SACCHETTI, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 89 (2017)

SACCHETTI, Giulio

Irene Fosi

– Nacque a Roma da Giovanni Battista e da Francesca Altoviti il 17 dicembre 1587 e fu battezzato il 28 dello stesso mese in S. Giovanni dei Fiorentini. Padrini furono Giulia Savelli e il vescovo di Cosenza Fantino Petrignani.

I legami con le più note famiglie fiorentine si manifestarono anche nelle successive scansioni sacramentali: fu cresimato in S. Giovanni in Laterano il 15 maggio 1595 «e lo tenne alla cresima el S. Pietro di Francesco Aldobrandini», annotò il padre nel Quadernetto di ricordi (Archivio Sacchetti, B. 6, pos. 42, c. 73r, cit. in Fosi, 1997, p. 37). Il giovane Sacchetti prese parte alla cavalcata solenne del possesso del Laterano da parte del neoeletto Leone XI con il fratello Alessandro e altri quaranta «nobiles et generosi adolescentes florentini», fra cui spiccavano Alessandro Barberini, Orazio e Camillo Falconieri, Antonio Magalotti. Studiò diritto a Perugia e a Pisa dove si addottorò in utroque il 21 novembre 1608. Destinato alla carriera ecclesiastica, divenne prelato domestico di Paolo V, raccomandato da Ranuccio Farnese, acquistò l’uditorato di Camera sotto Gregorio XV e il 23 luglio 1623 fu inviato come vicelegato a Bologna insieme con il cardinale Roberto Ubaldini. Fu ordinato sacerdote da Pietro Dini, vescovo di Fermo, il 18 novembre 1623 con una solenne cerimonia nella cappella del palazzo del cardinale Ottavio Bandini.

Nella sua persona confluirono i favori e il sostegno politico di famiglie fiorentine, filofrancesi e dal passato antimediceo e repubblicano, ma anche di esponenti di casa Medici, come il cardinale filospagnolo Carlo. L’elezione di Urbano VIII doveva segnare la sua futura carriera e la fortuna della sua casa, ma Sacchetti, allora a Bologna come vicelegato, avvertiva come un pericolo la lontananza da Roma e ricordava a Francesco Barberini «l’antica servitù che tengo con lei e con tutta la sua Casa» (Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat. 8979, c. 12r, cit. in Fosi, 1997, p. 59), compiacendosi anche per la nomina del fratello Marcello a depositario generale e tesoriere segreto, dichiarando così i suoi fratelli «non pur per servitori ma per sue creature» (ibid.).

Fu nominato vescovo di Gravina il 4 dicembre 1623 e il 10 dicembre, nella chiesa nazionale di S. Giacomo degli Spagnoli, si svolse una solenne cerimonia celebrata dal cardinale Agostino Spinola Basadone, esponente di spicco della fazione spagnola nel Sacro Collegio. Era un esplicito atto politico di Urbano VIII che cercava così di rendere più gradita la figura di Sacchetti, che avrebbe inviato come nunzio a Madrid sfumandone la posizione filofrancese. Fu infatti nominato nunzio in Spagna il 9 dicembre 1623: i problemi da affrontare erano molteplici e complessi, sia nel quadro europeo, dominato, in quel momento, dalla questione della Valtellina, sia all’interno della monarchia spagnola dove, la politica del conte di Olivares già suscitava conflitti con la Chiesa.

Il 18 gennaio 1624 Francesco Barberini presentò a Sacchetti l’Istruttione per la nunziatura a Madrid. Redatta secondo un consolidato schema retorico, l’istruzione presentava positivamente la figura del nunzio, ribadendo la comunanza di intenti e la fiducia reciproca fra il papa il suo diplomatico. Si invitava Sacchetti a cercare la collaborazione del ministro per convincere il re a rispettare i privilegi giurisdizionali ed economici della Chiesa, chiedendo anche l’aiuto del confessore del re e inquisitore generale Antonio de Sotomayor. Francesco Barberini avvertiva che «quanto al capo di conservare la giurisditione et immunità ecclesiastica, vi è molto da dire e questo è forse il più fastidioso negotio de gl’ordinarij che ha nella Spagna il nuntio apostolico» (cit. in Fosi, 1997, p. 71).

