Giudizio immediato [dir. proc. pen.]

Diritto on line (2012)

Gianluca Varraso

Abstract

Vengono esaminate la struttura e la funzione del giudizio immediato che, all’interno dei procedimenti speciali caratterizzati dall’assenza dell’udienza preliminare disciplinati nel libro VI del codice di procedura penale, il d.l. n. 92/2008 ha voluto rivitalizzare nella prassi con una serie di modifiche che hanno accentuato le contraddizioni di sistema.

1. La specialità del giudizio immediato

Tra i procedimenti speciali a definizione anticipata del dibattimento si colloca il giudizio immediato (Marzo, M.C., Giudizio immediato, in La giustizia penale differenziata, I procedimenti speciali, t. I, coordinato da F. Giunchedi, Torino, 2010, 805 ss.; Rivello, P.P., Giudizio immediato, in Enc. dir., Annali, III, Milano, 2010, 468 ss.; Siracusano, F., Giudizio immediato, in Dig. pen., Aggiornamento, V, Torino, 2010, 399 ss.) che, nell’ottica della massima semplificazione sottesa al codice di rito, imposta dall’art. 2, n. 1, della l. delega 16.2.1987, n. 81, appare coerente con la volontà di realizzare, da un lato, la direttiva pattizia alla ragionevole durata del processo (v. art. 6, co. 1, CEDU e ora art. 111, co. 2, Cost.) e, dall’altro lato, di favorire una più rapida formazione del giudicato e con esso una maggiore certezza della pena, con l’eliminazione della fase dell’udienza preliminare e una compressione dei tempi investigativi.

L’art. 2, co. 1, lett. f), g) ed h), d.l. 23.5.2008, n. 92, conv. nella l. 24.7.2008, n. 125, ha modificato la disciplina originaria, cercando di rivitalizzare nella prassi il rito de quo, creando una duplice articolazione del giudizio immediato su istanza del pubblico ministero, disciplinato nel titolo terzo del libro VI del codice di rito (Lorusso, S., Il giudizio immediato (apparentemente) obbligatorio e la nuova ipotesi riservata all’imputato in vinculis, in Lorusso, S., a cura di, Le nuove norme sulla sicurezza pubblica, Padova, 2008, 141; Orlandi, R., Note critiche, a prima lettura, in tema di giudizio immediato custodiale (art. 453 1 co. bis c.p.p.), in Oss. proc. pen., 2008, 10; Valentini, E., La poliedrica identità del nuovo giudizio immediato, in Mazza, O.-Viganò, F., a cura di, Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica, Torino, 2008, 281; Varraso, G., Il “doppio binario” del giudizio immediato richiesto dal pubblico ministero, in Scalfati, A., a cura di, Il decreto sicurezza, Torino, 2008, 175). Resta integra la disciplina atipica del rito immediato su domanda dell’imputato di cui all’art. 419, co. 5, c.p.p.

2. Il giudizio immediato “tipico”: i presupposti

Il p.m. chiede il giudizio immediato cd. tipico, ai sensi dell’art. 453, co. 1, c.p.p., a fronte di una pluralità di presupposti (Bene, T., Giudizio immediato, in Spangher, G., diretto da, Trattato di procedura penale, vol. IV, t. 1, a cura di L. Filippi, Torino, 2009, 408 ss.). In primis, deve sussistere l’evidenza della prova. In secondo luogo, all’imputato devono previamente contestarsi il fatto di reato e le fonti di prova in sede di interrogatorio disposto dall’autorità giudiziaria, ovvero mediante la notifica dell’invito a presentarsi ex art. 375, co. 3, c.p.p., per consentirgli di difendersi e di replicare alle risultanze, per lo più unilaterali, degli atti della parte pubblica. Salvo che l’accusato adduca un legittimo impedimento o si tratti di persona irreperibile, tale invito può rimanere senza effetto, in quanto non vi è alcun obbligo di presentarsi.

La prima modifica introdotta dal d.l. n. 92/2008 attiene alla “obbligatorietà” del giudizio immediato, sussistendone le condizioni. Non si stabilisce più che «il pubblico ministero può chiedere», bensì, in modo perentorio, che «il pubblico ministero chiede» il rito de quo.

L’intenzione del legislatore di limitare l’originario potere discrezionale della parte pubblica è chiara, ma il risultato modesto, se si riflette, innanzitutto, sul significato di una prova che, già secondo la locuzione normativa deve solo “apparire” evidente, svelandosi che si tratta di un dato privo di “oggettività”: la parte pubblica, in sede di esercizio dell’azione penale, effettua un giudizio prognostico, al pari di quello che fonda più in generale il decreto che dispone il giudizio, di sostenibilità dell’accusa in giudizio e, in aggiunta, di inutilità della fase dell’udienza preliminare con il contraddittorio tra le parti e gli sviluppi probatori consentiti dagli artt. 421 bis e 422 c.p.p. (Bene, T., Giudizio immediato, cit., 410).

