DIOTTI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 40 (1991)

DIOTTI, Giuseppe (Francesco Giuseppe Antonio)

Renzo Mangili

Nacque a Casalmaggiore (Cremona) il 1º marzo 1779 da Gaetano, bottaio, e da Elisabetta Superchi. Fu avviato alla pittura, nella piccola città natale, da Paolo Araldi, presso cui restò quattro anni a partire dal 1790 circa. Successivamente, a spese del concittadino G. Vicenza Ponzone, cominciò a seguire i corsi dell'accademia di Parma, sotto la guida di G. Callani. Qui fece in tempo a esercitarsi per due anni nella prospettiva, nel disegno di figura, nella copia dal Correggio e dal Parmigianino, prima che gli eventi bellici del 1796 determinassero la fine del suo soggiorno. Infatti il mecenate, che aveva già progettato di finanziargli anche il futuro perfezionamento a Roma o a Firenze, gli sospese la sovvenzione. Contemporaneamente, per ordine ducale, l'accademia chiudeva e gli studenti forestieri dovevano rimpatriare. Lo stesso premio annuale per la prova di disegno, cui il D. aveva concorso con un pastello lodatissimo, Ercole e Anteo, non venne assegnato. Poco dopo, il 16 febbr. 1797, gli morì il padre. Intraprese quindi l'attività artistica autonoma, finalizzata soprattutto alla sopravvivenza. Soddisfece richieste di ritratti e di dipinti di storia, ma anche più frustranti incarichi di copia, di ornato, di quadratura, di restauro.

Di tale periodo giovanile Giovanni Germani, amico e futuro biografo del D., registrerà (1865) alcuni dipinti a quel tempo conservati a Casalmaggiore: in casa di Giovanni Montani, altro intimo del pittore, un paravento con allegoria dell'Inverno (1795), una Carità romana, un Battista in carcere, due teste di Vecchio dall'antico (questi quattro del 1796); presso Antonio Mortara, un'Ultima Cena (1802). Una replica di quest'ultima è tutt'oggi conservata nella chiesa abbaziale. Il Germani costituisce la fonte principale di riferimento anche per tutte le altre opere che, oggi disperse o perdute, verranno qui in seguito citate.Con l'inizio del 1804 il D. andò incontro a maggiore fortuna. Fu stipendiato per insegnare disegno a Barbara Vimercati, sposa del nobile Paolo Fadigati, inizialmente in Casalmaggiore, poi a Reggio Emilia dove questi assunse la carica di prefetto dipartimentale.

In casa Fadigati (oggi Roncai), a Casalmaggiore, esegui quattro medaglie a tempera, in parte derivate da Pietro da Cortona, distribuite nei soffitti di altrettante sale: Ercole libera Prometeo; Giunone presso Eolo e i Venti; Vulcano consegna le armi di Achille; Il Giorno e la Notte, immature e attardate stilisticamente su un barocco complicato da componenti neocorreggesche e neomanieristiche riconducibili all'ambito parmense dei primi studi accademici.

Grazie alla nuova protezione, ebbe subito discrete commissioni, tra cui la decorazione di una sala in villa Guicciardi a Mancasale, alla periferia di Reggio: a tempera dipinse nella volta il Ratto di Ganimede (attualmente conservato, benché deturpato); sulle pareti, Orlando furioso, Mercurio e Argo, galatea e Polifemo, Apollo e Dafne (figurazioni ora coperte da imbiancatura).

Nel frattempo vinse una delle pensioni quadriennali per Roma messe a concorso dalla Repubblica Italiana, presentando all'accademia di Brera in Milano un Ercole e Nesso e sostenendovi le altre prove prescritte. All'inizio del 1805 viaggiava quindi alla volta del maggior centro di riferimento europeo per il neoclassico.

