JAPPELLI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JAPPELLI, Giuseppe

Alberta Campitelli

Ultimo dei nove figli di Domenico, bolognese chiamato in Veneto come segretario del priorato del S.M. Ordine di Malta, nacque a Venezia il 14 maggio 1783. Fu forse avviato alla carriera artistica da un cugino, Luigi Jappelli, pittore di teatro e decoratore, attivo in Veneto e quindi in Spagna. Nel 1798, orfano di padre e sotto la protezione dello zio Filippo, potente ecclesiastico, lo J. si iscrisse all'Accademia Clementina di Bologna, frequentando i corsi di architettura e figura, acquisendo una spiccata predisposizione per la scenografia ed entrando in contatto con i circoli giacobini. Rientrato a Venezia frequentò il grande cartografo Giovanni Valle e nel 1803, dopo essersi abilitato perito agrimensore, ebbe l'incarico di occuparsi dei progetti di regolazione del corso del Piave. Su sollecitazione del generale F. Miollis, nel 1806, entrò nella loggia massonica di Venezia e grazie anche ai legami ivi instaurati, nel 1807 fu assunto nel corpo degli ingegneri d'acque e strade del Brenta, stabilendosi a Padova. Subito inserito negli ambienti colti patavini, fu chiamato nel 1809 ad allestire la scenografica celebrazione napoleonica nel palazzo municipale. Si impegnò, quindi, nel progetto di razionalizzare la confusa e disorganica struttura urbana della città, con interventi sulla rete viaria e fluviale e con la dotazione di alcuni pubblici servizi quali il macello e le carceri, alla luce degli ideali illuministi e giacobini e secondo un piano mirato all'espansione nella zona meridionale. Dopo l'occupazione austriaca di Padova, nel 1813, lo J. si ritirò a Cremona, ove rimase per due anni.

Fu un periodo di intenso arricchimento culturale: lo J. viaggiò in Lombardia, conoscendo e apprezzando le opere di G. Piermarini e di G. Antolini e proprio a Cremona ebbe l'opportunità di intervenire per la prima volta su un giardino, per l'amico G. Sommi Picenardi, priore dell'Ordine di Malta, modificando un parco preesistente in veste pittoresca, conquistandosi fama e riconoscimenti.

Al suo rientro a Padova, nel 1815, ottenne il prestigioso incarico di allestire, nel palazzo della Ragione, un evento spettacolare per salutare l'arrivo delle maestà imperiali, Francesco I e Maria Ludovica, il 20 dicembre dello stesso anno.

L'elaborata scenografia, che ci è nota grazie a descrizioni e incisioni d'epoca, ricreava lo spazio di un giardino, con corsi d'acqua e cascate, alberi, ponticelli, piccole fabbriche, colonne e obelischi, in uno scenario dove i reali erano chiamati, forse ironicamente, al ruolo di attori. Il successo di questa sapiente e inedita manipolazione dello spazio ne sancì il definitivo inserimento a Padova, dove rimase quasi ininterrottamente, con la possibilità di riprendere i progetti di razionalizzazione urbana avviati un decennio prima.

Nel 1818-19 fu incaricato della progettazione del nuovo pubblico macello nella zona di Gradelle, inserito in un disegno di espansione urbana di ampio respiro. L'edificio, poi trasformato in una scuola, con le sue linee neoclassiche definite dal monumentale portico, è un esempio di decoro architettonico abbinato alla razionalità della funzione, occultata dalla veste esteriore paludata. Progettò quindi un nuovo edificio per le carceri e un cimitero, entrambi non realizzati sebbene, come riferì L. Cicognara, fossero acclamatissimi. Non realizzato fu anche l'ambizioso e innovativo tentativo di spostare l'Università dal centro cittadino all'area meridionale, in direzione del Prato della Valle, datato 1824-25.