Bisogna leggere, poi, alla luce di alcune premesse di sistema la condizione negativa per l’accesso al rito del «grave pregiudizio per le indagini», anch’essa inserita dal d.l. n. 92/2008 nell’art. 453, co. 1, c.p.p., per il resto rimasto immutato.

La “facilità” delle indagini è caratteristica implicita, anche se non immanente, del giudizio immediato tipico (per tutti, Siracusano, F., La completezza delle indagini nel processo penale, Torino, 2004, 153-154).

La relativa richiesta va proposta, ai sensi dell’art. 454 c.p.p., e la fase preliminare conclusa entro novanta giorni dalla iscrizione della notitia criminis pur priva del nome della persona alla quale il reato è attribuito, a pena di nullità di ordine generale assoluta o, per lo meno, a regime intermedio ai sensi degli artt. 178 lett. b) e c) e 179 e 180 c.p.p. (contra la giurisprudenza, per la quale si tratta ditermine ordinatorio: dopo la novella Cass. pen., sez. VI, 20.10.2009, Amato, in Cass. pen., 2010, 1349, con osservazioni di Spagnolo, P.). In ogni caso, non sono ammissibili indagini lacunose.

Già nella storica sentenza n. 88/1991, il Giudice delle leggi teorizzava il principio della tendenziale completezza delle indagini preliminari avendo riguardo proprio, tra l’altro, al rito di cui si discute: «La completa individuazione dei mezzi di prova è necessaria, da un lato, per consentire al pubblico ministero di esercitare le varie opzioni possibili (tra cui la richiesta di giudizio immediato, saltando l’udienza preliminare) e per indurre l’imputato ad accettare i riti alternativi; ciò che è essenziale ai fini della complessiva funzionalità del sistema, ma presuppone, appunto, una qualche solidità del quadro probatorio. Dall’altro lato, il dovere di completezza funge da argine contro eventuali prassi di esercizio apparente dell’azione penale, che, avviando la verifica giurisdizionale sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose o monche, si risolverebbero in un ingiustificato aggravio del carico dibattimentale» (C. cost., 15.2.1991, n. 88, in Giur. cost., 1991, 592).

L’obiettivo di una tendenziale completezza delle indagini preliminari non realizzabile entro il termine dei novanta giorni, correlato al bisogno di non disperdere prove urgenti, dovrebbe orientare il p.m. nel valutare l’assenza del grave pregiudizio per le indagini. La condizione introdotta mantiene, quindi, contorni e contenuti non ben definiti, a conferma che non viene meno, anche sotto questo profilo, la discrezionalità dell’autorità giudiziaria, la quale ora è chiamata, comunque, ad un’attenta ponderazione dei requisiti che giustificano e impongono il passaggio diretto al contraddittorio dibattimentale.

3. Il giudizio immediato “custodiale”. I tempi della richiesta e il «grave pregiudizio per le indagini»

Il d.l. n. 92/2008 ha introdotto con l’art. 453, co. 1 bis, c.p.p. la figura autonoma (Cass. pen., sez. II, 6.10.2009; n. 38727, in Dir. pen. e processo, 2010, 557, con nota di Maffeo, V.) del giudizio immediato c.d. custodiale (Orlandi, R., Note critiche, a prima lettura, in tema di giudizio immediato custodiale (art. 453 1 co. bis c.p.p.), cit., 10).

Il pubblico ministero lo richiede per il fatto di reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare in carcere.

Il legislatore utilizza sempre l’indicativo deontico a ribadire l’obbligatorietà della richiesta ogniqualvolta l’indagato si trovi ristretto in carcere o, per l’equiparazione di cui all’art. 284, co. 5, c.p.p., agli arresti domiciliari, in presenza di un’ordinanza de libertate emessa ai sensi degli artt. 391, co. 5, o 292 c.p.p. avente ad oggetto un determinato addebito, ossia di un presupposto a carattere “oggettivo” al pari dell’arresto in flagranza di reato o della confessione previsti per il rito direttissimo dall’art. 449 c.p.p.

Sotto questo aspetto, il giudizio immediato è uno sviluppo possibile del “mancato” giudizio direttissimo.

Il più delle volte la precautela è il preludio all’applicazione di una misura coercitiva e, qualora il pubblico ministero, pur essendo stato convalidato l’arresto, non sia in grado di concludere le indagini nel termine di trenta giorni per proporre istanza ex art. 449, co. 4, c.p.p., resta aperta la strada del rito di cui all’art. 453, co. 1 bis, c.p.p. nei confronti dell’indagato ristretto in carcere all’esito dell’udienza disciplinata dall’art. 391 c.p.p.