Oltre a trattare affari matrimoniali, come quello del re d’Inghilterra, Sacchetti doveva cercare di smussare le tensioni fra la monarchia castigliana e la Francia, in merito soprattutto alla politica militare delle due monarchie e ai loro tentativi di espansione in Italia. Il nunzio doveva accertare che da parte di Filippo IV non vi fosse «pensiero di far maggiori acquisti in pregiuditio de’ Principi Italiani; così si levi a questi qualsivoglia ombra e gelosia di poter essere offesi e ridotti in servitù dalla potenza austriaca» (p. 70 ). Mantenere lo status quo in Italia rappresentava il fulcro della politica di Urbano VIII, che si proponeva come «padre comune» in una posizione di ambigua neutralità, ma di fatto antispagnola. A Sacchetti si raccomandava di consultarsi con altri nunzi presenti alle corti europee per non cedere a iniziative individuali, allo scopo di consolidare una rete diplomatica efficace per difendere e sostenere la posizione del papato in questa fase della guerra dei Trent’anni.

L’azione politica alla corte spagnola fu turbata anche da scandali che coinvolsero l’aiutante di camera e guardarobiere del nunzio, Francesco Caccini, accusato di sodomia e arrestato. Il nunzio contestava il diritto degli ufficiali spagnoli a procedere contro Caccini e considerava tale mossa un’offesa esplicita alla sua dignità, lamentandosi con Olivares per non aver considerato «alcuna diversità dalla persona d’un nunzio a quella d’uno zappadero, con il quale haveriano i ministri di S. Maestà proceduto più cortesemente» (cit. in Fosi, 1997, p. 65). Non mancavano nell’Istruttione richieste di favori per ecclesiastici legati alla fazione spagnola; assenti invece richieste di favori per esponenti della famiglia del papa, presentate, spesso in cifra, nelle lettere.

Il 24 gennaio 1624 Sacchetti partì alla volta di Madrid con il suo seguito, non molto numeroso ma che annoverava esponenti dell’aristocrazia mercantile fiorentina e personaggi destinati a una carriera curiale come Jacopo Panziroli. L’esperienza della nunziatura fu decisiva per la carriera di Sacchetti; trattare con il conte-duca di Olivares fu arduo sia per i problemi da affrontare sia per la «natura aspretta e sospettosa» del ministro di Filippo IV, in altre lettere definita «violenta» e incline alla vendetta, ma soprattutto per la diffidenza spagnola verso la politica di Urbano VIII. Intanto il fratello Matteo aveva seguito come tesoriere Francesco Barberini a Parigi nel 1625 e la sua corrispondenza con Sacchetti testimonia la difficoltà di raggiungere una pace fra le due corti ed evitare una guerra in Italia, ma soprattutto manifestava la palese ostilità di Olivares verso il nunzio: il conte avrebbe preferito infatti che fosse stato confermato nella carica Innocenzo Massimi «suo sviscerato amico e consigliero».

A Madrid Sacchetti cercò di trattare con l’ambasciatore francese Charles d’Argennes de Rochepot, conte di Fargis, per ottenere un piano di pace francese e appoggiare l’azione che, intanto, il cardinal nepote stava svolgendo a Parigi. I suoi sforzi risultarono vani: Francesco Barberini rientrò a Roma nel febbraio del 1626 e Sacchetti si adoperò per preparare il viaggio che il cardinale avrebbe compiuto a Madrid per tenere a battesimo l’infanta, ma in realtà per cercare di trovare una soluzione al conflitto franco-spagnolo ormai dilagante in Italia. Tutti gli sforzi risultarono vani: Francia e Spagna conclusero la pace di Monzon, firmata in aprile ma retrodatata al 5 marzo 1626, quando Francesco Barberini non era ancora giunto a Madrid. La sua esclusione dal negoziato sanciva così una clamorosa sconfitta della politica pontificia e del nunzio: Sacchetti, mentre ancora si trovava alla corte castigliana, fu creato cardinale il 16 gennaio 1626 e, nel dicembre dello stesso anno, rientrato a Roma, assunse il titolo di S. Susanna. I due anni di nunziatura a Madrid saranno decisivi per la sua futura carriera. Il 19 maggio 1626 fu creato vescovo di Fano e prese possesso della diocesi il 12 marzo dell’anno successivo.