A Roma si sarebbe appoggiato, su raccomandazione del Vicenza Ponzone, al barnabita futuro cardinale Francesco Fontana, e, su raccomandazione del primicerio della cattedrale di Cremona, Antonio Dragoni, al cugino di questo, Gaspare Landi, professore all'Accademia di S. Luca. "Giunto in Roma - scriverà lo stesso D. - troppo mi accorsi del quanto io era lontano dal buono stile si egregiamente adottato in quel tempo; motivo per cui incominciando, io dovetti con estrema fatica assumere altri principii, e per due anni consecutivi io non attesi che a disegnare cercando di formarmi il buon gusto sull'Antico, sul Vero, sulle Opere dei più insigni Maestri, e soprattutto ascoltando i consigli dei viventi luminari dell'Arte. .." (Germani, 1865, p. 83). Poiché questa rievocazione, di qualche anno dopo, era rivolta al direttore degli Uffizi, il D. citava come testimone e consigliere il fiorentino d'adozione Pietro Benvenuti. Tra i maestri del Rinascimento studiati dal giovane artista, Raffaello fu ovviamente privilegiato (lettera del 7 marzo 1805 ad Antonio M. Porcelli, Casalmaggiore, Bibl. civica). A quest'epoca risalgono opere gia ricordate presso il Montani e oggi disperse: un piccolo olio del 1806 raffigurante il Riposo in Egitto, una Deposizione, nel sepolcro e una Testa di vecchio, entrambe del 1807.

Il D. restò a Roma fino all'agosto 1809, quindi oltre la fine del corso accademico, mandando annualmente a Brera (dove si conservano) i saggi d'obbligo.

Già la Morte di Socrate, prova disegnata del secondo anno (1806), rivela scelte programmatiche pressoché definitive: orientamento verso la severità etica e formale del David e di V. Camuccini (docente all'Accademia di S. Luca), recupero di Poussin. Il disegno fu poi tradotto in una tela di identiche dimensioni (Cremona, Museo civico). I due ultimi saggi furono elaborati in ritardo: nel 1808 inviò un dipinto a olio raffigurante Mosè con le tavole; nel 1809 inviò un' Adorazione dei pastori, un esercizio di virtuosismo luministico che gli valse entusiastiche recensioni e una medaglia d'argento alla prima esposizione, nella città papale, oltre ad una medaglia d'oro (premio speciale della Pubblica Istruzione) quando fu presentato all'Accad. di Brera. Altre realizzazioni sono riferite dalle fonti al 1809; tra esse due tele (Cremona, Museo civico): Due teste di condannato; Mosè e il serpente di bronzo, modelletto, pieno di movimento e di cadenze neomanieristiche, per un grande quadro, non eseguito, per l'abbaziale di Casalmaggiore.

Durante il primo biennio del soggiorno romano ebbe corrispondenza con G. Bossi, il quale, finché fu segretario dell'accademia milanese, alle comunicazioni d'ufficio aggiungeva pagine di consigli personali, di incitazioni appassionate, certo dettate da grande aspettativa (trascrizioni in Germani, 1865, pp. 88-94).

Tornato al Nord nel 1810 e preso a frequentare l'ambiente artistico ufficiale di Milano, si guadagnò subito la stima dell'Appiani che gli fece allogare la copia (oggi dispersa), richiegta dalla corte vicereale lombarda, del Napoleone imperatore da lui dipinto per Parigi. Quale ulteriore e maggiore prova di protezione, l'Appiani si adoperò perché i preposti all'istituenda Accademia Carrara di Bergamo assumessero il D. come professore di pittura e direttore della scuola, ruolo per il quale erano stati precedentemente interpellati, tramite il Canova, anche i quotatissimi Landi e Camuccini.

Avuta la nomina, appena trentunenne, si trasferì a Bergamo in tempo per inaugurare l'anno accademico 1810-11. Qui ebbe collega Giacomo Bianconi, docente di architettura e ornato, amico dai tempi in cui entrambi erano stati borsisti a Roma. Da questo momento in avanti la vita del D. si identificherà col lavoro e, nei limiti delle disponibilità finanziarie, con l'unica passione evasiva: la raccolta di dipinti antichi, che gioverà peraltro all'affinamento delle facoltà di conoscitore, da lui frequentemente esercitate nell'ambito del collezionismo locale. Di raggio prevalentemente lombardo, la sua clientela conterà anche nomi di rango, ma avrà più numerosi esponenti tra la nobiltà agraria o la borghesia mercantile e protoindustriale di Bergamo e Cremona. L'ambiente provinciale d'origine continuerà a essergli fedele. S. Pietro in predicazione, del 1812, per la cappella privata dei Vassalli a Lugano, è la prima opera importante licenziata dal D. professore (oggi dispersa).

