ALOIA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 34 (1988)

ALOIA, Giuseppe

Mario Barsali

Nato a Castelforte (Latina; allora Caserta) il 15 genn. 1905, da Bartolomeo e da Virginia De Bloso, si diplomò presso l'istituto tecnico "G. Garibaldi" di Caserta. Già sottotenente di complemento di fanteria, nel 1925 era entrato nell'Accademia militare di Modena raggiungendo il grado di tenente nel luglio 1928. Nei primi mesi del 1929 aveva seguito un corso di radiotelegrafista a Mestre presso il battaglione genio, e un corso sui collegamenti terra-aereo indetto dal comando del corpo d'armata di Trieste: furono i primi di una serie di corsi (equitazione, condotta motocicli, condotta automobili, lingua inglese, cooperazione aeroterrestre) che frequenterà fino a colonnello. Nel 1937 superava gli esami per l'avanzamento a scelta speciale a capitano; tra il 1936 ed il 1939 frequentava, superandolo, il corso presso l'Istituto superiore di guerra di Torino; nel gennaio 1940 era promosso maggiore.

Durante la guerra, dapprima fu sul fronte greco-albanese (novembre 1940-marzo 1941) come addetto al Comando superiore forze armate Albania, ricevendo una medaglia di bronzo al valore; poi (aprile-novembre 1941) comandò il XXXVIII battaglione mortai da 81 della divisione Puglie sul fronte greco-albanese e in territorio iugoslavo, ricevendo la croce di guerra. Dal novembre 1941 all'ottobre 1942 fece parte della commissione italiana d'armistizio con la Francia come membro del Comando Supremo. Con lo sbandamento delle forze armate seguito all'armistizio dell'8 sett. 1943 l'A., che aveva il grado di tenente colonnello, si rifugiò a Castelforte; qui dapprima organizzò una banda di resistenti ("gruppo Aloia") poi, di fronte ai rastrellamenti e rappresaglie tedeschi ed ai bombardamenti anglo-americani, riuscì a portare parte degli abitanti in territorio liberato attraversando le linee alleate (19 febbr. 1944): ebbe così la qualifica di partigiano combattente, ed una medaglia d'argento al valore.

Colonnello nel gennaio 1949, nell'ottobre passò al comando del 45º reggimento di fanteria Reggio; capo di Stato Maggiore del comando militare territoriale di Roma (gennaio 1953-gennaio 1955), nel luglio 1954 era promosso generale di brigata. Comandante della divisione di fanteria Friuli (febbraio 1955-aprile 1956), poi capo di Stato Maggiore designato della 3ª armata (aprile 1956-febbraio 1958), promosso intanto generale di divisione (agosto 1957), passò al comando della divisione di fanteria Legnano che tenne fino al febbraio 1959. Comandante della zona militare di Genova fino al giugno 1959, poi vicecomandante della regione militare territoriale nord-est fino al luglio 1960, con la nomina a generale di corpo d'armata (giugno 1960) prese il comando della regione militare tosco-emiliana, che tenne fino al febbraio 1961. Da questa data, e per un settennio - che coincide con una fase importante del riordinamento e del riarmo dell'esercito -, l'A. ricoprì cariche centrali di decisione e responsabilità organizzativa: dapprima come segretario generale dell'esercito, fino all'aprile 1962; poi come capo di Stato Maggiore dell'esercito, fino al gennaio 1966; infine come capo di Stato Maggiore della Difesa, fino alla sua anticipata cessazione dal servizio effettivo il 28 febbr. 1968.

