FRIGNANI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 50 (1998)

FRIGNANI, Giuseppe

Nicola De Ianni

Nato a Ravenna il 14 apr. 1892 da Angelo e da Eugenia Savinio, conseguì nel 1909 il diploma di ragioniere, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza e contemporaneamente si impiegò presso la Cassa di risparmio di Ravenna. Nominato nel 1914 capoufficio preposto alla segreteria della direzione, conseguì la laurea. Allo scoppio della prima guerra mondiale fu richiamato alle armi e, come sottotenente di fanteria, fu inviato in zona di operazioni presso Gorizia sul Monte Santo.

Ferito gravemente nell'agosto 1916, dopo una lunga convalescenza rientrò nel 1918 nella vita civile, assunto come funzionario dalla Banca Italiana di sconto con un incarico presso l'ufficio organizzazione della sede di Bologna.

Nel 1919 ritornò alla Cassa di risparmio di Ravenna col grado di vicedirettore. Nel frattempo aderì nel maggio del 1921 al movimento fascista, salendo rapidamente ai vertici locali, prima come segretario politico della Federazione provinciale, carica che conserverà fino al 1927, poi a quelli nazionali, nel 1924 in qualità di membro del direttorio centrale del Partito nazionale fascista. Nello stesso anno fu eletto deputato.

Il F. fu un dinamico e appassionato dirigente antemarcia in un'area di antiche tradizioni repubblicane e antifasciste. Raccontò la sua esperienza nel volume Appunti per le cronache del fascismo romagnolo (Bologna 1933), descrivendo come il movimento fascista fosse riuscito, sfruttando i disagi di una difficile situazione sociale, a strappare consensi a un fronte avverso sempre più diviso e incapace di assumere posizioni di governo.

L'impegno politico del F. fu prevalentemente rivolto alle questioni del credito anche con alcuni discorsi parlamentari, il più significativo dei quali è relativo alla Disciplina della cooperazione, tutela del risparmio ed organizzazione del credito (discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 26 nov. 1924, in G. Frignani, Contributi minimi, Napoli 1937, pp. 11-41). Sulla questione delle cooperative il F. lamentava le agevolazioni concesse per motivi politici che non si giustificavano, a suo parere, neanche quando si trattava di indebolire nel settore la forte tradizione socialista e popolare. Sul problema del credito, viceversa, il F. si fece portatore di tesi miranti a un moderato intervento della Stato, soprattutto in funzione regolamentatrice per porre fine, attraverso un'azione di controllo, al disordine nelle attività degli istituti di credito ordinari, di banche popolari e cooperative, casse rurali e banchieri privati. In definitiva, con il sospetto di una posizione interessata e condizionata dall'appartenenza al filone delle Casse di risparmio, il F. proponeva l'attuazione di una più rigida disciplina in materia di statuti e bilanci collegata alla diretta responsabilità degli amministratori e chiedeva che la vigilanza sulle banche di credito ordinario fosse affidata agli istituti di emissione.

Nel novembre del 1926 il F. fu chiamato dal ministro Volpi come sottosegretario alle Finanze col chiaro proposito di integrare la squadra ministeriale impegnata nel delicato compito dell'attuazione della legge bancaria 25 giugno 1926 che concentrava nella Banca d'Italia la potestà di emissione, introducendo contemporaneamente severe norme in materia di vigilanza del credito e tutela del risparmio.