Nel concistoro del 17 marzo 1627 Urbano VIII nominò Sacchetti legato a latere di Ferrara per tre anni; il 29 marzo gli conferì, con quattro brevi, poteri in materia spirituale e temporale. La nomina legatizia era già nota dall’inizio di marzo, come si evince dalla riposta di Sacchetti alle congratulazioni espresse da Carlo Barberini (La legazione..., a cura di I. Fosi, 2006, I, p. 3). Durante questo periodo risiedette saltuariamente a Fano e governò la diocesi per mezzo di vicari. Con il breve di investitura erano stati conferiti al legato di Ferrara poteri ordinari in materia giudiziaria, beneficiale e spirituale: il legato aveva infatti un suo tribunale civile e criminale, poteva procedere «sine strepitu et figura iudicii» contro laici ed ecclesiastici; aveva facoltà di nominare notai e di creare dottori. Il cardinale era chiamato a proseguire, nella legazione ferrarese, l’opera di mediazione tentata a Madrid, durante la nunziatura, per evitare il conflitto fra la monarchia spagnola e quella francese e arginare l’allargamento del potere spagnolo nella penisola italiana.

Quando era giunto a Ferrara Sacchetti aveva trovato la città e lo Stato «povero di denaro e senza appoggio di mercantia, privo d’huomini ingegnosi et applicati al guadagno». Gli anni di governo di Sacchetti coincidono infatti con gli sviluppi italiani della guerra dei Trent’anni, con la guerra per la successione di Mantova e del Monferrato e conferiscono al cardinale legato un ruolo di primaria importanza nella diplomazia pontificia per assicurare gli sforzi del papa di mantenere una linea di neutralità tra le grandi potenze europee e di tenere lo Stato pontificio fuori da un conflitto che si combatteva alle sue porte, con il pericolo che le truppe del duca di Sassonia sconfinassero nella legazione. Il legato temeva di diventare vittima dell’incerta condotta politica tenuta dai Barberini nella questione di Mantova e nello scenario europeo. Ancora una volta, come durante la sua nunziatura di Madrid, rischiava di veder fallire tutti i suoi sforzi, tesi soprattutto a rimettere in piedi la fragile economia locale e a garantire la tranquilla incolumità dell’ex ducato estense. La conflittualità con le decisioni prese a Roma è, in diverse occasioni, palese ma abilmente trattenuta dal registro ossequioso e formale delle lettere, nonché da un’accorta dissimulazione: anche in questo caso una sostanziale differenza, non solo sul piano formale, emerge dal confronto fra le lettere ai familiari e quelle inviate al cardinale Francesco Barberini.

Urbano VIII aveva provveduto a fortificare i confini ferraresi e a potenziarne le difese con l’invio di truppe: il comando fu assegnato a Giovanni Francesco, fratello di Sacchetti, già commissario generale dell’esercito papale per lo Stato di Milano e la Valtellina negli anni precedenti, che a Ferrara fu coadiuvato anche dal fratello Alessandro. Come mostra la corrispondenza con la segreteria di Stato, preminente apparve fin dal suo insediamento nell’estate del 1627 la necessità della costruzione di solidi argini del Po, per proteggere soprattutto il Polesine di S. Giorgio «il più fruttifero et il più habitato paese di quella legatione», come riferirà in un dettagliato resoconto di tutti i suoi interventi in materia di ingegneria idraulica nella relazione inviata al papa al termine del suo mandato.

Durante la legazione i buoni rapporti di Sacchetti con il vescovo Lorenzo Magalotti riuscirono sia ad attenuare la tensione insorta, in determinate occasioni, fra l’ordinario e i Barberini, sia a produrre una proficua collaborazione, anche nell’emergenza causata dalla peste, quando il legato dovette intervenire con forza per disciplinare la vita di ordini religiosi. Provvedimenti straordinari furono presi per far fronte alla minaccia della peste che già imperversava nel Milanese e si diffondeva nel confinante territorio di Mantova. Il 3 novembre 1629 un bando elencava i luoghi dello Stato di Milano infetti per il contagio. Da allora l’impegno costante del legato fu di costituire una rigida catena preventiva basata sulla parcellizzazione dei compiti di controllo nel contado, ai confini e nella città, divisa in settori con medici e chirurghi responsabili di individuare e isolare eventuali casi di peste. L’azione preventiva messa in atto capillarmente dal legato, la reclusione nei lazzaretti e in luoghi segregati di chi era stato colpito dalla peste garantirono l’incolumità della legazione.