Si rafforza l’opinione secondo la quale il rito immediato andrebbe collocato a metà strada tra il giudizio direttissimo ed il procedimento ordinario, anche alla luce dell’indirizzo giurisprudenziale secondo il quale la sorpresa in flagranza di reato ex art. 382 c.p.p. e la confessione sono situazioni che giustificano il giudizio di cui si discute laddove il p.m. non abbia proceduto con quello direttissimo e se si tiene nel debito conto che l’audizione in sede di udienza di convalida ex art. 391 c.p.p. e l’interrogatorio di garanzia sono considerati equipollenti all’interrogatorio di cui all’art. 453, co. 1, c.p.p. (per tutte, Cass. pen., sez. III, 2.12.1999, Fusco, in Cass. pen., 2001, 1278). Si impongono, peraltro, talune precisazioni alla luce del comma 1 ter dell’art. 453 c.p.p. in base al quale la richiesta di cui si discute deve essere formulata «dopo la definizione del procedimento di cui all’art. 309 c.p.p., ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame» avverso l’ordinanza cautelare ad opera dell’imputato o del suo difensore.

Da un lato, la «definizione» del procedimento di riesame non dovrebbe ricondursi alla chiusura del solo giudizio di cui all’art. 309 c.p.p. (così, tra gli altri, Rivello, P.P., Giudizio immediato, cit., 477; nonché Cass. pen., sez. II, 6.4.2011, Caputo, in CED Cass., n. 250078), bensì all’esaurimento di tutte le eventuali impugnazioni de libertate compreso il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 311 c.p.p. (Varraso, G., Il “doppio binario” del giudizio immediato, cit., 181 ss.; in giurisprudenza, Cass. pen., sez. III, 15.4.2010, in Dir. pen. e processo, 2011, 63 ss., con nota di Insom, F.).

Dall’altro lato, più semplice è individuare il significato della locuzione «decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame», da rapportarsi a quanto stabilito dall’art. 309, co. 1 e 3, c.p.p., ossia «riguardo alla posizione dell’imputato, dieci giorni dalla data di esecuzione o di notificazione del provvedimento che ha applicato la misura cautelare, … con riguardo alla posizione del difensore, dieci giorni dalla data di notificazione dell’avviso di deposito dello stesso provvedimento nella cancelleria del giudice che lo ha emesso» ai sensi dell’art. 293 c.p.p. (così Bricchetti, R.-Pistorelli, L., Giudizio immediato per chi è già in carcere, in Guida dir., 2008, n. 23, 80).

Anche se la tecnica legislativa non è impeccabile, si può ricavare una ratio ben precisa con rilevanti implicazioni.

La custodia cautelare in carcere per un determinato fatto criminoso rappresenta una forma di evidenza qualificata che il legislatore utilizza per giustificare una domanda “obbligatoria” di giudizio immediato, purché sul provvedimento de libertate si sia formato rebus sic stantibus un giudicato cautelare (anche quando non è proposto ricorso ex artt. 311 e 606 c.p.p.), non più controvertibile al momento della richiesta medesima.

È vero che «la valutazione sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. [è] sideralmente distante, prima ancora che sul piano della capacità predittiva, su quello qualitativo, dalla tipologia di pronostico racchiuso nella nozione dinamica di infondatezza della notizia di reato, essendo l’una proiettata sull’esito del processo di merito e l’altra sulla mera utilità gnoseologica dell’esperimento delle dinamiche probatorie giudiziali» (Adorno, R., La richiesta “coatta” di archiviazione, in Scalfati, A., a cura di, Novità su impugnazioni penali e regole di giudizio, Milano, 2006, 49).

Eppure, il d.l. n. 92/2008 va nella direzione opposta. Si è voluto equiparare il giudizio prognostico di elevata probabilità di colpevolezza dell’imputato sotteso all’art. 273 c.p.p., passato indenne al possibile gravame delle parti, all’evidenza probatoria valutata prima dal pubblico ministero e poi dal g.i.p. per l’emissione di un provvedimento di rinvio a giudizio, su di una linea interpretativa già emersa con la l. 20.2.2006, n. 46, che aveva introdotto nell’art. 405 c.p.p. la figura di archiviazione coattiva di cui al comma 1 bis, poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta con sentenza 24.4.2009, n. 121 (in Giur. cost., 2009, 1131 ss., con nota di Panizza, S., e Scomparin, L.). Ribaltando l’idea tradizionale che, al più, è il giudizio di merito ad influire sulle vicende del procedimento de libertate, si è creato un caso in cui situazioni originate nel processo incidentale hanno efficacia preclusiva nel processo principale (sul punto, Iacoviello, F.M., Procedimento penale principale e procedimenti incidentali. Dal principio di minima interferenza al principio di preclusione, in Cass. pen., 2008, 2190 ss. e Tonini, P., Considerazioni sul giudizio immediato custodiale, in Dir. pen. e processo, 2010, 1397-1398).

Non bisogna, infine, trascurare che il riesame, ex art. 309 c.p.p., può chiudersi con l’annullamento della misura coercitiva per la mancanza di una delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p. e pur in presenza di un consolidato quadro indiziario di colpevolezza dell’indagato, ovvero anche con l’applicazione di una cautela meno gravosa per l’indagato medesimo.

