CROCE, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 31 (1985)

CROCE, Giuseppe

Antonio Castelli

Nacque a Somma Lombardo (Varese) il 18 apr. 1853, da Carlo e da Clementina Giusti. Cominciò a lavorare da fanciullo come selciatore, e poi fu garzone di bottega. Analfabeta, molti anni dopo apprese da sé l'italiano scritto e qualche po' di francese. Forse intorno ai vent'anni si trasferì a Milano dove imparò il mestiere del guantaio. Non sappiamo quali furono i suoi primi approcci all'attività politica, ma nel 1881 il C. era già delegato del Circolo operaio di Milano al I congresso di fondazione della Confederazione operaia lombarda.

Il Circolo, fondato nel 1880 sotto gli auspici del consolato operaio, era una specie di dopolavoro. Il consolato era, a sua volta, una federazione cittadina di società di arti e mestieri distributrici di alcuni sussidi e informate agli ideali politici della borghesia radicale e democratica della quale curavano docilmente le ambizioni elettorali. La confederazione era, nell'ambito regionale, l'analogo del consolato. Nei due anni dalla fondazione, in seno al Circolo operaio, proletario a stragrande maggioranza, si era aggregato e precisato un gruppo che, nel maggio del 1882, si dichiarò autonomo ed indipendente con il nome di Sezione operaia elettorale milanese. Occasione al suo nascere era stata la nuova legge elettorale politica che portava gli elettori da seicentomila a due milioni.

Il C. fu tra i promotori della Sezione e ne firmò, con altri, il manifesto (17 maggio 1882): la Sezione "composta di puri e semplici lavoranti doveva... occuparsi della questione elettorale sotto l'aspetto puramente operaio", cioè al di fuori e contro le tradizionali direttive borghesi (Gnocchi Viani, p. 86); i democratici ed i repubblicani del Circolo operaio la accusarono per questo di mirare a chiudere gli operai in una setta illiberale.

Grazie all'assiduo lavoro di persuasione e ricomposizione tra gli operai dispersi e confusi compiuto dal C., da A. Casati, A. Dante e C. Lazzari, la Sezione elettorale, andando oltre lo scopo primitivo, diventò il sodalizio che costruì un partito politico originale, il Partito operaio italiano (P. O. I.), inteso a contrastare in modo diretto la dipendenza economica dal capitale con leghe di resistenza e di sciopero senza mediazione partitica o statale; semplice curatore di interessi materiali lo definirono allora gli avversari mazziniani. Con il suo I congresso di Milano (12 aprile e 3 maggio 1885) il P. O. I. conquistò l'egemonia all'interno della Confederazione operaia lombarda, dopo aver criticato e superato le ormai vecchie tematiche quali monarchia, repubblica, laicismo, armonia tra le classi, sintesi di diritti e doveri, mobilitazione elettorale.

Con il concorso del C. si formò, per scissione dalla società democratico-radicale Figli del lavoro. la Lega dei figli del lavoro (maggio 1882) e fu pubblicato il Fascio operaio (29 luglio 1883), che ne fu l'organo, di cui il C. fu direttore e redattore.

Il tema originario e dominante è quello dell'autonomia dell'organizzazione e della propaganda operaia. "Vogliono e possono fare da sé" (Arch. di St. di Milano, Quest., cart. 89) come segnala un rapporto di polizia; far da sé significava, nelle parole dei C., guardarsi "dal formalismo dei dottrinari politici... dalle questioni inutili" (Gnocchi Viani, p. 156) tipiche della cultura politica e delle conventicole borghesi, che dividevano e sviavano il proletariato, e, soprattutto, costruire la propria organizzazione unitaria al servizio degli interessi di classe, adottare il "criterio della massa che ha bisogno di organizzarsi" (intervento dei C. al III congresso, Pavia 1887, in Perli, p. 90) in modo unitario ed indipendente, perché è l'organizzazione unitaria che forma tecnicamente e moralmente l'operaio, non l;acculturazione politica, e dà senso alla competizione elettorale, alla cooperazione ed alla attività sindacale.

In nome dell'autonomia veniva respinto anche l'intervento dello Stato, la stessa legislazione sociale: al III ed al IV congresso della Confederazione operaia lombarda (Varese 1883; Milano 1884) il C., con altri, respinse infatti questa intromissione; la disciplina e la regolazione delle agitazioni economiche spettavano, invece, alla organizzazione proletaria che con lo sciopero e la coalizione illegali intendeva stipulare contratti di lavoro, dirimere le controversie. rintuzzare i soprusi padronali.

