Giudizio di divisione

Diritto on line (2012)

Livia Di Cola

Abstract

Si vuole affrontare, sulla base della riflessione dottrinale e dell’evoluzione giurisprudenziale in argomento, la ricostruzione del giudizio di divisione che si ritiene più coerente con i principi generali su cui si fonda il processo civile italiano, nonché con le modificazioni intervenute nel codice di procedura civile.

1. Premessa

Ancora oggi nella dottrina italiana non c’è opinione unanime intorno alla natura e all’oggetto del giudizio di divisione, nonché intorno alla natura dei provvedimenti che vengono pronunciati negli snodi principali del procedimento, quelli segnati dagli artt. 784, 787, 788 e 789 c.p.c. e dall’art. 195 disp. att. c.p.c.. Questi momenti di specialità, di un procedimento che viene introdotto con atto di citazione e conseguentemente è riportabile alla struttura base del processo ordinario a cognizione piena, sono accomunati tutti dall’uso del meccanismo della non contestazione ai fini dell’abbreviazione del giudizio: solo nel caso di contestazione si segue la via dell’istruzione ordinaria, altrimenti la chiusura di ogni singola fase avviene con un provvedimento diverso dalla sentenza, sottratta alle impugnazioni proprie di quest’ultima forma di provvedimento. Questo accomuna i provvedimenti pronunciabili in caso di non contestazione, non la medesima natura.

Le fasi del procedimento sono relative alla determinazione del diritto alla divisione (art. 785); alla quantificazione delle quote di proprietà attraverso le operazioni tecniche di ripartizione del patrimonio comune, comprendenti l’eventualità della vendita (artt. 787 e 788); alla discussione ed approvazione del progetto di divisione (art. 789); all’estrazione a sorte dei lotti (art. 195 disp. att. c.p.c.).

2. Natura ed oggetto del procedimento

Una prima ricostruzione del procedimento (Carnelutti, F., Meditazioni sul processo divisorio, in Riv. dir. proc., 1947, II, 22 ss.; Fazzalari, E., Giurisdizione volontaria, Milano, 1970) ha equiparato il ruolo del giudice a quello di un mediatore al quale le parti, anche quando non sia insorta una vera e propria lite, si possano rivolgere in caso di dissenso sul modo migliore di realizzare interessi comuni. Pur essendo stato iniziato con un atto di citazione, il procedimento, nel caso in cui nessuna delle parti contesti il diritto delle altre alla divisione, si svolgerebbe come un tipico giudizio di volontaria giurisdizione: non vi sarebbe la necessità di accertare alcun diritto ma solo di trovare il modo migliore di dividere il patrimonio comune. Raggiunto l’accordo delle parti sul progetto di divisione predisposto dal giudice o dal notaio, ove il giudice decida di delegare ad esso le operazioni divisionali, ed assegnate materialmente le quote, il procedimento si chiuderebbe con l’omologazione da parte del giudice del verbale di attribuzione ex art.195 dip. att. c.p.c. La citazione del convenuto davanti ad un giudice consentirebbe di superare “il dogma della volontà”, mettendo sullo stesso piano un accordo espresso e una mancata contestazione: quest’ultima, in virtù di una fictio iuris, potrebbe essere considerata al pari di una manifestazione positiva di volontà, grazie all’avvenuta intepellatio in forma solenne e alla vigilanza del giudice.

Altra dottrina ha ritenuto che il giudizio abbia natura differente a seconda del suo esito: volontaria giurisdizione ove termini con un accordo delle parti omologato dall’ordinanza del giudice; giurisdizione contenziosa ove le parti prendano la strada della contestazione al progetto di divisione (Pavanini, G., Natura dei giudizi divisori, Padova, 1942). Anche se la giurisprudenza non ha riflettuto molto sulla natura del giudizio di divisione, sembra essere questa la tesi accolta nella maggior parte delle pronunce della Cassazione quando attribuisce all’ordinanza di cui all’art. 789 il ruolo di omologa dell’accordo implicitamente raggiunto mediante la non contestazione (Cass., 20.8.1993, n. 8800, in Foro it., 1994, I, 3167 ss.; Cass.,1.9.1993, n. 9247, in Giur. it., 1994, I, 1, 568 ss.; Cass., 22.11.1999, n. 12949, in Foro it., 2000, I, 1886 ss.).