L’instaurazione del giudizio immediato di nuovo conio è preclusa in tutti questi casi, evidenziandosi il carattere di sussidiarietà tra le due figure di giudizio immediato. Permanendo un quadro indiziario grave a carico della persona sottoposta alle indagini, il pubblico ministero, se è ancora in termini, deve valutare se chiedere il giudizio immediato ai sensi dell’art. 453, co. 1, c.p.p. (cfr. Bricchetti, R.-Pistorelli, L., Giudizio immediato per chi è già in carcere, cit., 81).

In modo non del tutto consapevole, si consegue un obiettivo coerente con l’intenzione che ha animato il legislatore del 2008 di evitare scarcerazioni per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare: è la custodia in carcere o gli arresti domiciliari in fieri a giustificare, con le altre condizioni, il rito immediato proprio per “bypassare” l’udienza preliminare e riversare sul dibattimento le eventuali problematiche di cui all’art. 303 c.p.p.

Le novità introdotte dal d.l. n. 92/2008 riguardano anche la disciplina dei tempi entro i quali la parte pubblica deve effettuare ai sensi dell’art. 453, co. 1 bis, c.p.p. la richiesta, senza che esista ancora una volta un grave pregiudizio per le indagini. I due profili appaiono connessi.

In primis, il legislatore a fronte di reati che giustificano la misura custodiale prevede l’estensione temporale massima prevista fino ad oggi per la istanza nell’ottica di consentire al p.m. di creare una piattaforma probatoria esaustiva ai fini di una più proficua insaturazione del dibattimento.

Da qui, «il pubblico ministero richiede il giudizio immediato, anche fuori dai termini di cui all’art. 454, comma 1, c.p.p., e comunque entro centottanta giorni dall’esecuzione della misura».

Cambiano rispetto alla disciplina generale di cui all’art. 454 c.p.p., oltre alla durata, il dies a quo e il dies ad quem del termine.

La parte pubblica ha in pratica fino a sei mesi (termine ordinatorio per la giurisprudenza Cass. pen., sez. VI, 20.10.2009, Amato, cit., 1349), per effettuare la propria scelta a decorrere dall’esecuzione della misura custodiale ai sensi dell’art. 293 c.p.p. Ciò significa che tale termine è svincolato dagli adempimenti di cui all’art. 335 c.p.p. ed appare autonomo rispetto alla disciplina stessa di durata della fase preliminare.

Si creano, per la prima volta, interferenze con i vincoli temporale fissati dall’art. 407 c.p.p.

Il pubblico ministero non può esercitare l’azione penale nei modi di cui all’art. 453, co. 1 bis, c.p.p. se la definizione del procedimento di riesame avvenga oltre il termine dei centottanta giorni, ma nulla gli impedisce di farlo entro gli stessi centottanta giorni anche oltre quanto fissato proprio dall’art. 407 c.p.p.

La durata delle indagini costituisce «la misura temporale del potere investigativo, non già del potere di azione» del pubblico ministero (Giostra, G., L’archiviazione. Lineamenti sistematici e questioni interpretative, Torino, 1994, 50-51).

Il p.m. deve, però, essere consapevole che le investigazioni tardive sono inutilizzabili (v. art. 407, co. 3, c.p.p.) e l’inerzia nell’ottemperare all’obbligo previsto dall’art. 112 Cost. nei tempi consentiti può portare all’avocazione delle indagini ai sensi dell’art. 412 c.p.p.

Passando al dies ad quem del termine di cui si discute, esso deve valutarsi non avendo riguardo alla “trasmissione” della richiesta alla cancelleria del g.i.p. come stabilisce l’art. 454 c.p.p., bensì con riferimento all’“emissione” della richiesta medesima ad opera sempre della parte pubblica, come lascia intendere la lettera dell’art. 453, co. 1 bis, c.p.p.

Due risultati appaiono incontrovertibili.

Da un lato, le indagini a fondamento della richiesta prefigurata da tale ultima norma in nulla divergono da quelle ordinarie, confermando come la novella va ad incidere solo sull’esclusione dell’udienza preliminare per una più rapida instaurazione del giudizio.

Dall’altro lato, come già sottolineato riguardo al modello fondato sulla prova evidente, nel valutare la sussistenza o meno della condizione negativa dell’assenza di un grave pregiudizio per le indagini, il pubblico ministero deve lasciarsi guidare proprio dall’obiettivo di completezza delle indagini anche per il bisogno di acquisire, in forma urgente, prove non rinviabili al dibattimento.

4. I poteri di controllo del giudice per le indagini preliminari

La scelta del pubblico ministero di percorrere la strada del giudizio immediato soggiace al controllo giurisdizionale (Rivello, P.P., Giudizio immediato, cit., 479 ss.).

La domanda va depositata presso la cancelleria del g.i.p. insieme al fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate dal p.m., ovvero depositate dal difensore dell’imputato ex art. 391 octies, co. 2, c.p.p. e svolte dopo la notifica dell’invito a presentarsi ex art. 375 c.p.p. e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice. Il corpo del reato e le cose pertinenti il reato sono allegate al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove (art. 454, co. 2, c.p.p.).