Lo J. prevedeva una vera e propria città degli studi in relazione con l'orto botanico, la basilica del Santo, l'ospedale nuovo. La vicenda lo vide scontrarsi con il conservatorismo burocratico e accademico, scontro sancito nel 1840 con la bocciatura della sua candidatura alla cattedra di ingegneria civile e idraulica presso l'ateneo cittadino. Tuttavia il progetto di espansione urbana nell'area meridionale, di sapore napoleonico e caldamente vagheggiato dallo J., ebbe un'inaspettata accoglienza dopo l'incendio della loggia Amulea. Gli fu infatti affidato il compito di dislocare alcune funzioni pubbliche in quell'area; ma la controversa e lunga vicenda si rivelò, nel tempo, un fallimento, con la riduzione alla realizzazione della sola sede del comando militare, a fronte di un progetto iniziale che prevedeva spazi integrati con molteplici funzioni pubbliche.

Parallelamente all'approfondirsi dei suoi contrasti con le istituzioni cittadine nell'ambito degli incarichi pubblici, si moltiplicavano gli incarichi da parte dei privati nella progettazione di parchi e giardini. Già nel 1816, con la realizzazione del parco di Saonara per A. Vigodarzere, lo J. aveva dato prova delle sue capacità di rielaborare, con invenzione personale, la tipologia del giardino anglo-cinese, con riferimenti esoterici (si veda la grotta dei templari), sapienza botanica e fantasiose scenografie.

I giardini jappelliani, già da queste prime esperienze, appaiono impostati su criteri e modelli ben lontani dalla rigorosa impostazione neoclassica, basata sulla funzionalità razionale, delle sue opere pubbliche. Il parco di Saonara, perfezionato negli anni successivi, costituisce uno dei primi e meglio conservati tra i suoi giardini, con un repertorio di temi ripresi e sviluppati anche nei progetti più tardi.

Negli anni 1817-25 si dedicò alla ristrutturazione dell'area termale euganea, promossa dalla famiglia Trieste, culminata con la realizzazione del monumento commemorativo, dalla complessa simbologia, per la visita dell'imperatore Francesco I, avvenuta il 20 luglio 1825, nei pressi di Abano e con la realizzazione di una villa a Sant'Elena della Battaglia.

Nel decennio 1830-40, accanto alle impegnative opere pubbliche, lo J. realizzò numerosi giardini, progettando sia le fabbriche sia la sistemazione a verde, introducendo le novità europee che già gli erano note ma che aveva potuto conoscere meglio e apprezzare nel viaggio in Francia e Inghilterra compiuto negli anni 1835-37. In Inghilterra, oltre a familiarizzarsi ulteriormente con le tematiche dei giardini, aveva anche progettato un mausoleo per lord Alexander Douglas, decimo duca di Hamilton (Azzi Visentini, 1977).

Tra i parchi e giardini più interessanti da lui creati, vanno citati villa Gera a Conegliano (1827), giardino Treves a Padova (1829), villa Ca' Minotto a Rosà (1832), villa de Manzoni ai Patt di Sedico (1835), giardino Giacomini-Romiati a Padova (1838), giardino Sopranzi a Tradate (1840), giardini Pacchierotti a Padova (1840), giardino Polcastro Wollemborg a Loneggia (1840).

Nonostante il successo nell'arte dei giardini la sua architettura più nota è il caffè Pedrocchi di Padova, realizzato in due fasi, tra il 1826 e il 1842, su incarico di Antonio Pedrocchi.

Una prima struttura, in linee neoclassiche scandite da due avancorpi con colonnati dorici, fu completata nel 1831 e a essa fu aggiunto, alcuni anni dopo, il cosiddetto "Pedrocchino", un'appendice in stile neogotico. Gli interni furono decorati da un gruppo di artisti a lui legati quali I. Caffi, P. Paoletti, G. Demin. La fabbrica, nel cuore della città storica e importante segmento di collegamento tra due aree centrali, non fu concepita solo come caffè-ristorante, ma anche come luogo di ritrovo, borsa, gabinetto di lettura, sala da ballo e da cerimonia.

La sua fama come progettista di giardini alla moda gli valse l'incarico, da parte del principe Alessandro Torlonia, che aveva visitato il giardino da lui creato a Saonara, per l'ampliamento e abbellimento della sua villa romana lungo la via Nomentana.