Una prima fase del riordino e del riarmo militare italiano si era svolta nel periodo intercorso dall'accentramento dei tre dicasteri della Guerra, Marina e Aeronautica nel ministero della Difesa (febbraio 1947) e dalla creazione (aprile 1949) della North Atlantic Treaty Organization (NATO) alla chiusura della questione di Trieste (1954). I poteri dell'orientamento e ordinamento militare erano slittati dalla presidenza del Consiglio al ministro della Difesa (alle cui dipendenze passava il capo di Stato Maggiore della Difesa) ed al ministro degli Esteri, i quali partecipavano all'istanza decisionale della NATO (unione di stati, ma organizzata istituzionalmente con propri organi, in forza dei quali l'ente si distingue dagli stati componenti ed ha capacità di decidere ed agire autonomamente dagli stati stessi). A questa crescita di poteri del ministro si era unita quella dei capi di Stato Maggiore di forza armata, per i loro rapporti diretti con la NATO, e di fatto del capo di Stato Maggiore dell'esercito per la esclusiva preminenza dei compiti di questa forza.

Nell'ambito del nuovo equilibrio mondiale strategico e atomico - innescato dalla creazione del patto di Varsavia (1955), dalla neutralizzazione dell'Austria e dal predominio sovietico sul settore balistico intercontinentale che lo Sputnik aveva rivelato nel 1957 - la nuova fase della funzione militare italiana era stata caratterizzata dall'insediamento nella pianura veneta dell'unità missilistica americana Southern Europe Task Force (SETAF), dall'istallazione nel 1958 in Puglia di rampe di missili atomici strategici a portata intermedia (Jupiter) con doppia chiave americana e italiana, infine dall'istallazione dei nuovi missili strategici (Polaris) su sommergibili americani e dalla conseguente disattivazione (1962) delle rampe pugliesi.

In rapporto però alla funzione dell'esercito italiano, nella cornice determinata dall'alleato americano e dallo schieramento NATO, era sorta e si era venuta delineando la questione del controllo politico interno. Pur stridente nei riguardi della Costituzione, il problema della schedatura - iniziata forse nel 1949 - si era realisticamente posto "nel momento in cui lo Stato, proprio in virtù del sistema democratico maggioritario, effettuò una scelta di campo chiassosamente avversata dai partiti nei quali si riconosceva una minoranza assai consistente" (Ceva, p. 372). Il fatto che alle forze armate non spettino normalmente compiti di ordine pubblico "non cancella la prospettiva, studiata nelle scuole militari e sottintesa in molte esercitazioni, che la spaccatura politica del paese possa sommare una guerra civile ad una crisi internazionale" (ibid., p. 369). Il concetto strategico e tattico di difesa alla frontiera era del resto ormai del tutto superato di fronte a forme di attacco anfibie, verticali e spaziali. L'esercito aveva affrontato perciò una efficientistica riduzione d'organico - cinque delle dieci divisioni di fanteria erano divenute unità quadro - ed una ridistribuzione in profondità lungo la dorsale appenninica, unite alla riorganizzazione e potenziamento di unità speciali (reggimento Lagunari, battaglione S. Marco, reparti elicotteri) ed a particolari indirizzi addestrativi (corsi di ardimento).

Il quadro politico interno subiva nel frattempo una serie di modifiche, avviate col congresso di Venezia del partito socialista (1957) e col suo distacco dal partito comunista, e segnate dal primo governo di centrosinistra (Fanfani, febbraio 1962), che in un certo senso realizzava la "apertura a sinistra", di cui si dibatteva dal 1955, e specialmente dal primo e secondo governo Moro, a partecipazione socialista (dicembre 1963-gennaio 1966). Al completamento dell'ordinamento e alla nuova fase di riarmo richiesta dalle dotazioni obsolete, si univa ora l'esigenza di raccordare gli schemi operativi tra esercito di campagna, difesa territoriale e difesa interna. Riforme del novembre 1965 adeguavano ai rapporti coi comandi NATO i poteri del capo di Stato Maggiore della Difesa, rafforzandolo verso il ministro anche in merito alla pianificazione ed alle questioni tecnico-finanziarie; e riordinavano il ministero della Difesa accrescendo l'importanza del suo segretario generale.

