CORA, Giuliano Egidio Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CORA, Giuliano Egidio Giuseppe

Vincenzo Clemente

Nato a Costigliole d'Asti il 24 luglio 1884, da Egidio e da Giulia Varesi, e diplomato al R. Istituto di scienze sociali di Firenze, il 10 nov. 1906 entrò nella carriera diplomatica in seguito ad esame di concorso.

Addetto di legazione dal 1°apr. 1907, prestava servizio a Washington fino al 1909; destinato quindi alla importante ambasciata di Vienna chiedeva di essere inviato ad Addis Abeba, sede disagevole e poco ambita: a spingerlo era la passione africana manifestatasi in lui dopo un viaggio in Eritrea e in Egitto nel 1905. Lo secondò in questo passo l'allora direttore degli Affari politici del ministero degli Esteri Giacomo Agnesa che, anche in seguito, lo terrà in considerazione accogliendo nella "serie rossa" delle monografie coloniali da lui patrocinata un suo scritto: Etiopia. Il commercio d'importazione dell'Etiopia nel 1911. Rapporto del cav. Cora segretario della R. Legazione in Etiopia (Roma 1913), in cui si indicavano i dati dell'interscambio con i maggiori mercati coloniali francese e britannico e si sollecitavano iniziative per incrementare il commercio italiano attraverso gli sbocchi eritreo e somalo.

Trasferito ad Addis Abeba il 20 febbr. 1910, vi prestò servizio fino alla metà del 1913 tenendovi la reggenza della legazione dal 4 dic. 1911 al 25 ag. 1912 e poi dal febbraio al giugno 1913.

Era allora a capo della nostra legazione G. Colli dei marchesi Felizzano, il quale negli anni immediatamente precedenti (1906-08) aveva concluso importanti trattati che segnarono una favorevole ripresa della nostra politica dopo la crisi di Adua e la fine del protettorato italiano; politica favorita dal governatore d'Eritrea Ferdinando Martini ed ispirata a direttive di pacifica penetrazione economica sulla base di un restaurato rapporto di fiducia con il governo centrale ed esclusione di collusioni con i capi periferici; politica di intesa con le potenze coloniali confinanti, Inghilterra e Francia. Alla linea del Colli il C. si manterrà costantemente fedele, così come alla prudente direttiva africanista dell'Agnesa.

Trasferito a Belgrado il 22 ottobre 1913 con il grado di secondo segretario di legazione, la pratica rapidamente acquisita dell'ambiente politico e diplomatico della capitale serba gli consentiva, in assenza del capo della nostra legazione barone N. Squitti, di informare con estrema rapidità e precisione il proprio ministero sugli sviluppi della crisi austroserba del giugno-luglio 1914.

Il C. fu il primo diplomatico occidentale a porsi in grado di trasmettere al proprio governo l'avvenuta presentazione dell'ultimatum austriaco ed i termini di esso, - assumendosi la responsabilità di manifestare la convinzione che l'Austria-Ungheria intendeva sfruttare a fondo l'incidente di Seraievo per procedere ad una resa di conti generale con la Serbia. Lo stesso ministro britannico a Belgrado, nel comunicare la sera del 23 luglio la notizia dell'ultimatum, lasciava la responsabilità dell'informazione al collega italiano, il quale lo aiutava anche a cifrare il telegramma diretto a Londra. I contatti del C. con Pašić, che richiese per suo tramite i buoni uffici del governo italiano all'indomani dell'ultimatum, diedero al ministro degli Esteri marchese di San Giuliano l'immediata percezione della gravità della crisi e dei suoi possibili sbocchi, di cui gli alleati della Triplice tenevano l'Italia all'oscuro, e gli fecero comprendere, sembra con qualche anticipo sugli altri governi, che la Russia sarebbe senz'altro intervenuta a fianco della Serbia, e predisporre le opportune iniziative diplomatiche. Della vicenda il C. ha lasciato testimonianza in Belgrado 1914 (in Riv. di studi polit. internaz., VIII [1941], pp. 513-530).

Segretario di legazione di prima classe dal 29 giugno 1914, egli fu di nuovo trasferito ad Addis Abeba il 26 agosto. Vi rimarrà fino alla metà del 1918 nel periodo critico determinato dal tentativo turco-germanico di coinvolgere l'Etiopia nel conflitto mondiale.

