GIULIA E PAPIA POPPEA, LEGGE

Enciclopedia Italiana (1933)

GIULIA E PAPIA POPPEA, LEGGE

Plinio FRACCARO

. Augusto fece approvare, nel 18 a. C., una lex Iulia de maritandis ordinibus e nel 9 d. C. fece proporre ai comizî dai consoli M. Papio Mutilo e Q. Poppeo Secondo un'altra legge, lex Papia Poppaea nuptialis, che completava la Iulia. Con esse, sempre citate insieme, Augusto si proponeva di attuare la riforma dei costumi; mirava a far rifiorire la nuzialità e la natalità e a tutelare la purezza e la moralità della stirpe.

Esse concedevano molti privilegi ai coniugati con prole e sancivano invece incapacità e inferioritȧ per i coniugati senza prole (orbi), i cittadini maschi fra i 25 e i 60 anni e femmine fra i 20 e i 50 che non fossero coniugati, le divorziate che entro 6 (Lex Iulia) o 18 (Lex Papia Poppaea) mesi e le vedove che rispettivamente entro un anno o due anni non avessero ripreso marito. Gl'impedimenti matrimoniali derivanti dalla patria potestà e dal patronato vennero limitati. Il console coniugato con figli aveva la precedenza sull'orbus e questo sul celibe; ogni figlio dava diritto a presentarsi un anno prima candidati alle cariche pubbliche. In Roma tre figli, nell'Italia quattro, cinque nelle provincie davano diritto alla dispensa dai munera. La donna ingenua madre di tre figli era liberata dalla tutela del sesso (ius triam liberorum), la liberta madre di quattro dalla tutela del patrono. I liberti con due figli in potestate o uno quinquenne erano liberati dalla prestazione di opere al patrono, il quale anche perdeva il suo diritto alla quota virile se il liberto aveva tre figli e un censo di 100.000 sesterzî. Ma gravi soprattutto erano le disposizioni relative alla capacità successoria, data l'importanza che le eredità avevano nella vita economica del tempo. Il celibe, quando non si coniugasse entro 100 giorni, non poteva ricevere nulla, né come erede, né come legatario, da chi non fosse suo parente o affine sino al sesto grado, l'orbus solo metà; i bona caduca andavano ai patres qui in eo testamento liberos habent o all'erario. I coniugi fra loro potevano capere decimam per il fatto del matrimonio e altre decimae in proporzione al numero dei figli. I celibi non potevano assistere agli spettacoli pubblici. I senatori e i loro discendenti sino al terzo grado non potevano sposare liberte, gl'ingenui donne senza onore. Pare fosse una parte della lex Iulia de mar. ord. la cosiddetta lex Iulia de adulteriis coërcendis e le l. I. de fundu dotali e caducaria.

I comizî approvarono riluttanti queste leggi, e si escogitarono poi infiniti modi per frodarle, nonostante i premî concessi ai delatori, così che esse non ottennero lo scopo vagheggiato da Augusto. Per la loro importanza civile, esse furono largamente commentate dai giuristi romani (per es., commento di Gaio in 15, di Ulpiano in 20, di Paolo in almeno 12 libri).

Bibl.: P. Jörs, Über das Verhältnis der lex Iulia de m. o. zur lex Papia Poppaea, Bonn 1882; id., Die Ehegesetze des Augustus, Marburgo 1893; F. Friebs, Die lex Iulia de adulteriis coërcendis auf Grundlage d. sog. Lex Dei, Breslavia 1910; H. Voith, Die lex Iulia Miscella, Lipsia 1928; G. Rotondi, Leges publicae populi Romani, Milano 1912, pp. 443 e 457; P. De Francisci, Storia del diritto romano, II, i, Roma 1929, p. 320; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., articoli citati in XII, col. 2400. Per i papiri: P. M. Meyer, Zum sog. Gnomon des Idioslogos aus E. Seckels nachlass, in Sitzb. der preuss. Ak., 1928, e Die Papyrusurkunden und die Ehsegetzgebung des Augustus, in Festschrift z. Vierjahrhundertfeier des Johanneums, Amburgo 1929.