MOLETI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 75 (2011)

MOLETI, Giuseppe

Federica Favino

MOLETI (Moleto, Moletti, Molati, Moleta), Giuseppe. – Nacque a Messina nel 1531 da Filippo, membro di un ramo cadetto decaduto di una famiglia di alto lignaggio già trasferitasi a Seminara (nei pressi di Reggio Calabria).

Compì gli studi di matematica a Messina presso il collegio della Compagnia di Gesù, recentemente inaugurato, dove fu allievo di Francesco Maurolico. Lasciò presto la Sicilia, a causa delle scarse possibilità di impiego per un matematico laico, pur dotato come lui, o forse per frequentare l’Università, assente a Messina. In una data precedente al 1560, si recò una prima volta a Padova. Dopo aver soggiornato per breve tempo a Verona – dove fu insegnante privato di geometria e astronomia – si stabilì infine a Venezia, esercitando la professione di medico e dedicando parte del suo tempo all’insegnamento privato e alla compilazione delle effemeridi (tavole astronomiche). L’esercizio della professione medica lascia pensare che avesse conseguito già allora un grado accademico, probabilmente a Padova, dove, pertanto, avrebbe potuto essere allievo di P. Catena e forse anche di F. Barozzi.

Al periodo veneziano risale la pubblicazione delle sue prime opere a stampa, di argomento geografico e astronomico. Nel 1561, in appendice alla traduzione italiana della Geografia di Tolomeo di Girolamo Ruscelli, uscì a Venezia presso Vincenzo Valgrisi un suo Discorso universale …nel qual son raccolti e dichiarati tutti i termini e tutte le regole appartenenti alla Geografia, dedicato a Federico Morando, già suo allievo a Verona, poi riedito autonomamente nel 1573 a Venezia da Giordano Ziletti. La nuova edizione comparve senza le modifiche alle quali il M. aveva pensato in un primo momento, ma che tralasciò in vista della stesura di una Geografia sul modello di quella di Tolomeo, anch’essa mai scritta. Nel 1562, curò una nuova edizione della traduzione latina della Geografia di Tolomeo allestita da W. Pirkheimer, collazionata con diversi manoscritti greci e corredata da commenti al primo e al settimo libro e dedicata al cardinal A. Cornaro (Venezia, V. Valgrisi).

Nel 1563 iniziò la pubblicazione della raccolta di Efemeridi (tavole astronomiche) in lingua volgare, compilate a sua cura e continuate fino al 1580 (Venezia, V. Valgrisi). Un’edizione latina iniziata l’anno dopo, per i tipi dello stampatore senese Francesco Francischio attivo a Venezia, coprì l’arco cronologico 1564-84.

La versione italiana era preceduta da una lunga dedica agli amici Giovanni Battista Fagnano e Nicolò Primo, in cui il M. esponeva la sua concezione dell’astronomia. Questa è distinta in due parti: l’astronomia propriamente detta «che con sottilissime invenzioni e infallibili dimostrazioni salva tutte quelle apparenze» come le eclissi, le congiunzioni del Sole con la Luna, di entrambi con i singoli pianeti ecc.; l’astrologia, che tratta degli effetti dei movimenti celesti sul mondo inferiore, rapporto che va inteso non come necessitante ma come «inclinazione» a cui l’uomo può facilmente sottrarsi. Nel computo del corso futuro degli astri, il M. sceglie qui di non abbandonare le antiche Tavole Alfonsine per le nuove Tavole Pruteniche a base copernicana, per «non appigliarsi a nova strada» supposta altrettanto erronea, «senza havere osservato i detti movimenti» (p. 5). Le tavole erano accompagnate da una raccolta di Canoni in sei libri, due dei quali – il quarto e il quinto – dedicati a due allievi del periodo veronese, Alcino Faella e Pietro Rossiti. La medesima concezione non realista dell’astronomia, in opposizione a una concezione realista della fisica, ricorre in un Discorso matematico indirizzato a G. Gozzi, databile al periodo 1565-75 (Milano, Biblioteca Ambrosiana, S.103 sup., c. 122r, in Dollo 1984, pp. 273-280). A scopo evidentemente didattico il M. vi tratteggia un’architettura delle matematiche esplicitamente ispirata alla teoria aristotelica della conoscenza scientifica, ribadendo il carattere eminentemente teoretico della matematica, il cui fine è conoscere la verità e il cui soggetto è la quantità indeterminata, astratta dalla materia e dal movimento sensibile.