Della crisi il C. ha lasciato testimonianza in L'Etiopia nella prima guerra mondiale (in Rassegna ital. polit., letter. ed artist., XXV[1942], pp. 436-448):gl'intrighi della Germania, col favore dell'amica e poi alleata Turchia, erano divenuti pericolosissimi dal momento in cui nell'estate 1914 i progetti bellici contro il canale di Suez si erano estesi con lo stabilimento di basi per sottomarini e di stazioni radio lungo tutto il territorio turco del Mar Rosso. Fallito l'attacco al canale di Suez, i turco-germanici tentarono di mettere il reggente Iyāsu (ligg Iyāsu) alla testa di tutte le popolazioni musulmane dell'impero etiopico, facendo leva sulle tendenze filoislamiche di questi e sull'appoggio del padre, il negus Mikā'el, il cui esercito si intendeva organizzare con forti concentrazioni di truppe. Impadronitosi di tutto il potere, Iyāsu si sarebbe alleato con la Germania e la Turchia, che avrebbero fornito i quadri e l'armamento per la formazione di un potente esercito. L'azione, prossima a riuscire, avrebbe fatto dell'Etiopia la testa di ponte dei nostri avversari sia in Africa Orientale, dove le truppe del gen. von Lettow combattevano ancora, sia contro l'Eritrea, quasi indifesa, consentendo di attaccare alle spalle il Sudan e l'Egitto. Il nostro console in Harar, Sola, rivelò il progetto e fornì ai ministri dell'Intesa ampia documentazione dei contatti intercorrenti tra Iyásu e le popolazioni musulmane del bassopiano somalo e dancalo nonché con i rappresentanti tedesco e turco. Il Colli promosse l'azione culminata nella nota diplomatica del 12 sett. 1916, con cui i rappresentanti dell'Intesa denunciavano l'attività sovversiva del reggente, provocandone la dichiarazione di decadenza; seguiva la mobilitazione e la guerra civile. Il grosso delle forze ribelli, comandato dal negus Mikā'èl che aveva raccolto oltre 200.000 uomini, sarebbe stato fermato a poche tappe dalla capitale. Il rivolgimento dinastico portava alla reggenza il deggiac Tafari Makonnen (futuro imperatore Hāyla Sellāysé, dal novembre 1930); questi avrebbe conservato gratitudine e fiducia verso i rappresentanti italiani.

Primo segretario di legazione dal 23 febbr. 1918, il C. fu trasferito a Tokio il 12 luglio di quell'anno e resse l'ambasciata dal gennaio 1919 al luglio 1920; fu poi destinato a Londra con funzioni di consigliere d'ambasciata (22 ag. 1921). Nell'ottobre il ministro degli Esteri, marchese Tomasi della Torretta, lo nominava addetto alla delegazione italiana alla conferenza di Washington per il disarmo e l'Estremo Oriente (novembre 1921-febbraio 1922).

Del legame di stima e di amicizia stabilitosi in quella circostanza con Luigi Albertini il C. scriverà in Il disarmo generale e la conferenza di Washington (1921-22), (in Riv. di studi pol. intern., XXXI [1964], pp. 221-228), qualificandolo come la "personalità più marcante di tutta la delegazione" ed elogiandone i sistemi di lavoro, che, già sperimentati nel Corriere della sera, avevano ben presto sostituito quelli dei "tardigradi impiegati della Consulta"; dirà di avere spesso immaginato Luigi Albertini presidente del Consiglio, "un Capo di Governo eccezionale...". Del legame con Albertini è traccia anche nell'epistolario di questo, ed in specie in una lettera del C. dell'8 dic. 1922 da Londra in cui sono registrate le prime reazioni di scontento al "sistema fascisticamente sbrigativo", introdotto da Mussolini nelle assegnazioni delle nuove destinazioni ai diplomatici di carriera.

In Un diplomatico durante l'era fascista (in Storia e politica, V [1966], I, pp. 8898) il C. dirà di aver continuato a servire il suo paese durante il regime fascista "con indipendenza di spirito e fermezza di carattere", sia pure attraverso difficoltà sempre crescenti, incontrando da parte di Mussolini rispetto e considerazione per le sue capacità.

