PERTICARI, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PERTICARI, Giulio

Simona Brambilla

PERTICARI, Giulio. – Nacque a Savignano sul Rubicone, in Romagna, il 15 agosto 1779, primogenito del conte Andrea e della contessa Anna Cassi; dal matrimonio nacquero anche Giuseppe, Gordiano e Violante. Dal 1755 la famiglia paterna aveva cittadinanza pesarese.

Il 16 agosto 1786 ricevette la tonsura. Avviato agli studi letterari, ebbe come precettore Eduardo Bignardi, stimato maestro di altri giovani savignanesi. Dall’ottobre 1790 al giugno 1796 studiò a Fano nel collegio S. Carlo, seguendo le lezioni di Francesco Viali, Luigi Poggi e Sebastiano Caprini. Richiamato a Pesaro, studiò filosofia con Antonio Colli.

Nel 1798 rientrò a Savignano, dove, deposto l’abito talare, dal 1° giugno 1799 al 14 giugno 1800 partecipò alla civica magistratura durante il governo provvisorio austriaco, riprendendo l’incarico dal 27 dicembre con sanatoria dell’età minorile. Nel luglio 1800, durante l’occupazione francese, guidò la milizia civica; sotto la seconda Cisalpina (definita una «Pseudo-Repubblica» nella lettera al cognato Francesco Ciacchi del 2 ottobre 1801, in Mambelli, 1963, p. 70) fu comandante della Guardia nazionale e commissario di guerra. A quel periodo risale l’impegno per la costruzione del teatro del Rubicone, inaugurato nel 1801 con il Saul di Vittorio Alfieri, in cui recitò da protagonista. Agli inizi dello stesso anno, con Girolamo Amati e Bartolomeo Borghesi, fondò a Savignano l’Accademia Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi, di impronta arcadica, di cui fu primo presidente con il nome arcadico di Alceo Compitano.

La Rubiconia curò attentamente i rapporti con l’autorità politica e, a ridosso dell’incoronazione di Napoleone a re d’Italia, il 20 giugno 1805 indisse una solenne adunanza in cui si recitarono Le Feste dei pastori del Rubicone, favola pastorale sul modello di Iacopo Sannazzaro cui Perticari collaborò realizzando tutte le dodici prose, che meriterebbero una rivalutazione critica. Benché pronta per la stampa, l’opera rimase inedita (ora l’edizione a cura di A. Piromalli - T. Iermano, Firenze 1994).

Dal 6 novembre 1801, eccettuata una trasferta napoletana di tre mesi nel 1803, risiedette a Roma, studiando diritto, matematica e greco. Oltre a rafforzare il legame con Amati e Borghesi, anche tramite la fondazione dell’Accademia Tiberina, «catecia», cioè colonia, della Simpemenia (1802), frequentò l’Arcadia e l’Accademia di Cattolica Religione. Risalgono a questi anni vari componimenti all’impronta destinati alla recitazione, poi rigettati, e il poema Il Pianeta Piazzi (Roma 1802), in cinque canti di endecasillabi sciolti, composto per celebrare la scoperta del primo asteroide da parte di Giuseppe Piazzi.

Dopo la morte del padre (26 ottobre 1804), rientrò a Pesaro, dove si impegnò nell’amministrazione cittadina: nel 1805 fu aggregato al Consiglio generale e deputato alla Congregazione dell’Annona frumentaria, mentre dal 1807 al 1809 fu giudice supplente del Tribunale di prima istanza, carica ricoperta anche in seguito; nel 1811 fu nominato elettore nel Collegio dei dotti e deputato al Ginnasio, nel 1812 ispettore agli studi, nel 1814 deputato della Biblioteca Oliveriana. Dal maggio 1806, per due anni, fu podestà di Savignano. Il 26 maggio 1808, nell’Accademia Pisaurica, di cui era vicepresidente, di fronte a varie autorità militari e civili recitò il Panegirico di Napoleone il Massimo (Pesaro 1808), poi escluso dalle raccolte delle sue opere, e nel 1811, per la nascita del figlio di Napoleone, compose la cantica Per lo Natale del Re di Roma. Visione (Milano 1811), intrisa di reminescenze dantesche. Al 1811 risale probabilmente anche la traduzione dell’Athalie di Jean Racine (Milano 1822, poi Napoli 1826, rispettivamente con attribuzione al «Conte G.P.» e a «G. Pimpiolo»), ulteriore prova del suo interesse per il teatro.