L'azione del F. come sottosegretario alle Finanze, durata soltanto otto mesi, fu particolarmente intensa e condotta in stretto contatto, anche se non sempre in piena sintonia, con il Volpi. Si impegnò, innanzitutto, a chiarire i contenuti della legge del 1926 che aveva portato a un più rigido controllo sull'attività creditizia svolta dai diversi istituti mediante: autorizzazione all'esercizio del credito, vincoli sulle fusioni di aziende e sull'apertura di nuovi sportelli, obbligo di costituzione in riserva di una quota degli utili conseguiti, determinazione di un rapporto fisso fra depositi e patrimonio e fra questo e il fido massimo individuale. Il complesso di norme veniva presentato - soprattutto a quegli istituti meridionali che si sentivano minacciati dal processo di razionalizzazione e sfoltimento avviato dalla legge - come un efficace antidoto contro le degenerazioni della finanza "allegra" in vista di un significativo sostegno all'economia reale. Una posizione, questa, che anticipava l'ampio dibattito sul tema che avrebbe successivamente portato alla legge bancaria del 1936 e ai suoi duraturi effetti sul sistema bancario italiano (Provvedimenti e direttive per la disciplina dell'azione creditizia, Assemblea annuale della Confederazione generale bancaria fascista, Roma 11 maggio 1927, in Contributi minimi, pp. 89-98). Infine particolarmente vasta fu l'attività di propaganda per la pubblicizzazione del prestito del Littorio concepito come punto qualificante del risanamento della finanza statale e come occasione di un più solido rapporto con la platea dei risparmiatori (La finanza fascista e il prestito del Littorio, Milano, Teatro Lirico, 4 dic. 1926, ibid., pp. 69-79).

Nel luglio del 1927 il F. assunse la direzione e poi la presidenza del Banco di Napoli, dopo la trentennale esperienza di Nicola Miraglia e una difficile gestione commissariale affidata a Luigi Pace.

A tale incarico il F. era stato voluto dallo stesso Mussolini che lo giudicava "preparato professionalmente e fascisticamente" e capace di conseguire l'obiettivo politico di "fascistizzare" la vecchia e gloriosa istituzione "secondo direttive in linea con la concezione meridionalista del duce" che dava "la precedenza… alla economia agraria" (Savino, 1937).

Un primo esempio della delicatezza dell'impegno politico al Banco si ebbe in occasione della lunga vicenda relativa alla concessione di un consistente credito ai nuovi proprietari (facenti capo al gerarca fascista Nicola Sansanelli) del quotidiano Il Mattino. Alle insistenti pressioni esercitate da Augusto Turati affinché accettasse dilazioni per la restituzione del credito e degli interessi, il F. mantenne una posizione ferma e decisa che non mancò di far presente allo stesso Mussolini, riuscendo alla fine a spuntarla. L'episodio, tuttavia, costituirà uno dei capi di accusa sul F. nel processo di epurazione dal quale si difese con successo esibendo un memoriale in cui sostenne che nel 1928 la stampa napoletana era di fatto già fascistizzata e che comunque il non voler cedere alle ragioni di partito gli costò la rottura di ogni rapporto con il Turati.

Più in generale il Banco di Napoli fedele alla consegna ricevuta si occupò soprattutto del sostegno all'attività agricola: in un primo bilancio al giugno 1931, predisposto in ottobre in occasione della visita di Mussolini, la voce relativa alle operazioni di credito agrario risultava quella maggiormente cresciuta (da 10 a 231 milioni), e la sezione appositamente costituita nel novembre del 1927 registrava in meno di quattro anni un complesso di operazioni per oltre 686 milioni (La riforma del Banco di Napoli ed i suoi risultati, ibid., pp. 99-107).

Un più solido inserimento nel sistema di potere locale fu ottenuto dal F. mediante alcune oculate operazioni di sostegno di aziende industriali in crisi, fra cui la Manifatture cotoniere meridionali sottratte alla gestione di Bruno Canto e affidate alla responsabilità di Giuseppe Paratore. E soprattutto attraverso lo stretto rapporto, a partire dal 1932, col nuovo presidente dell'Unione degli industriali, Giuseppe Cenzato, presidente della SME, principale società elettrica del Mezzogiorno poi controllata dall'IRI.

Fu in virtù di queste relazioni che il F. siederà a lungo nel consiglio di amministrazione della SME e di altre importanti società, fra cui le principali compagnie di assicurazioni, Generali e Fondiaria.