Al nucleo originario, impostato su criteri formali e realizzato da G. Valadier tra il 1802 e il 1806, lo J. assommò un parco dalle linee mosse e articolate, disseminato di fabbriche esotiche, montagnole, antri e specchi d'acqua con molte evocazioni tratte dai poemi ariosteschi. Negli anni 1839-40, nell'area meridionale della villa, realizzò la Serra moresca e la Torre, policroma architettura in ferro e ghisa ispirata all'Alhambra di Granada, il rustico "romitaggio" della Capanna svizzera (poi trasformata in Casina delle civette), il Campo da tornei, in stile medioevale, la Grotta (in gran parte distrutta), spettacolare costruzione effimera con stalattiti e stalagmiti in gesso, ponticelli sospesi e antri muschiosi. L'ambiente romano gli fu però ostile, e le sue idee illuministe si scontrarono con il clima conservatore e curiale, come testimoniato da un interessante epistolario (Apolloni et al.) con l'amico padovano G. Bernardi, ricco di invettive contro la nobiltà romana e contro gli stessi suoi committenti che, per ignoranza e volontà di esibizione, lo obbligavano a tradire lo spirito raccolto e meditativo dei giardini all'inglese.

Nei suoi giardini lo J. dette prova della sua perizia meccanica e idraulica, progettando complessi e sofisticati congegni per accrescere spettacolarità, come nel caso della Torre di villa Torlonia dove, grazie a un meccanismo purtroppo scomparso, faceva apparire come dal nulla una tavola riccamente imbandita.

Dopo la breve parentesi romana, rientrato a Padova, lo J. dette prova del suo interesse per le nuove tecnologie e l'innovativa concezione nella gestione delle aree agricole, predisponendo un articolato programma di bonifica del Foresto, una vasta area della Bassa padovana. Negli ultimi anni di vita fu incaricato della ristrutturazione del teatro Nuovo (poi Verdi) di Padova (1842-47) che fu occasione di scontri continui con la committenza e si concluse con un drastico ridimensionamento del progetto. Un altro incarico di ristrutturazione, quello del teatro S. Benedetto (1847), dove aveva lavorato il cugino Luigi, lo riportò nella natia Venezia, dove si interessò anche del progetto, non realizzato, del nuovo porto commerciale.

Lo J., sposato nel 1817 con Eloisa Pietrobelli - dalla quale ebbe una sola figlia, Luigia, scomparsa in tenera età - morì a Venezia l'8 maggio 1852.

Il suo necrologio (una copia è conservata nella Biblioteca civica di Padova) ben riassume la sua poliedrica attività. Il testo vi compare, infatti, inquadrato in una architettura gotica nella quale sono inserite vedute e allegorie che alludono alle sue opere. Sono raffigurati il giardino Treves e quello di Saonara, i prospetti nord e sud del caffè Pedrocchi, il teatro Nuovo e il macello; quattro figure femminili recano attributi riferiti alle discipline alle quali si dedicò: il mazzo di fiori per l'arte dei giardini, la ruota dentata e la vite d'Archimede per l'ingegneria e la meccanica, la squadra e il compasso per l'architettura, pennello e carta per il disegno e la pittura. Completano l'evocazione dei molteplici campi d'azione dello J. le rappresentazioni, in basso, del fiume Brenta e di Nettuno, a memoria della sua perizia idraulica.

Numerosi sono stati gli studi sullo J., in particolare in occasione del convegno a lui dedicato nel 1978 a Padova; ma la Biblioteca dei Musei civici di Padova conserva numerosi documenti ancora in parte inediti. Si tratta di materiali di grande importanza, che attestano la prolifica attività di progettista dello J. nell'architettura, nella creazione di giardini, nell'idraulica, frutto dei suoi interessi nello studio della storia dell'architettura e della botanica e basati su approfondite conoscenze teoriche. Tra i suoi manoscritti è interessante un trattato incompiuto sull'arte dei giardini, dal titolo Memorie per il giardiniere, che denota la sua conoscenza delle teorie, ma anche l'esperienza pratica nell'uso delle piante.

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