COZZA LUZI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)

COZZA LUZI, Giuseppe

Vittorio Peri

Nato a Bolsena (Viterbo) il 4 dic. 1837 da Lorenzo e da Teresa Battaglini, in una nobile famiglia, vide svolgersi l'intera sua esistenza nell'ambiente culturale e curiale della Roma pontificia, mentre l'orientamento decisivo per il curriculum ecclesiastico e degli studi gli derivò dal clima di rinnovato e crescente interesse per le tradizioni della Chiesa greca, che si sviluppò a Roma durante i pontificati di Pio IX e di Leone XIII.

L'abbazia basiliana di Grottaferrata era specialmente cara a papa Mastai Ferretti, che la visitò tre volte. Sotto la guida del priore A. Accorimboni, un gruppo di giovani monaci, tra cui il romano T. Toscani, s'era prefisso (1846) una ripresa delle tradizioni originarie, restituendo nella comunità lo studio della lingua e della liturgia greca ed aprendo presso il monastero un ginnasio per giovani laici (1850). Il C. ne fu tra i primi e più distinti allievi. Giunto all'età di 3 anni, emise la professione monastica, coltivando in particolare, col suo maestro p. Toscani, l'innografia greca ed aiutandolo a pubblicare la raccolta De immaculata Deiparae conceptione hymologia Graecorum ex editis, et manuscriptis codicibus Crypto-ferratensibus..., Romae 1862; per gli studi storici gli fu invece insegnante il catanzarese B. M. De Riso, abate benedettino.

Il nuovo priore dell'abbazia di Grottaferrata, il barese N. Contieri, che col Toscani aveva a lungo patrocinato la causa del beato basiliano ucraino Józafat Kuncewicz, arcivescovo di Polock, aveva finalmente ottenuto nel 1865 l'apertura del processo, che portò alla canonizzazione del 29 giugno 1867. La circostanza provocò l'afflusso a Roma, e quindi il contatto coi basiliani romani, di numerosi cattolici greci di rito bizantino, i quali rimasero perplessi di fronte all'ibrida osservanza liturgica ed ascetica di quei monaci. La causa dell'unione delle Chiese, o quanto meno il disagio per le critiche provenienti dall'Oriente ortodosso, accentuavano l'urgenza d'una riforma e suggerivano, tra gli inevitabili contrasti, il ristabilimento della vita comune in monastero. Il C., nelle elezioni monastiche del 1868, risultò eletto segretario del priore Contieri, confermato nella carica per un triennio e creato abate da Pio IX il 20 dic. 1869, quando per il monastero venne soppresso il regime commendatario; considerandosi superiore generale, il Contieri condusse una visita canonica (3 marzo-2 maggio 1870) e anche in quell'occasione il C. gli fu a fianco come segretario della commissione inquirente. Di ben diversa natura fu la soppressione, cui andò incontro il monastero nello stesso anno della visita: la intimava un decreto del sopraggiunto Regno d'Italia insieme all'incameramento pubblico dei beni, che la comunità poté evitare ottenendo che la chiesa e il monastero venissero dichiarati monumento nazionale, affidato in custodia ai basiliani. L'11 ott. 1874 il C. ebbe dallo Stato italiano il titolo di soprintendente. L'anno seguente egli fu eletto abate, e continuò ad operare per la reintroduzione del rito greco integrale contro l'uso invalso, ottenendola nel 1881.

Ricorderà in una lettera del 10 luglio 1902: "essendo io abate potei ottenere dopo dieci anni di gravi renitenze, che il S. P. Leone XIII ritornasse tutto all'antico e puro greco, rimovendo affatto quel rito detto male italo-greco, essendo greco-latino". La causa canonica si protrasse per i due trienni del suo governo abbaziale e si concluse con la sentenza del 12 apr. 1881, che per il monastero di Grottaferrata stabiliva: "abrogatis quibuscumque sive variationibus sive consuetudinibus, quomodocumque invectis, ritus Graecus in integrum restitutus servetur"; seguiva un'istruzione in italiano.