Nelle lettere dell’ultimo periodo è evidente la sua impazienza per il ritorno a Roma che non doveva però recidere i rapporti fra il cardinale e la città estense. Il matrimonio del fratello Giovan Francesco con Beatrice Tassoni, sebbene di breve durata per la precoce morte della sposa, e le proprietà acquisite per via dotale, oltre al patriziato, conferito al legato e ai suoi fratelli Giovan Francesco e Alessandro il 1° febbraio 1631, contribuirono a rafforzare legami di clientela, non solo con l’aristocrazia locale. Sacchetti, dall’ottobre del 1629, ebbe a suo fianco, come vicelegato, Fabio Chigi, con il quale intrattenne un solido rapporto di paterna amicizia e di collaborazione destinata a protrarsi e a concretizzarsi nell’azione di governo svolta da Sacchetti durante il pontificato alessandrino. Sacchetti rimase sempre, anche dopo la fine del suo mandato legatizio, il referente privilegiato per risolvere, ad esempio, casi giudiziari nei quali erano coinvolti nobili ferraresi o loro amici, ma egli stesso mostrò sempre di interessarsi anche alle vicende familiari, alle strategie matrimoniali di casate nobili di Ferrara.

Urbano VIII aveva concesso a Sacchetti, il 5 maggio 1628, una pensione annua di mille scudi sopra le rendite della mensa vescovile di Ferrara. Il 18 luglio 1631 rientrò nella sua diocesi di Fano: inviò al papa una relazione sul suo operato nella legazione estense; consacrò l’8 settembre dello stesso anno la chiesa di S. Teresa dei Camaldolesi e poi quella di S. Croce dell’Ospedale (13 aprile 1633). Rinunziò alla sede vescovile di Fano il 18 marzo 1635. Urbano VIII concesse a Sacchetti pensioni e benefici ecclesiastici elargiti anche per compensare la crisi conosciuta dal banco Sacchetti dopo la morte di Marcello (1629): il 31 agosto 1632 gli diede la facoltà di ricevere qualunque pensione non superiore a 1000 scudi da rendite ecclesiatiche; il 10 dicembre gli conferì la commenda di S. Ilario in Galeata e di S. Maria in Cosmedin presso Ravenna; il 24 febbraio 1634 aggiunse la commenda sul monastero di S. Andrea in Insula nella diocesi di Brindisi. Il 3 gennaio 1634 lo nominò protettore dei Servi di Maria e, in questa qualità, egli cominciò a far costruire la parte nuova del convento annesso alla chiesa di S. Marcello al Corso a Roma. Insieme con il cardinale Giovan Battista Pallotta patrocinò la costruzione della chiesa di S. Maria di Cibone o Monte Urbano, situata tra Tolfa e Allumiere, dove la famiglia aveva acquisito un esteso patrimonio fondiario e il fratello Marcello era stato appaltatore delle allumiere. Il 22 agosto 1641 fu nominato protettore dei ministri degli Infermi (camilliani) e si segnalò in questo compito per l’opera di mediazione dei conflitti sorti nel governo dell’Ordine.

L’esperienza di governo si ripeté pochi anni dopo: fu nominato con un breve legato di Bologna, con appannaggio di 5000 scudi annui, il 20 aprile 1637 e l’8 luglio 1637 giunse nella città felsinea. I poteri conferiti al legato erano assai ampi, con la giurisdizione criminale e civile su ogni luogo e persona, anche privilegiata; poteri speciali riguardavano poi la repressione del banditismo. La restaurazione dell’ordine e l’esercizio della giustizia furono percepiti, fin dall’inizio, anche dai contemporanei come la cifra distintiva del suo governo. Si dovette confrontare con problemi economici causati dalla concorrenza veneziana nel settore tessile, ma anche con la necessità di un ammodernamento dello Studio, con l’introduzione di nuove discipline – danza, teatro, cavallerizza – più adatte a formare giovani nobili, sul modello di quanto avvenuto nello Studio senese.