Il 6 giugno 1812 a Fusignano sposò con rito civile Costanza, figlia di Vincenzo Monti e Teresa Pikler (quello religioso si tenne il 7 a Maiano): le nozze vennero celebrate dalla Rubiconia con la raccolta in terzine A gli dei consenti. Inni, coordinata da Borghesi e stampata da Giambattista Bodoni (Parma 1812). Il 22 febbraio 1814 nacque l’unico figlio della coppia, Andrea, che visse solo 18 giorni; alcuni anni dopo Costanza apprese dell’esistenza di un figlio illegittimo che il marito si preoccupava di mantenere, anch’egli Andrea, nato il 15 settembre 1810 da una popolana, Teresa Ranzi. Pur segnato da profonde incomprensioni, il matrimonio aprì casa Perticari a importanti frequentazioni e stimolò Giulio alla scrittura.

Nell’estate del 1814 Perticari celebrò il rientro di Pio VII dal confino con il poemetto in tre canti Il prigioniero apostolico, di ascendenza montiana e ricco di tessere dantesche, inserito, con il nome accademico di Eulinto Seutronio, in un’ampia raccolta di scritti encomiastici di letterati in gran parte ferraresi (Applausi poetici, Ferrara 1815), pubblicata, per opportunità politica, molto dopo il rientro del papa. Dal 1814 curò a lungo e senza esito l’edizione del Dittamondo di Fazio degli Uberti; nel settembre-ottobre 1816 pubblicò sulla Biblioteca italiana i due articoli Intorno la morte di Pandolfo Collenuccio, fiera polemica contro il tiranno Giovanni Sforza, e Della vita di Guidobaldo I duca d’Urbino scritta da Bernardino Baldi, in cui stampò due brani esemplari del testo per sollecitarne l’edizione. Tra il 1816 e il 1818 seguì inoltre i lavori di riedificazione del teatro di Pesaro, inaugurato il 10 giugno 1818 con la Gazza ladra di Gioacchino Rossini; a sostegno del progetto pronunciò due impegnati discorsi (Aringa prima per la costruzione del nuovo teatro di Pesaro e Aringa seconda in nome de’ deputati, Pesaro 1817), di indubbio pregio oratorio e forte impegno civile.

Al tramonto dell’esperienza napoleonica, l’attività letteraria consentì a Perticari, che in seguito si oppose alla ristampa delle opere del suo passato bonapartista così come a quella del poemetto filopapale, di mantenersi prudenzialmente defilato dalla politica. Benché infatti frequentasse Guglielmo Pepe, che aveva acceso al culto di Dante, e avesse ospitato a Savignano Gioacchino Murat, scrivendo a Borghesi il 30 aprile 1815 si diceva «contento assai d’aver negato di prender parte, e di piegarmi alle lusinghe del Re di Napoli», aggiungendo che «bisogna essere pazzo per congiungersi a pazzi» (Mambelli, 1963, p. 61). La corrispondenza, in gran parte inedita, contribuirebbe probabilmente a restituire un quadro più preciso dei contatti con gli ambienti carbonari e del suo pensiero politico, che tuttavia, anche nelle alterne e in parte strumentali scelte di campo tradottesi in opera letteraria, pare mosso da viva preoccupazione patriottica, sebbene alla prova dei fatti declinata su aristocratiche posizioni moderate.

Dall’assidua collaborazione con Monti alla Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al Vocabolario della Crusca nacquero i due più ampi lavori in prosa di Perticari, i trattati Degli scrittori del Trecento e de’ loro imitatori (I, 1, pp. 3-198, Milano 1817) e Dell’amor patrio di Dante e del suo libro intorno il volgare eloquio (II, 2, pp. 3-447, Milano 1820).

Essi ne costituirono l’ossatura dottrinale e suscitarono vastissima eco, anche presso Giacomo Leopardi. Nel primo, sulla scorta dell’interpretazione trissiniana del De vulgari eloquentia ripresa da Gian Vincenzo Gravina e Giusto Fontanini, Perticari teorizzò la derivazione del volgare illustre da una «lingua romana» comune, intermedia tra il latino parlato e le moderne lingue romanze. Nel 1819 il contributo fu recensito da François Raynouard, che ne illustrò i punti di tangenza con il suo Choix des poésies originales des troubadours (il primo tomo era uscito nel 1816), suggerendone a Perticari la lettura. Nel secondo trattato, alla cui fortuna contribuì il forte afflato patriottico, egli riservò così ampio spazio a Raynouard, da cui tuttavia dissentì assegnando all’Italia e non alla Francia la priorità nella genesi di tale lingua. Nonostante evidenti incongruenze, su tutte un’errata valutazione delle antiche liriche siciliane, se considerati in prospettiva storica questi lavori rappresentarono un momento significativo non solo nella polemica contro il purismo, attraverso la riproposizione della teoria cortigiana (mediata dal magistero dei migliori scrittori, non solo trecenteschi, e diacronicamente aperta al progresso scientifico), ma anche nella nascita della romanistica in Italia, per l’importanza data al metodo comparativo; segnarono inoltre uno scarto decisivo nell’esegesi di Dante, citato a piene mani e fortemente rivalutato in chiave politica: non a caso, fu proprio l’amore per una comune lingua italiana il tratto distintivo di numerosi profili postumi di Perticari.

