MOLINERI, Giuseppe Cesare

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MOLINERI, Giuseppe Cesare

Andrea Campana

– Nacque a Pinerolo (Torino) il 24 ag. 1847, da Settimo e da Rosa Dogliotti.

Il M. ricopre un ruolo di qualche importanza nel panorama della cosiddetta scapigliatura piemontese – la cui data di nascita si può far risalire al 1863, quando E. Praga e A. Boito, che si erano recati a Torino per seguire la messa in scena della commedia da loro composta, Le madri galanti, inaugurarono in quella città la Società Dante Alighieri, che divenne un centro di aggregazione degli scapigliati locali –, soprattutto per il suo impegno quale organizzatore di circoli letterari e come giornalista. Petrocchi lo definì pertanto correttamente «un minore nella letteratura piemontese di fine Ottocento, ma un minore con una sua individualità ed una sua funzione culturale» (p. 73).

Mentre era ancora iscritto a lettere presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano partecipò alla campagna di G. Garibaldi del 1866, nell’ambito della terza guerra d’indipendenza italiana. La sua carriera letteraria ebbe inizio nel 1868, anno del suo ritorno a Torino, quando – dopo aver terminato gli studi all’Accademia di scienze e lettere e aver intrapreso l’insegnamento nelle scuole medie della città, che portò avanti per gran parte della vita, fino a essere incaricato di letteratura drammatica all’Università torinese – ebbe modo di farsi conoscere presso la Società Dante Alighieri e di collaborare alla rivista letteraria Il Velocipede, di spiriti democratici, antipapali e antimonarchici, fondata da G. Faldella nel 1869.

Tra le sue prime opere si ricordano una commedia in dialetto piemontese in tre atti, intitolata Le sivitole (Le civettuole), rappresentata nella primavera del 1869 al teatro Balbo di Torino e più volte replicata, e la raccolta di liriche Il canto della campagna (Torino 1870), dove l’ingresso nella poetica scapigliata è ancora assai timido e prevalgono toni provenienti dal romanticismo pittoresco e sentimentale di G. Prati e A. Aleardi, di B. Zendrini e O. Guerrini (L. Stecchetti); si avverte anche l’influsso di un G. Leopardi inseguito soprattutto nei suoi timbri più melanconici e mortuari.

Proprio la dimensione prevalente della noia e della malinconia prese il sopravvento nell’opera del M., che scrisse un romanzo breve, intitolato Il viaggio di un annoiato (ibid. 1875 e 1878), il quale anticipava parimenti gli Alpinisti ciabattoni di A.G. Cagna, i Pifferi di montagna di E. Calandra e le Figurine di Faldella, specie per il ritratto dell’ambiente e della popolazione delle Alpi. B. Croce lo considerò il suo lavoro migliore, sebbene a questa promenade dell’annoiato e dell’insoddisfatto in cerca di una vita autentica, alternativa a quella banale e grigia della città, mancassero originalità espressiva e felicità di dialogo. Caratteri narrativi non molto differenti ebbe pure la successiva raccolta di novelle, I drammi delle Alpi (ibid. 1877; seconda ed. ibid. 1879).

Dopo la metà degli anni Settanta si ebbe nel M. un sensibile avvicinamento ai modi più prettamente scapigliati (in particolare a Boito e a I.U. Tarchetti). Forse il suo risultato più credibile, sul piano lirico «scapigliato», è da considerarsi il componimento Lux in tenebris (un testo di quartine che alternano un endecasillabo a un quinario con rime XyXy), che è una discesa boitiana negli inferi della coscienza del poeta.

«Vorrei perdermi in mezzo al tenebroso, / all’indistinto, / per sazïare il mio di fren sdegnoso / torbido istinto» (vv. 5-8). In questa lirica la cifra scapigliata del M. raggiunge il suo culmine: qui troviamo espressioni quali «torbido istinto» e «desire irrequïeto» (v. 11), riferite all’io lirico; notevole è però anche l’influsso di G. Carducci, poeta molto stimato dal M., il quale alle Odi barbare dedicò un ampio articolo critico profondamente elogiativo (Arte nuova? Lettere a un amico, in Gazzetta letteraria [Torino], 1878, nn. 47, 48, 49; 1879, nn. 41, 42, 43). La sua produzione poetica sarebbe stata poi tutta raccolta nel volume Poesie, 1865-1906 (Torino 1915), a cura del comitato che si costituì a Torino nell’occasione del primo anniversario della sua morte, prefato da una commemorazione di Faldella.

Il M. è da accostare alla scapigliatura soprattutto per la fondazione e direzione (dal gennaio 1874 al marzo 1878) della rivista Le Serate italiane, letture per famiglie, nella quale pubblicarono gli animatori della Società Dante Alighieri, vale a dire quasi tutti gli scapigliati di punta piemontesi (V. Bersezio, Cagna, G. Giacosa, Faldella), ma anche i milanesi Boito e Praga, L. Gualdo e S. Farina, e occasionalmente Carducci, che con gli scapigliati condivideva in quegli anni una certa pulsione al maledettismo e al satanismo. Lo stesso M. vi diede alle stampe alcuni dei suoi racconti più gustosi e interessanti: Bernardo Trevisano, Le persiane verdi, La contessa Maschenka, Nebbia, Il fidanzato della tempesta, Il corvo (quest’ultimo è l’adattamento di una leggenda alpina).

Tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta il M. si dedicò a due opere molto ambiziose, una Storia della letteratura italiana (I-III, Torino-Napoli 1886-87), e una Storia d’Italia dal 1814 ai nostri giorni (Roma 1891), che portava un affondo molto partecipato sui fatti del Risorgimento italiano e che continuava dichiaratamente, seguendone anche gli intenti ideali, il Sommario della storia d’Italia di C. Balbo, risalente al 1846-47. In particolare, nella Storia della letteratura italiana, trattazione lunga e documentata, mantenuta su un piano di altissima severità critica, è possibile ritrovare tutte le idee e i gusti letterari del M. più maturo, che prediligeva sempre più Carducci (al quale aggiudicava infatti il «primo posto» nella letteratura italiana fin de siècle) e sottoponeva a una palinodia la propria adesione giovanile al movimento scapigliato, sul quale prorompeva ora in poco benevole opinioni.

Nel tomo III del libro decimoquarto, La letteratura contemporanea, arrivava ad affermare: «Pur troppo il periodo presente apparirà come uno dei più poveri della nostra letteratura; non solo essa vi è più ricca di prosatori che di poeti, il che già indicherebbe un predominio del raziocinio sulla fantasia, quindi delle facoltà speculative sulle artistiche, ma fra i primi abbondano i critici e gli storici, ricercando tutti nelle loro opere più il carattere scientifico che la forma. […] Spiccano pochi scrittori, ma questi pure non fanno scuola; ognuno sta da sé, quasi lavora per conto proprio e il carattere nazionale sembra vada mano mano perdendosi, tanto è potente l’influenza delle nazioni straniere, specialmente della Francia (ibid., pp. 411 s.).

L’Italia unita, dunque, non sembrava al M. avere una letteratura degna del suo progetto politico-culturale.

In questo contesto polemico, un capofila scapigliato come Praga oramai gli appariva personalità «con intento innovatore nel campo dell’arte, ma non sorretta a sufficienza da forti studi» (ibid., p. 416), come riprovano le Penombre, dove «l’ingegno originale» di Praga «tratto tratto si perdeva nella voluta imitazione dei poeti francesi, e nella ricerca di metafore e di concettini che parvero, in più di un punto, balzarci ancora in pieno Seicento» (ibid.). Attaccava anche scrittori a lui affini da lunga data, quali Zendrini, che «non lasciò che una sola raccolta di versi, trascurati spesso nello stile e quasi prosaici, per il desiderio di accostarsi alla semplicità» (ibid., p. 417), e Bersezio, cui riconosceva un «ingegno ricco di fantasia e di forza nella creazione dei caratteri, e nel trovare le situazioni», ma che giudicava senza mezzi termini «non di pari valore nella forma, per certe ineguaglianze ed asprezze» (ibid., p. 431). Qualche plauso era riservato dal M. a S. Farina: «Nessuno degli scrittori italiani del giorno d’oggi sa accoppiare tanta finezza d’osservazione con tanto sentimento. Egli ha un umorismo pacato, tranquillo, in cui il sorriso non scoppia mai in una risata aperta ed è come una veste gentile gettata sulla profonda melanconia che domina nel suo ingegno» (ibid., p. 433) e a Faldella «umorista schietto, potente», mentre decisamente stroncato, in quanto narratore anti-italiano, era L. Capuana (e dunque con lui il verismo), giudicato «troppo stretto agli scrittori di Francia» (ibid.).

Il M. morì a Torino il 24 genn. 1912.

Altre opere oltre a quelle citate: Discorso pronunziato in occasione della solenne distribuzione dei premi agli allievi delle scuole tecniche di San Carlo …, Torino 1875; All’aperto: liriche, ibid. 1876; Torino al re: ode … per festeggiare il 35° compleanno di S.M. il re d’Italia Umberto I, ibid. 1879; Relazione dell’insegnamento sulla storia della letteratura drammatica, ibid. 1880; Un nuovo volume di opere di Alessandro Manzoni, ibid. 1883; Crestomazia degli autori greci e latini nelle migliori traduzioni italiane, ibid. 1886; Lezioni di letteratura: parte I. Dell’invenzione e dell’elocuzione, ibid. 1886; Amedeo di Savoia, duca d’Aosta: discorso, ibid. 1890; I poeti italiani alla corte di Carlo Emanuele I, ibid. 1891; Nuova antologia manuale della letteratura italiana ordinata ad uso delle scuole secondarie … dal secolo XIII al XV, ibid. 1891; Gli studenti e la patria: discorso letto … per festeggiare le nozze d’argento dei reali d’Italia Umberto I e Margherita di Savoia, ibid. 1893; Relazione sul tema: «Ordinamento delle scuole elementari e secondarie» (Congresso pedagogico nazionale in Torino, settembre 1898), ibid. 1898.

Fonti e Bibl.: A. De Gubernatis, Dizionario biografico degli scrittori contemporanei, Firenze 1879, pp. 727 s.; B. Croce, La letteratura della nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 272-274; G. Petrocchi, G.C. M., in Id., Scrittori piemontesi del secondo Ottocento, Torino 1948, pp. 73-78; G. Ferrata - M. Rago, G.C. M., in Dizionario universale della letteratura contemporanea, L-Q, Milano 1961, pp. 589 s.; A. Jacomuzzi, G.C. M., in Grande Dizionario enciclopedico (UTET), XIII, Torino 1989, p. 828.

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