Tracciando un sommario bilancio al 1968, l'esercito era territorialmente organizzato su sei comandi di regione, sedici comandi di zona e una sessantina di distretti, mentre l'organizzazione scolastico-addestrativa comprendeva le scuole d'arma e di formazione del personale ed i reggimenti e i battaglioni addestramento reclute. L'organico consisteva in un comando designato d'armata, in quattro corpi d'armata, in due divisioni corazzate, una brigata di cavalleria blindata, cinque divisioni di fanteria, cinque brigate di fanteria, cinque brigate alpine, una brigata missili, una brigata paracadutisti, oltre a formazioni speciali. Quasi al completo l'ammodernamento delle armi leggere per il combattimento ravvicinato, per l'azione di accompagnamento e arresto, per l'azione controcarro; in corso l'ammodernamento delle artiglierie campali, da montagna, pesanti campali e pesanti; ancora limitata l'artiglieria missili e l'ammodernamento della contraerea; ancora obsoleta la dotazione del settore mezzi corazzati.

L'opera dell'A. era stata subito apprezzata dal governo americano. "Ha sostenuto e lavorato senza tregua verso la meta degli accordi internazionali di cui il suo paese è firmatario" e "ha unito saldamente l'Esercito Italiano facendolo un anello della catena difensiva della NATO" (motivazione dell'onorificenza di Commender of the Legion of Merit, conferita il 17 sett. 1962 dal presidente J. F. Kennedy, e in second award il 1º apr. 1966 dal presidente L. B. Johnson). Nell'ambito della strategia della NATO, che affidava alle forze italiane la rivalutazione delle armi convenzionali, l'A. si era adoperato per l'accrescimento delle scorte, per l'incremento delle brigate fanteria e della loro meccanizzazione, per il potenziamento dei reparti di aviazione leggera e di elicotteri dell'esercito. In particolare aveva curato il corso di ardimento per ufficiali e sottufficiali istruttori effettuato presso la scuola di fanteria di Cesano (Roma), e l'istituzione di centri di ardimento presso le grandi unità, nel quadro di una dottrina strategica che prevedeva, contro offese provenienti dall'esterno come dall'interno, l'impiego di reparti militari appositi per azioni di guerriglia e di antisabotaggio, "pedine intercambiabili dell'esercito di campagna e della difesa del territorio", come l'A. ripeté in occasione dell'esercitazione "Vedetta apula" del 1965 in Puglia (Cerquetti, p. 224). Questa dottrina richiedeva, secondo l'A., che si ricollegava a correnti di pensiero militare francesi, l'apporto di una scuola per la guerra psicologica, un'azione cioè di informazione e controinformazione che influenzasse "l'opinione, i sentimenti, l'atteggiamento e il comportamento di comunità nemiche, neutrali e amiche, al fine di contribuire al raggiungimento degli obiettivi di guerra o al successo della politica delle nazioni e degli alleati" (ibid.).

Le concezioni dell'A. si scontrarono con quelle del generale G. De Lorenzo - comandante dell'arma dei carabinieri dall'ottobre 1962, e precedentemente capo dal 1955 del Servizio informazioni forze armate (SIFAR) - fautore di un diverso raccordo operativo tra difesa territoriale e difesa interna, da attuarsi con il massimo potenziamento degli apparati di spionaggio e schedatura tradizionali, e con il potenziamento e l'allestimento ex novo di reparti d'intervento repressivo dell'arma. Il contrasto, venuto in piena luce nel 1965, esplose nel 1966, quando l'A. fu promosso capo di Stato Maggiore della Difesa e il generale De Lorenzo gli subentrò nel comando dello Stato Maggiore dell'esercito; ed assunse - anche per interventi spregiudicati e scandalistici su mezzi di informazione - aspetti di faida personale e di gruppi. Gli schemi operativi fatti propri dal generale De Lorenzo uscirono sconfitti, o perlomeno la sua persona; ma neppure alcuni punti delle concezioni fatte proprie dall'A. ebbero poi seguito, perlomeno integralmente.