Nel 1813 - sull'onda di una incipiente rivalutazione dell'antica tecnica pittorica - il D. affrontò per la prima volta il buon fresco con un complesso ciclo mitologico in palazzo Bolzesi-Mina di Cremona. Il lavoro durò fino al 1826, dedicandovisi egli soltanto nei mesi di libertà dall'accademia e con qualche salto di anno (Germani, 1865, pp. 22-33).

Con la maturità e il crescente successo, di respiro italiano, la produzione del D. si fece numericamente sostenuta e metodica, connotata da estrema coerenza stilistica, tesa al raggiungimento del grado imperfettibile e quindi conclusivo della poetica abbracciata. Fino alla fine della carriera, rispecchiando nell'opera l'equilibrio dell'esistenza, il D. si esprimerà in una sintassi di rigorosa osservanza classicistica, informata in primis dalle componenti già citate, ma ancora dall'influsso più sottile di grandi maestri contemporanei dell'astrazione lineare, come J. Flaxman o J.A.-D. Ingres. Il museo, dalla statuaria antica alla pittura del Reni, continuerà a ispirarlo. La stessa Pinacoteca della Carrara, conformemente alle intenzioni del fondatore, sarà miniera per lui e per gli allievi. Il solo Germani, in appendice alla sua biografia, arriverà infine ad ascrivere al D. un catalogo di 139 titoli importanti, esclusa la ritraffistica e la grafica.

È del 1814 la tela centinata per il coro dell'abbaziale di Casalmaggiore, La Vergine col Bambino, i ss. Stefano e Giovanni Battista. Sono del 1816 la Morte di Socrate, per casa Manini di Cremona, e la prima versione della Selezione dei neonati spartani, già presso il Montani a Casalmaggiore (due tele oggi disperse). Del 1817 è l'Ogolino nella torre di Pisa (oggi disperso), realizzato per il Montani, prima e dimensionalmente maggiore redazione del soggetto più celebre del D., moltiplicato in disegni, bozzetti, repliche di piccolo e grande formato, nonché copie di scuola. Del 1818 è la Toeletta di Venere in un soffitto di palazzo Locatelli de' Lanzi (ora Colleoni) a Bergamo, figurazione a fresco replicata nel 'ig in casa Favagrossa-Baruffini (oggi Banca popolare di Cremona) a Casalmaggiore.

Tra l'agosto inoltrato e il settembre del 1820 fu a Firenze (lettera a un'amica pittrice, riportata in Caversazzi, 1936).

Nel 1821 si ispirò agli Idilli di S. Gessner per tre tele da collocare nel palazzo dei conti Lupi di Bergamo: La gamba di legno, L'augurio, La tempesta (quest'ultima è a Bergamo in coll. priv., mentre le altre risultano disperse: A.Locatelli Milesi, La tempesta, in Bergomum, XXXVI [1942], 2, pp. 47 s., tav. LIV). La serie fu elaborata in collaborazione con l'amico paesista bergamasco Pietro Ronzoni: mentre al D. spettano le figure, all'altro spettano gli sfondi (la collaborazione è verificabile in diversi altri dipinti, anche importanti come l'Antigone della Carrara o il Ritratto di Giovanni Antonio Tadini nel Municipio di Bergamo). Ancora a questa data donò l'Autoritratto agli Uffizi di Firenze. Nel 1822 affrescò, in un soffitto di casa Manna a Cremona, Eolo che scatena i venti. Ai primi di agosto del 1823, dopo averla esposta alla Carrara, spedi al conte G. Mellerio l'imponente tela della Corte di Ludovico il Moro, destinata a fare da pendant a una Morte di Gian Galeazzo Sforza di P. Palagi, nella villa del Gernetto presso Lesino in provincia di Milano (oggi entrambe le tele sono al Museo civico di Lodi). Nel 1824 affrescò nella parrocchiale di Soresina (Cremona) il S. Pietro che resuscita Tabita, pervenuto in cattivo stato di conservazione, risultando già in rovina pochi anni dopo l'esecuzione (il cartone è in coll. priv. a Casalmaggiore). Contemporaneamente portò a termine la Decollazione del Battista, grandissima tela per la parrocchiale di Stezzano (Bergamo), esposta a Brera, celebrata in opuscoli e giornali del tempo, oggi difficoltosamente leggibile per l'alterazione dei bruni bituminosi impiegati a rendere il "lume di notte". Nel 1826 fornì il Ritratto di Lorenzo Mascheroni all'Ateneo di Bergamo (oggi in Bibl. civica). Alla mostra di Brera del '27 mandò il Tobiolo che ridà la vista al padre, ovale creato a completamento di una serie inaugurata nel secolo precedente, nella cappella Colleoni di Bergamo. Nel 1830, con l'Ascensione, iniziò la serie di affreschi nel presbiterio della cattedrale di Cremona, continuata con l'Incredulità di Tomaso (1832), il Sinite parvulos (1833), la Consegna delle chiavi a Pietro (1834). Ne donò i cartoni alla Carrara, che li conserva; una serie di quattro bozzetti a olio è invece nella sala del capitolo della medesima cattedrale.L'Ugolino per il conte P. Tosio di Brescia (oggi nell'omonima Pinacoteca civica; mentre il cartone, già presso l'allievo E. Scuri, è in coll. priv. a Genova), esposto a Brera con grande successo nel 1832, ripreso dalla redazione del '17, ma condotto a più accurata finitura, si rivela l'opera chiave per rileggere l'antagonismo che contrappose il D., quale oltranzista neoclassico, al più giovane e indubbiamente più dotato F. Hayez, corifeo, invece, del romanticismo storico. La competizione raggiungerà l'acme nel 1836-37, quando l'Hayez otterrà dal governo austriaco, nonostante le sue note simpatie liberali e nonostante il favore del vicerè Ranieri per il D., l'allogazione del grandioso affresco allegorico nella sala delle cariatidi nel palazzo reale di Milano.