La sua missione rivestiva anche un significato politico nel quadro dei rapporti fra i Barberini e i granduchi di Toscana. Incontrò a Bagnoregio il cardinal Carlo de’ Medici, «protettore di Spagna» che pretese da Sacchetti un intervento diretto sul papa in favore della pace in Italia. Inoltre, durante la sua legazione a Bologna, cercò ripetutamente di appianare i contrasti fra Ferdinando II de’ Medici e Urbano VIII acutizzatisi dopo il ritorno di Urbino sotto il diretto dominio di Roma. A Bologna il legato svolse una funzione di mediazione fra la locale aristocrazia e la corte romana, nella quale poterono inserirsi molti esponenti delle famiglie nobili bolognesi grazie anche alla sua intermediazione.

Il periodo bolognese segnò inoltre il collezionismo del cardinale e della sua famiglia: intensi furono i suoi rapporti con Pietro da Cortona che lo ritrasse (Roma, Galleria Borghese) e che portò con sé nel viaggio verso Bologna, lasciando che l’artista si fermasse a Firenze per compiacere il granduca. A Bologna il gusto e il collezionismo di Sacchetti furono segnati soprattutto dall’amicizia con Guido Reni e con il Guercino che da Ferrara, dove già aveva conosciuto e lavorato per il cardinal legato, si era spostato a Bologna. Come a Ferrara, feste e tornei furono celebrati in suo onore e gli furono dedicate opere, anche dopo il suo ritorno a Roma: ad esempio, Cornelio Malvasia gli dedicò le sue Ephemerides novissimae motuum coelestium (Mutinae 1662), consapevole degli interessi di Sacchetti per l’astronomia, come mostrano i suoi contatti con Atanasio Kircher, Galileo e Giovanni Domenico Cassini, che aveva conosciuto a Bologna.

Intanto riceveva testimonianza della fiducia che il papa riponeva in lui: fu nominato prefetto della Segnatura di giustizia il 22 giugno 1640 e con un breve distinto gli fu concessa la facoltà di sentenziare sulle cause introdotte al tribunale dagli abitanti delle Indie; la provvigione mensile ammontava a 100 ducati. Elaborò un progetto di riforma del tribunale, per rimediare agli abusi, eliminare conflitti di competenza con altri tribunali e accentrare il funzionamento nella persona del prefetto, riducendo il potere dei referendari con l’inserimento di norme più rigide per l’introduzione e discussione delle cause. A questo modello si ispirò, nel 1659, la riforma di Alessandro VII che ebbe in Sacchetti il principale artefice. Mantenne questo incarico fino al 1655, quando assunse l’interim della prefettura della congregazione del Concilio; la nomina a prefetto della congregazione giunse il 28 luglio 1661, alla morte del cardinale Francesco Paluzzi, con una provvisione annua mensile di 100 ducati d’oro.

Alla morte di Urbano VIII, la carriera ecclesiastica di Sacchetti, che ormai godeva di una posizione di indiscusso prestigio nella Curia, poteva subire una svolta decisiva. Nel conclave del 1644, come creatura dei Barberini, si trovò di fronte a una serie di ostacoli che dipendevano dalla congiuntura internazionale, dalla disastrosa guerra di Castro. Era appoggiato da Francesco Barberini e da Mazzarino, ma osteggiato dai Medici, sebbene fosse considerato fiorentino e avesse sempre cercato di mantenere buoni rapporti, non senza difficoltà, con i suoi sovrani naturali, e dalla Spagna, che pose l’«esclusiva» sulla sua candidatura. Oltretutto, data l’età del candidato – 57 anni – si vedeva in lui una sicura e attiva continuità con il papato barberiniano. Il conclave si nutrì, fin dalle prime fasi, di un’intensa produzione e addirittura di una vera «guerra di scritture», di libelli, relazioni, pamphlet, che presentavano la figura del candidato Sacchetti sotto la luce speciosa delle fazioni.