Il g.i.p. è chiamato a svolgere de plano la sua funzione di controllo ai sensi dell’art. 455 c.p.p. entro cinque giorni, schiudendosi l’alternativa tra il rinvio a giudizio e la restituzione degli atti al p.m. perché prosegua nelle forme ordinarie, sempre che il giudice non si dichiari incompetente ex art. 22, co. 3, c.p.p. e, secondo un certo indirizzo, non ritenga di prosciogliere l’imputato ex art. 129, co. 1, c.p.p. (per un approfondimento, v. Siracusano, F., Giudizio immediato, cit., 415 ss.).

L’oggetto del controllo giurisdizionale cambia a seconda della tipologia di giudizio immediato. Nel rito tipico, la verifica riguarda i presupposti elencati nell’art. 453, co. 1, c.p.p. Peculiare è la disciplina nel caso di giudizio immediato custodiale. Il giudice rigetta la richiesta se «l’ordinanza che dispone la custodia cautelare è stata revocata o annullata per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza» (art. 455, co. 1 bis, c.p.p.). Il g.i.p. è così vincolato ad accogliere la domanda tempestiva e senza grave pregiudizio per le indagini per il reato, in relazione al quale l’indagato si trova in stato di custodia cautelare sulla base di un’ordinanza “definitiva” con una eccezione. Il sopravvenire di un novum probatorio favorevole all’indagato tra la richiesta di giudizio immediato e l’emissione del decreto di cui all’art. 455 c.p.p. (più o meno lungo dato il carattere ordinatorio del termine dei cinque giorni) impedisce l’instaurazione del rito immediato se fissato da un provvedimento dell’organo giurisdizionale e non per forza della corte di legittimità, ossia da un’ordinanza di revoca, pure d’ufficio, ex art. 299 c.p.p. magari dello stesso g.i.p. chiamato a decidere sul rito, nonchè di annullamento dell’ordinanza ex artt. 310 e 311 c.p.p. Esula dall’ambito di cui si discute il caso dell’inefficacia di quest’ultima per la carenza o per l’attenuazione di una delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 c.p.p.: in sede di controllo giurisdizionale, la richiesta del rito è rigettata in parte qua se la misura coercitiva venga meno per sopravvenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e non per altre ragioni. Si crea in questo modo una disarmonia sistematica. Il pubblico ministero ai sensi dell’art. 453, co. 1 bis, c.p.p. non può domandare il giudizio immediato se la custodia in carcere cessi per qualsiasi causa; per converso, l’organo giurisdizionale in base all’art. 455, co. 1 bis, c.p.p. deve accogliere la istanza medesima, sussistendone tutti i presupposti, anche se la custodia in carcere sia stata nel frattempo revocata, annullata o sostituita con altra misura de libertate, purchè in presenza di un quadro indiziario ormai consolidato. È probabile che il legislatore volesse introdurre una sostanziale assimilazione tra la situazione di evidenza probatoria che giustifica il rito immediato e il solo giudicato cautelare sui gravi indizi di colpevolezza, ma la tecnica legislativa appare discutibile.

5. L’emissione del decreto che dispone il giudizio immediato e l’instaurazione del dibattimento

Se il giudice ravvisa la legittimità della richiesta ex art. 453 c.p.p. emette il decreto di giudizio immediato che presenta il contenuto del provvedimento di cui all’art. 429, co. 1 e 2, c.p.p., richiamato dall’art. 456, co. 1, c.p.p., pur con alcuni profili peculiari (Rivello, P.P., Giudizio immediato, cit., 482-483). L’atto, da un lato, costituisce la citazione a giudizio, dall’altro lato, sollecita l’imputato alla richiesta dei riti speciali che non si è potuto chiedere nell’udienza preliminare. Esso contiene l’avviso che l’imputato può presentare istanza di giudizio abbreviato e di patteggiamento (art. 456, co. 2, c.p.). L’omissione di tale avviso determina una nullità di ordine generale a regime intermedio ex artt. 178, lett. c), e 180 c.p.p. (C. cost., 25.5.2004, n. 148, in Giur. cost., 2004, 1553, con nota di Esposito, M.). Il decreto ai sensi dell’art. 456, co. 3-5, c.p.p. va comunicato al p.m. e notificato insieme alla richiesta all’imputato e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio. Nello stesso termine, è notificato al difensore dell’imputato apposito avviso della predetta data. Se l’imputato chiede, a pena di decadenza, entro quindici giorni dall’ultima notifica a lui o al difensore (C. cost., 16.4.2002, n. 120, in Giur. cost., 2002, 930, con nota di Garuti, G.), di essere giudicato sulla base degli atti di indagine, depositando l’apposito atto nella cancelleria del g.i.p. «con la prova dell’avvenuta notifica al p.m.» (art. 458, co. 1, c.p.p.), il g.i.p., se la richiesta di “abbreviato” è ammissibile, fissa davanti a sé con decreto un’udienza camerale destinata a svolgersi secondo le regole previste in generale dagli artt. 438, co. 3 e 5, 441, 441 bis, 442, 443, avvisando il p.m., l’imputato, il difensore e la persona offesa almeno cinque giorni prima. Nel caso di cui all’art. 441 bis, co. 4, c.p.p. (modifica dell’imputazione ad opera del p.m. ex art. 423 c.p.p.), il giudice, revocata l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato, dispone l’udienza per il giudizio immediato (v. art. 458, co. 2, c.p.p.). A fronte di una istanza di patteggiamento, anch’essa da presentare entro quindici giorni dall’ultima notifica del decreto di citazione (v art. 446, co. 1, c.p.p.), sempre il g.i.p. decide ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (Cass., S.U., 17.1.2006, Confl. comp. in c. B., in Dir. pen. e processo, 2006, 1485 ss.).