L'abate C., che nel frattempo aveva provveduto a restaurare e ad adattare la chiesa alle nuove esigenze, era giunto al termine del suo incarico nel gennaio 1882, sicché il successivo 14 settembre fu il nuovo abate A. Pellegrini a consacrare il sacro vima. Secondo l'uso, il precedente superiore era stato definitivamente staccato dal monastero da una tempestiva promozione. Già scriptor graecus della Biblioteca Vaticana dal 1873, titolo che aveva conservato durante i sei anni di governo abbaziale di Grottaferrata, il 30 marzo 1882 gli era stata conferita la carica - ripristinata pochi anni avanti da Leone XIII per il fratello G. Pecci e destinata ad estinguersi con la morte del C. - di vicebibliotecario di Santa Romana Chiesa. In essa succedeva, con un trattamento mensile di lire 268,75 (Archivio Bibl. Vatic., 6, f. 9r), a mons. D. Iacobini, poi cardinale; col regolamento del 21 marzo 1884 vide ristrette le proprie funzioni alla parte culturale, mentre per quelle amministrative gli venne messo a fianco un secondo vicebibliotecario, mons. A. Panici, che poco dopo divenne però sottodatario permettendo la riunificazione delle incombenze.

Sotto il profilo burocratico i legami del C. con la Biblioteca Vaticana risalivano al 24 febbr. 1873, quando, trasferito a Roma alla procura dell'Ordine basiliano e nominato consultore della Congregazione di Propaganda Fide per gli affari di rito orientale, gli era stato conferito il titolo di scriptor graecus per la rinuncia di G. Cugnoni, scrittore tra il 1859 e il 1873 e poi protettore dell'università statale di Roma; conservò il titolo tra il 1875 e il 1882 allorché fu abate di Grottaferrata. Tuttavia, per la collaborazione culturale e per la frequentazione dell'ambiente dotto di quella istituzione, i rapporti rimontavano almeno all'anno 1868 ed erano stati inizialmente legati alla travagliata vicenda delle varie edizioni del codice B della Bibbia, il Vat. gr. 1209 del IV secolo, e più in generale ai lavori pubblicati postumi del card. A. Mai. Buona parte della successiva carriera, scientifica ed ecclesiastica, del C. rimase infatti legata, per gli aspetti positivi e per quelli negativi, alla discussa iniziativa editoriale romana, i cui antefatti risalivano al 1843 o addirittura al 1828. C. von Tischendorf, il noto paleografo e critico biblico, aveva infatti tentato di preparare un'edizione del codice, ma, nonostante l'intervento in suo favore di Gregorio XVI, non gli era stato possibile realizzare l'intento per l'opposizione del card. Lambruschini, in quanto il card. Mai, tra il 1828 e il 1838, aveva già fatto stampare tutto il testo in cinque grandi volumi in quarto, senza tuttavia decidersi a renderli di pubblica ragione fino alla sua morte (1854). Dopo l'apparizione nel 1856 dell'edizione critica dovuta al Tischendorf del testo greco dei Settanta, all'inizio del 1857 i volumi preparati dal Mai, con le correzioni dell'editore, furono mostrati al biblista barnabita C. Vercellone e l'8 maggio dello stesso anno questi fu incaricato di rivederli e di metterli a disposizione del pubblico: ciò che egli fece, per sua ammissione, in cinquanta giorni, concludendo il lavoro il 28 giugno. Due anni più tardi il Tischendorf rinveniva il codice sinaitico e nel 1862, a spese di Alessandro II zar di Russia, lo dava alle stampe con una prefazione scientifico-critica. Nel 1866, presentato da autorevoli personaggi, venne a Roma per ottenere da Pio IX di poter fare altrettanto con il codice vaticano, perfezionando così l'edizione postuma e poco felice del Mai. La sostenuta risposta che il papa gli diede ("Potremo farlo noi!") lo convinse a desistere, accontentandosi di consultare il codice per la propria edizione del Nuovo Testamento, da lui polemicamente intitolata Novum Testamentum Vaticanum post A. Maii aliorumque imperfectos labores ex ipso codice editum (Lipsiae 1867). Una pubblicazione del cimelio biblico con le proprie forze sembrava ormai un punto d'onore per la S. Sede e il suo prestigio. Pio IX la decise e, dopo qualche prova meno riuscita di riproduzione fototipica, fu scelta la tipografia di Propaganda Fide, rilevata da poco dal cav. Pietro Marietti (e poi diretta dal cav. F. Melandri). Dal Tischendorf lo stampatore aveva acquistato i caratteri fatti fondere per il codice sinaitico e, per la responsabilità scientifica, "l'eletto a questa impresa fu il ch. p. Carlo Vercellone, il quale volle avere a compagno il rev. p. Giuseppe Cozza, monaco di Grottaferrata. Amendue italiani, amendui forniti di virtù, atta a reggere felicemente il peso loro imposto" (La Civiltà cattolica, s. 7, XIX [1868], 43 p. 25).