La parodia della Passione di Cristo costituisce, ad esempio, la base per uno scritto antispagnolo, rivolto soprattutto contro Diego de Aragón, duca di Terranova, ambasciatore del re cattolico a Roma. In queste pagine, forse ispirate dallo stesso Sacchetti, si presentavano positivamente le tappe della sua carriera, il servizio e la fedeltà e soprattutto si sottolineava come il cardinale fosse sempre stato «devoto servitore del Re Cattolico» (I. Fosi, All’ombra dei Barberini..., 1997, p. 142).

Alla morte di Innocenzo X, Sacchetti risultava ancora fra i papabili e, se non spaventavano più i suoi detrattori l’età e la «robusta complessione», restavano ostacoli politici non indifferenti, primo fra tutti l’avversione della Spagna. Durante il pontificato di Innocenzo X Sacchetti aveva cercato di accattivarsi i favori di Filippo IV e dei suoi rappresentanti a Roma, ma non voleva infrangere il suo rapporto con Mazzarino. Tuttavia, il ministro francese non aveva apprezzato il comportamento condiscendente di Sacchetti verso Jean-François-Paul de Gondi, cardinale de Retz, durante la Fronda né, tanto meno, il tiepido impegno del suo antico protettore in occasione di quei torbidi, quando si era limitato a consigliarlo di riparare a Roma. Sacchetti aveva sempre appoggiato l’azione di Fabio Chigi nella sua nunziatura di Colonia e nelle trattative di pace a Münster, invisa invece a Mazzarino che, in occasione del conclave del 1655, aveva dato esplicito ordine di «non trascurare cosa alcuna per chiuderli affatto la strada» (Lettres du cardinal Mazarin, cit. in I. Fosi, All’ombra dei Barberini..., cit., p. 146).

A Madrid fu inviato Iacopo Altoviti per convincere il successore di Olivares Louis de Haro a togliere l’esclusiva sulla candidatura di Sacchetti, ma fu un insuccesso dovuto anche alla personalità di Altoviti. Ancora una volta, in occasione del conclave del 1655, si combatté una guerra di scritture di parte che presentavano in diversa luce la candidatura del cardinale, individuato come il candidato di Mazzarino. Tuttavia, il partito francese non aveva la forza di difendere la candidatura e soprattutto prevalse l’opposizione della Spagna e dei cardinali Carlo e Giovan Carlo de’ Medici, che, in questa occasione, volevano vendicarsi dei Barberini e far ricadere sul cardinale Antonio la colpa della sconfitta di Sacchetti. Il 13 febbraio 1655 Sacchetti, dal conclave, scrisse una lettera a Mazzarino per chiedergli di ritirare l’esclusiva sulla candidatura di Fabio Chigi e il 18 aprile inviò una lettera al principe Leopoldo de’ Medici per ribadire la sua benevolenza alla casa granducale, sebbene poco prima l’ambasciatore toscano a Roma Gabriello Riccardi gli avesse recapitato l’esclusiva sulla sua candidatura. Così, dopo la fine del conclave che elesse Alessandro VII, Sacchetti scrisse una lunga lettera al graduca Ferdinando II, ribadendo la sua fedeltà e il servizio manifestato negli anni al suo «sovrano naturale», con l’intento di giustificare il veto sulla sua persona e di non recidere un legame con Firenze che aveva da sempre segnato la sua famiglia.

Il titolo cardinalizio di S. Susanna fu mutato, il 29 aprile 1652, con quello di S. Maria in Trastevere; il 23 settembre dello stesso anno fu trasferito come cardinale vescovo alla diocesi di Albano e nel novembre fu nominato vescovo di Frascati. Da qui, il 10 ottobre 1655, passò alla diocesi suburbicaria di Sabina. Con il pontificato chigiano, Sacchetti fece parte di un ristretto gruppo di consiglieri e collaboratori del papa che vantavano antichi legami di amicizia e fiducia, come Sforza Pallavicino, Gian Paolo Oliva, Bernardino Spada. Aveva cercato di mantenere una posizione equidistante e conciliatrice fra Francia e Spagna, ribadendo però fermezza verso le pretese giurisdizionalistiche delle due monarchie.