Il C. ribadì questi principi anche al processo del luglio 1885 intentato a "sobillatori di scioperi... questi operai scrittori, falsi operai... nemici degli operai veri... cui non tocca occuparsi dei mali sociali" (dall'arringa del pubblico ministero, in Gnocchi Viani pp. 173 s.) ed al processo (gennaio 1887) per lo scioglimento del P. O. I. e del Fascio operaio (23 giugno 1886); il C. fu condannato a venti giorni di carcere la prima volta, a tre mesi e a 300 lire di multa la seconda.

Le azioni giudiziarie scompaginarono il P. O. I. che si ricostituì ad Alessandria, ma misero in,evidenza l'opera di uomini come il C.; il partito si estendeva per oltre 100 sezioni, dall'Italia settentrionale alla Toscana con risonanza perfino nel Mezzogiorno: il C. era tra gli "emissari arditi... continuamente in giro a promuovere riunioni... provocare scioperi" (Archivio di Stato di Milano, Questura, cart. 89); egli aveva infatti presieduto alla fondazione della Lega dei guantai (ottobre 1885) in cui le donne "sono le più risolute"; sostenuto i mille cappellai scioperanti a Monza (luglio 1885): vi furono le solite retate poliziesche a giustificazione delle quali la Questura "non è in grado di fornire le prove" (Ibid., cart. 44).

Partecipava quindi alle elezioni politiche, in lista con i democratici, a Busto Arsizio e a Monza (1886) con risultato lusinghiero ma insufficiente (voti 1.558 e 2.950 su di un totale per il P. O. I. di 17.161); per il C. la gara elettorale aveva "valore transitorio" e la giustificava solo con "il fine di combattere ovunque le istituzioni dei privilegiati" secondo "non un programma di governo... bensì di lotta di classe" (suo intervento al III congresso, Pavia 1887); tesi questa respinta dagli anarchici, da sempre ostili alle elezioni, e, dal lato opposto, dai radicali per i quali la candidatura operaia era "opposizione di classe... pretesa alla supremazia sugli altri cittadini". Per il C. anche "la cooperazione doveva essere arma di difesa" e non attività umanitaria (suo intervento al congresso naz. sulla cooperazione, 1886; cfr. Anzi, pp. 16, 115, Perli, p. 90).

L'anno dopo parlava in numerosi comizi contro il "colonialismo militarista" del governo e firmava, con altri, un manifesto per il ritiro delle truppe italiane dall'Africa in cambio di una "penetrazione pacifica" (Anzi, p. 68). Nel settembre del 1887 concorreva ad organizzare quell'importante sciopero dei muratori del Milanese che fece scendere la giornata lavorativa dalle dodici alle dieci ore, remunerata con L. 2,90. Nel maggio del 1889 egli fu arrestato "senza indizi di prove" per "propaganda di idee socialiste... eccitanti i contadini alla rivoluzione" (Archivio di Stato di Milano, Questura, cart. 56) durante gli scioperi agrari a Gallarate e ad Abbiategrasso: anche questa volta il tessuto organizzativo del P. O. I. fu sconvolto, calarono gli aderenti, il Fascio operaio cessò le pubblicazioni e il vecchio ideale degli operai che fanno da sé incominciò ad apparire a molti inadeguato. Il C. allora fu tra coloro che tanto contribuirono da una parte ad espungere dal movimento le tematiche degli anarchici e, dall'altra, a stemperare il tenace pregiudizio contro la lotta politica vista dalle stesse leghe di resistenza come un meccanismo per sfruttare i lavoratori; revisione questa che gli permise, insieme a Lazzari, ma in polemica con Casati ed Angiolo Cabrini che erano diffidenti, di avviare la base del P. O. I. verso quello che sarà un nuovo partito socialista e verso l'approdo delle camere del lavoro. Nel 1888 il C. si era già iscritto al Circolo socialista milanese, nel 1889 aderì alla Lega dei socialisti, nata con il concorso di Filippo Turati, Lazzari e Casati: sodalizi questi che intendevano infondere negli operai del P. O. I. una coscienza socialista in modo da assumere la lotta economica di questi nell'ambito più vasto della lotta politica di classe (II Congresso del partito dei lavoratori italiani, Reggio Emilia 1893).

La fusione delle idee del P.O.I. e del socialismo, già paventata dal Depretis (nel 1886), si realizzò gradualmente e con difficoltà dal VII congresso del P.O.I. (Milano 1891) quando il C., con il proposito della unione di tutte le forze operaie, fece parte del comitato per il programma del nuovo partito, non più operaista, ma tendenzialmente socialista, il Partito dei lavoratori italiani, che si costituì a Genova nell'agosto del 1892: il C. entrò allora nel Comitato centrale a rappresentarvi la linea del P.O.I.

