MAGGIOLINI, Giuseppe. - Nacque a Parabiago, piccolo borgo alle porte di Milano, il 13 nov. 1738 da Gilardo, guardiano degli impianti di irrigazione del locale monastero di S. Ambrogio, e da Caterina Cavalleri.
Al 1765 risalirebbe il fondamentale incontro con il pittore Giuseppe Levati, allora impegnato nella decorazione del palazzo Litta a Lainate. In visita a Parabiago, Levati sarebbe stato colpito dall'eccellenza dei mobili realizzati dal M. e gli avrebbe commissionato un canterano (perduto), giudicato, alla consegna, di straordinaria qualità (Mezzanzanica, in Beretti, 1994, p. 12). Fu dunque soprattutto grazie all'intermediazione di Levati che al M. si aprirono le porte della committenza aristocratica e dell'affermazione professionale. Il suo volume d'affari dovette in effetti crescere notevolmente nel corso degli anni Sessanta se, in occasione del primo, temporaneo, soggiorno a Milano, nel 1771, si fece accompagnare da dodici aiutanti. L'occasione del trasferimento nel capoluogo lombardo fu l'incarico - ricevuto dal marchese Giambattista Meriggia su probabile consiglio di Levati - della realizzazione degli apparati effimeri (perduti) destinati ai festeggiamenti per le nozze tra l'arciduca Ferdinando d'Asburgo, governatore di Milano, e la duchessa Maria Beatrice d'Este. Il felice esito dell'iniziativa, coordinata da Giuseppe Piermarini, determinò il definitivo ingresso del M. nella cerchia degli artisti gravitanti intorno al conte Carlo di Firmian, impegnati nella riforma della decorazione d'interni in senso antibarocco.
Attraverso l'ampio fondo dei disegni di bottega, pervenuto nell'aprile del 1882 alle Civiche Raccolte d'arte applicata del Comune di Milano, è possibile la ricostruzione dell'iter creativo del M. sin dai primi anni di attività milanese.
Perfettamente allineate al gusto per la cineseria e l'esotismo appaiono le prime opere sopravvissute del M.: una commode ora nelle Civiche Raccolte d'arte applicata del Comune di Milano e una scrivania da centro, forse appartenuta a Maria Teresa d'Asburgo, nella Bundessamlung alter Stilmöbel di Vienna, databili intorno al 1773 (Beretti, 1994, pp. 35-49).
Fu dunque solo dopo il 1773 che il M. si aprì alle istanze di rinnovamento introdotte in Lombardia da Agostino Gerli e da Albertolli, frutto di una sapiente unione tra la ricerca di semplicità e comfort e l'eredità classica. Il lavoro in direzione della definizione dei nuovi modelli architettonici e decorativi poté dirsi concluso intorno al 1783-84, quando il Giornale di Milano diede ripetutamente notizia dell'entusiastica accoglienza riservata dal pubblico, arciduchi compresi, alle opere della bottega di Parabiago, definite come di "nuovo disegno con tutti quei graziosi e scelti ornati" (Beretti, 1994, pp. 57 s.).
L'alleanza con i più aggiornati decoratori attivi in città si indebolì, senza però mai venire meno (sono intarsiati su disegni di Albertolli, di Levati e di Appiani i tavolini, oggi in collezioni private milanesi, e il secrétaire del Museo dell'arredamento di Stupinigi, in Beretti, 1994, pp. 98-113), nel decennio compreso tra il 1784 e il 1796, quando il M., ormai a capo di una bottega costituita di almeno trenta elementi, affiancò alla produzione dei mobili destinati alle residenze aristocratiche quella degli arredi di uso comune, quali tavoli, sofà, poltrone e sedie, realizzati serialmente per un pubblico alto-borghese, secondo un sistema che prevedeva la definizione del modello architettonico e l'applicazione di motivi ornamentali collaudati, perfezionabili o variabili nel rispetto delle simmetrie e dell'equilibrio tra le parti (esemplificativi sono i tre secrétaires, ibid., pp. 115-125).
Nel 1788 la fama dell'artista era consolidata a tal punto che la Società patriottica di Milano, in occasione della presentazione al pubblico del quadro con Due geni alati (Azzate, collezione privata: Beretti, 1994, pp. 138-141), gli concesse una medaglia d'oro per aver fatto risorgere l'arte dell'intaglio e "per averle aggiunto non poco di perfezione sì nel gusto, che nella solidità dei suoi lavori, a cui non giunsero gli antichi stessi" (Gazzetta di Milano, 29 dic. 1788: ibid., p. 139). L'anno successivo, sull'onda della fortuna arrisa all'opera, il M. ne tradusse il disegno preparatorio, autografo di Appiani, in tarsia per il fianco di una delle commodes commissionategli forse dalla famiglia Busca-Arconati-Arese (Milano, già palazzo Serbelloni: ibid., pp. 158-161). Concepiti come monumentali cofani decorati ai lati da sinuose figure femminili in legno dorato e da grifi in bronzo patinato, i due cassettoni si attestano come i capolavori della maturità del M., frutto di una stratificazione di conoscenze che spazia dalla serie di incisioni di Jean-Charles Delafosse per la Nouvelle iconologie historique (1768-71), agli stucchi albertolliani di palazzo Casnedi, ai mobili di Jean-Henri Riesener (Beretti, 1998, p. 83; Colle, 2001, pp. 554-556).