Secondo una terza ricostruzione (Minoli, E., Contributo alla teoria del giudizio divisorio, Milano, 1950), che non ha avuto sostanzialmente seguito, il giudizio di divisione non sarebbe altro che un procedimento di esecuzione forzata che non avrebbe bisogno di essere preceduto da una fase di cognizione, ma nel corso del quale, si potrebbero avere cinque fasi di cognizione piena espressamente disciplinate, alla stessa stregua delle opposizioni all’esecuzione, o altrettanti “provvedimenti di autorizzazione”. Si tratterebbe di un caso di attuazione di un diritto di obbligazione violato (quello di concludere il contratto di divisione a richiesta di uno dei condomini), eccezionalmente non preceduto dalla cognizione per la particolarità che tutti i comunisti parteciperebbero al procedimento e quindi avrebbero la costante possibilità di opporsi ad operazioni esecutive che considerino contra ius.

Secondo un’ultima tesi (Allorio, E., Giudizio divisorio e sentenza parziale con pluralità di parti, in Giur. it., 1946, I, 1, 79 ss., ed in Problemi di diritto, Milano, I, 1957, 476; Lanfranchi, L., La verificazione del passivo nel fallimento, Milano, 1979, in particolare cap. II, Cognizione sommaria e accertamento, § 9, 185 ss.; Cerino Canova, A., Correzione del progetto di divisione dichiarato esecutivo (articolo 789 codice di proc. civile), nota alla Cassazione 18 dicembre 1973 n. 3434, in Giur. it., 1976, 200; Ciaccia Cavallari, B., La non contestazione nel processo civile, II, Milano, 1993, 118 ss.; Carratta, A., Il principio della non contestazione nel processo civile, Milano, 1995, 412 ss.; da ultimo Di Cola, L., L’oggetto del giudizio di divisione, Milano, 2011, 200 ss.) il giudizio divisorio sarebbe un giudizio di accertamento costitutivo, che, a differenza delle classiche sentenze costitutive, non presenterebbe accertamento e esecuzione della sentenza come contemporanei, ma distinti in due momenti successivi: prima si procederebbe all’accertamento del diritto potestativo; poi, dopo le operazioni tecniche di ripartizione del bene comune, alla modificazione giuridica della realtà, consistente nella nascita di tanti diritti reali individuali di contenuto minore ma di titolarità esclusiva. Per quel che concerne la non contestazione più che come un atto di disposizione, non provenendo dalla parte personalmente ed essendo eccezionali ed espressamente previsti dalla legge i casi di atti di autonomia privata tacitamente concludibili, la si dovrebbe riportare al meccanismo proprio dei procedimenti decisori sommari, sul modello del procedimento per convalida di licenza o sfratto. La non contestazione, insomma, avrebbe il significato di relevatio ab onere probandi, che lascerebbe al giudice l’esercizio del suo libero convincimento, opzione questa attualmente positivamente accolta all’art. 115, co. 1, riformato (si veda più ampiamente Carratta, A., Il principio della non contestazone, cit.).

Quest’ultima tesi è quella che meglio si armonizza con la recente riforma che ha visto, tramite il d.lgs. 4.3.2010, n. 28, di attuazione dell’art. 60 della l. 18.6.2009, n. 69 in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie in materia civile e commerciale, l’introduzione per una serie di giudizi della preventiva mediazione come condizione di procedibilità: tra di essi c’è il giudizio di divisione. Questa previsione ovviamente non avrebbe alcun senso se il giudizio di divisione fosse un procedimento di volontaria giurisdizione finalizzato al raggiungimento dell’accordo delle parti davanti al giudice.

