano de' Medici, responsabile amministrativo dei lavori e amico di entrambi. Al G. si deve il progetto e l'esecuzione dell'intera partitura architettonica del salone; i lavori s'iniziarono dagli stucchi della volta, cui collaborò Andrea di Cosimo Feltrini. Dell'impresa originaria, interrottasi alla morte di Leone X (1521), sopravvivono il Trionfo di Cicerone del G., il Tributo a Cesare di Andrea e il Vertumno e Pomona del Pontormo. La decorazione fu completata nel 1582 da Alessandro Allori, che modificò l'impianto quadraturistico e ampliò alcuni degli affreschi. Il programma iconografico, dettato da Paolo Giovio, intendeva celebrare i fasti dei Medici (Medri). All'interpretazione di Winner (1970), per il quale il Trionfo di Cicerone accennerebbe al rientro di Cosimo il Vecchio in città nel 1434, si sono affiancate le letture della McKillop (pp. 72 s.) e della Sricchia Santoro (1993, I, p. 39), che intendono l'episodio, rispettivamente, come festeggiamento del "ritorno" di Lorenzo il Magnifico dall'esilio spirituale della scomunica e come allusione al consenso popolare tributato alla famiglia nei momenti di crisi politica. Nelle fattezze giovanili di Cicerone, che mal si accordano a un ritratto - sebbene ideale - dell'anziano Cosimo, vanno forse riconosciute quelle di Lorenzo di Urbino, omonimo del Magnifico nonché speranza precocemente stroncata della casata medicea (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 39).

In relazione ai lavori per Poggio a Caiano si è supposto un secondo viaggio del G. a Roma, non giustificabile sul versante stilistico; a fronte della dimensione monumentale "romana" del Tributo di Andrea del Sarto, nel Trionfo permangono i caratteri tipici della pittura del G. (plasticismo, espressionismo caricaturale, vocazione cronachistica), accanto a un'ambientazione generica e di fantasia, affatto contraria alla visione diretta dei luoghi (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 40). Che il G. conoscesse altre vie per l'aggiornamento sulle novità romane è chiaramente dimostrato dalla Madonna col Bambino e s. Giovannino di Vaduz (Liechtensteinisches Landesmuseum), databile al 1521-22 e vicina, nel complesso schema compositivo, alla Madonna dell'Impannata di Raffaello.

Datano al 1522 e al 1523 i frutti estremi dell'attività ritrattistica del G., l'estenuato Ritratto virile degli Staatliche Museen di Berlino, già identificato (Milanesi, p. 197 n. 2) con Matteo Sofferoni, "amicissimo" (Vasari, p. 197) del G., zio materno di Allori e funzionario di dogana (Sricchia Santoro, 1993, I, p. 41), e il Ritratto di Iacopo Cennini di Hampton Court (Shearman, 1983).

Coinvolto, con Francesco di Ubertino detto il Bachiacca e con il Pontormo, nel ciclo decorativo dell'anticamera di Giovanni Maria Benintendi, il G. concepiva nel 1523 la Lettera di Uria (Dresda, Staatliche Kunstsammlungen).

Nel pannello, condotto in punta di pennello e ricco di citazioni da Michelangelo, da Albrecht Dürer, dalla tradizione fiorentina e dall'antico, l'artista diede l'ultimo saggio del proprio talento scenografico, orchestrando spazi e tempi dell'azione come in una pièce teatrale. Del brano con il bagno delle donne si conserva un dettagliato disegno preparatorio (Firenze, Galleria degli Uffizi).

Cade nei primi anni Venti il Noli me tangere del Museo di S. Salvi, affrescato per conto di un Arcangelo tessitore di panni - forse amico di famiglia - all'esterno di un'abitazione in via Porta Rossa. Per la composizione il G. prese spunto dal Noli me tangere realizzato da fra' Bartolomeo all'ospizio di S. Maria Maddalena alle Caldine, arricchendo il modello con desunzioni dalla grafica tedesca, senza peraltro rinunciare a una potente resa plastica e ai propri stilemi (per esempio, l'elegante acconciatura della Maddalena).

Durante la peste del 1523-24 l'artista rimase in città, facendo la spola fra S. Pancrazio e la "squola" che, almeno dal 1520, aveva adibito in parte a propria abitazione (McKillop, p. 251).

Come allievi, nessuno del calibro di quelli sartiani, ebbe il fratello Agnolo, Antonio di Donnino Mazzieri e un tal Visino; collaborò con lui - si ignora in quali termini - il fratello Raffaello, tessitore di professione.

