GALLOTTI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 51 (1998)

GALLOTTI, Giuseppe

Giovanni Brancaccio

Nacque a Napoli nel marzo del 1803 da una famiglia di antica aristocrazia. Giovanissimo si distinse come "ardente settario" durante il nonimestre costituzionale del 1820-21, ma la repressione seguita al fallimento dell'esperimento costituzionale lo costrinse all'esilio.

Del suo esilio in Francia il G. fece un amaro resoconto nel racconto solo parzialmente autobiografico Alfredo Caldora o Napoli al 1828, pubblicato a Firenze nel 1844, in cui il protagonista - spirito romantico, fervente patriota e abilissimo spadaccino - rassomiglia, in maniera evidente, al giovane barone napoletano.

Rientrato in patria dopo la concessione dell'amnistia ai fuorusciti (dicembre 1830), partecipò attivamente al dibattito sul romanzo storico (sue, per es., le osservazioni Intorno all'Ettore Fieramosca del signor Massimo d'Azeglio, Napoli 1833) che, con la polemica classico-romantica, fu una dei principali dibattiti culturali di interesse nazionale discussi nei salotti e nei caffè letterari partenopei. Con il romanzo storico Sampiero [da Bastelica] (ibid. 1838), incentrato sulle imprese del soldato di ventura corso che nel Cinquecento lottò per l'indipendenza della sua patria dal dominio genovese, il G. volle cimentarsi nel genere letterario prediletto. Influenzato dalla poetica romantica, dal neoguelfismo di S. Baldacchini e dal suo fervore teso al recupero della filosofia di Telesio, Campanella e Vico, il G. fu un "accanito chiosatore" delle opere del filosofo napoletano.

La passione per la politica non si era, tuttavia, assopita. Lo scoppio della rivoluzione del 1848 lo vide fra i fautori del cambiamento politico. Esponente di rilievo dell'ala moderata della rappresentanza nazionale (fu eletto deputato della provincia di Napoli nelle elezioni del 18 apr. 1848), il G. partecipò al dibattito costituzionale e politico esprimendo gli interessi della grande e media borghesia fondiaria. Tenente-colonnello del 2° reggimento della guardia nazionale, alla vigilia del colpo di Stato del 15 maggio fu delegato dalla Camera, con S. Spaventa e F. Petruccelli della Gattina, nel vano tentativo di convincere i rivoltosi che le barricate rappresentavano il pretesto tanto atteso dal re per mettere in moto la repressione e sconvolgere "la sicurezza e la libertà del paese".

Lo scioglimento del Parlamento, la svolta autoritaria di Ferdinando II, la "triste giornata" del 15 maggio spinsero il G. a schierarsi in quel fronte unico che il liberalismo meridionale (C. Troya, C. Poerio, G. Pepe, R. Savarese, P.E. Imbriani e L. Dragonetti) oppose al ministero Cariati-Bozzelli. Condannato per cospirazione contro lo Stato e costretto a riparare nuovamente all'estero, poté rimpatriare con altri esuli solo nel 1859, quando Francesco II tentò, con la formazione del ministero presieduto da A. Spinelli, di dar vita a un regime costituzionale.

Nel mutato clima politico il G. fu nominato, con T. Cacace, membro della commissione preposta allo studio - vanificato dal rapido crollo del Regno - della nuova legge finanziaria. Figura fra le più rappresentative della coalizione moderata formatasi per arginare il "pericolo democratico", fu scelto, nel settembre del 1860, come decurione della città. Nelle elezioni amministrative del maggio 1861, che espressero l'orientamento moderato-conservatore della borghesia napoletana, fu eletto consigliere comunale, incarico che ricoprì fino alla sua scomparsa. Con il suo studio Sulle presenti condizioni delle provincie napoletane (Napoli 1861), nel quale criticò il degrado morale ed economico che aveva attanagliato Napoli e il Mezzogiorno, rafforzava intanto i legami con la corrente autonomistico-cattolica di R. Savarese, F. Persico ed E. Cenni, sostenitori di un disegno di decentramento di larga autonomia amministrativa.