Sullo scorcio del secolo furono proprio l'eccellenza acquisita nella messa a punto dei modelli decorativi e la perfezione tecnica raggiunta nelle varie fasi della produzione a permettere alla bottega, ormai trasferita a Milano, di presentarsi alle autorità direttoriali francesi come una delle più avviate e floride imprese commerciali attive in città.
L'inaridimento delle soluzioni compositive, se forse scalfì il primato della bottega presso la corte (non sono noti incarichi successivi al 1809), non sembrò influenzare il rapporto con la clientela aristocratica e borghese, così che alla sua morte il M. lasciò al figlio Carlo Francesco una gran quantità di prestigiose commesse.
Il M. morì a Parabiago il 16 nov. 1814.
Nel quindicennio che seguì il 1814, quando l'officina fu interamente nelle sue mani, nacquero infatti mobili pensati pressoché esclusivamente per un ampio pubblico borghese che, memore del glorioso passato del nome Maggiolini, ambiva a possedere copie di vecchi e celebri arredi, badando ben poco alla qualità dei manufatti. Lo scadimento del lavoro al livello artigianale è testimoniato peraltro dal fatto che restano di quegli anni pochissimi disegni iconograficamente innovativi e soltanto due o tre mobili, carenti dal punto di vista compositivo e mortificati dall'utilizzo di legni ordinari, incapaci di restituire la ricchezza di sfumature tipica della produzione paterna. Alla morte di Carlo Francesco, nel 1834, fu Cherubino Mezzanzanica, già allievo di Giuseppe, a succedergli nel ruolo di capobottega. A lui spettò l'eredità del fondo dei disegni necessario alla prosecuzione dell'attività artigiana.
Fonti e Bibl.: A. Gerli, Opuscoli, Parma 1785, p. 40; Indice delle produzioni delle arti del paese esposte nel palazzo di Brera, Milano 1805, p. 14; G.A. Mezzanzanica, Genio e lavoro. Biografia e breve storia delle principali opere dei celebri intarsiatori G. e Carlo Francesco Maggiolini di Parabiago, Milano 1878; F. Meda, G. M., Parabiago 1914; Mostra commemorativa di G. M. (catal.), a cura di G. Nicodemi, Milano 1938; G. Morazzoni, Il mobile intarsiato di G. M., Milano 1953 (nuova ed., ibid. 1957); M. Ceriani, G. M. da Parabiago celebre intarsiatore nel 150 anniversario della morte (1738-1814), Milano 1965; C. Alberici, Il mobile lombardo, Milano 1969 (nuova ed., Novara 1996), pp. 17-19, 172-189; E. Baccheschi, Cineserie rococò nell'ambiente maggioliniano: Appiani e Watteau, in Arte lombarda, XIV (1969), 2, pp. 147-150; The age of Neoclassicism (catal.), London 1972, pp. 791 s.; E. Colle, Modelli d'ornato per G. M., in Prospettiva, 1992, n. 65, pp. 78-84; A. González-Palacios, Il gusto dei principi. Arte di corte del XVII e del XVIII secolo, Milano 1993, I, pp. 340-344; II, pp. 304-306; G. Beretti, G. e Carlo Francesco Maggiolini. L'officina del neoclassicismo, Milano 1994; G.B. Sannazzaro, Affreschi di Andrea Appiani prima dell'avvento di Napoleone, in Labyrinthos, XIII (1994), 25-26, p. 150; E. Colle, "Dipingere coll'intarsiatura in legno": appunti sul mobile intarsiato lombardo, in Rass. di studi e di notizie, XIX (1995), pp. 105-146; Id., Museo d'arti applicate. Mobili e intagli lignei, Milano 1996, ad ind.; A.M. Necchi, Ebanisti e incisori: M. e Appiani, Revelli e Piranesi, in Grafica d'arte, VIII (1997), 30, pp. 33-37; G. Beretti, Andrea Appiani: i disegni d'ornato per il "bravo signor Maggiolini", in Rass. di studi e di notizie, XXII (1998), pp. 39-92; Id., Milano 1771. L'uso di Vienna e la moda di Francia: decorazioni e arredamento alla corte ferdinandea, ibid., XXIII (1999), pp. 241-252 (in particolare, p. 254); A. González-Palacios, Il tempio del gusto. Le arti decorative in Italia tra classicismi e barocco, Vicenza 2000, pp. 314, 375, 681, 707-747; E. Colle, Le arti decorative, in F. Mazzocca - A. Morandotti - E. Colle, Milano neoclassica, Milano 2001, pp. 531-558; Il palazzo reale di Milano, a cura di E. Colle - F. Mazzocca, Milano 2001, pp. 207-218; Il neoclassicismo in Italia. Da Tiepolo a Canova (catal.), a cura di F. Mazzocca et al., Milano-Firenze 2002, pp. 335-345, 359, 511-515; E. Colle, Il mobile rococò in Italia. Arredi e decorazioni d'interni dal 1738 al 1775, Milano 2003, p. 374; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, p. 556; The Dictionary of art, XX, p. 90.