ANSELMI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 3 (1961)

ANSELMI, Giuseppe

Livia Bargilli Moscone

Nacque a Cherasco (Cuneo) il 10 marzo 1769 da povera famiglia. Fatti i primi studi di filosofia con l'aiuto di benefattori, si recò per continuarli a Torino, dove visse col provento di lezioni private. Ordinato sacerdote e nominato professore di retorica, insegnò questa materia nei licei di Valenza e di Casale. Il 17 febbr. 1816 gli fu affidato nell'accademia militare di Torino l'insegnamento di lettere e filosofia. In occasione della venuta del Foscolo a Torino, fece parte della cerchia di amici di Luigi Bossi, commissario straordinario del Regno d'Italia a Torino, frequentata dal poeta, che lo ricorda nel suo Epistolario insieme con le altre conoscenze piemontesi.

Il nome dell'A. è legato a progetti e tentativi di riforma dell'ordinamento scolastico piemontese.

Il primo prospetto di riforma scolastica compare in un Corso d'istruzione (Torino 1803), poi nell'orazione Pro studiis instaurandis pronunziata nel liceo di Casale nel dicembre del 1814 e infine in un più organico progetto índirizzato, su consiglio dell'amico Galeani-Napione, a Prospero Balbo, capo del Magistrato della Riforma (A S. E. P. Balbo omaggio di un'orazione latina e di un'ideata correzione al sistema di pubblica istruzione, Torino 1818). Capisaldi del progetto sono l'abolizione del latino nelle scuole elementari e l'incremento dello studio dell'italiano, la ripartizione del corso di studi in tre gradi: elementi, lettere e scienze, la scelta di buoni insegnanti anche laici attraverso esami e la creazione dell'istituto dell'ispezione.

L'A. rivolse la sua attenzione ai metodi della scuola primaria anche con il saggio Scuola della puerizia (Torino 1819-1820 e 1821), dedicato al principe di Carignano. In esso criticava sostanzialmente i sistemi delle scuole di mutuo insegnamento, mettendo in rilievo la povertà e inadeguatezza dei libri di lettura in queste adoperati nonché l'inutilità del ricorso ai racconti e alle massime morali. Per lui fondamento dell'educazione del fanciullo era la fantasia, alla quale ci si doveva rivolgere attraverso la sollecitazione delle piccole cose reali sfruttando le capacità intuitive dello scolaro.

Nei primi anni seguiti ai moti del '21 ogni idea di mutamenti fu accantonata; più tardi Vittorio Troya, propugnatore di riforme scolastiche a Torino, confessò di essersi molto giovato dell'opera dell'Anselmi. Questi, lasciata il 30 ag. 1828 la cattedra dell'accademia militare, si ritirò a Cherasco, ove visse gli ultimi anni dedito agli studi e all'insegnamento gratuito. Morì nel 1842.

Fonti e Bibl.: U. Foscolo, Epistolario, Ediz. Naz., II, Firenze 1952, pp. 97, 98; P. Baricco, L'istruzione popolare in Torino, Torino 1865, pp. 51, 52; V. Bersezio, Il regno di Vittorio Emanuele II, I, Torino-Roma 1889, p. 301; G. Vidari, L'educazione in Italia. Dall'Umanesimo al Risorgimento, Roma 1930, pp. 271, 275 (con bibl.); G. B. Gerini, Gli scrittori pedagogici ital. del sec. XIX, Torino 1910, pp. 543, 545; M. Ruffini, Un poco noto pedagogista piemontese, G. A., in Torino, XIII (1933), pp. 40 s.; E. Codignola, Pedagogisti ed Educatori, Milano 1939, p. 31; Enc. Cattolica, I, col.1405-1406.

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