Finché - sostiene il C. - Mussolini aveva continuato a seguire da vicino e a dar credito ai buoni diplomatici di carriera mantenendo con essi rapporti personali, la sua politica estera aveva avuto sviluppi favorevoli. Il progressivo deterioramento sarebbe culminato nella nomina a ministro degli Esteri di G. Ciano (1936). Da quel momento il duce avrebbe avuto sempre minori contatti con i collaboratori di carriera e avrebbero preso definitivamente il sopravvento i "diplomatici dilettanti" e gli emissari di partito intriganti e privi di scrupoli, sostenitori di movimenti senza seguito e perdenti: questi avrebbero fatto il vuoto intorno a lui.

Destinato a Teheran il 3 genn. 1923 in revoca di una precedente nomina ad Addis Abeba, il 28 novembre il C. venne trasferito a Monaco di Baviera con patenti di console generale. Qui ebbe contrasti con emissari fascisti che finanziavano Hitler dopo il fallito putsch del 1923: venutone a conoscenza da fonte governativa bavarese, il C. aveva cercato di ostacolare in ogni modo l'opera di tali emissari, che disponevano di fondi ingenti e che lo accuseranno a Roma di antifascismo e di sabotaggio alla politica governativa.

Nel marzo 1925 fu chiamato dal segretario generale S. Contarini a dirigere il negoziato anglo-italiano per la delimitazione delle rispettive zone di ricerca e di sfruttamento petrolifero in Albania, che si svolgeva a Roma con sir J. Cadman, presidente della Anglo-Persian Oil Co., conosciuto dal C. durante la permanenza a Teheran. Il negoziato si concluse con un accordo assai favorevole all'Italia, e permanendo i presupposti politici dell'intesa, avrebbe potuto dare inizio alla collaborazione con una delle più potenti compagnie petrolifere del mondo.

Anche in riconoscimento della parte avuta in questi negoziati, Contarini lo aveva destinato in Albania con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario del 7 ag. 1925, per succedere al marchese C. Durazzo.

Ma proprio nell'estate 1925 avveniva quella svolta della politica italiana verso l'Albania che realizzava a palazzo Chigi un deciso dualismo di direttive ed avrebbe provocato le dimissioni del Contarini. La nomina del C. risultava tardiva: nel mese di luglio Mussolini aveva infatti deciso di aprire con Zogu i negoziati che avrebbero posto l'Albania sotto il protettorato italiano. Quando, verso la metà di agosto, il C. fu chiamato a Roma per raggiungere la nuova sede, il cambiamento di direttive era già avvenuto e la revoca della nomina comunicatagli da Mussolini era plausibilmente dettata dall'abbandono della linea contariniana per imboccare una linea di accentuata tensione con la Jugoslavia, che il C. non era adatto a rappresentare.

Il 4 nov. 1926 tornava ministro ad Addis Abeba, mentre le relazioni italoetiopiche erano notevolmente deteriorate in seguito agli accordi Mussolini-Graham del 14-20 dic. 1925 per la spartizione delle sfere d'influenza in Etiopia e dopo che lo stesso Colli non era riuscito ad appianare le nuove tensioni. Grazie alla stima di ras Tafari il C. ristabiliva un clima di fiducia, e, facendo largo uso di discrezionalità, riallacciava le trattative già avviate da Tafari durante la visita ufficiale a Roma del 1924, in cui il reggente aveva sollecitato dal Contarini la concessione all'Etiopia di uno sbocco al mare attraverso il territorio eritreo, dopo che la Francia aveva rifiutato un porto franco a Gibuti.

In contropartita alla concessione di un porto. franco ad Assab il C. proponeva ora la costruzione di una strada camionabile, che avrebbe dovuto congiungere questo porto con una delle regioni più popolate e più ricche dell'Etiopia orientale avente il centro in Dessiè.

Nel maggio 1927 la visita del duca degli Abruzzi ad Addis Abeba assumeva un rilevante carattere politico: della missione facevano parte il governatore d'Eritrea Iacopo Gasparini, che il C. aveva tenuto costantemente al corrente della trattativa e che di questa si era mostrato ap5rto sostenitore, il direttore degli Affari politici R. Guariglia ed altre personalità civili e militari. Oltre a definire il primo testo dell'accordo, la visita otteneva al duca degli Abruzzi Patteso permesso alla esplorazione dello Uebi Scebeli, al barone Franchetti l'esplorazione della Dankalia, e consentiva altre rilevanti iniziative italiane in territorio etiopico.