Una ricostruzione della vicenda, e delle sue implicazioni istituzionali e extraistituzionali, sembra impossibile: i documenti sono ancora inaccessibili, e la letteratura, quando non è di carattere polemico, è controvertibile e ipotetica. È però lecito proporre una considerazione, nella cui cornice la vicenda può rivelare il significato di una crisi e di problemi ben più cogenti e profondi.

Il bipolarismo mondiale prodotto dalle superpotenze americana e sovietica e l'enorme restringimento dei tempi decisionali richiesto dalle nuove forme di un supponendo conflitto globale, avevano determinato necessariamente aggregazioni di stati in blocchi politici e militari i quali comportavano oggettive limitazioni ad aspetti tradizionali dell'autonomia nazionale. E queste limitazioni o erano accettate e condivise attraverso forme di compartecipata associazione, da doversi poi conservare ed elaborare politicamente, o erano da imporre attraverso soluzioni autoritarie e "golpiste" o mediante procedure destabilizzanti. Nello specifico quadro italiano, assimilare organicamente il concetto di difesa interna a quello di difesa territoriale apriva non solo il problema, se demandare la gestione della prima alla autonomia - anche eventualmente extraistituzionale - di apparati di controspionaggio e repressione, o se vederle entrambe come funzione di particolari orientamenti strategici e professionali da dare alle forze armate: apriva in realtà il problema istituzionale del settore di autonomia dei militari verso i politici, e implicitamente e tendenzialmente quello della rispettiva preminenza in funzione di un conflitto.

Dopo la destituzione del generale De Lorenzo (aprile 1967), l'A. restò quasi un anno ancora alla guida dello Stato Maggiore della Difesa, cessando poi anticipatamente dal servizio, sembra su pressione del governo (Boatti, p. 104). Nominato presto presidente dei Cantieri riuniti di Taranto, l'A. morì a Roma il 28 sett. 1980.

Fonti e Bibl.: Per la carriera dell'A. si rimanda allo stato di servizio conservato a Roma, Ministero della Difesa, Direz. gen. per gli ufficiali dell'Esercito, Ufficio generali; per le sue concezioni strategiche, si vedano, invece, il discorso pronunziato il 10 nov. 1966 nella sede del Banco di Roma, Politica e strategia, Roma 1966, e Il problema difensivo italiano nel quadro della NATO, in Realtà nuova, XXXII (1967), pp. 465-473. Variamente utili: G. Berlettano, Risalendo l'Italia con le truppe alleate, prefaz. di G. Aloia, Bologna 1966, passim; F. Messalla, Le mani rosse sulle Forze armate, Roma 1966, passim (ripubblicato a cura di Lotta continua, Roma 1975, con l'indicazione degli autori: G. Giannettini e P. Rauti); R. Trionfera, SIFAR affair, Roma 1968, pp. 9-14, 22, 43, 48-51, 57, 60, 64, 66, 94; M. Tedeschi, La guerra dei generali, Milano 1968, pp. 10, 106-112, 123, 127, 134, 136, 179; R. Zangrandi, Inchiesta sul SIFAR, Roma 1970, pp. 79-87; Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, Relazione di maggioranza, Roma 1971, pp. 320, 344, 394 ss., 508, 515, 802 s.; E. Cerquetti, Le Forze armate italiane dal1945 al 1975, Milano 1975, pp. 216, 219, 221, 223 s., 228, 231, 240, 242, 245, 248, 252, 254; G. Boatti, L'Arma. Icarabinieri da De Lorenzo a Mino 1962-1977, Milano 1978, ad Indicem; R. Faenza, Il malaffare, Milano 1978, passim; V. Ilari, Le Forze armate tra politica e potere 1943-1976, Firenze 1979, ad Indicem; L. Ceva, Le Forze armate, Torino 1981, pp. 367 ss.; G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma1984, ad Indicem.

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