Il ruolo rilevante svolto dal F. nella vicenda bancaria italiana di quegli anni è testimoniato, inoltre, dalla sua presenza nel consiglio di amministrazione della Banca nazionale del lavoro dal 1928 al 1937 (quale, secondo il ministero delle Finanze, "persona di speciale competenza in materia di credito e di problemi sociali", in Castronovo, 1983, p. 175) che segnò per quasi un decennio la politica creditizia dell'istituto diretto dallo "storico nemico" Arturo Osio. Fu impegno costante del F., infatti, ostacolare, con ogni mezzo i tentativi della BNL di allargare il proprio ambito di azione anche nell'area meridionale e in particolare nel settore del credito agrario, considerati entrambi dal F. "riserve di caccia" del Banco di Napoli.

Nel 1934 era entrato a far parte del Comitato tecnico corporativo per lo studio dei problemi relativi alla distribuzione funzionale e territoriale degli organi di credito, un organismo costituito inizialmente per contribuire alla elaborazione della legge di riforma bancaria e poi divenuto nel 1937, in seguito alle funzioni consultive svolte sui provvedimenti emanati dall'Ispettorato per il credito, "una sorta di stanza di compensazione corporativa, espressione dei vari gruppi e interessi bancari" (ibid.).

L'assunzione della vicepresidenza della Corporazione della previdenza e del credito nel 1935 rafforzò ulteriormente la funzione, che il F. era ormai deciso a svolgere pienamente, di rappresentante degli ambienti bancari: posizione che lo portò a incontrare spesso ostacoli e incomprensioni con i massimi esponenti dell'organizzazione del credito (si pensi ai contrasti con l'ultimo Stringher o con Azzolini e Beneduce nei primi anni Trenta, poi rientrati tanto da far sostenere una eventuale candidatura del F. alla carica di governatore della Banca d'Italia).

L'obiettivo finale della legge bancaria del 1936 doveva condurre tra gli altri - nella prospettiva di una riforma complessiva del settore - alla separazione di gestioni tra credito a breve e lungo termine e a una significativa riduzione o riorganizzazione dei numerosi istituti di credito diffusi sul territorio nazionale. Il ruolo svolto dal F., in qualità di rappresentante delle banche di diritto pubblico all'interno della Corporazione, fu quello di fermo e appassionato sostenitore della facoltà per queste ultime di preservare un mercato nel campo a più lungo termine, ma solo ed esclusivamente attraverso il mantenimento o il potenziamento delle sezioni autonome operanti in circoscritti settori merceologici. In questa veste il F. nell'importante riunione del 12 apr. 1935, insieme con G. Bianchini (presidente dell'Associazione tecnica bancaria), A. Beneduce (presidente dell'IRI), e V. Azzolini (governatore della Banca d'Italia), concordava, infatti, con la linea governativa (e in contrasto con Osio e G. Landi) di procedere a una razionalizzazione del settore creditizio che escludeva, in modo assoluto, la possibilità per le banche fuori dal controllo dell'IRI di svolgere operazioni finanziarie (Porzio, 1981, p. 140). Contrario, insomma, alle spinte di quanti, all'interno della Corporazione, si battevano per il mantenimento di una disordinata e spericolata "geografia bancaria", il F. svolse un'importante ruolo di traghettamento verso un sistema unificato e controllato.

Gli avvenimenti del 25 luglio 1943 colsero il F. di ritorno dalla natia Ravenna a Roma mentre il fratello Giovanni, ufficiale dei carabinieri, era direttamente coinvolto nell'arresto di Mussolini (imprigionato dopo l'occupazione tedesca, sarà ucciso alle Fosse Ardeatine nella primavera del 1944).