Il rigetto e l’assenza di richieste di riti alternativi fanno refluire il processo lungo l’iter ordinario. Il g.i.p. forma il fascicolo per il dibattimento, nel rispetto degli artt. 431 e 433 c.p.p., che viene trasmesso insieme al decreto al competente giudice di primo grado (v. art. 457 c.p.p.) (cfr. Gaito, A., Presupposti del giudizio immediato e processo equo, in Dir. pen. e processo, 2011, 533): dopo di che si applicano gli artt. 465 ss. c.p.p. L’art. 2 bis del d.l. n. 92/2008 nel sostituire l’art. 132 bis disp. att. c.p.p. impone la trattazione in via prioritaria dei giudizi immediati, per evitare che l’accelerazione temporale tipica del rito sia vanificata dalle regole ordinarie di formazione dei ruoli.

6. Il giudizio immediato e i procedimenti cumulativi

Anche nel d.l. n. 92/2008 il legislatore in modo un po’ utopistico ha avuto di mira il modello già fatto proprio dal codice di procedura penale del 1988 del processo con un solo imputato ed una sola imputazione, trascurando che nella prassi è più frequente la realizzazione di fattispecie complesse sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

La custodia cautelare in carcere può essere comminata per una pluralità di fatti di reato, che a loro volta possono essere oggetto di un’unica ordinanza, ovvero di una pluralità di ordinanze restrittive.

Allo stesso tempo, si deve evidenziare che le modifiche di cui si discute e, quindi, entrambi i modelli di giudizio immediato ora disciplinati dall’art. 453, co. 1 e 1 bis, c.p.p. devono rapportarsi al dictum dell’art. 453, co. 2, c.p.p., proprio per il caso in cui nel procedimento cumulativo il reato in relazione al quale sussistano i presupposti di instaurazione del rito speciale risulti connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che lo giustificano.

In generale, si deve continuare a sostenere che nei confronti di questi ultimi reati (oltre che nei confronti dei rispettivi imputati) si deve procedere in via separata e in via ordinaria, prevalendo per il primo reato il rito immediato, proprio per privilegiare le ragioni di celerità e speditezza che hanno ispirato il codice e la novella del 2008.

Esiste una deroga sempre contenuta nell’art. 453, co. 2, c.p.p.: tutte le res iudicandae devono accertarsi in via ordinaria nel simultaneus processus qualora la relativa separazione è tale da pregiudicare gravemente le indagini e la riunione si riveli, di conseguenza, necessaria.

Dal punto di vista del pubblico ministero, significa stabilire se il pregiudizio per le indagini sia tale da prevalere sull’opportunità di richiedere, per alcuni reati, il giudizio alternativo, svelandosi all’interno dei procedimenti cumulativi e in virtù della stessa locuzione normativa un’ampia discrezionalità nelle scelte.

Per ovviare ad eventuali errori della parte pubblica nel valutare requisiti che pur sempre concorrono all’instaurazione del rito, sarebbe opportuno valorizzare la funzione di controllo e di garanzia del g.i.p. sul corretto esercizio dell’azione nelle forme fissate dal legislatore anche per quanto riguarda il rispetto dell’art. 453, co. 2, c.p.p.

7. Il giudizio immediato richiesto dall’imputato

Il giudizio immediato, che si instaura su richiesta dell’imputato, è disciplinato nel libro V del codice, all’interno della fase preparatoria dell’udienza preliminare, a conferma della sua assoluta peculiarità. L’analisi deve limitarsi a tale modello, apparendo sprovvisto del carattere di specialità il rito immediato sempre su iniziativa dell’imputato che segue all’opposizione al decreto penale di condanna ex art. 458, co. 3, c.p.p.: in questo caso il passaggio diretto al giudizio è la conseguenza naturale e obbligata del procedimento quando vengono esclusi epiloghi alternativi.

«Variegato il catalogo delle ragioni che possono indurre l’imputato ad una simile scelta. L’imputato opta per un immediato approdo al giudizio dibattimentale in quanto ritiene che la propria posizione potrà ricevere più ampia tutela attraverso lì esercizio del diritto alla prova nel dibattimento: ovvero mira ad accedere istantaneamente agli effetti preclusivi del giudicato; … punta, ancora, a non svelare anticipatamente i contenuti della propria tesi antagonista» (così Siracusano, F., Giudizio immediato, cit., 422).