Al primo soggiorno padovano risale l’amicizia del M. con l’erudito e bibliofilo genovese G.V. Pinelli, animatore di un cenacolo di dotti provenienti da ogni parte d’Europa, rapporto amichevole che il M. mantenne per via epistolare fino alla morte. Nel testamento che dettò il 15 maggio 1570 a Venezia, in occasione di una malattia che sembrava mortale, il M. affidava a Pinelli il destino della sua biblioteca e l’incisione sulla sua lapide tombale. Guarito, alla fine dell’anno partiva per Mantova per prendere servizio alla corte del duca Guglielmo Gonzaga come precettore di matematiche del principe Vincenzo, incarico che mantenne per sette anni.

Durante l’ultimo anno del suo soggiorno mantovano (1576), il M. compose un Dialogo sulla meccanica in volgare, che attirò per primo l’attenzione degli studiosi contemporanei sul M., contenendo una discussione del problema della velocità di caduta dei gravi di diverso peso, in cui l’autore anticipava il famoso esperimento della torre di Pisa comunemente attribuito a Galileo Galilei. Il Dialogo, in lingua italiana, sopravvissuto in testimoni frammentari, editi solo nel 2000 da W.R. Laird – consiste in un panegirico dell’utilità delle meccaniche indirizzato a principi e soldati, nella forma di un dialogo tra un sostenitore delle meccaniche, identificato nel duca Guglielmo Gonzaga stesso, e un membro della sua corte. Più in generale, si tratta di un tentativo compiuto per un pubblico non accademico di fondare la meccanica come scienza, ancorandola – e così legittimandola – ai principî teorici delle Quaestiones mechanicae dello Pseudo-Aristotele (che il M. considerava autentiche), alla scienza medievale dei pesi e alla filosofia naturale aristotelica.

Il dialogo si svolge in due giornate. Nella prima il M. tenta di stabilire principî e cause degli effetti meccanici ed elabora il principio centrale della meccanica, quello del movimento circolare, tratto dalle Quaestiones pseudoaristoteliche. Presenta inoltre una serie di teoremi geometrici per dimostrare i fondamenti euclidei del principio della meccanica aristotelica e lo status della meccanica come scienza matematica «subalternata» alla geometria. Cita, benché indirettamente, da Pappo, ma sembra trascurare del tutto la statica archimedea e il concetto di centro di gravità. Nella seconda giornata, mutila, il M. cerca di estendere la meccanica al regno della filosofia naturale. Partendo dal De motu animalium di Aristotele, indaga le relazioni tra i principî del movimento – forza motrice, resistenze, corpi immobili – e le velocità dei gravi in caduta per scoprire la causa della loro accelerazione. Si trovano in queste pagine alcune felici intuizioni sull’eguaglianza tra la resistenza del corpo al movimento e la sua inerzia (concetto a lui ancora estraneo); sull’incidenza del mezzo ambiente sulla sua forza di impatto; sull’eguaglianza della velocità di caduta di corpi della stessa forma, indipendentemente dal loro materiale o peso, affermando di averne fatto ripetute esperienze, ben prima di Galileo. Il Dialogo si interrompe nel corso di una discussione sulla causa dell’accelerazione dei gravi in caduta.

Nella primavera del 1577, riaperto lo Studio dopo l’epidemia di peste, i riformatori dell’Università di Padova offrirono al M. la cattedra di matematica rimasta vacante per la morte di Catena, con l’eccezionale compenso di 200 fiorini, accresciuto nel 1584 di altri 100 fiorini. Gli oneri dell’insegnamento, che mantenne fino al 1588, gli fecero sempre rimpiangere la corte dei Gonzaga, che continuò comunque a servire nei mesi di vacanza e in occasione dei frequenti viaggi del principe a Padova.

Uno dei primi compiti cui assolse in qualità di professore di matematica fu quello di esprimere, insieme con il matematico della Serenissima G. Zarlini, il suo parere sul Compendium di A. Lilio (Luigi Giglio), sollecitato alla fine del 1577 dalla Congregazione romana deputata da Gregorio XIII alla riforma del calendario. La sua breve risposta iniziale, cui iniziò a lavorare nel novembre 1578, si sviluppò nei mesi successivi in un trattato De corrigendo ecclesiastico calendario, edito in appendice alle tavole astronomiche dei moti delle stelle fisse, e del Sole e la Luna, che il M. compose al fine di offrire un supporto tecnico per la correzione esatta del calendario e che, in ossequio al papa, volle chiamare Tabulae Gregorianae (Venezia, P. Deuchino, 1580). Le tavole erano accompagnate, inoltre, da un manuale per l’uso delle regole per il computo astronomico e da un libro di Canoni per il loro corretto utilizzo.