Tali tragici avvenimenti turbarono profondamente l'animo del F. e lo indussero a un atteggiamento non collaborativo con i Tedeschi il cui riscontro risulterà decisivo per l'assoluzione ottenuta nel processo di epurazione. Nei giorni tra il settembre e l'ottobre del 1943 il F. si rifugiò a Capri, avendo deciso di non aderire alla Repubblica sociale italiana e confidando che l'amicizia personale e l'aiuto prestato nei momenti di auge ad alcuni antifascisti perseguitati avrebbero potuto sottrarlo ai processi più o meno sommari di cui furono oggetto tutti coloro che avevano avuto responsabilità e cariche nel ventennio. Infatti suo grande protettore in questo periodo fu il giornalista Emilio Scaglione, neo direttore del principale quotidiano napoletano Il Risorgimento che in più di una occasione lo appoggiò, anche pubblicamente (De Ianni, 1985).

Tuttavia, nel dicembre del 1943, il F. fu rimosso dall'incarico presso il Banco di Napoli, successivamente arrestato e trasferito al carcere di Poggioreale e poi nei campi di Aversa e Padula. Nei suoi confronti fu intentato anche un processo per illecito arricchimento, dal quale però uscì assolto avendo la sua difesa potuto dimostrare che il cospicuo patrimonio accumulato era frutto solo dei guadagni percepiti come direttore del Banco di Napoli e in parte in conseguenza di abili e oculati investimenti.

Come, e forse anche più, di altri dirigenti economici fascisti l'inserimento del F. nell'Italia del dopoguerra fu assai difficile nonostante il riconoscimento più o meno unanime delle sue capacità e dello spirito di servizio istituzionale. Ebbero probabilmente qualche influenza in ciò il carattere riservato e risentito (Einaudi, pp. 672 s.) e una certa durezza che non lo aiutavano nelle relazioni pubbliche. Eppure egli poté godere di larghi appoggi da parte di personaggi influenti, come per esempio C. Merzagora che lo additò fra quella ristretta schiera di tecnici che "pur avendo ben meritato sono oggi ricusati per vicissitudini politiche" (Voce di Napoli, 29 genn. 1949).

Assolto dai processi sull'attività del ventennio, il F. rientrò al Banco di Napoli dove nel frattempo nuovi equilibri politici lo relegavano in una posizione piuttosto defilata. Contemporaneamente sfruttando solidi e vecchi contatti convinse i vertici della Fondiaria a promuovere la costituzione di un piccolo istituto di credito, la Banca dei Comuni vesuviani, di cui assunse la piena responsabilità fino alla morte. Intanto maturò l'idea di affidare al F. il rilancio dell'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale (Isveimer), l'organismo creato per l'esercizio del credito di medio e lungo termine, da lui fondato nel 1938 e dotato di più ampi mezzi con la legge 11 apr. 1953.

La nuova amministrazione nominata all'inizio del 1954 attuò la trasformazione dell'Istituto secondo quanto previsto dalla legge e solo successivamente poté osservare l'attività deliberativa ed esecutiva. Dal 1957 accanto all'attività creditizia fu sviluppata una capillare opera di propaganda con l'obiettivo di illustrare i benefici e le agevolazioni di volta in volta disposte. L'Isveimer si avviò dunque, non senza difficoltà, a superare i limiti della struttura ereditata dal Banco di Napoli, ma l'efficacia del suo intervento fu assai relativa soprattutto per gli scarsi mezzi. Nel 1954-58 le disponibilità superarono di poco i 91 miliardi di cui circa solo un terzo provenivano dalla finanza pubblica e dal risparmio. I settori maggiormente beneficiati furono quelli delle industrie metallurgiche e meccaniche, dei materiali da costruzione, chimiche e agricolo-alimentari con il 72% degli importi totali, mentre dal punto di vista geografico la Campania copriva una quota intorno al 50% (L'azione creditizia dell'Isveimer, pp. 193-198).

La nuova situazione determinatasi con l'avvento del centro-sinistra non consentì, nel 1964, che al F. fosse confermato l'incarico all'Isveimer. Continuò a occuparsi della Banca dei Comuni vesuviani e a sedere nel consiglio di amministrazione della Fondiaria, distribuendo i suoi interessi tra Napoli e Firenze.

