BARETTI, Giuseppe

Enciclopedia Italiana (1930)

BARETTI, Giuseppe

Luigi Piccioni

Quando egli nasceva a Torino, il 24 aprile 1719, le condizioni morali e intellettuali del Piemonte erano così poco liete che, come Carlo Botta lasciò scritto, "i preclari ingegni che avea il Piemonte generati, fuggivano l'aere grave, migrando a cieli più miti". Onde non è meraviglia se, con un'indole come la sua, col capriccio ostinato dei suoi primi anni per la letteratura e specialmente per la poesia, con un padre inetto e avverso ad ogni genere di studî, una matrigna non ancora ventenne, e almeno tre fratelli più giovani di lui, disgustato e in lotta con l'ambiente familiare e con sé stesso, egli abbandonasse improvvisamente a sedici anni Torino e la casa paterna per cercare altrove la sua via, se non la sua fortuna. "Amator miracoloso degli amici", ecco il ritratto morale, in massima parte rispondente all'originale, che egli faceva di sé stesso dodici anni più tardi, "anzi un uomo fatto apposta per amare la gente dotta e dabbene; un uomo collerico, che per poco va in bestia e mette mano alla spada...; che alcuna volta farebbe ridere i sassi, piacevole e pieghevolissimo con le donne, senza complimenti e cerimonie con gli uomini;... disprezzatore dei tristi e degl'ignoranti, quantunque siano grandi, e tanto mordace e satirico e severo con quelli, quanto sincero e cordiale e generoso e largo quanto può, con quei che tristi ed ignoranti non sono". Scappò dunque nel 1735 a Guastalla, presso uno zio ch'era segretario di quella corte ducale, e dove ebbe a suo "formatore", come dice il Carducci, quel poeta Carlo Cantoni, che fu uno degli umoristi e favoleggiatori più notevoli del sec. XVIII. E, dopo due anni, eccolo di nuovo a Torino, alla scuola di eloquenza italiana di Girolamo Tagliazucchi; e l'anno successivo a Venezia, famigliare di casa Gozzi; e nel 1740 a Milano, amico del dottor G. M. Bicetti, del conte G. M. Imbonati, del Passeroni e d'altri valentuomini, con i quali fece parte del primo nucleo dell'Accademia dei Trasformati e gareggiava nell'amore dei buoni studi e nell'esercizio della poesia specialmente giocosa. Nel 1742 era di ritorno in patria, ma per pochi mesi, ché, ottenuto il posto di economo sopra le nuove fortificazioni, visse due anni a Cuneo: e poi, lasciato quell'impiego, di nuovo a Torino e a Venezia, esercitando la sua penna, oltre che nella traduzione delle tragedie del Corneille (Venezia 1747-48) e in versi d'occasione e Piacevoli poesie (Torino 1750), per spasso specialmente degli Accademici Granelleschi, in brevi ma aspre e violente diatribe, che saggiavano il suo umor critico e il suo ardore polemico, e facevano levar le berze ai suoi timidi ma potenti avversarî. Tanto potenti e così numerosi, tra grandi e piccoli, che, vistasi chiusa ogni via ad una stabile e lucrosa occupazione in patria, pensò finalmente di seguire l'esempio di tanti altri Italiani di quel secolo e tentare nella libera e potente Inghilterra la sua fortuna. Partiva dunque alla fine di gennaio del 1751 per Londra, dove visse dieci anni nell'amicizia di uomini come il pittore Reynolds, l'attore Garrick, qualche Italiano come il maestro Giardini e Vincenzo Martinelli, ma sopra tutti Samuele Johnson, che teneva in quel tempo in Inghilterra lo scettro delle lettere e della critica, e che esercitò più di ogni altro un forte influsso sulla mente e sullo spirito del giovane Italiano. Il quale sentì finalmente in Inghilterra la sua anima meno sola e meno isolata che non nella sua patria, e trovò l'ambiente e le occasioni favorevoli a educare e a rafforzare le sue idee e i suoi sentimenti, e amò quel paese e quella letteratura, e li ammirò e li esaltò, con lo schietto entusiasmo di chi si sente alfine compreso e gode di non aver indarno sperato. E là, fra pubblicazioni didattiche ad uso specialmente degl'Inglesi studiosi di lingua italiana, e brevi scritti critici e polemici, nei quali rifulge la sua indipendenza di giudizio e il suo vivo sentimento patriottico, egli donava in pochi anni all'Inghilterra quel Dictionary of the English and Italian languages (Londra 1760), che è uno dei migliori dizionarî delle due lingue; mentre si veniva preparando, con studî diuturni e pazienti, in quel suggestivo fervore d'idee e di opere, nella quotidiana dimestichezza con quei valentuomini, a dare maggiore e migliore saggio del suo ingegno e delle sue attitudini di scrittore e di critico. Non in Inghilterra però. Ché, appena pubblicato il suo dizionario, che gli fruttò rinomanza e un gruzzolo discreto, ripreso più vivamente dalla nostalgia dei fratelli, degli amici cari e del bel cielo della sua patria, colse la favorevole occasione di fare da compagno e da guida a un ricco giovane inglese in un suo viaggio che aveva per meta Venezia, e il 13 agosto del 1760 abbandonava lietamente, ma non senza commozione, la terra ospitale che lo aveva accolto povero ed oscuro, e gli aveva dato lavoro e temprato lo spirito e nutrita l'anima per nuove e più feconde battaglie. Ed eccolo di nuovo a Torino a rivedere i fratelli, e