La contrapposizione implicita nelle diverse voci della critica coeva è nutrita di termini e sostanza accademici; rientra nel dibattito più ampio che coinvolgeva le categorie del classico e del romantico anche in letteratura, fungendo da valvola alle tensioni di un ambiente artistico ideologicamente caricato, alla vigilia degli eventi risorgimentali. I due artisti, sul piano personale, si citavano quantomeno con rispetto e considerazione (Le mie memorie, dell'Hayez, a cura di G. Carotti, Milano 1890, pp. 62, 67, 87; Lettere del D., nn. 13, 25, 36), e, sul piano delle poetiche, come appunto dimostra l'Ugolino, erano divisi da differenze poco più che nominali. Era forse più incisiva la diversità coloristica: di ascendenza lagunare in un caso, lombarda nell'altro. L'Hayez optava per la "rivoluzionaria" tematica romantica, senza tuttavia innescare alcuna radicale eversione linguistica nei confronti della regola neoclassica. Quando il D. lasciava la mitologia o l'epica anticorepubblicana per episodi del Medioevo o del Rinascimento (si pensi anche al Giuramento di Pontida e alla Corte di Ludovico il Moro), le due prospettive, di fatto, tendevano a convergere nell'aura del nuovo melodramma. A stare dalla parte del D. con maggiore evidenza fu Defendente Sacchi (cfr. in Cosmorama pittorico, I [1835], 26, pp. 201 ss.), per un certo tempo arbitro incontrastato alle esposizioni milanesi e attivissimo pubblicista. Anni dopo, scaduto ormai d'attualità il dibattito, istituendo con proprio testamento la scuola di pittura di Pavia, lo scrittore, perseverante, esigerà che a insegnarvi sia chiamato un allievo del primo maestro della Carrara. La cattedra sarà infatti inaugurata da Giacomo Trécourt.

La morte del re Francesco I (1830), che gli aveva ordinato una Fuga in Egitto per la chiesa napoletana di S. Francesco di Paola, rese necessarie lunghe trattative che ancora nel 1832 erano in atto e che infine si conclusero negativamente. Restò a Bergamo, presso i conti Suardi, il modello realizzato nel 1826 (oggi disperso). P, del 1834 la seconda interpretazione del soggetto dantesco, Ugolino si morde le mani, olio, già presso il Germani a Cremona, replicato poi nel 1837, in scala maggiore, per Antonio Patrizio di Milano (opere disperse).Nel 1835, nella cappella di villa Camozzi a Ranica (Bergamo), dipinse la medaglia dell'Assunzione e ne destinò il cartone alla scuola della Carrara (che lo conserva). Nell'agosto-settembre 1836 affrescò l'Adorazione dei magi nella parrocchiale di Rudiano (Brescia), dove pure diresse i lavori a olio e a fresco di alcuni suoi allievi. Verso la fine del medesimo anno (non nel '28 come affermato in Germani, 1865, p. 107) realizzò anche la prima redazione del Giuramento di Pontida, ordinato da Luigi Chiozzi di Casalmaggiore (oggi a Milano, Galleria d'arte moderna, depositi). Sempre nel 1836 approntò l'Isacco e Giacobbe della cappella del Rosario nella parrocchiale di Alzano (Bergamo), tela centinata che andava a inserirsi tra prove dell'Appiani, del Dell'Era e del Camuccini. Il bozzetto relativo si conserva alla Pinacoteca della Carrara. Nel 1837 allievi gli dedicarono un busto in marmo, lavoro di G. Manfredini, collocato nella scuola a perenne memoria.