3. Natura dei provvedimenti pronunciati nel corso del giudizio

3.1 Ricognizione

L’articolazione del giudizio di divisione con i suoi provvedimenti conclusivi costituisce la “cartina di tornasole” della composizione del giudicato costitutivo, che qui si scompone in diversi provvedimenti.

Innanzitutto, la decisione sulla sussistenza o meno del diritto alla divisione, il cui riconoscimento comporta quello della sussistenza del precedente stato di comunione, perché può essere modificato solo quello che si supponga esistente. Altra componente è la successiva modificazione dello stato di comunione in tanti diritti di proprietà individuale proporzionati alle quote di partecipazione. Questi due momenti – riconoscimento del diritto potestativo e modificazione giuridica della realtà – costituiscono gli elementi essenziali di qualsiasi giudicato costitutivo, perciò anche del giudicato di divisione.

Elementi solo eventuali del giudizio sono le pronunce di cui agli artt. 787, 788 c.p.c. e 195 disp. att. c.p.c., casi in cui si decide con efficacia di giudicato solo ove ci sia una contestazione. Si tratta della fase liquidativa dei beni, preparatoria alla formazione delle porzioni costituenti il supporto materiale delle proprietà individuali, e di quella di assegnazione delle medesime: le eventuali controversie sono analoghe a quelle che possono esserci all’interno del procedimento di esecuzione forzata.

3.2 La sentenza e l’ordinanza ex art. 785 c.p.c.

L’accoglimento della tesi della natura contenziosa del giudizio di divisione porta alla logica esclusione di alcune proposte dottrinali avanzate sulla natura dei provvedimenti pronunciabili durante il suo corso.

Iniziamo dalla sentenza sul diritto alla divisione ove sorgano contestazioni su di esso. Si tratta di una sentenza parziale perché non è possibile arrivare alla modificazione giuridica richiesta ove prima non si proceda all’accertamento della sussistenza del diritto potestativo. Lo scopo della pronuncia di una sentenza su di una parte del petitum è quello di precludere definitivamente l’esame di quanto cada sotto di essa, come accade nel caso in cui venga pronunciata condanna generica ex art. 278 c.c., così è nel caso di cui all’art. 785 (così: Allorio, E., Giudizio di divisione e sentenza parziale con pluralità di parti, cit., 77 ss.; Pavanini, G., Divisione giudiziale, cit., 449 ss.; Andolina, I., Note sull’oggetto del giudizio divisorio, in Riv. dir. civ., 1960, II, 580; contra: Giussani, A., Definitività delle sentenze nel giudizio divisorio, nota di commento a Cass. 10 novembre 1989 n. 4777, in Nuova giur. civ. comm., 1990, I, 488; Satta, S.-Punzi, C., Diritto processuale civile, Padova, XIII ed., 2000, 860 ss.). La disciplina delle impugnazioni per questo provvedimento è quella propria delle sentenze non definitive.

La giurisprudenza (si veda in proposito: Trib. Milano, 4.3.2000, in Giur. it., 2000, 1844 ss.; inoltre: Cass., 18.6.1986, n. 4080, in Giur. it., 1987, I, 1678 ss.; Cass., 10.11.1989, n. 4777, in Nuova giur. civ. comm., 1990, I, 488 ss.; Cass., 21.4.1994, n. 3788, in Rep. Giur. it., 1994, voce Divisione, n. 18; Cass., 10.11.1998, n. 11293, ivi, voce cit., n. 20) ha distinto tra sentenze meramente strumentali, funzionali alla prosecuzione del giudizio e sentenze definitive che esauriscono in sé l’effetto divisorio, decidendo tutte le questioni in ordine al diritto e alle modalità della divisione, anche quando la sentenza non realizzi la concreta attribuzione delle porzioni perché questa attività viene rimessa alla successiva fase del sorteggio.

È definitiva, al contrario, la sentenza che disconosce il diritto di procedere alla divisione di alcuno dei comunisti, perché nega definitivamente un bene della vita.