Nel 1655 Alessandro VII gli affidò il compito di leggere in concistoro la relazione sulla canonizzazione di Tommaso di Villanova, un esplicito segnale di riconciliazione verso la monarchia cattolica. Per manifestare la sua riconciliazione verso la Francia e Mazzarino, si fece promotore della causa di canonizzazione di Francesco di Sales, perorata dalla Francia e dai duchi di Savoia e nel 1662 lesse in concistoro la relazione sul processo di canonizzazione del vescovo di Ginevra. Fu nominato presidente della congregazione di Sanità, istituita dal papa per arginare il contagio della peste che colpì Roma nel 1655-56, confidando nell’esperienza maturata da Sacchetti a Ferrara in occasione della peste del 1630. A Sacchetti è attribuita un’anonima scrittura che, per rimediare alle difficili condizioni dell’agricoltura, dell’approvvigionamento cerealicolo, proponeva un sistema liberistico delle «tratte» dei grani. Fra il 1661 e il 1663 fu anche prefetto della congregazione delle Immunità e dei Riti.

Gli insuccessi nei conclavi non avevano intaccato il consolidarsi della fortuna personale del cardinale e della sua familiglia, testimoniata dall’acquisto di proprietà a Roma e a Frascati – la villa Ruffinella, comperata nel 1639 da Olimpia Aldobrandini – ma soprattutto l’acquisto del palazzo di via Giulia, il 28 aprile 1649, per 31.500 scudi. Era il segno evidente di un prestigio familiare consolidato dalla figura del cardinale e sanciva la trasformazione sociale della famiglia. Sacchetti guidò le scelte matrimoniali dei fratelli Giovan Francesco e Matteo, curò l’educazione dei nipoti Giovan Battista e soprattutto di Urbano, destinato alla carriera ecclesiastica e futuro cardinale. L’8 giugno 1663 redasse il testamento in cui istituiva la primogenitura sul palazzo e sul «casale d’Hostia», cioè la villa di Castel Fusano, a favore del nipote Giovan Battista.

Il 28 giugno 1633 morì a Roma, nel palazzo di via Giulia, e fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni dei Fiorentini, forse nella cappella del Crocifisso.

A Sacchetti fu attribuita una lettera di aspra critica della politica di Alessandro VII (Lettera scritta dal card. Sacchetti..., in I. Fosi, All’ombra dei Barberini..., cit., pp. 164-170) che sarebbe stata indirizzata al pontefice prima della sua morte, esempio, fra i molti, delle critiche al nepotismo, al malgoverno, delle proposte di riforma per rimediare alle «cose incaminate all’ultimo esterminio» che circolavano nella Curia romana del tardo Seicento.

Fonti e Bibl.: Per le numerose fonti su Sacchetti, conservate in Archivio Sacchetti (ora in Archivio storico Capitolino), Archivio segreto Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana e in altre biblioteche e archivi si rinvia a I. Fosi, All’ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma 1997, ad ind., ora consultabile su www.academia.edu/31138811/ALLOMBRA_DEI_BARBERINI.pdf; La legazione di Ferrara del cardinale G. S., a cura di I. Fosi con la coll. di A. Gardi, I-II, Città del Vaticano 2006, ad indicem.

L. Assarino, Sensi d’humiltà e di stupore havuti da Luca Assarino, intorno le grandezze dell’eminentissimo cardinal S., e le pitture di Guido Reni, Bologna 1639; L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, VI, Roma 1793, pp. 261-263; G. Moroni, S. G., in Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, da s. Pietro sino ai nostri giorni, LX, Venezia 1853, pp. 100 s.; Hierarchia Catholica, IV, Patavii 1935, pp. 20, 38 s., 184, 197; L. von Pastor, Storia dei papi dalla fine del Medio Evo, XIII-XIV, Roma 1962-1963, ad ind.; P. Sannazaro, Storia dell’ordine Camilliano (1550-1699), Roma 1986, ad ind.; Palazzo Sacchetti, a cura di S. Schütze, Roma 2003, ad ind.; G. Adami, Scenografia e scenotecnica barocca tra Ferrara e Parma (1625-1631), Roma 2004, ad ind.; L. Zirpolo, Ave Papa, Ave Papabile. The Sacchetti family, their art patronage, and political aspiration, Toronto 2005, ad ind.; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’età moderna, Roma 2015, ad indicem.

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