Nel 1839 consegnò la pala del S. Pietro penitente alla fabbriceria parrocchiale di Iseo (Brescia), che l'aveva ordinata insieme ad una dell'Hayez. In quel periodo fu collaudata a Lodi la cupola dell'Incoronata, affrescata da Enrico Scuri su proposta e sotto la direzione del suo maestro D., che non aveva assunto il faticoso incarico per sé sentendosi ormai fisicamente inadeguato. Ai primi di settembre del 1840 erano appena terminate due tele di grande impegno: il Bacio di Giuda (Kunsthistorisches Museum. di Vienna, depos.), destinato alla Galleria imperiale di Ferdinando I che lo aveva commissionato, nel quadro di una campagna di acquisti d'arte in Lombardia, senza vincolare il D. a un prestabilito soggetto (da qui, poi, qualche sospetto, smentito dall'artista stesso in una delle lettere al Germani [n. 1051, che l'episodio evangelico avesse un valore patriotticamente allusivo); la Selezione dei neonati spartani nella versione per Gaetano Melzi di Milano (la tela è in coll. priv. milanese, mentre il cartone, già presso il Germani, è in coll. priv. a Bergamo).

Da sempre cagionevole, da tempo affetto da bronchite cronica e altri disturbi, nel maggio del 1840 il D. pensava di ritirarsi dall'insegnamento, confidando in una decorosa pensione. Comunicate le sue intenzioni all'amministrazione dell'Accademia bergarnasca, dovette affrontare lunghe trattative piuttosto tese. All'inizio dell'anno accademico 1840-41 ottenne comunque un supplente, nominato, su suo stesso suggerimento, nella persona dello Scuri (Bergamo, Acc. Carrara, Archivio, fald. Professori di pittura 1810-953).

Seppure giunta tardiva, risollevò forse lo spirito del vecchio pittore la sua elezione, avvenuta il 30 dic. 1844, a socio dell'Accademia di S. Luca. Essa completava una breve serie di riconoscimenti scalata nel tempo: associazione all'Accademia di Brera nel '15, all'Ateneo di Bergamo nel '19, all'Ateneo di Brescia nel '29, all'Accademia di Bologna nel '37.

Nel 1845, ai primi di marzo, era terminata la smisurata tela dell'Antigone condannata a morte. Ispirata alla tragedia dell'Alfieri, messa in cantiere dopo esitazioni sul soggetto, era stata allogata dai rettori della Carrara già nel '34 (Bergamo, Bibl. civica, Mss., MMB, 898, n. 57) perché restasse nella scuola come modello didattico e insieme omaggio al maestro (oggi, tuttavia, giace nei depositi pressoché distrutta; resta leggibile solo in documenti fotografici).

Appurato un ulteriore e irreversibile peggioramento nello stato di salute, con deliberazione del 2 sett. 1845, la commissarla dell'Accademia di Bergamo lo esonerò da ogni impegno, gli assegnò un vitalizio e gli conferì il titolo di professore emerito. Alquanto amareggiato per l'atteggiamento ostile dimostrato in ultimo da alcuni commissari dell'Accademia ed evidentemente conscio di essere stato superato dall'evoluzione del gusto, dopo trentacinque anni di magistero, il D., insieme con la nipote Lucia che da tempo lo accudiva, si ritirò dunque definitivamente nella casa acquistata da poco a Casalmaggiore. Qui, ancora alle soglie del 1846, nei momenti di tregua concessi dal male, che influiva anche sulla vista, lavorava alle due opere estreme, in studio da tre anni e più che mai ambiziose: su commissione di Giacomo Scotti di Calcio stava replicando in formato monumentale il Giuramento di Pontida, e per il conte Petrobelli di Bergamo dipingeva una Natività di Cristo preparata da un meditatissimo progetto. La prima rimase incompiuta presso gli eredi (poi passò in altre proprietà del luogo e infine ebbe collocazione permanente nella sala consiliare del Municipio di Casalmaggiore); la seconda, quasi finita, fu invece ritirata dal committente (dopodiché se ne sono perdute le tracce).