Un ventaglio di ipotesi più ampio è stato, invece, prospettato per l’ordinanza di cui all’articolo in commento.

Alcune ipotesi si possono subito accantonare insieme a quelle relative alla natura del procedimento: che si tratti di un provvedimento di volontaria giurisdizione, piuttosto che un provvedimento esecutivo.

La ricostruzione del giudizio come processo contenzioso ordinario con momenti di specialità, non porta, tuttavia, all’automatica esclusione di altre tesi formulate.

Contro quella parte della dottrina e giurisprudenza (Andrioli, V., Commento al codice di procedura civile, III ed., Napoli, 1964, IV, 605; così pure: Cass., 6.3.1980, n. 1521; Cass., 19.11.2008, n. 27523) che vuole l’ordinanza come un provvedimento istruttorio si può obiettare in primo luogo l’inutilità della previsione di una disciplina speciale ove il provvedimento debba essere riportato alla disciplina ordinaria, nonché l’inutilità della ripartizione in fasi ove al giudice fosse data la possibilità di riconsiderare il diritto alla divisione nel proseguo del processo. Una simile preclusione non si raggiungerebbe neanche con il riconoscimento di natura anticipatoria al provvedimento (Lombardi, R., Contributo allo studio del giudizio di divisione, Napoli, 2009, 145): anche perché non si vede la ratio insita in una scelta che né comporterebbe l’immediata esecutività del provvedimento, né porrebbe un punto fermo sul presupposto della modificazione giuridica richiesta, prima di procedere alle operazioni tecniche di divisione materiale del patrimonio. Per escludere successivamente contestazioni sul punto, sembra preferibile la tesi per cui l’ordinanza abbia carattere decisorio sul diritto alla divisione e, per effetto della mancata contestazione ed in virtù di un meccanismo analogo a quello proprio dell’ordinanza per convalida di licenza o sfratto, passi immediatamente in giudicato (Allorio, E., Giudizio divisorio e sentenza parziale con pluralità di parti, cit., 85; Lanfranchi, L., La verificazione del passivo nel fallimento, cit., 143; Liebman, E.T., Giudicato, in Enc giur. Treccani, Roma, 1989, 11; Carratta, A., Il principio della non contestazione, cit., 425). All’accoglimento di questa tesi non osta più neppure l’antica obiezione in virtù della quale l’ordinanza era pronunciata dal giudice istruttore e non dal collegio, organo deputato ai provvedimenti decisori: oggi il procedimento è di competenza del Tribunale sì, ma in composizione monocratica. Né si potrebbe controbattere che la ripartizione di poteri tra collegio e giudice istruttore tornerebbe a sussistere ove contestualmente alla domanda di divisione venisse proposta quella di riduzione di legittima: il nostro codice di procedura civile agli artt. 186 ter, co 5, e 186 quater prevede espressamente possibilità di esercizio del potere decisorio da parte del giudice istruttore.

Per quel che riguarda il significato della non contestazione vi è dissenso all’interno di questa corrente dottrinale, in quanto, mentre una parte ritiene che la non contestazione in questo come nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto abbia il valore di prova legale (Allorio, E., Giudizio divisorio e sentenza parziale con pluralità di parti, cit., 85; Lanfranchi, L., La verificazione del passivo nel fallimento, cit., 143), altra parte identifica la non contestazione come una più limitata relevatio ab onere probandi (Carratta, A., Il principio della non contestazione, cit., 417). Questa posizione sembra essere quella più aderente al significato attribuito alla non contestazione all’art. 115, co.1, anche se si deve specificare che la specialità del procedimento reca con sé la necessità di considerare valida la non contestazione in tutte le ipotesi prese in considerazione nel procedimento di convalida.