Il trattato italo-etiopico, firmato dal C. il 2 ag. 1928, e ratificato il 3 ag. 1929, si componeva. di un patto di amicizia ed arbitrato e di una convenzione stradale per la camionabile Assab-Dessiè; esso impegnava i due paesi ad ampliare i reciproci commerci, costruendo strade e facilitando con ogni mezzo gli scambi commerciali fra l'Etiopia e le vicine colonie italiane (art. 3), finora rimaste svantaggiate dalla mancanza di adeguati mezzi di comunicazione. Mussolini aveva caldeggiato l'accordo escludendo per il momento una soluzione integrale e violenta della questione etiopica. L'accordo, tenuto segreto fino alla conclusione, suscitava sorpresa negli ambienti internazionali ed allarme da parte francese, temendosi la concorrenza della camionabile alla ferrovia di Gibuti ed alle maggiori correnti di traffico incanalate verso questo porto.

Gravi contrasti si sarebbero manifestati in sede di attuazione del trattato, e il C. fece carico del successivo insabbiamento dell'accordo all'ostruzionismo degli alti quadri coloniali italiani, in specie del nuovo governatore eritreo C. Zoli e del ministro delle Colonie E. De Bono, i quali introducevano un deliberato mutamento della nostra politica etiopica ed isolavano l'iniziativa del C. presso il negus: le prime difficoltà incontrate dalla commissione mista di esperti per la definizione del tracciato della camionabile (1928-29) serviranno loro ad accreditare negli ambienti governativi la tesi secondo cui Tafari avrebbe inteso servirsi dell'accordo unicamente per esercitare pressioni sul governo francese. Verso la fine del '29, mentre il C. continuava a mediare le favorevoli disposizioni del negus, la situazione interna in Etiopia si era fatta gravissima in seguito alla ribellione del ras Gugsà Olliè e Tafari aveva rivolto all'Italia una richiesta di carri armati, automezzi, aeroplani e piloti italiani. Considerando che questo fosse il banco di prova dei recenti accordi il C. sollecitava Mussolini perché la richiesta, subito accolta, fornisse la base per una pronta liquidazione delle pendenze relative alla strada in un momento eccezionalmente favorevole per l'Italia. La risposta italiana si sarebbe fatta molto attendere e sarebbe stata negativa; alla liquidazione della ribellione avrebbero in seguito contribuito, in maniera decisiva, le forniture prontamente concesse dai Francesi. Anche alla proposta d'impiego di nostri tecnici per il rilievo del tracciato stradale in territorio etiopico il governo italiano non avrebbe dato tempestivo adempimento. Il regime sosterrà pretestuosamente che la politica degli accordi non aveva dato i frutti sperati. Il rovesciamento della politica dell'accordo avrebbe quindi determinato in breve giro d'anni l'aggressione italiana e la conquista dell'Etiopia, con irreversibile destabilizzazione internazionale e radicalizzazione del fascismo. All'abbandono della linea dell'accordo il C. attribuisce il proprio allontanamento da Addis Abeba, avvenuto alla fine del 1930; sostiene tuttavia di non aver potuto registrare in Mussolini un cambiamento di direttive prima della fine del 1933. Sulla scorta della documentazione prodotta dal Guariglia nei suoi Ricordi (Napoli 1950), G. Salvemini ha creduto di poter affermare che nello stesso nostro ministero degli Esteri il direttore degli Affari generali per l'Europa, Levante e Mediterraneo favorisse, contro le direttive del C., una politica di indebolimento del potere centrale etiopico nella prospettiva di un nostro intervento militare (G. Salvemini, Opere, III, 3, Milano 1967, pp. 168 ss.).

Nominato non senza contrasti ministro a Sofia, nell'importante scacchiere balcanico, il 29 dic. 1930, il C. sarebbe rimasto in Bulgaria fino alla fine del '34, ottenendo l'avallo di Mussolini alla liquidazione dei fascisti bulgari del gen. Skoinoff ad alla cessazione di ogni sovvenzione ai macedoni dell'ORMI. Trasferito quindi a Santiago con credenziali di ambasciatore (31 dic. 1934), il C. otteneva invece di essere utilizzato, durante le operazioni militari in Etiopia, in qualità di commissario italiano al debito pubblico egiziano.