Nel quadro del riordinamento dell'amministrazione degli istituti di beneficenza dell'ex capitale, che fu fra i punti programmatici del sindacato di G. Colonna, il G. presiedette i lavori condotti da un'apposita commissione. Nella relazione finale presentata al ministero dell'Interno sullo stato dell'albergo dei poveri e sulle sue dipendenze, criticava le conclusioni del rapporto compilato dalla Consulta generale della Luogotenenza e, manifestando un'avvertita solidarietà cristiana per i poveri, esponeva le sue tesi sulla carità, sul lavoro femminile quale strumento di emancipazione della donna, sull'accattonaggio, sulla necessità della revisione dei regolamenti.

Poco prima della pubblicazione della relazione, era stato nominato senatore (15 maggio 1862). Nello stesso torno di tempo depose come teste a favore della duchessa di Montecalvo, accusata ingiustamente da un affiliato delle bande facenti capo al bandito L. Alonzi detto Chiavone di aver trasformato la sua casa di Pizzofalcone in un comitato filoborbonico. Allo stesso modo, con la sua testimonianza "onorevole per condizione sociale e credibile per la sua proverbiale onestà", riuscì l'anno seguente (1863) a fugare i sospetti sulla principessa Carolina Barberini Colonna di Sciarra, nata D'Andrea di Pescopagano, accusata di tramare per la causa borbonica. Sebbene i progressi compiuti dalla Sinistra ridimensionassero il peso dei moderati nel Consiglio comunale, il G. ottenne nelle elezioni parziali del 31 luglio 1864 un brillante successo personale. Il sindaco F. De Siervo lo nominò allora alla guida della delegazione per l'istituzione del consorzio interprovinciale (Napoli, Caserta, Benevento e Foggia) che avrebbe dovuto accelerare il completamento della linea ferroviaria Napoli-Foggia, dalla quale si attendeva un miglioramento delle condizioni economiche dell'intera area. Particolarmente attento agli aspetti economico-finanziari della vita politica (fu, tra l'altro, consigliere di amministrazione del Banco di Napoli), seguì con particolare interesse il bilancio comunale, intervenendo più volte in Consiglio contro le continue richieste di aumento delle spese e polemizzando con il consigliere S. Morelli che, nel febbraio del 1866, propose di sanare il deficit municipale attingendo al Tesoro di S. Gennaro.

La politica ricasoliana di riavvicinamento ai cattolici - sostenuta a Napoli dal prefetto F.A. Gualterio d'accordo con il cardinale S. Riario Sforza e condivisa dagli autonomisti cattolici, che al Municipio "borghese" e "pagano" opponevano la concezione del Comune come istituto cristiano - diede vita, grazie al decisivo ruolo svolto da padre Ludovico da Casoria e da A. Capecelatro, a un blocco filogovernativo con i moderati che riportò una schiacciante vittoria alle elezioni del 1° marzo 1868, nelle quali il G. ottenne un largo successo. Tuttavia, nel biennio seguente la crisi apertasi nello schieramento filogovernativo allarmò il prefetto R. D'Afflitto, che esercitò ripetute pressioni sul governo perché nominasse sindaco di Napoli il G., ma le sue posizioni politiche, voltesi in senso conservatore, ne ostacolarono la nomina. Ciò nondimeno, il G. divenne il perno principale della "lista del Cardinale", la lista confessionale voluta dal Riario Sforza e che, nonostante l'opposizione del Vaticano, conquistò il Municipio nelle elezioni amministrative del 1° sett. 1872, nelle quali risultò il primo degli eletti, con 6577 preferenze.

Negli anni seguenti, continuò a occupare un posto di primo piano nel gruppo conservatore-cattolico. Fu, infatti, fra i promotori della formazione del partito conservatore nazionale, il cui progetto, messo a punto nelle riunioni tenutesi a Roma in casa dei conti Campello della Spina, non assunse tuttavia concretezza, e fu fra i più convinti sostenitori dell'idea di fondare a Napoli il quotidiano cattolico L'Italia vera, giornale che, ispirato al programma "ordine, religione, libertà", avrebbe dovuto essere diretto da P. Campello della Spina. Sebbene il disegno di costituire il partito cattolico nazionale stentasse a prendere forma, il G. profuse tutte le sue energie perché a Napoli, nell'imminenza delle elezioni amministrative, fosse varata la lista delle Associazioni riunite, eterogenea formazione politica che, costituita da cattolici, moderati, indipendenti e dissidenti della Sinistra e sostenuta dal nuovo arcivescovo di Napoli G. Sanfelice, sconfisse nelle elezioni del 31 luglio 1878 la Sinistra guidata dal duca di San Donato, G. Sambiase di Sanseverino.