3.3 Le sentenze o le ordinanze ex artt. 787 e 788 c.p.c.

Determinato il diritto di procedere alla divisione di ciascun condividente, con la composizione della comunione e con il valore delle quote, si deve passare alla quantificazione di quest’ultime. Le modalità sostanziali di attuazione del diritto alla divisione prevedono alternativamente: la divisione in natura (art. 718 c.c.); la divisione in natura con conguagli in denaro (art. 718 c.c.); l’attribuzione del bene comune per intero ad alcuni condividenti, con l’addebito dell’eccedenza ai coeredi richiedenti (art. 720 c.c.); vendita dei beni con la ripartizione del ricavato (artt. 719 c.c. ss.).

Ove non sia possibile procedere alla suddivisione in natura, il richiamo alla normativa propria dell’esecuzione forzata da parte degli artt. 787 e 788 dovrebbe dare indicazione sulla gradazione delle possibilità del provvedimento; tuttavia bisogna tenere conto della normativa dettata dal codice civile: in caso di immobili non divisibili la precedenza è data all’assegnazione a uno o più condomini (art. 720 c.c.). È logico che si possa parlare di esecuzione in senso lato perché, non essendo riuscite le parti a creare i presupposti materiali di pratica attuazione del diritto alla divisione, è necessario crearli senza la loro fattiva collaborazione.

In virtù del disposto dell’art. 1, n. 4, della l. 16.2.1913, n. 89, le operazioni divisionali possono essere delegate al notaio, che ha il ruolo di ausiliario del giudice, al quale però si deve ritornare per la risoluzione di eventuali controversie insorte tra le parti. La Cassazione (Cass., 12.12.1980, n. 6401, in Giust. civ. Mass., 1980, n. 12; Cass., 18.1.1982, n. 320, in Giust. civ. Mass., 1982, n. 1) ha sancito il principio secondo cui la vendita deve essere considerata come l’extrema ratio. La vendita viene disposta con ordinanza, a meno che non sorgano contestazioni in ordine alla sua necessità: queste, a norma degli artt. 787 e 788, devono essere risolte mediante sentenza.

Gli effetti della vendita sono quelli propri della vendita forzata. In proposito la Cassazione (Cass., 1.9.1999, n. 9212, in Giust. civ. Mass., 1999, n. 1885) ha specificato che nel processo d’espropriazione la fase della vendita, che inizia dopo l’ordinanza con cui si stabiliscono le modalità e la data della vendita forzata e si conclude con il provvedimento di trasferimento coattivo del bene che segue l’aggiudicazione, comprende gli atti preparatori oltre l’ordinanza stessa, la cui mancanza o irregolarità vizia di nullità lo stesso atto che pretende di attuare il trasferimento, con conseguente inapplicabilità della disposizione di cui all’art. 2929 c.c. (secondo la quale la nullità degli atti esecutivi precedenti alla vendita non ha effetto riguardo all’aggiudicatario, salvo il caso di collusione con il creditore procedente), poiché, in tal caso, la nullità degli atti presupposti si riverbera sul supposto atto di trasferimento ed è opponibile all’aggiudicatario. Applicando questi principi alla vendita nella divisione, gli eventuali vizi dell’ordinanza con cui essa venga disposta non sono compresi nella preclusione di cui all’art. 2929.

3.4 La sentenza o l’ordinanza ex art. 789 c.p.c.

In ordine alla natura di questa ordinanza sono due le tesi emerse: che si tratti di un provvedimento di omologazione di un accordo anche implicitamente concluso tra le parti; che sia un provvedimento decisorio sommario. All’accoglimento della prima ipotesi ostano una serie di ragioni: la non provenienza della non contestazione dalla parte personalmente; l’eccezionalità di negozi tacitamente conclusi all’interno del nostro ordinamento, in casi sempre espressamente previsti dalla legge; la mancanza di un espresso avvertimento. È meglio l’elaborato di quella parte della dottrina che riporta questa ordinanza ai provvedimenti decisori sommari come quella ex art. 785, di cui del resto ripete il meccanismo. Il che comporta da un lato la necessità della notificazione, non della semplice comunicazione, del provvedimento alle parti che siano rimaste contumaci, insieme ad una copia del progetto di divisione, con l’avvertimento delle conseguenze a cui porterà la mancata contestazione. Ciò affinché sia consapevole la rinuncia alla cognizione piena di coloro che hanno partecipato alle operazioni divisionali.