Mentre si accingeva a partire per questa sede, giungeva a Roma il governatore della Bank of Abyssinia, Collier, inviato dal negus per tentare trattative di pace, mentre le nostre truppe d'occupazione erano ferme intorno a Makallè ed il maresciallo Badoglio sostituiva De Bono al comando supremo: in questa ed in altra circostanza il C. era indicato come intermediario italiano, ma la missione Collier, unica seria iniziativa di pace avvenuta durante il conflitto, non avrebbe avuto seguito. Terminata la guerra, un tentativo di Ciano di nominare il C. vice governatore d'Etiopia incontrava la resistenza del nuovo ministro delle Colonie Lessona, che aveva avocato a sé tutta la politica etiopica escludendone palazzo Chigi, e del governatore Graziani. Il C. lamenterà anche da parte dei nostri militari la direttiva di allontanare dal teatro etiopico, durante e dopo la guerra, ogni esperto delle cose di quel paese, ed il governo "corrotto e violento" di Graziani. Loderà invece il successivo governo del duca d'Aosta e del gen. Nasi.

Ambasciatore a Sciangai dall'inizio del 1937, mentre l'Italia svolgeva in Cina una politica di grande attività presso il governo nazionalista di Chiang Kai-shek con tre importanti missioni - una finanziaria del ministro A. De Stefani, altra dell'aviazione militare del gen. Scaroni, ed altra della marina militare dell'amm. Notarbartolo di Villarosa -, l'improvviso voltafaccia italo-tedesco a fianco degli invasori giapponesi avvenuto in quella estate poneva il C. - ed il collega tedesco - in situazione assai imbarazzante; veniva quindi dimesso nel 1938 "per aver fatto resistenza alla politica governativa in Estremo Oriente", non essendogli parso opportuno ricevere la missione fascista di G. Paulucci Barone, diretta in Giappone, in transito per Sciangai già occupata dalle truppe giapponesi.

Collocato a riposo, il C. continuerà ad occuparsi della politica estremorientale in scritti prevalentemente informativi: l'articolo Uan Cing uei e il nuovo ordine in Cina (in Riv. di studi pol. internaz., VII [1940], pp. 36-53) contiene accenni ad una iniziativa di pace svoltasi nella primavera del 1938, in cui era stata richiesta la sua mediazione presso il ministro delle finanze Sung Tzeweri del governo nazionalista cinese allora residente ad Hankow. L'arbitrato avrebbe dovuto essere affidato al conte Ciano - prima richiesta di alta mediazione italiana in Estremo Oriente - ed avrebbe potuto avere a giudizio del C. esito felice se ad esso non si fossero opposti i militari giapponesi e i nostri estremisti. Il C. auspicava che un riconoscimento delle potenze dell'Asse al governo di Wang Ching-wei contribuisse alla composizione del conflitto cino-giapponese e ad una stabilizzazione in quel gigantesco scacchiere. In Il Giappone e l'Occidente (in Riv. di studi pol. internaz., VIII [1941], pp. 300-318) illustra gli sviluppi della politica panasiatica del Giappone. Dopo l'aggressione giapponese alle potenze anglosassoni in Estremo Oriente il C. raccoglierà i due articoli in Il Giappone e la più grande Asia orientale (Firenze 1942).

Richiamato in servizio dal governo Badoglio e inizialmente destinato ad Ankara (1944), egli tornò ad occuparsi della questione coloniale italiana, tutta in discussione negli imminenti trattati di pace. Collaboratore dal 1940 della Rivista di studi politici internazionali, organo della facoltà di scienze politiche "C. Alfieri" dell'università di Firenze, ne era dal 1943 condirettore. La rivista e il Centro di studi coloniali ad essa collegato si pongono nell'immediato dopoguerra all'avanguardia del movimento per il recupero delle nostre ex colonie.