Membro a tutti gli effetti dell'entourage artistico cittadino, come certifica la sua partecipazione a molteplici imprese comuni, il G. seppe soddisfare le esigenze di una committenza variegata per status e censo; ne è nota l'abilità di frescante e prospettico, ma le sue competenze dovettero essere molte, se Vasari (p. 196) lo ricorda artefice di una "notomia" per il medico Andrea Pasquali e se in una dedica, vergata sulla prima carta del poema Febusso e Breusso (Firenze, Biblioteca nazionale, Banco Rari 45), dallo

Stradino (Giovanni Mazzuoli), fondatore nel 1540 dell'Accademia degli Umidi, veniva celebrato come scultore in stucco e gesso, musicista dilettante e fine dicitore di brani teatrali (Milanesi, pp. 198 s. n. 3; Sricchia Santoro, 1993, I, pp. 42 s. n. 11).

Il valore indiscusso dei ritratti eseguiti dal G., destinati perlopiù al ceto borghese dei professionisti, non lascia però dubbi sulla reale vocazione dell'artista. Alla melanconica immagine di ascendenza vasariana, rilanciata dalle speculazioni psicoanalitiche della McKillop, la Sricchia Santoro (1963; 1993, I-II) ha opportunamente sostituito quella di un pittore padrone di mezzi espressivi propri e alieno da mortificanti pratiche citazionistiche. Alla studiosa (1993, I) si deve l'ampliamento del catalogo del G. attraverso l'acquisizione della Madonna col Bambino e s. Giovannino (Indianapolis Museum of art), della Madonna col Bambino tra i ss. Stefano, Bartolomeo, Antonio Abate e Francesco (San Casciano Val di Pesa, S. Stefano a Campoli), del S. Bartolomeo e del S. Bruno (Napoli, Museo di Capodimonte).

Il G. morì a Firenze il 14 genn. 1525, probabilmente di peste; alle esequie e al suo seppellimento in S. Pancrazio provvide la Compagnia di S. Giobbe.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 8, 15, 35, 189-200 (in particolare, pp. 194 n. 2, 197 n. 2, 198 s. n. 3); O. Giglioli, Un affresco inedito del Franciabigio, in Rivista d'arte, XI (1929), pp. 212-215; S.J. Freedberg, Painting of the high Renaissance in Rome and Florence, Cambridge, MA, 1961, pp. 79-81, 222 s., 235-240, 475-484; Id., Andrea del Sarto, ibid. 1963, ad indicem; F. Sricchia Santoro, Per il Franciabigio, in Paragone, XIV (1963), 163, pp. 3-23; J. Shearman, Andrea del Sarto, Oxford 1965, ad indicem; M. Winner, Cosimo il Vecchio als Cicero, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXXIII (1970), pp. 261-297; S. McKillop, Franciabigio, Berkeley-Los Angeles-London 1974 (con bibl.); M. Skubiszewska, Franciabigio's two tondi with Annunciation, in Bulletin du Musée national de Varsovie, XVI (1975), 3, pp. 84-96; Firenze e la Toscana dei Medici nell'Europa del Cinquecento. Il primato del disegno (catal.), Firenze 1980, pp. 118-121 (schede a cura di S. Meloni Trkulja - A. Forlani Tempesti); S. Padovani - S. Meloni Trkulja, Il cenacolo di Andrea del Sarto a S. Salvi. Guida del Museo, Firenze 1982, pp. 18, 65 s.; J. Shearman, The early Italian pictures in the collection of Her Majesty the Queen, Cambridge 1983, pp. 90 s.; S. Padovani, Andrea del Sarto: ipotesi per gli inizi, in Arte cristiana, LXXVI (1988), 724, pp. 197-216; La pittura in Italia. Il Cinquecento, Milano 1988, I, p. 295; II, p. 721; A. Natali - A. Cecchi, Andrea del Sarto, Firenze 1989, ad indicem; L.M. Medri, Il mito di Lorenzo il Magnifico nelle decorazioni della villa di Poggio a Caiano, Firenze 1992, passim; F. Sricchia Santoro, Del Franciabigio, dell'Indaco e di una vecchia questione, I, in Prospettiva, 1993, n. 70, pp. 22-49; Id., Del Franciabigio, dell'Indaco e di una vecchia questione, II, ibid., n. 71, pp. 12-33; L'officina della maniera. Varietà e fierezza nell'arte fiorentina del Cinquecento fra le due repubbliche 1494-1530 (catal.), Venezia 1996, pp. 178, 180, 278; La tradizione fiorentina dei cenacoli, a cura di C. Acidini Luchinat - R.C. Proto Pisani, Firenze 1998, pp. 164-167 (voce curata da G. Damiani); D. Franklin, Florentine art 1494-1530, in The Burlington Magazine, CXXXIX (1997), 1127, pp. 139 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XII, pp. 325-327; The Dictionary of art, XI, pp. 703 s.

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