3.5 Il decreto o la sentenza ex art. 195 disp. att. c.p.c.

Questa fase del procedimento di divisione è solamente eventuale perché per procedere all’estrazione a sorte debbono ricorrere due requisiti: che le porzioni siano tutte di eguale valore e che le parti non abbiano già raggiunto un accordo circa l’attribuzione delle medesime.

In dottrina (Pavanini, G., Divisione, cit., 479 ss.) si è ritenuto che l’art. 195 disp. att. c.p.c. si riferisca direttamente ed esclusivamente, data la sua formulazione – il processo verbale dal quale risulta l’attribuzione delle quote nelle operazioni di divisione è approvato con decreto del giudice istruttore se non sorgono contestazioni o con la sentenza che decide sulle contestazioni sorte – all’ipotesi in cui vi siano quote diseguali attribuite a seguito di accordo delle parti davanti al notaio; al contrario, ove vi sia un accordo per procedere all’estrazione a sorte, sarebbe il verbale del notaio che l’ha eseguita a costituire titolo esecutivo. Altra dottrina (Costa, S., Giudizio divisorio, in Nss.D.I., VI, Torino, 1960, 61; Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1971, 2, 106; Ripepi, C., Procedimento divisorio, in Dig. civ., XIV, Torino, 1996, 647 ss.) e giurisprudenza (Cass., 29.10.1992, n. 11758, in Rep. Foro it., 1992, voce Divisione, n. 21) ritengono sicuramente estendibile, per evitare disparità di trattamento, la disposizione anche al caso in cui il notaio debba provvedere all’estrazione a sorte e con verbale certifichi le relative operazioni.

In realtà è possibile che davanti al notaio le parti raggiungano un accordo sul piano di riparto proposto da questo ausiliare del giudice. Se le parti si accordano per l’attribuzione diretta delle porzioni, siano esse eguali o diseguali, il procedimento non può che concludersi con un provvedimento che omologhi il verbale. Se le parti si limitano a non contestare il progetto redatto dal notaio è necessario andare davanti al giudice per procedere ex art. 789. Ove non vi sia l’attribuzione diretta delle porzioni, si procede con un’attività tecnico-materiale che costituisce momento culminante della realizzazione della tutela giurisdizionale richiesta: l’estrazione a sorte. In caso di contestazione il provvedimento con cui si chiude il processo non sarà il decreto, titolo esecutivo per il rilascio o la consegna dei beni assegnati in combinato disposto con il provvedimento di merito a cui questo da attuazione, ma una sentenza. Le eventuali contestazioni mosse alle modalità di estrazione posso considerarsi analoghe a quelle oggetto dell’opposizione agli atti esecutivi.

4. I rimedi avverso i provvedimenti pronunciati in difetto dei presupposti di legge

La giurisprudenza maggioritaria (Cass., 4.5.1982, n. 2737, in Giur. it., 1982, I, 1, 1513 ss., con nota di Mandrioli, C., Sui rimedi contro l’ordinanza che approva il progetto divisionale pronunciata senza i presupposti di legge; Cass., 28.9.2006, n. 21064, in Foro it., 2007, 3, 1, 810; Cass., 24.4.2008, n. 10746, in www.leggiditalia.it) è sempre rimasta ferma sulla posizione che, nel caso in cui l’ordinanza fosse stata adottata in assenza dei presupposti di legge, e, quindi, non si potesse tecnicamente parlare di non contestazione – perché nel progetto di comunione sono stati inseriti beni non contemplati nella domanda iniziale ovvero perché, per inconvenienti nell’attuazione del meccanismo procedurale di cui all’art. 789, i convenuti contumaci non sono venuti a conoscenza della fissazione dell’udienza di discussione e del deposito del progetto di divisione –, l’ordinanza avrebbe sostanza di sentenza e sarebbe impugnabile mediante ricorso straordinario in Cassazione.