Il 30 genn. 1846, poco prima di compiere i 67 anni, il D. morì a Casalmaggiore, lasciando in eredità la sua discreta raccolta di pittura antica (oggi dispersa) e il resto del patrimonio a un nipote.

Il corpus grafico, conservato in raccolte lombarde pubbliche (Bergamo, Accademia Carrara; Cremona, Museo civico; Milano, Castello Sforzesco) e soprattutto private, è di qualità e consistenza numerica notevoli.

Dalla sua nutrita scuola uscirono alcuni pittori di alta levatura, d'indirizzo sia classicopuristico sia romantico: G. Carnovali detto il Piccio, Giacomo Trécourt, Francesco Coghetti e Enrico Scuri sono i più celebri.

A lato della produzione storica e sacra, più frequentemente menzionata dalla pur laconica letteratura specifica del nostro tempo, la ritrattistica fu praticata dal D. con pari costanza e felicità di risultati. In essa l'attenzione al vero fisionomico e psicologico si concilia con l'idealizzazione di classicistica istanza. Le prove più numerose sono ancor oggi custodite presso gli eredi di committenti bergamaschi e cremonesi. Tra quelle pervenute a pubbliche sedi, che non siano già state qui richiamate, vanno citate almeno il Musicista S. Mayr (Bergamo, Museo Donizettiano), il Bibliotecario Salvioni (Bergamo, Bibl. civica) e il Canonico Mosconi (Cremona, Museo civico).