poi a Milano, dove ai vecchi amici si aggiunsero i nuovi dell'Accademia dei Trasformati, e fra questi in primo luogo il Parini, e dove si accinse a pubblicare in forma di Lettere familiari ai suoi tre fratelli Filippo, Giovanni e Amedeo (Milano 1762; Venezia 1763) la relazione del suo viaggio attraverso l'Inghilterra, il Portogallo, la Spagna e la Francia, che fu davvero un peccato "l'ignoranza e la politicuzza e la malignità", come egli ebbe a scrivere, gl'impedissero di stampare oltre il tomo II, perché è una delle opere che meglio dànno la misura della sua abilità e della sua originalità di scrittore. Onde, disgustato di questi impacci, che non trovò minori in Venezia, dove nel frattempo s'era trasferito, e rinfocolato nei contrasti il suo umor battagliero, pose mano senza indugio nel 1763 alla pubblicazione di quel foglio periodico, ch'egli intitolò Frusta letteraria e finse scritto da un vecchiaccio bizzarro e bisbetico dal nome significativo di Aristarco Scannabue. Finalmente il Baretti si trovava fra mano l'arma che gli abbisognava per scuotere l'indolenza dei suoi compatrioti, e scaldarne l'animo per una letteratura più sostanziosa e più seria, in quel tempo delle trionfanti leziosaggini arcadiche, combattendo senza pietà risolutamente e audacemente, con il ridicolo e con l'invettiva, gli scrittori mal destri o goffi o frivoli, e le vuote accademie, e i poeti melensi e poltroni, e i novatori francesizzanti, e gli eruditi senza cervello; nell'orgogliosa speranza di rifare un'anima migliore all'Italia letterata dei suoi tempi, di essere, come egli dice, il "contravveleno" per il canagliume letterario che avviliva in Italia e fuori la dignità della penna. Questa è l'opera più notevole e più famosa del Baretti, nella quale egli, nonostante eccessi e difetti e stranezze innegabili, ci appare, oltre che critico, polemista formidabile e prosatore singolare, che, abbandonandosi alla propria natura, sa scrivere con forza, con brio, con vivacità, con certa grazia, come ebbe a dire il Graf, tra risentita e petulante, che non ha l'uguale in quel Settecento che non è certo il secolo della migliore prosa italiana. Ma l'opera battagliera accrebbe di tanto la schiera dei suoi nemici, e suscitò un tale vespaio, e levò tale rumore nel campo tranquillo e privilegiato dei letterati italiani, che il periodico fu d'un tratto sospeso d'autorità al 25° numero, uscito il 15 gennaio 1765, ed ebbe solo un seguito di altri otto numeri ad Ancona, in forma di Discorsi acerbissimi contro il padre Appiano Buonafede, che era uno degli avversarî più accaniti e più potenti di Aristarco Scannabue. Ma la nuova violenza usata contro di lui e la perduta speranza oramai di trovare stabile occupazione in patria, persuasero ancora una volta il Baretti a far vela per l'Inghilterra, dove egli infatti ritornò nell'agosto del 1766 e rimase definitivamente sino alla sua morte, che avvenne il 5 maggio del 1789. Là egli ottenne, per l'appoggio dei suoi potenti amici, che lo salvarono una volta anche dai rigori della giustizia, il posto di segretario per la corrispondenza straniera della Reale Accademia delle belle arti di Londra, e continnò sino all'ultimo ad esercitare la sua penna, compilando anche un Dictionary spanish and english (Londra 1778), e pubblicando opuscoli e volumi in inglese, in francese e in spagnolo, sia in difesa dell'Italia contro le calunnie di viaggiatori stranieri (An account of the manners and customs of Italy, Londra 1768, 1769), sia in difesa dello Shakespeare contro i falsi giudizî del Voltaire (Discours sur Shakespeare et sur monsieur de Voltaire, Londra 1777; Lanciano 1911), sia contro le malignità di critici e di avversarî suoi (Tolondron, Londra 1786), sia ad ammaestramento e a sussidio degli studiosi inglesi della nostra lingua e della nostra letteratura (Scelta di lettere familiari fatta per uso degli studiosi di lingua italiana, Londra 1779; Bari 1912), con un pensiero costante che nobilita tutti i suoi scritti, anche i più esuberanti e violenti: rendere coraggiosamente omaggio alla verità, difendere l'amore del buono e dell'onesto, tenere alto, specialmente fuori di patria e di fronte agli stranieri, il nome e la gloria dell'arte e del genio italiani.

Bibl.: Un saggio bibliografico delle opere barettiane è nel vol. G. Baretti, Scelta di lettere familiari, critiche e descrittive; con introduzione e note di L. Piccioni, Livorno 1914. Sulla vita e sull'opera del B., cfr. P. Custodi, Memorie della vita di G. B., in Scritti scelti inediti o rari, I, Milano 1822; C. Ugoni, Della letteratura ital. nella seconda metà del sec. XVIII, I, Milano 1856; L. Morandi, Voltaire contro Shakespeare, Baretti contro Voltaire, Città di Castello 1884; L. Piccioni, Studi e ricerche intorno a G. B., Livorno 1899; L. Collison Morley, G. B. with an account of his literary friendship, ecc., Londra 1909; L. Piccioni, G. B. prima della "Frusta letteraria" (1719-1760); Suppl. 13-14 al Giorn. storico della letteratura ital., Torino 1912.

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