Le conclusioni della giurisprudenza maggioritaria relative all’impugnabilità dell’ordinanza di cui all’art. 789 mediante ricorso straordinario, sono state estese all’occorrenza a tutte le ordinanza pronunciate dal giudice nel corso del procedimento, in difetto dei presupposti di legge (Cass., 12.2.2000, n. 1572, in www.leggiditalia.it).

Parte della giurisprudenza, coerentemente con il presupposto che l’ordinanza assolva ad una funzione di semplice controllo formale della regolarità del procedimento di divisione e di conferimento dell’efficacia esecutiva all’accordo delle parti, a cui si fa risalire l’effetto divisorio – tesi sostanzialistica – ha desunto che l’ordinanza de qua possa essere impugnata come un negozio giuridico, cioè con l’azione di nullità o con altri mezzi di tutela (Cass., 17.6.1959, n. 1902, in Giust. civ., 1959, I, 2181, con nota di Jannuzzi, A.; Cass., 12.2.1980, n. 1012, in Giust. civ., 1980, I, 1643 ss.; Cass., 4.4.1997, n. 2913, in Rep. Foro it., 1997, voce Divisione, n. 9), quale l’azione di rescissione (Cass., 2.5.1969, n. 1415, in Foro it., I, c. 1718).

In un’apertura della più recente la giurisprudenza di Cassazione (Cass., sez. II, 22.2.2010, n. 5250, con nota di commento di Di Cola, L., Sull’impugnazione dei provvedimenti pronunciabili nel giudizio di divisione:novità nella giurisprudenza della Cassazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2011, 617 ss.) ha ritenuto che, venuta meno la riserva di collegialità nel procedimento di divisione, ne derivi che, essendo il procedimento di scioglimento di comunioni trattato e deciso davanti al tribunale in composizione monocratica, nell’art. 788 non ci sia più divergenza, sotto il profilo della composizione dell’organo decidente, tra la pronuncia del giudice istruttore, ove non sia sorta controversia sulla necessità della vendita, e quella resa dal giudice monocratico, ove siano sorte contestazioni al riguardo. La sottrazione del giudizio di divisione al novero delle controversie riservate al collegio è destinata a far venir meno la qualificazione in termini di provvedimento abnorme per ragioni funzionali dell’ordinanza con cui il giudice istruttore dispone la vendita pur in presenza di contestazioni, essendo sempre il medesimo giudice a pronunciare sia sentenza che ordinanza. Perciò, allorché nel provvedimento di divisione il giudice istruttore provveda con ordinanza sulla vendita, pur essendo sorta controversia sul punto, il provvedimento, pronunciato in ogni caso da un organo munito di potere decisorio, diverge dalla sentenza solo per forma, ma lo è nel contenuto sostanziale. Ne deriva che detta ordinanza è impugnabile con i rimedi ordinari e quindi è, non ricorribile ex 111 Cost., ma appellabile.

Tali conclusioni possono essere estese all’occorrenza a tutte i provvedimenti adotti in forma diversa dalla sentenza, pronunciati in presenza di contestazione ovvero in assenza di essa per difetto di comunicazione o notificazione ovvero perché la parte è incorsa in decadenze per causa a lei non imputabile, unita se del caso all’istanza di rimessione in termini.

Delle ordinanze di cui all’artt. 787 e 788 in caso di decadenza non imputale si può chiedere la revoca con contestuale rimessione in termine nel corso del giudizio. In questa stessa evenienza il decreto di cui all’art. 195 disp. att. c.p.c. può essere impugnato con un mezzo analogo all’opposizione agli atti esecutivi, sempre con contestuale richiesta di rimessione in termini.

Fonti normative

Artt. 784 c.p.c. ss.; artt. 194-195 disp. att. c.p.c.; artt. 718 c.c. ss.

Bibliografia essenziale

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