Il parere del M. sulla riforma si connota per il rifiuto dei tradizionali cicli del computo ecclesiastico, per il ricorso ai moti veri degli astri e per la scelta di fissare l’equinozio non al 21 marzo (data fissata al tempo del concilio di Nicea e favorita dalla Congregazione), ma al 25 marzo, identificato come giorno dell’equinozio all’epoca di Cristo. L’opinione del M. di basare il nuovo calendario sui moti veri, condivisa da altri tra i quali, in un primo momento, anche il gesuita C. Clavio, corrispondente del M. e membro della Congregazione, finì per soccombere di fronte alle ragioni di ossequio alla tradizione, che indussero la commissione a scegliere di riferire i cicli calendariali ai moti medi. Nondimeno, le tavole gregoriane vennero molto apprezzate a Roma, tanto da indurre il papa a incaricare il M. di completarle con il computo dei moti degli altri pianeti. Tra l’agosto e il novembre 1584, il M. inviò alla Congregazione due parti delle sue aggiunte alle tavole (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 7054). Una terza, alla quale lavorava sul finire di quell’anno, non fu stesa, e comunque non inviata, a causa della morte del cardinale G. Sirleto, coordinatore della Congregazione dopo la nomina di V. Lauro a nunzio apostolico. Gravato dall’incarico del calendario, il M. chiese a G.A. Magini, uno dei suoi migliori allievi, di compilare nuove efemeridi basate sulle Tavole Pruteniche. Le Ephemerides di Magini furono pubblicate a Venezia nel 1582 senza alcun riferimento al M., la cui committenza, tuttavia, emerse nel corso della polemica che Magini ingaggiò contro G. Scala e M. Cagnati qualche anno dopo in merito alla paternità delle efemeridi date alla luce da questi ultimi.

Il M. computò le sue tavole sulla base del sistema copernicano, ritenendo che, se non le ipotesi, i numeri in base ai quali Copernico calcolava i movimenti corrispondessero esattamente ai fenomeni, cosa che si era reso conto non accadere con le Tavole Alfonsine. Lo stesso fece per costruire la teorica del Sole, ossia la spiegazione geometrica del movimento apparente del Sole, contenuta in un frammento inedito (Theorica Solis repondens positionibus Copernici, in Milano, Biblioteca Ambrosiana, D.235 inf., c. 15r). Gli storici sono concordi nel ritenere che l’uso strumentale che il M. fece del copernicanesimo non autorizza ad avallare il giudizio di Favaro, il quale ritiene che in questa scelta «fosse implicita una tanto piena e motivata affermazione in favore del sistema copernicano, e senza riserve per le contraddizioni con le Sacre Scritture, quale noi non troviamo presso alcun altro astronomo italiano prima del Moletti» (Favaro, 1917-18, p. 76). Se in una Apologia in difesa dell’astronomia, infatti, rimasta inedita e di datazione incerta, il M., forse ironicamente, qualificava il copernicanesimo «chimera fra tutte le chimere chimerissima» (Ibid., D.235 inf., c. 58r), nelle inedite Annotationes et animadversationes in Nicolaum Copernicum (cc. 26-29), egli sottopone il De revolutionibus a critiche e censure puntuali sulla base di argomentazioni aristoteliche.

I Rotuli dell’Università e le carte manoscritte del M., conservate presso la Biblioteca Ambrosiana, consentono di seguire in dettaglio il programma dei corsi svolti negli undici anni del suo insegnamento: gli Elementi di Euclide (1579-80, 1582-83, 1585-86), la sfera (1584-85, 1586-87), l’ottica (1583-84), la prospettiva (1586-87), la lettura delle Meccaniche di Aristotele (1581-82, 1585-86), argomento, quest’ultimo, già introdotto a Padova da Catena. È attestato, e non datato, anche un corso di cosmografia, geografia, anemografia e idrografia. Sul contenuto dei corsi fanno luce le note relative alle sue lezioni conservate, insieme con tutti i suoi manoscritti, tra le carte dell’eredità Pinelli presso quella Biblioteca.

Le note relative ai problemi di meccanica pseudoaristotelici stese in latino di propria mano dal M. in vista dei corsi del 1581-82 e del 1585-86, per esempio, costituiscono l’unico documento dettagliato della ricezione dell’opera all’interno delle Università italiane del Cinquecento. Matematico non particolarmente originale, in queste note il M. si dimostra competente e buon conoscitore della tradizione come anche dei principali testi contemporanei, inserendosi a pieno titolo tra coloro che, dopo la diffusione rinascimentale delle Quaestiones pseudoaristoteliche, contribuirono in Italia alla costruzione di una nuova vera e propria scienza meccanica, accanto all’ottica, all’astronomia e alla scienza dei pesi. Rispetto al Dialogo sullo stesso argomento, inoltre, è stata notata (Laird, 1986) l’espunzione delle questioni attinenti alla fisica, in ossequio forse alle distinzioni socio-disciplinari tra matematici e filosofi naturali in vigore all’interno delle Università.