L’art. 419, co. 5, c.p.p. prevede il diritto dell’imputato a rinunciare a tale fase, che palesa il suo carattere di disponibilità. Poiché l’imputato perde importanti chances difensive, la rinuncia deve essere personale ovvero posta in essere a mezzo di un procuratore ad hoc. Inoltre, è da effettuarsi almeno tre giorni prima dell’udienza preliminare.

Manifestatosi il volere dell’imputato, il giudice deve emettere il decreto di giudizio immediato (v. art. 419, co. 6, c.p.p.), potendo sindacare la scelta sotto il profilo formale. Del resto, da un lato, l’atto di rinuncia deve essere notificato al p.m. e alla persona offesa (v. art. 419, co. 5, c.p.p.) con soli fini informativi: l’omissione o il ritardo non incide sulla validità dell’istanza. Dall’altro lato, a fronte di una pluralità di imputazioni, è da ammettere quest’ultima anche su singoli addebiti, con la separazione automatica per gli altri.

Optando per il giudizio immediato, l’imputato perde la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato e il patteggiamento (v. art. 458, co. 3, c.p.p.): non si vuole che, dopo aver provocato la fissazione immediata del dibattimento, si effettui di lì a poco la scelta opposta di chiudere in via anticipata il processo.

8. Il giudizio immediato richiesto dall’ente

Nonostante il silenzio sul punto del d.lgs. 8.6.2001, n. 231, si può configurare un rinvio alla disciplina generale di cui agli artt. 453-458 c.p.p. e 419, co. 5, c.p.p., in assenza di specifiche incompatibilità ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lgs. n. 231/2001 per l’ente sottoposto a procedimento penale, salvo che per la figura del giudizio immediato custodiale di cui all’art. 453, co.1 bis, c.p.p.

Entro novanta giorni dall’annotazione dell’illecito ex art. 55, d.lgs. n. 231/2001, il p.m. richiede il giudizio immediato nei confronti dell’ente se gli elementi raccolti integrino la prova evidente della sua responsabilità ai sensi degli artt. 5, 6 e 7, d.lgs. n. 231/2001 e se sui fatti dai quali emerga l’evidenza della prova abbia interrogato il legale rappresentante dell’ente costituitosi o lo abbia invitato a presentarsi ai sensi dell’art. 375, co. 3, c.p.p. Da parte sua l’ente costituitosi ex art. 39, d.lgs. n. 231/2001, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, può rinunciare all’udienza preliminare.

9. Le aporie sistematiche

La prassi sta registrando l’incremento auspicato dal legislatore del 2008 dell’utilizzo del giudizio immediato. Del resto, il legislatore nel configurare il carattere doveroso di tale rito speciale ha voluto indicare all’organo requirente «un modello di ‘pratica professionale virtuosa’», sia a fronte di situazioni di evidenza probatoria e di semplicità delle indagini che consentono rapidità nella chiusura della fase preliminare e nella fissazione del giudizio dibattimentale (artt. 453, co. 1, e 454, co. 1, c.p.p.) sia, in particolare, avendo riguardo all’ipotesi di cui all’art. 453, co. 1 bis, c.p.p., che, se le esigenze cautelari lo consentono, impone «alla parte pubblica di completare le indagini prima di richiedere la custodia dell’indagato, in modo da poter rapidamente esercitare l’azione penale nei tempi indicati, saltando così l’udienza preliminare e scaricando interamente sulla fase processuale il carico dei termini di custodia cautelare» (così Bricchetti, R.-Pistorelli, L., Giudizio immediato per chi è già in carcere, cit.,81-82).

Ad invogliare, comunque, il p.m. a chiedere, sussistendone i requisiti, il rito de quo è una circostanza che consente di svolgere talune non secondarie riflessioni (cfr. Sottani, S., Utilità strategica del giudizio immediato per il p.m., in Arch. pen., 2011, n. 2, 1 ss.). Si è detto più volte che il procedimento a definizione anticipata del dibattimento presuppone indagini complete, secondo gli auspici contenuti nella sent. n. 88/1991 della Corte costituzionale.