Nell’autunno 1816 Perticari si spostò con la moglie in Lombardia, consolidando i rapporti con Gian Giacomo Trivulzio e altri rappresentanti della vivace vita intellettuale milanese. Rientrata a Pesaro, dopo vari soggiorni a Savignano e a Sant’Angelo in Lizzola, la coppia si trasferì a Roma, dove giunse il 17 ottobre 1818 e rimase fino al maggio 1820. Qui Perticari, con Girolamo Amati, Bartolomeo Borghesi, Salvatore Betti, Luigi Biondi e con il sostegno finanziario di Pietro Odescalchi, che ne fu direttore, fondò nel 1819 il mensile (presto trimestrale) Giornale Arcadico di scienze, lettere ed arti, classicista e antiromantico, cui contribuì con recensioni, note artistiche e articoli letterari, in gran parte dedicati al Trecento italiano, ma con qualche apertura ad antichi testi stranieri. Dopo aver perorato invano l’istituzione di una cattedra di letteratura italiana in città (Della necessità d’istituire in Roma una cattedra di letteratura classica italiana, a stampa nel Giornale Arcadico solo nell’agosto 1822: una requisitoria contro gli esterofili in difesa dell’amor patrio, favorito dallo studio dei classici italiani), per sospetti trascorsi politici fu allontanato da Roma con la nomina di giudice a Pesaro.

Nel viaggio di ritorno toccò Perugia, Pisa, Firenze e Bologna, mentre nell’autunno del 1821 si spostò di nuovo in Lombardo-Veneto; al suo rientro, il 16 dicembre fu ascritto tra i patrizi della Repubblica di San Marino, dove molti membri della scuola classica romagnola, tra cui Borghesi, erano riparati dopo la restaurazione pontificia.

Debilitato da una lunga malattia che aveva dato le prime avvisaglie durante il soggiorno romano, ma era stata sottovalutata da lui stesso e dai medici, agli inizi del maggio 1822 si trasferì presso il cugino Francesco Cassi a San Costanzo, dove morì intestato il 26 giugno 1822, con grave danno economico per la moglie.

Numerose voci malevole, alimentate da un libello anonimo, si alzarono contro Costanza, ritenuta responsabile della malattia e della precoce morte, fino alla stampa della Storia della malattia per la quale morì il conte G. Perticari di Giacomo Tommasini (Bologna 1823) che, proprio da lei chiamato a un consulto ormai tardivo, tramite l’esame autoptico chiarì che la morte era dovuta a un cancro al fegato.

Gli inediti di Perticari, trattenuti da Cassi, che poi li cedette solo in parte a Gordiano Perticari, furono al centro di una lunga contesa con Costanza e la famiglia Monti, per poi confluire in parte alla Biblioteca Oliveriana di Pesaro. Difficilmente quantificabile il suo apporto a varie edizioni postume promosse da Monti, che si appoggiò anche agli studi del genero: il Saggio sul Convivio (Milano 1823), l’edizione del Dittamondo di Fazio degli Uberti (Milano 1826) e le due del Convivio (Milano 1826; Padova 1827).

Opere. Imprescindibili le antiche raccolte edite a Bologna 1822, Milano 1823, Lugo 1822-23, Bologna 1838-39, Napoli 1861. Tra le opere minori, meritano attenzione la rusticale Cantilena di Menicone Frufolo (Rimini 1816), le indagini su Poliziano, le traduzioni da Petrarca e la biografia di Cola di Rienzo, che il 16 marzo 1818 Perticari scrisse di voler lasciare «a’ miei pronipoti, perché nel 1900 la stampino a Filadelfia, e la intitolino agl’italiani futuri» (Opere, Napoli 1861, p. 468). Gli inediti sono conservati soprattutto a Pesaro, Biblioteca Oliveriana; Savignano sul Rubicone, Biblioteca dell’Accademia dei Filopatridi; Fano, Biblioteca comunale; Forlì, Biblioteca comunale.