Il C., che il breve di nomina del 25 luglio 1868 definisce "ancora in verde età" ma dotato già "di chiara fama di dottrina", aveva pubblicato un'opera, nata da un palinsesto biblico criptense da lui "lavato", dopo che su tal genere di codici s'era fermato il monaco F. Vitali e i cardinali Mai e Pitra avevano spronato al loro studio i basiliani del luogo, mentre il p. Vercellone, nel 1866, aveva dato notizia della scoperta sul Giornale arcadico: si trattava della prima parte, apparsa nel 1867, dei Sacrorum bibliorum vetustissima fragmenta Graeca et Latina ex palimpsestis codicibus bibliothecae Cryptoferratensis eruta atque edita, I-III, Romae 1867-1877.Una precedente opella, intesa a mostrare che il monastero era situato nell'antica villa ciceroniana, recava il titolo: Il Tuscolano di M. Tullio Cicerone. Ricerche di d. G. Cozza-Luzi, Roma 1866.

Il primo volume della nuova edizione "tipica" della Bibbia era pronto nel luglio 1868, e gli altri cinque si succedettero a scadenze relativamente ravvicinate fino al 17 sett. 1881, nonostante la morte sottraesse quasi subito all'impresa il p. Vercellone, sostituito, a fianco del C., da un altro barnabita, Gaetano Sergio, e poi dal can. E. Fabiani, con l'ausilio di p. A. Rocchi e mons. U. Ubaldi. Il metodo di lavoro, elogiato dal redattore de La Civiltà cattolica all'uscita dei libro, spiega un ritmo comunque sostenuto: "I fogli del codice della Biblioteca Vaticana si mandano alla tipografia (sc. del cav. Marietti) a cinque a cinque, e si rimandano indietro, ognuno chiuso tra due cristalli: e restano così custoditi in tutto il tempo della composizione. I compositori, da lui destinati a questo difficile lavoro, sono gli egregi sig. Filippo Lanzi e Federico Setti, tutti e due romani, e l'uno come l'altro spertissimi nel comporre i caratteri delle lingue orientali. Ed essi rispondono maravigliosamente alle intenzioni degli editori, ritraendo le lettere secondo la grandezza di ciascuna e le differenze anche minime degli spazi, i quali corrono tra le une e le altre, e ricopiando mille altre varietà del manoscritto, impercettibili agli occhi non tanto esercitati, quanto sono i loro" (ibid., p. 32).Nel 1881una memoria ufficiosa ma anonima, stampata dalla tipografia di Propaganda (De editione Romana codicis Graeri Vaticani SS. Bibliorum auspiciis SS. Pontificum Pii IX et Leonis XIII collatisque studiis C. Vercellone, I. Cozza et H. Fabiani, Romae 1881) salutava la felice realizzazione della risoluzione papale del 1866-67: "Pontifex, re bene perpensa, decori Bibliothecae suae et Urbis et Orbis catholici melius consultum fore statuit, si praeterquam viro acatholico editionem theologis suis committeret" (ibid., p. 4). A tale valutazione dovette rimanere affezionato lo stesso C., se, nella natia Bolsena, L. Fumi lo commemorò nel 1905 scrivendo: "Il celebre Tischendorf... fu acerrimo critico del Mai, e il Vercellone, che avrebbe voluto difenderne la fama, impedito dalla grave malattia che doveva mandarlo alla tomba, ne affidò la cura al C., il quale seppe elevare il suo studio critico al di sopra della dottrina del Tischendorf e rivendicare la riputazione dell'italiano Mai, coronandola poi con la edizione fototipica del più antico codice biblico greco" (Boll. della R. Deputaz. di st. patria per l'Umbria, XI (1905), p. 395). Il riferimento è all'articolo Ad editionem Apocalypseos s. Iohannis iuxta vetustissimum codicem Brasiliano-Vaticanum 2006 Lipsiae anno 1869 evulgatam animadversiones, Romae 1869, e all'altro scritto biblico del C., apparso otto anni più tardi: Daniel iuxta Septuaginta Graecos interpretes ad similitudinem textus unici Chisiani a I. C.-L. ... editi, Tusculani 1877.Sull'onda dell'apprezzamento incontrato nei circoli colti della Roma di Pio IX, più favorevole di quello che gli riserverà l'ambiente scientifico europeo (oltre alle critiche del Tischendorf, si vedano le severe riserve di K. Krumbacher in Byzantinische Zeitschrift, I[1892], pp. 634 s.; III [1894], p. 211; IX [1900], p. 612), il C. ottenne dal card. Pitra e dal custode mons. P. Martinucci l'ammissione alla Vaticana, ancora difficoltosa da ottenere in quel 1871 denso di risentimenti e di sospetti per la situazione politica, onde studiarvi le carte lasciate inedite dal Mai, avendo saputo dal p. Vercellone d'un inattuato progetto di pubblicarle. Aveva intanto dato alle stampe brevi memorie, che il concilio Vaticano I rendeva di attualità: De corporea assumptione b. Mariae Deiparae testimonia liturgica Graecorum selecta, Romae 1869; De Romani Pontificis auctoritate disciplinari testimoniis Ecclesiae Graecae comprobata disquisitio, ibid. 1870; De Romani Pontificis auctoritate doctrinali testimonia liturgica Ecclesiae Graecae selecta, ibid. 1870. Capitò così, com'egli candidamente narra nella prefazione all'ottavo volume della Patrum Nova Bibliotheca del Mai, apparso in quello stesso anno, che Pio IX, passeggiando, come spesso soleva, nella Biblioteca Vaticana, accompagnato dal card. bibliotecario, giunto al luogo ove si conservavano gli scritti lasciati in eredità dal Mai, convenne che quegli inediti dovessero pubblicarsi. Il card. Pitra chiamò il C., per affidargli tale incarico: "haud sine admiratione factum est" che questi si trovasse ad avere il lavoro già pronto per la stampa, insieme ad un'appendice di testi, che il Mai aveva lasciato in bozze senza indicare a quale delle sue collezioni appartenessero. Il nono volume apparve nel 1888 e il decimo, postumo, nel 1905, a cura di A. Rocchi e con l'aiuto di C. Stornajolo.