I numerosi inediti del M. offrono un’immagine più adeguata dell’ampiezza dei suoi interessi e delle sue idee di quanto non facciano le sue opere edite, tutte computistiche. Come ha chiarito A. Carugo, essi contengono anche una discussione originale della questione della certezza delle matematiche, assai dibattuta a Padova nel corso del Cinquecento, basata sui principî della logica aristotelica. Nel Discorso matematico, come anche nei frammentari Rudimenta quaedam pro mathematicis disciplinis (circa 1578, in Milano, Biblioteca Ambrosiana, D. 442 inf.), egli analizza la struttura delle scienze matematiche alla luce della definizione di scienza dimostrativa data da Aristotele negli Analitici posteriori. In quanto scienza degli universali, che ha a che fare con un soggetto (la quantità) di cui studia accidenti e proprietà in maniera universale, cioè astratta dalla materia, secondo il M., la matematica può dirsi assolvere ai criteri di scientificità dettati da Aristotele.

Tra i manoscritti pinelliani, si conserva anche una copia apocrifa di un trattato geografico-politico, dal titolo Discorso che il re catolico sia il maggior principe del mondo (Ibid., P. 145 sup., n. 3), databile al 1580-81, la cui paternità è stata restituita al M. da Revelli solo nel 1927.

L’opera era comparsa per la prima volta a stampa in appendice alla traduzione italiana del trattato De la naissance, durée et cheute des Estats di R. de Lusinge (1588), edita a Ferrara da Benedetto Mamarello nel 1590, dove veniva attribuita però a O. Malaguzzi, nobile reggiano di professione diplomatico. Il trattato fu poi stampato senza significative differenze anche in tutte le successive edizioni della seconda parte del Tesoro politico, fortunata miscellanea di materie politiche (Milano 1601, Bologna 1603, Francoforte 1617). La scoperta dell’apografo ambrosiano e la particolare consuetudine dell’autore con lo sviluppo del calcolo areografico sulla base delle carte geografiche e dei globi hanno indotto Revelli a individuare nel M. l’autore di questo trattato geografico-politico «tra i più importanti del Cinquecento, perché […] mira direttamente a risolvere il problema della graduazione, per ordine d’area, dei maggiori Stati terrestri, e provando, attraverso misurazioni areometriche vere e proprie, che il più vasto Stato terrestre, astraendo dalla continuità territoriale, è il dominio del Re Cattolico (Spagna e Portogallo), ci appare come il primo tentativo di una trattazione metodica rivolta alla soluzione d’uno dei problemi fondamentali di geografia politica: l’importanza dell’elemento aerometrico nella vita degli Stati» (Revelli, pp. 430 s.).

A detta di tutti i suoi biografi, il M. godette sempre di una salute assai malferma che lo portò più volte in fin di vita. Morì a Padova, nella sua casa in contrada di Pozzo dipinto, il 25 marzo 1588 e due giorni dopo fu sepolto nella chiesa di S. Francesco.

Nel suo ultimo testamento olografo, redatto il 9 sett. 1587, aveva disposto legati, tra gli altri, per Pinelli, Caterino Zen e i suoi colleghi medici che probabilmente lo ebbero in cura, G. Mercuriale e G. Fabrici d’Acquapendente. Nel documento (edito integralmente da Favaro), non si faceva alcuna menzione dei suoi manoscritti, che, tuttavia, furono facilmente acquisiti da Pinelli per la sua libreria e insieme con questa confluirono nell’Ambrosiana allorché la Biblioteca Pinelli fu acquistata dal cardinale F. Borromeo. Il primo a richiamare l’attenzione su di essi fu G.B. Venturi, il quale rinvenne il passo del discorso sulla meccanica in cui si trattava della caduta dei gravi, lo trascrisse e ne pubblicò poche righe nelle Memorie… di G. Galilei (Modena 1818). La trascrizione di Venturi passò tra i manoscritti galileiani della Biblioteca nazionale di Firenze, dove la rinvenne R. Caverni, che la pubblicò nella sua Storia del metodo sperimentale in Italia (Firenze 1895, pp. 271-274). Favaro, nel suo profilo del M. nella serie Amici e corrispondenti di Galilei (1917-18), si limitò a un elenco lacunoso ed erroneo basato sulle indicazioni fornite dai cataloghi e da un esame sommario da parte di C. Del Lungo, non ritenendo l’esame dei manoscritti necessario a validare il suo giudizio – oggi ampiamente confutato – sul M., come uno dei pochi antiaristotelici militanti della sua epoca.