Fonti e Bibl.: Per la biografia di Perticari si vedano: L. Bertuccioli, Memorie intorno la vita del conte G. P.…, Pesaro 1822 (Venezia 1823); F. Mordani, P. (G.), in Biografia degli italiani illustri…, a cura di E. De Tipaldo, II, Venezia 1835, pp. 86-93; F. Vendemini, Discorso intorno alla vita e alle opere di G. P.…, Bologna 1875; A. Mambelli, Di G. P. e di un albero della libertà a Savignano, in Rubiconia Accademia dei Filopatridi, quaderno IV (1963), pp. 60-73; A. Piromalli, La scuola classica di Savignano di Romagna, in Storia di Rimini dal 1800 ai nostri giorni, V, Rimini 1981, pp. 34 s., 38-47; S. Romagnoli, Progetto di restauro di G. P., in Scuola classica romagnola. Atti del Convegno..., Faenza... 1984, Modena 1988, pp. 19-29; A.M. Di Martino, “Quel divino ingegno” G. P., Napoli 1997 (con bibl.); W. Spaggiari, Appunti su G. P. (1999), in Id., L’eremita degli Appennini, Milano 2000, pp. 173-192; G. Lucchini, Note e appunti sulla collaborazione tra Monti e P., in Vincenzo Monti nella cultura italiana, a cura di G. Barbarisi, I, 2, Milano 2005, pp. 915-937; V. Monti, Saggio diviso in quattro parti dei molti e gravi errori trascorsi in tutte le edizioni del Convito di Dante, a cura di A. Colombo, Bologna 2012, pp. LXIX-LXXI, 137-139; Primo supplemento all’epistolario di Vincenzo Monti, a cura di L. Frassineti, Milano 2012, pp. 454-456, 483; P. Vitali, Palazzo Cassi a San Costanzo ateneo d’italica sapienza, prefazione di A. Berardi, Fano 2013, passim. Sul suo rapporto con Leopardi: W. Marra, G. P., in Leopardi a Roma, a cura di N. Bellucci - L. Trenti, Milano 1998, pp. 58 s. (con bibl.). Sugli interessi letterari: R. Murari, G. P. e le correzioni degli Editori milanesi del Convivio; con documenti inediti, in Giornale dantesco, V (1898), pp. 481-502; M. Pelaez, Notizia degli studi di G. P. sul Dittamondo, in Atti della R. Accademia Lucchese di scienze, lettere ed arti, XXIX (1898), pp. 273-360; F. Oreti, Le edizioni e gli editori del Dittamondo, in La Bibliofilia, XXIII (1921-22), pp. 122-126, 165-187; I. Pascucci, Sulla sorte dei manoscritti di G. P., in Studia Oliveriana, XI (1963), pp. 73-89; R. Carloni Valentini, G. P. traduttore dell’Athalie, in Aevum, XXXVIII (1964), pp. 104-124; A. Scarpellini, Dalla Difesa della Comedia di J. Mazzoni all’Apologia di Dante di G. P., in Studi romagnoli, XVI (1965), pp. 425-455; F. Allevi, P., G., in Enciclopedia Dantesca, IV, Roma 1973, p. 440; I. Pascucci, Folklore ottocentesco: la Cantilena di Menicone Frufolo di G. P. e una lettera inedita di G. P. al fratello Giuseppe, in Studi romagnoli, XXIV (1973), pp. 483-499; M. Feo, La traduzione leopardiana di Petrarca Epyst. II, 14, 1-60, in Leopardi e la letteratura italiana dal Duecento al Seicento. Atti del IV Convegno internazionale di studi leopardiani..., Recanati... 1976, Firenze 1978, Appendice II; A. Colombo, La philologie dantesque à Milan et la naissance du Convito, I-II, Lille 2000, passim; La Crusca nei margini. Edizione critica delle postille al Dittamondo di G. P. e Vincenzo Monti, a cura di S. Brambilla, Pisa 2011 (con bibl.); G. Frasso - M. Rodella, Pietro Mazzucchelli studioso di Dante, Roma 2013, passim. Studi sulla lingua: T. Labande-Jeanroy, G. P. et Raynouard: une Apologie de Dante fondée sur un paradoxe linguistique, in Revue de littérature comparée, I (1921), pp. 338-361; M. Vitale, La questione della lingua, Palermo 1978, passim; C. Marazzini, Storia e coscienza della lingua in Italia dall’Umanesimo al Romanticismo, Torino 1989, passim; A. Dardi, Gli scritti di Vincenzo Monti sulla lingua italiana, Firenze 1990, passim; C. Marazzini, Le teorie, in Storia della lingua italiana, a cura di L. Serianni - P. Trifone, I, Torino 1993, pp. 309-311.

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