Il C. rimase alla Vaticana fino all'aprile del 1902, allorché, per conservare l'onorario, dovette lasciare l'abitazione che aveva in Vaticano (Arch. Segr. Vaticano, Segr. Stato, rubr. 47, prot. 66.753, 69.420, 69-734, 79.473). Furono vent'anni che lo videro impegnato in un numero crescente di imprese editoriali, iniziative culturali, contributi eruditi. Tutta la sua attività fu improntata ad un ideale e ad un metodo, che gli derivavano dalla matrice tradizionalmente ecclesiastica e letteraria della sua formazione. La Biblioteca Vaticana dovette apparire a lui, come del resto al Mai, anzitutto un deposito sconfinato e dovizioso di originali rarità, di autografi, di notizie inedite ed insolite da proporre con garbo all'ammirazione del pubblico colto. Intraprese una serie di riproduzioni fototipiche di preziosi cimeli manoscritti, affrontando con foga una tecnica ancora pionieristica ed economicamente impegnativa: dal famoso codice Vat. gr. 1209, a lui ben noto, stampato in due parti (1889-1890) passò al Vat. gr. 2125, il criptense dei Profeti (1890), alle due ristampe del codice dantesco Urbin. lat. 365, con i quadri miniati e i bozzetti originali di Giulio Ciovio (1893 e 1894). Quasi tutte le copie di tali pubblicazioni, in deposito con le negative presso la Fototipia Danesi fuori di porta del Popolo, andarono distrutte in un incendio. D'altri manoscritti famosi, come il codex purpureus di Rossano o il Typikon greco dell'abbazia di San Nicola di Casole, conservato alla Biblioteca nazionale di Torino finché fu distrutto dalle fiamme, il C. ebbe ad occuparsi quando apprese del rinnovato interesse che li circondava. Per il primo andò nel 1888 a trattare sul luogo un possibile trasferimento alla Vaticana (Leone XIII era disposto ad offrire alcune migliaia di lire); per il secondo, indicato negli studi sui Typika del suo maestro p. Toscani, ma segnalatogli anche direttamente da uno storico pugliese nel 1880, ottenne la consultazione a Roma. Furono altrettante occasioni per stabilire relazioni con eruditi della provincia italiana - così mons. R. Cotroneo e mons. A. De Lorenzo a Reggio Calabria, o l'avv. L. De Simone di Lecce - e con professori delle università di Stato - come C. Cantù, O. Zuretti e C. Cipolla di Torino; G. Cugnoni di Roma; M. Mandalari di Catania -, concorrendo a riannodare un contatto tra due mondi culturali, quello ecclesiastico e quello laico, quello accademico, e quello di un'erudizione non specialistica, che la congiuntura della vita nazionale portava invece a chiudersi su se stessi in un ambito di interessi sempre più esclusivo ed impermeabile. Più arduo ed ostico dovette apparire al C. il nuovo aggancio che la Roma culturale ed europea di Leone XIII tendeva a ristabilire con il metodo storico-critico e filologico moderno, ormai invalso nella scienza internazionale. Continuando spontaneamente un modo dotto del secolo precedente, appreso dai suoi maestri, il C. illustrò con vastissima informazione un grande numero di documenti autografi o unici (che risalivano all'ammiraglio bizantino Manuele Noto, a s. Francesco, a s. Chiara, a Innocenzo IV, al Petrarca e al suo breviario, a Cristoforo Colombo, al Bellarmino, a Cristina di Svezia, al Galilei, a s. Francesco di Sales, al Leopardi ed altri). Quindi dedicò oltre duecento noterelle erudite ai più diversi argomenti di filologia e storia - classica, bizantina, medievale - sotto forma di omaggi con dedica o di lettere inviate a dei corrispondenti interessanti al tema. Oltre che autore di contributi più estesi (Epistolario del card. A. Mai. Primo saggio di cento lettere inedite, Bergamo 1883; La cronaca siculo-saracena di Cambridge con doppio testo greco scoperto in codici contemporanei delle Biblioteche Vaticana e Parigina..., Palermo 1890; Historiae et laudes ss. Sabae et Macarii Siculorum a patriarcha Oreste Hierosolymitano graece et latine, Romae 1893), fu collaboratore di molte riviste come Il Giornale arcadico di scienze", lettere ed arti, gli Studi e documenti di storia e diritto, La Palestra del clero (bimestrale romano nato nel 1878), Il Bessarione, Il Muratori, La Scienza e la fede, l'Archivio storico siciliano, la Rivista storica calabrese.