Il C. vi contribuì anche con interventi pubblicistici quali Il problema coloniale italiano (in Riv. di studi pol. internaz., XII[1945], pp. 3-20); Attualità del trattato italoetiopico del 2 ag. 1928, relazione al terzo convegno di studi africani (Firenze 1948, riprodotta in G. Cora, Italia e Etiopia, Firenze 1951), e La ripresa delle relazioni diplomatiche fra l'Italia e l'Etiopia (in Riv. di studi pol. internaz., XVIII [1951], pp. 29-38): in questi, in polemica con il conte Sforza, sostenne la grande importanza di una ripresa ed incentivazione del ruolo italiano nelle ex colonie e in specie verso l'Etiopia che reclamava ora per sé tanto l'Eritrea che la Somalia. Il C. pose in guardia da una ripresa della vecchia politica di antagonismo con Addis Abeba e suggerì piuttosto che, in un rinnovato clima di fiduciosi rapporti, l'Italia si candidasse come "collaboratrice prescelta e preferita ... nella colossale opera di modernizzazione e di sviluppo delle risorse del paese avviata dall'Italia nel periodo della occupazione". Negli italiani che erano rimasti entro i suoi confini, ed in quelli rimasti in Eritrea e Somalia, negli studi, progetti e rilievi eseguiti da italiani di grande competenza, nello stesso capitale italiano il C. indica le forze più immediatamente disponibili ad una ripresa dello sviluppo etiopico avviato dall'Italia.

Nel 1947 venne autorizzato dal governo italiano a recarsi a Parigi per conferire con il ministro degli Esteri etiopico Ato Aklilou Apteuold. Dopo la risoluzione dell'O.N.U. del 2 dic. 1950 per l'annessione dell'Eritrea all'Etiopia con legame federativo, il C. si recò in forma privata ad Addis Abeba: i suoi contatti con l'imperatore determinavano l'Etiopia a riprendere le normali relazioni con l'Italia; si decideva in questa qccasione l'invio della missione ufficiale italiana diretta dal sottosegretario di Stato agli Esteri G. Brusasca, che nel settembre 1951 definiva i relativi accordi. Dopo le risoluzioni di carattere economicofinanziario e costituzionale dell'O.N.U. relative all'Eritrea (1952), il C. continuò a sostenere che questa dovesse riprendere la funzione di mercato per l'Etiopia, ed il nuovo ruolo di unico centro industriale dell'Impero federale etiopico e di sbocco marittimo attraverso i porti di Massaua e di Assab.

Il C. morì a Firenze il 26 ott. 1968.

Tra gli scritti del C. si segnalano: Ricordo di I. Gasparini, in Riv. di studi pol. internaz., VIII (1941), pp. 423-428; G. Colli di Felizzano, ibid., X (1943), pp. 415-450; Ancora qualche considerazione sulla diplomazia, ibid., XI (1944), pp. 178-189; Pfmorami coloniali, ibid., XIII (1946), pp. 75-131; Cecil Rhodes costruttore d'impero, ibid., XX (1953), pp. 553-572; XXI (1954), pp. 286-316; Panorami afficani 1955-56, Roma 1956; V. Cerruti, in Riv. di studi pol. internaz., XXVIII (1961), pp. 473-476; Sud Africa 1965, ibid., XXXII (1965), pp. 409-434; Il futuro della nuova Africa, ibid., XXXIV (1967), pp. 272-276.

Fonti e Bibl.:Ministero degli Affari Esteri, Annuario diplomatico del Regno d'Italia per l'anno 1937, Roma 1937, pp. 293 s.; Ministero degli Affari Esteri, I documenti diplom. italiani, s. 7, 1922-1935, I-IV [31 ott. 1922-6 febbr. 1927], Roma 1953-1962, ad Indicem;R. Guariglia, Ricordi 1922-1946, Napoli 1950, pp. 54-59, 179; L. Albertini, Epistolario 1911-1926, a cura di O. Barié, I-IV, Milano 1968, pp. 1576, 1586, 1590, 1660; G. Vedovato, Gli accordi italo-etiopici dell'agosto 1925, Firenze 1956, ad Indicem;M. Toscano, Storia dei tratt. e Polit. internaz., Torino 1963, pp. 192, 345, 465; G. Salvemini, Preludio alla II guerra mondiale, in Opere, III, 3, a cura di A. Torre, Milano 1967, pp. 168-170; P. Pastorelli, Italia e Albania 1924-1927, Firenze 1967, pp. 159, 162, 188, 189; E. Cerulli, G. C. e l'Etiopia, in Riv. di studi Pol. internaz., XXXVI (1969), pp. 18-24;G. P. Carocci, La polit. estera dell'Italia fascista (1925-1928), Bari 1969, pp. 231-237, 373 ss.

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