Il F. morì a Firenze il 23 dic. 1970.

Il F. fu autore, oltre che della già citata raccolta di scritti dal titolo Contributi minimi, di alcune altre opere e interventi a stampa fra cui: Appunti per le cronache del fascismo romagnolo, Bologna-Rocca San Casciano 1934; Il credito e il risparmio nel piano regolatore di Mussolini, in L'indipendenza economica italiana, a cura di L. Lojacono, Milano 1937.

Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segr. part. del duce, Cart. ord., fasc. 197.756, 509.727, 511.425; Dir. gen. di P.S, Div. polizia politica, bb. 173, 174; ibid., fasc. pers., ad nomen; Carte Volpi, bb. 1, 3; Ibid., Arch. stor. della Banca d'Italia, Direttorio Azzolini: G. F. (1932-43), prat. 29/20, SME/Frignani, prat. 21/20; Fondo Beneduce: G. F. (1931-40), prat. 288/42; Direttorio Stringher, Copialettere 1929-39, G. F.; Fondo Studi, Copialettere 1936, G. F.; Direttorio Introna, G. F. (1935), prat. 7/1; Fondo Ispettorato, sub voceBanco di Napoli, 1935-1942; Napoli, Arch. dell'Istituto campano per la storia della Resistenza, Fondo Palermo, Commiss. prov. profitti del regime, b. 62, fasc. 5.; Napoli, Arch. stor. del Banco di Napoli, Relaz. gen. Banco di Napoli, anni 1927-39.

Necr. in Mattino, 24 dic. 1970; Roma, 24 dic. 1970. Si veda inoltre: G. Quarta, Banco di Napoli, in Enc. bancaria, Milano 1942, ad vocem; V. Castronovo, La stampa italiana dall'unità al fascismo, Roma-Bari 1976, pp. 380, 385, 393; G. Galasso, Intervista sulla storia di Napoli, a cura di P. Allum, Roma-Bari 1978, pp. 230 s., 264; La legge bancaria, a cura di M. Porzio, Torino 1981, passim; V. Castronovo, Storia di una banca, Torino 1983, pp. 108, 121 e n. 140, 175, 225, 227, 239 e n.; A. Scialoja, Arturo Osio, in I protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, a cura di A. Mortara, Milano 1984, pp. 372-374; N. De Ianni, Operai e industriali a Napoli tra grande guerra e crisi mondiale, Gèneve 1984, pp. 288, 322, 326, 331 s., 343; Id., Sulla vita finanziaria a Napoli durante l'occupazione alleata, in L'altro dopoguerra, Roma e il Sud, 1943-1945, a cura di N. Gallerano, Milano 1985, p. 257; P. De Marco, L'occupazione alleata a Napoli, ibid., p. 265; P. Varvaro, Per una storia del potere fascista a Napoli, in Italia contemporanea, 1987, n. 169, pp. 37-62; Id., Una città fascista. Potere e società a Napoli, Palermo 1990, p. 48; La Banca d'Italia fra l'autarchia e la guerra, 1936-1945, a cura di A. Caracciolo, Roma-Bari 1992, pp. 21, 201, 204, 356; F. Cotula - L. Spaventa, La politica monetaria fra le due guerre, 1919-1935, Roma-Bari 1993, p. 763; G. Guarino - G. Toniolo, La Banca d'Italia e il sistema bancario, 1919-1936, Roma-Bari 1993, p. 910; L. Einaudi, Diario 1945-47, a cura di P. Soddu, Roma-Bari 1993, pp. 672 s.

Per l'attività all'Isveimer si veda L'azione creditizia dell'Isveimer, in L'Industria meridionale, VII (1959), 3, pp. 193-198. Da consultare anche E. Savino, La nazione operante, Novara 1937, ad Indicem; Biografia finanziaria italiana. Guida degli amministratori e dei sindaci della società per azioni, Roma 1929, 1931, 1935, ad vocem.

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