Fonti e Bibl.: Casalmaggiore, Arch. parrocchiale, Registro nati 1775-78, p. 110; Ibid., Registro morti 1793-832, p. 34; Bergamo, Accad. Carrara, Archivio: carte diverse dal 1810 al 1846; Ibid., Bibl. civica, Mss., MMB, 898: Lettere di G. D. a G. Germani, 1828-45; Atti della ... Accademia delle belle arti di Milano, 1807, p. 44; 1808, p. 57; 1809, p. 65; 1812, p. 56; 1815, p. 66; 1823, pp. 56 ss.; 1826, p. 51; 1832, p. 54; A. Barili, Notizie storico-patrie di Casalmaggiore, Parma 1812, pp. 185-188; Poesie in lode dell'egregio pittore signor G. D.... pel quadro rappresentante li ss. Steffano, e Gio. Battista, e la B. Vergine... dell'abbaziale chiesa di Casalmaggiore..., Cremona 1815; G. A. M., Osservazioni sul quadro del sig. G. D. rappresentante la protezione compartita da Lodovico Sforza... alle scienze, alle lettere ed alle arti, Milano [1823] (estr. da Biblioteca italiana); F. Salfi, in Revue encyclopédique, marzo 1824, pp. 726 s.; Bergamo o sia Notizie patrie... Almanacco..., Bergamo 1824, p. 100; ibid. 1827, pp. 63, 68; ibid. 1829, pp. 82 s.; ibid. 1832, pp. 855.; ibid. 1833, Aggiunta..., pp. 5 s., 11 s., 20; ibid. 1835, pp. 73-75; ibid. 1838, pp. 72 s.; ibid. 1840, p. 50; ibid. 1841, p. 49; ibid. 1847, p. 72; ibid. 1856, p. 121; ibid. 1858, p. 56; ibid. 1859, pp. 108 s., 112; ibid. 1867, pp. 106 s.; ibid. 1883, p. 92; P[ietro] B[enaglia], La decollazione di s. Giovanni Battista, quadro dipinto dal sig. G. D. per la chiesa parrocchiale di Stezzano, Bergamo 1825; Le glorie delle belle arti esposte nel Palazzo di Brera..., Milano 1827, pp. 87 ss.; ibid. 1828, p. 37; ibid. 1830, p. 95; ibid. 1835, pp. 102, 165, 210; ibid. 1837, pp. 38-45; Cenni di un dipinto a fresco eseguito nella cattedrale di Cremona dal professore G. D., Cremona 1831; G. J. P[ezzi], Esposizione in Brera. Dipinto di G. D., in Gazzetta privilegiata di Milano, 18 sett. 1832; P. M. R[usconi], Cenno ed esame sul quadro rappresentante il conte Ugolino... dipinto da G. D...., Milano 1832; Dell'Ugolino, quadro ad olio e della Incredulità di Tomaso, dipinto a fresco del chiarissimo professore G. D., Cremona 1833; A. Salvioni-C. di Castelbarco, Sopra un dipinto del prof. D...., in Giornale della Provincia di Bergamo, 13 genn. 1837; D. Sacchi, Dipinti a fresco di D. nella chiesa cattedrale di Cremona, in Cosmorama pittorico, III (1837), 15, pp. 114-118; Id., Origine della Lega lombarda, ibid., IV (1838), 20, pp. 153 ss.; A. Salvioni, Osservazioni sul libro "Le glorie delle belle arti... 1837" in riguardo all'Accademia pittorica in Bergamo, Bergamo 1838; P. Selvatico, Uno sguardo sulle convenzioni della odierna pittura storica italiana, in Rivista europea, 28 febbr. 1839, p. 310; Nuovi dipinti del prof. D., in Giornale della Provincia di Bergamo, 20nov. 1840; P. M[oron]i, L'Antigone dell'Alfieri, quadro di G. D., Bergamo 1845; G. D. G[erinani], Dell'Antigone, dipinto del professore G. D...., Cremona [1845]; A. Salvioni, Di G. D. e delle sue dipinture. Memorie, Bergamo 1846; F. Z., G. D., in Cosmorama pittorico, XI (1846), 10, pp. 73 ss.; A. Grandi, Descrizione... della provincia e diocesi cremonese, I, Cremona 1856, pp. 53, 126 s., 145, 219, 262 s., 293, 300 s., 352; II, ibid. 1858, p. 278; A. Caimi, Delle arti del disegno ... nelle provincie di Lombardia..., Milano 1862, pp. 61-64; G. Germani, Della vita artistica di G. D. da Casalmaggiore. Memoria..., Cremona 1865 (contiene anche note autobiografiche del D. risalenti al 1821); G. Rovani, Le tre arti considerate in alcuni illustri italiani contemporanei, Milano 1874, II, pp. 168 s.; A. Pinetti, F. Coghetti, pittore, in Bergomuni, IX (1915), I, pp. 4 s., 9; G. Nicodemi, La pittura milanese dell'età neoclassica, Milano 1915, pp. 160 s.; C. Caversazzi, G. D. e la pratica dell'affresco, in Bergomum, XXX (1936), I, pp. 1-5; C. Caversazzi, Giovanni Carnovali il Piccio, Bergamo 1946, pp. 28-31 passim; A. Puerari, La Pinacoteca di Cremona, Cremona 1951, pp. 240-242, 244; A. Ottino Della Chiesa, L'età neoclassica in Lombardia (catal.), Como 1959, pp. 41 s., 128 s.; Id., Il neoclassicismo nella pittura italiana, Milano 1967, pp. 19, 94, tav. XXXV; Vecchi angoli..., disegni inediti di Pietro M. Ronzoni, Bergamo 1964, ad Indicem (con trascrizione di lettere al e del D.); E. Piceni-M. Monteverdi, Pittura lombarda dell'Ottocento, Milano 1969, pp. 16, 18, fig. 21; S. Pinto-C. Nuzzi, in Romanticismo storico (catal.), Firenze 1974, pp. 317 s., 330 s.; M. Rosei, in Mostra dei maestri di Brera (1776-1859) (catal.), Milano 1975, pp. 189 s., 250, 424, 453; A. Puerari, Museo Civico di Cremona. Raccolte artistiche, Cremona 1976, pp. 155 ss., figg. 686-89; M. Mondini, in Paolo Tosio. Un collezionista bresciano dell'Ottocento (catal.), Brescia 1981, p. 59; F. Mazzocca-S. Pinto, in Garibaldi. Arte e storia, Arte (catal.), Firenze 1982, pp. 19, 41 s., 77; S. Pinto, in Storia dell'arte italian, (Einaudi), VI, 2, Torino 1982, pp. 854, 929, 1023 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 322 (con ulter. bibl.).

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