VANINI, Giulio Cesare

Enciclopedia Italiana (1937)

VANINI, Giulio Cesare

Delio Cantimori

Nato a Taurisano di Lecce nel 1585, morto per strangolamento e bruciato a Tolosa, il 9 febbraio 1619, dopo una vita movimentata che diede origine, dopo la tragica morte, a un certo numero di leggende. Anche le notizie autobiografiche che si possono raccogliere nelle sue opere sono inficiate dalla vanità e dalla scarsa veridicità dell'autore, che va annoverato più fra gli avventurieri della cultura e del mondo dotto e fra i diffusori e agitatori di idee che tra i filosofi e i pensatori originali. Studiò a Napoli (non a Roma) e a Padova, dove acquistò familiarità con la tradizione averroistica padovana attraverso le opere di P. Pomponazzi e di G. Cardano. Divenuto frate carmelitano, viaggiò in Germania, Boemia, Olanda e Svizzera, atteggiandosi, pare, a fervente cattolico; cercò di stabilirsi una prima volta in Francia, ma dovette abbandonare questo paese, e si recò in Inghilterra, attraverso Venezia; in Inghilterra fu ricevuto dai capi della chiesa anglicana con molti favori, e il 2 luglio 1613 apostatò dalla fede cattolica, nella chiesa protestante italiana di Londra. Ma meno di un anno dopo aveva già perso il favore dell'arcivescovo di Canterbury, mentre continuava la pericolosa avversione dei cattolici; il V. si ridusse in miseria, e finì anche, non si sa come, con essere imprigionato nella Torre di Londra per un mese e mezzo. Nella seconda metà del 1614 tornò in Svizzera, a Ginevra, dove ebbe per discepolo il matematico Giacomo Doria, amico di G.B. Marino, che anch'egli conobbe il V. Nel 1615 il V. abbandonò Ginevra per Lione, dove pubblicò l'Amphitheatrum Aeternae Providentiae, Divino-Magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum, adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos, dedicato a Francesco de Castro, ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede. Nel 1616 si recò a Parigi, di dove partì però presto per andare a stabilirsi a Tolosa, dopo aver curato l'edizione della sua seconda opera De admirandis Naturae reginae deaeque mortalium arcanis, libri quattuor (1616). Per circa due anni visse indisturbato a Tolosa, dove era protetto dal Le Mazuyer, primo presidente di quel parlamento. Ma col 1618 cominciarono i sospetti sulla sua ortodossia e le accuse di empietà contro di lui, probabilmente provocate dal suo temperamento impetuoso e violento, che lo rendeva incapace di celare a lungo le proprie opinioni, o di esprimerle con cautela. Il capo del movimento contro il V. fu il De Catel, procuratore generale del re, e segretario del parlamento di Tolosa. Il V. fu arrestato il 2 agosto 1618; non si hanno particolari precisi del processo contro di lui: la condanna venne eseguita nella stesso giorno nel quale era stata emanata, e venne da lui affrontata con animo fermo.

Già quattro anni dopo la leggenda annoverava il V. fra i "liberi pensatori": nel 1712 appariva la Apologia pro Jul. Caesare Vanino, di un "libero pensatore" danese, con la finta data Neapolitano-Cosmopoli. Nel 1842 M.X. Rousselot ne tradusse in francese l'Anfiteatro per intierti e parte del De Adnirandis Naturae Arcanis. Esaltato come libero pensatore, detestato come ateo, annoverato fra gli scettici e fra gli averroisti. il V. può venir considerato come un diffusore e ripetitore, in forma esplicita e spesso estrema, della filosofia panteistica della natura del Cardano, del Pomponazzi, del Telesio, dei quali il V. saccheggia senza alcun riguardo e senza originalità filosofica e speculativa le opere. Il V. insegnava la eternità della materia, l'unità di Dio e della Natura (meccanicisticamente intesa), ecc. Gli studiosi hanno per lungo tempo cercato d'interpretare variamente la frammentarietà e la inorganicità del pensiero del V. giungendo perfino a supporre ch'egli fosse pazzo, come dice il Leibniz: probabilmente la morte prematura ha interrotto la formazione spirituale e speculativa del Vanini, che parla di altre moltissime sue opere, non pervenuteci, e forse soltanto progettate. Quelle che ci rimangono sono un centone dagli scritti dei maestri del V. che sopra si sono citati.

Bibl.: La nessuna originalità del V. è stata definitivamente dimostrata da L. Corvaglia, che ne ha ristampato l'Amphitheatrum e il De Admirandis Naturae Arcanis, raffrontandoli continuamente con le fonti (Le opere di G. C. V. e le loro fonti, I e II, Milano, Genova, Roma, Napoli 1933 e 1934). Sui biografi del V., F. Fiorentino, G. C. V. e i suoi biografi, in Nuova Antologia, 15 settembre 1878; del Fiorentino cfr. anche B. Telesio, ossia studi storici sull'idea della natura nel Risorgimento italiano, Firenze, II, 1874, p. 211 segg.; R. Palumbo, G. C. V. e i suoi tempi, Napoli 1878; J. Owen, The Skeptics of the Italian Renaissance, Londra 1908, cap. 5°, p. 345 segg. (raduna anche le leggende attorno al V.).