Negli anni compresi tra il 1898 e il 1904, specie nella prima e nell'ultima di queste riviste, ripubblicò o pubblicò, ordinate per argomento intere serie di fascicoli, come gli Appunti e notizie di erudizione letteraria (1901-1904), ottantaquattro Lettere calabresi (1899-1904), le dodici lettere sul codice di Rossano (1904), le quattordici Lettere Casulane (1898).Ma quella che considerò la sua maggiore gloria letteraria fu la lunga illustrazione dei frammenti di Strabone, conservati dai palinsesti di Grottaferrata e in quelli vaticani del Mai, continuata in varie pubblicazioni (1875, 1887, 1889), che confluirono nelle sette parti del volume Del più antico testo della geografia di Strabone. Frammenti scoperti in membrane palinseste, Roma 1884-1898.

Non manca una serie di Volsiniensia, costituita dai contributi di storia locale che il C. dette nel Bull. della Soc. stor. volsiniense, organo dell'associazione culturale da lui fondata e praticamente composto di scritti suoi, tanto che esistette solo dal 1889al 1906. Sempre a Bolsena, dove, nel 1900, aveva anche fatto erigere una nuova chiesa abbaziale dedicata al Redentore, pubblicò da solo un bollettino popolare in dodici fascicoli sull'abbazia di Grottaferrata e la sua storia, nell'anno centenario della fondazione, alle cui celebrazioni ufficiali nel 1903-04 non sembra essere intervenuto.

Morì a Bolsena nella villa avita, in cui era nato e si era ritirato da tre anni, il 1º giugno 1905.