E’ ormai pacifico che la richiesta ai sensi dell’art. 453, co. 1, c.p.p. non debba essere preceduta dalla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. E’ stato agevole per la giurisprudenza, anche costituzionale, (C. cost., 16.5.2002, n. 203, in Giur. cost., 2002, 1604, con nota di Spangher, G.), il richiamo al tenore letterale degli artt. 416, co. 1, 550, co. 1, e 552, co. 2, c.p.p.: l’avviso deve essere notificato all’indagato e al suo difensore qualora la parte pubblica intenda esercitare l’azione penale con la “richiesta di rinvio a giudizio”, ovvero con la “citazione diretta a giudizio”. Ricorre sempre, poi, un’affermazione: «per quanto concerne le censure che attengono alla disparità di trattamento, tenuto conto della struttura del processo penale, caratterizzato dalla presenza di una pluralità di riti alternativi che mirano attraverso la semplificazione dei meccanismi e l’abbreviazione dei tempi del procedimento, a pervenire ad una più rapida conclusione della vicenda processuale, è ragionevole che le forme di esercizio del diritto di difesa siano modulate in funzione delle caratteristiche dei singoli procedimenti speciali». Si sostiene così che, ai fini della contestazione del fatto, le garanzie di cui è espressione l’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio di cui all’art. 375 c.p.p. «sono sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, l’unica differenza essendo riscontrabile nel deposito della documentazione delle indagini espletate, previsto dall’art. 415 bis, comma 2, c.p.p., al quale peraltro fa riscontro, ove si ponga mente alle specificità del giudizio immediato, la contestazione verbale degli elementi e delle fonti su cui si fonda l’evidenza della prova richiamata dagli artt. 453 e 375, comma 3, c.p.p.». Allo stesso tempo, si sottolinea come a seguito dell’interrogatorio (rectius dell’invito a presentarsi), la persona sottoposta alle indagini al fine di evitare di essere tratta a giudizio può esercitare le strategie difensive più opportune «dalla presentazione di memorie e richieste scritte al pubblico ministero alle attività di sollecitazione probatoria e alle investigazioni difensive» (C. cost., 16.5.2002, n. 203, cit., 1604), ossia gli stessi poteri previsti sempre dall’art. 415 bis c.p.p.

E’ facile prevedere che le stesse argomentazioni vengano addotte per escludere la notifica dell’avviso di cui si discute anche prima della richiesta ex art. 453, co. 1 bis, c.p.p., consentendo al pubblico ministero di risparmiare su attività che non solo ritardano la fissazione del giudizio, ma che sono foriere di facili invalidità sulla vocatio in iudicium.

L’argomento sistematico, improntato al rispetto dei principi del giusto processo legale che devono contemperarsi con il principio di efficienza connesso alla ragionevole durata del processo, induce ad effettuare taluni distinguo.

Non può trascurarsi come in primo luogo, la misura cautelare, al pari dell’invito a presentarsi, può intervenire in un qualsiasi momento delle indagini preliminari in base alle strategie investigative e alle valutazioni della parte pubblica.

In secondo luogo, la sommaria enunciazione del fatto contenuta nell’atto disciplinato dall’art. 375, co. 3, c.p.p., al pari di quella contenuta nel provvedimento de libertate, non è sovrapponibile all’imputazione provvisoria dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari che finisce per coincidere nel suo nucleo essenziale con la res iudicanda, la quale viene di lì a poco contestata con la richiesta di rinvio a giudizio o con la citazione diretta a giudizio.

Né tanto meno le fonti di prova depositate anche con l’ordinanza cautelare presentano quella completezza imposta dall’art. 415 bis, co. 2, c.p.p., ma sono frutto della selezione del pubblico ministero ai sensi dell’art. 291, co. 1, c.p.p.

Ciò consente di evidenziare alcuni profili connessi e le implicazioni sistematiche. Qualora la parte pubblica percorra la strada del rito speciale di cui si discute, l’imputato viene a conoscenza dell’accusa solo dopo l’esercizio dell’azione penale con la notifica del decreto di giudizio immediato che rappresenta anche il dies a quo ai sensi dell’art. 139 norme att. c.p.p. per prendere visione ed estrarre copia dell’intero fascicolo del pubblico ministero depositato ai sensi dell’art. 454, co. 2, c.p.p. e conosciuto fino a quel momento in modo parziale. Da qui, l’imputato, fino all’emissione del predetto decreto, potrà svolgere investigazioni difensive ai sensi degli artt. 391 octies e 419, co. 3, c.p.p. senza conoscere l’addebito effettivo e neppure tutte le fonti di prova raccolte dal p.m., ma anche dopo la vocatio in iudicium l’accusato dispone, per poter in astratto introdurre gli elementi a sé favorevoli, dell’attività integrativa di indagine che si svolge nei limiti di cui all’art. 430 c.p.p. e nei tempi accelerati correlati alla fissazione prioritaria del dibattimento.

Il rischio, d’altro canto, che le lacune investigative orientino l’imputato nel seguire la strada ordinaria è piuttosto elevata, se si riflette che indagini unilaterali possono condurre più facilmente ad un proscioglimento. In ogni caso, si appesantisce la fase istruttoria anche con interventi ex officio del giudice ai sensi dell’art. 507 c.p.p.

Non può poi escludersi che, proprio a fronte dell’impossibilità di raccogliere per tempo gli elementi a proprio favore nei quindici giorni successivi alla notificazione del decreto di vocatio in iudicium ex art. 458, co. 1, c.p.p., vi possa essere un incremento delle richieste di giudizio abbreviato condizionato ad opera dell’imputato, anch’esse rimesse alla discrezionalità del tribunale o della corte d’assise che può rigettarle.

Si aggrava così il carico dibattimentale e si lede, alla stesso tempo, la concentrazione del dibattimento, non risolvendo i problemi delle scarcerazioni facili, ma posticipandoli.

Fonti normative

Artt. 419, 453,458 c.p.p.

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