Negli anni Novanta il C. condusse il movimento operaio milanese in specie dalla Camera del lavoro: di questa era stato promotore (cfr. comizio all'Arena del 18 nov. 1888; intervento al Congrès international ouvrier, Parigi, luglio 1889) e fondatore (12 marzo 1891); ne fu segretario (1891-94), presidente (1894-98), consigliere della Federazione nazionale (1893-98). Intese soprattutto, secondo gli ideali del P.O.I., riportare all'azione unitaria di classe le disperse organizzazioni operaie (società di mutuo soccorso, di miglioramento o di resistenza) così da poter "esercitare... senza usar violenza, un'imposizione morale a danno dei proprietari" come costoro riconoscevano; in un primo tempo la Camera del lavoro gli parve destinata, per alleviare la più grave disoccupazione, "ad organizzare il mercato del lavoro" mediante un collocamento equo e dignitoso e ad "appianare pacificamente i conflitti di lavoro" con l'arbitrato (suo intervento al congresso nazionale delle camere del lavoro, 1897). Si preoccupava, infatti, che gli scioperi non alienassero l'opinione pubblica e non danneggiassero gli altri operai (cfr. Arch. di Stato di Milano, Questura, cart. 51; Bonaccini-Casero, pp. 73, 144).

Di fronte ai moti per il pane del maggio 1898 la Camera del lavoro rimase indifferente, impreparata, quasi colta di sorpresa sia dalla ribellione spontanea dei proletari sia dalla repressione statale; fu sciolta e il C. fuggì in esilio. Bava Beccaris, commissario per lo stato di assedio, indicava in lui uno di quelli che avrebbero ripreso l'opera "con serio e pratico indirizzo rivoluzionario" (Archivio centrale dello Stato, Ministero degli Interni, Affari generali riservati, b. 3, n. 831), tendendo cioè non alla rivolta ma a salvaguardare l'autonomia operaia. Infatti da allora il C. concepì per il sindacato compiti politici accanto a quelli di rivendicazione economica immediata, rivelatasi precaria ed insufficiente: la difesa delle libertà democratiche, come disse, e degli interessi del proletariato più debole e sperduto presso i comuni e lo Stato, mediante la legislazione ed i servizi sociali.

Con il 1901 ebbe termine l'impegno del C. nel sindacato milanese, soccombente alla maggioranza dei "riformisti" il cui progetto di collocare le organizzazioni proletarie nello Stato borghese il C. aveva sempre avversato. Negli anni 1903-1906 fu, nel partito socialista, con i "rivoluzionari" di Arturo Labriola: con l'VIII congresso di Bologna (1904) entrò nella direzione del partito con l'auspicio che continuasse "la lotta di classe... delle leghe di resistenza" (cfr. il suo intervento). Ma quando l'ala riformista riprese il sopravvento (1906), il C., deluso dalla "confusione con la borghesia democratica", come aveva una volta detto, si mise da parte, perdutosi ormai nel partito il senso della originalità e dell'indipendenza del movimento operaio (P.S.I., Rendiconti..., passim).

Il C. morì a Milano il 29 sett. 1915.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Rapporti dei prefetti, busta 10 (Milano), n. 881-1511 (1882-1889); Min. d. Interni, Affari gener. riservati, 1879-1903, b. 3; Arch. di Stato di Milano, Questura, cartt. 31, 44, 51 ss., 56, 89, 105; Imola, Bibl. com., scheda Croce; Firenze Bibl. naz., Rass. popolare del socialismo, II, pp. 3-4; P.S.I. Rendiconto dello VIII Congresso naz. (Bologna 1904), Roma 1905, pp. 39 s.; vedi anche i periodici Fascio operaio dal 1883 al 1890; Lotta di classe dal 1892 al 1895; O. Gnocchi Viani, Il Partito oper. ital., Milano 1885, passim; A. Angiolini, Socialismo e socialisti in Italia, Firenze 1900, ad Indicem; F. Anzi, Il P.O.I., Milano 1933, passim; C. Lazzari, Memorie, in Movimento operaio, IV (1952), pp. 620 s. e passim; L. Cortesi, La costituzione del P.S.I., Milano 1962, ad Indicem; G. Manacorda, Il movim. operaio ital. attraverso i suoi congressi, Roma 1963, ad Indicem; L. Briguglio, Il P.O.I. e gli anarchici, Roma 1969, ad Indicem; G. Procacci, La lotta di classe in Italia agli inizi del XX secolo, Roma 1970, ad Indicem; D. Perli, I congressi del P.O.I., Padova 1972, ad Indicem; M. Bonaccini, R. Casero, La Camera del Lavoro di Milano dalle origini al 1904, Milano 1975, ad Indicem; S. Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, Firenze 1976, pp. 636-847 passim.

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