Era stato socio e poi, dal 1894, presidente della Pontificia Accademia romana di archeologia fino al 1900, allorché, nella seduta segreta del 30 novembre, venne sostituito, abbastanza oscuramente, da G. Gatti, senza che alla sua morte seguissero più di due righe nelle Dissertazioni (s. 2, IX, Roma 1907, p. 454), per ricordare "un breve elogio del defunto ex-presidente letto dal segretario" nella seduta del 23 nov. 1905. Decisamente la sua considerazione negli ambienti romani era molto diminuita negli ultimi anni di papa Leone XIII e, malgrado le speranze del C., non si risollevò con l'inizio del nuovo pontificato. Con una valutazione, che resta indicativa anche se alla sua formulazione un po' eccessiva concorse il ricordo dell'amico "disinvolto, gioviale, faceto, buono", e da tanti dimenticato, il P. G. Calenzio, preposito dei filippini e continuatore del Baronio, scriverà di lui: "La Biblioteca Vaticana, dopo il Baronio, l'Allazio e i due Assemanni, il Mai e l'Holstein, non vide uomo più di lui versato nelle lettere... Era il più dotto uomo che in Roma si conoscesse; e dovette tenersene lontano negli ultimi anni di sua vita, ritiratosi nel suo palazzo e castello in Bolsena" (Nova Patrum Bibliotheca, X, 1, p. VIII).

Fonti e Bibl.: Oltre ai riferimenti autobiografici sparsi negli scritti del C., riportano notizie sul suo curriculum come basiliano A. Rocchi, De coenobio Cryptoferratensi... commentarii, Tusculi 1893, pp. 216 ss., 227-230, 265; A. Palmieri, L'abbaye de Grottaferrata et son IXe centenaire, in Vizantiâskâ Vremennik, XI (1904), pp. 413 s.; sul periodo trascorso alla Biblioteca Vaticana si trovano indicazioni in J. Bignami Odier, La Bibliothèque Vaticane de Sixte IV à Pie XI. Recherches sur l'histoire des collections de manuscrits, avec la collaboration de J. Ruysschaert, Città del Vaticano 1973, ad Indicem. Un primo elenco, incompleto e generico, delle sue opere e della loro risonanza contemporanea apparve nell'opuscolo Onoranze rese a G. C.-L., vice bibliotecario di S. R. C., edito a Roma nel 1901 con la data del 1898, a cura di un comitato di amici (Gius. Toniolo, G. Calenzio, G. Cugnoni) costituito sotto la presidenza di mons. G. B. Scotti, vescovo di Osimo, in occasione della pubblicazione dei palinsesti straboniani; esso fu offerto al festeggiato in una sala della Biblioteca Vaticana insieme ad una medaglia d'oro appositamente coniata. Una lista dei S. R. E. Bibliothecarii vices agentium (1878-1895), redatta nel 1895 da mons. Dell'Aquila Visconti, ma offerta allora e stampata in seguito, comprendeva una nota sul C. (Nova Patrum Bibliotheca, X, 1, Romae 1905, App. II, pp. 389 s.). Una serie di necrologi, per lo più concisi e d'ordinario generici, risale all'anno della morte o a quello seguente: in Il Giornale di Roma, 4 giugno 1905; in La Palestra del clero, 8 giugno 1905, pp. 258-265; in Riv. stor. ital., XXII (1905), p. 415; in Boll. della R. Deput. di storia patria per l'Umbria, XI (1905), pp. 395 ss.; Riv. stor. calabrese, XIII (1905), pp. 201 s.; in Vizantiâskiâ Vremennik, XII (1906), pp. 579-582; A. Rocchi, in Nova Patrum Bibliotheca, X, 1, Romae 1905, pp. VII-IX (con una testimonianza sul C. dell'oratoriano G. Calenzio). Le voci dedicate al nome del C. in enciclopedie e repertori, se si eccettua la prima, firmata dal Palmieri, si limitano a poche righe, riportando dati sommari e in più di un caso imprecisi: Dict. de théol. cathol., III, coll. 2008 s.; Enc. Ital., XI, p. 768; Enc. catt., IV, p. 797; Diz. eccles., I, p. 756; Lexikon für Theologie und Kirche, III, p. 82.

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