Pochi mesi dopo la vittoria elettorale - il G., con 5964 preferenze, risultò il terzo degli eletti - mentre i conservatori nazionali assistevano al disgregarsi del blocco cattolico-conservatore e al venir meno del sogno di un partito cattolico che si riteneva fosse gradito al pontefice Leone XIII, il G. moriva a Napoli, dopo una breve malattia, il 31 genn. 1879.

La stampa napoletana, indipendentemente dal colore politico, riconobbe al G. la sua "profonda integrità morale, la fermezza del carattere, la coscienza unica". La presenza nelle istituzioni locali - fu più volte anche consigliere provinciale per il collegio di S. Ferdinando, quartiere in cui abitava al largo S. Orsola a Chiaia nel palazzo Cellammare - rappresentò per il G. una condizione indispensabile per affrontare l'esperienza politica nazionale. In Senato partecipò con assiduità ai lavori dell'assemblea, intervenendo sempre con moderazione e competenza anche su temi politici scottanti (tassa sul macinato, circolazione cartacea, codice penale), mostrando piena autonomia e saggezza di condotta politica, in particolare, nel dibattito e approvazione della legge sulle guarentigie pontificie, senza sacrificare il suo profondo sentimento religioso di fervente cattolico.

Fra le altre pubblicazioni del G.: Del ribasso del valore permutabile dell'oro e delle conseguenze che debbono derivarne, Napoli 1856; Intorno al grande stabilimento che comprende l'albergo dei poveri e le sue dipendenze, ibid. 1862; Monte Coppola, ibid. 1868.

Fonti e Bibl.: Sulla scomparsa del G. e sulla vasta eco provocata nel mondo politico napoletano: Giornale di Napoli, 1° febbr. 1879; L'Omnibus, 1° febbr. 1879. Arch. di Stato di Napoli, Ministero degli Interni, f. 1085; Atti del Consiglio comunale di Napoli, anni 1861 ss.; Atti parlamentari. Discussioni alla Camera dei senatori, anni 1862 ss.; L. Del Pozzo, Cronaca civile e milit. delle Due Sicilie sotto la dinastia borbonica dall'anno 1734 in poi, Napoli 1857, pp. 541 ss.; V. Volpicelli, Le elezioni napolet. del 10 settembre e la parte conservativa in Italia, in Riv. universale, XVI (1872), p. 383; P. Campello della Spina, Ricordi di più che cinquant'anni, dal 1840 al 1890, Roma 1910, pp. 122 s.; G. Paladino, La rivoluz. napoletana nel 1848, Milano 1914, p. 108; Id., Il quindici maggio del 1848 in Napoli, Milano-Roma-Napoli 1921, pp. 12, 203, 220, 237, 240, 256, 511; A. Scirocco, Politica e amministraz. a Napoli nella vita unitaria, Napoli 1972, pp. 29, 44, 56 s., 66, 79; F. D'Ascoli - M. D'Avino, I sindaci di Napoli, I, San Gennaro Vesuviano 1974, pp. 28, 44, 61-64, 92, 98-100, 119, 150, 263; D. Capecelatro Gaudioso, Reazione a Napoli dopo l'Unità (congiure e processi politici), Napoli s.d., pp. 63, 137; F. Mazzonis, Per la religione e per la patria. E. Cenni e i conservatori nazionali a Napoli e a Roma, Palermo 1984, pp. 19, 46, 50, 149; F. Petruccelli della Gattina, La rivoluz. di Napoli nel 1848, a cura di F. Torraca, introd. di L. Parente, Venosa 1990, p. 117; E. Giammattei, Il racconto e la città. La cultura letteraria a Napoli (1830-1910), in Storia e civiltà della Campania. L'Ottocento, a cura di G. Pugliese Carratelli, Napoli 1995, p. 348; Il Parlamento ital. 1861-1988, XIV, 1946-1947Repubblica e Costituzione. Dalla luogotenenza di Umberto alla presidenza De Nicola, Milano 1989, p. 600; Enc. biogr. e bibliogr. "Italiana", A. Malatesta, Ministri, deputati e senatori…, II, p. 10.

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