Tra i codici pinelliani dell'Ambrosiana si trova anche una copia manoscritta dei Lemma et theorema sulla determinazione del baricentro d’un frusto di conoide parabolico, composto da Galileo nel 1585 e inviato in visione ai matematici di Padova e di Bologna, allorché egli era in cerca di una lettura alternativa a quella pisana. La copia ambrosiana reca in calce il giudizio del M. sul giovane scienziato come di un «buono et esercitato geometra», giudizio che certo dovette agevolare al pisano la via a succedergli sulla cattedra di matematica padovana (cit. in Memorie… di G. Galilei, p. 7).

Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 6194, cc. 416-417; 6195, cc. 14r-15v, 102r-103v, 562r-564v, 680r-681v, 684r-685v (sei lettere del M. al cardinal Sirleto, 1582-84); Memorie e lettere inedite finora o disperse di Galileo Galilei, I, Dall’anno 1587 sino alla fine del 1616, a cura di G.B. Venturi, Modena 1818, p. 8; A. Favaro, Amici e corrispondenti di Galilei, XL, G. M., in Atti del R. Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXXVII (1917-18), pp. 48-118 (fonti relative all’attività del M. a Mantova e a Padova); A. Rivolta, Catalogo dei codici pinelliani dell'Ambrosiana, Milano 1933, passim (elenco completo dei manoscritti ambrosiani del M.); C.H. Lohr, Renaissance Latin Aristotle Commentaries, L-M, in Renaissance Quarterly, XXXI (1978), pp. 593 s.; C. Clavius, Corrispondenza, a cura di U. Baldini - P.D. Napolitani, Pisa 1992, Appendici e strumenti, pp. 72 s.; II, 1, pp. 24 s.; II, 2, pp. 19-23; A. Riccoboni, De Gymnasio Patavino, Patavii 1598, f. 78; Id., Orationum, II, Patavii 1631, ff. 41-46; G.F. Tomasini, Illustrium virorum elogia iconibus exornata, Patavii 1630, pp. 108 s.; Id., Gymnasium Patavinum, Utini 1654, pp. 339, 424; N.C. Padadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, pp. 329 s.; J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii 1757, pp. 321 s.; J. Schmid, Zur Geschichte der Gregorianischen Kalenderreform, in Görresgesellschaft, I, Historisches Jahrbuch, 1882, pp. 400-410; A. Favaro, La cattedra di Galileo nell'Università di Padova. Notizie e documenti, in Atti e memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, n.s., VIII (1892), pp. 247-262; P. Revelli, Un trattato geografico-politico di G. M.: «Discorso che il Re Cattolico sia il maggior principe del mondo», in Aevum III (1927), pp. 417-454; P.L. Rose, The Italian Renaissance of mathematics, Geneve 1975, pp. 286 s.; A. Carugo, G.M.: mathematics and the Aristotelian theory of science at Padua in the second half of the 16th-century Italy, in Aristotelismo veneto e scienza moderna. Atti del 25°  anno accademico del Centro per la storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di L. Olivieri, Padova 1983, I, pp. 509-517; Gregorian reform of the calendar. Proceedings of the Vatican conference to commemorate its 400th anniversary, 1582-1982, a cura di G.V. Coyne - M.A. Hoskin - O. Pedersen, Città del Vaticano 1983; Modelli scientifici e filosofici nella Sicilia spagnola, a cura di C. Dollo, Napoli 1984, ad ind.; A. Carugo, L'insegnamento della matematica all'Università di Padova prima e dopo Galileo, in Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, Il Seicento, IV, 2, Vicenza 1984, pp. 170-185; W.R. Laird, The scope of Renaissance mechanics, in Osiris, s. 2, II (1986), pp. 60-62; Id., G.M.’s «Dialogue on mechanics», in Renaissance Quarterly, XL (1987), 2, pp. 209-223; C. Dollo, Astrologia e astronomia in Sicilia dalle Efemeridi di G. Moleto agli Almanacchi di G.B. Hodierna, in Il meridione e le scienze, secoli XVI-XIX. Atti del Convegno,1985, a cura di P. Nastasi, Palermo 1988, pp. 203-228; W.R. Laird, The unfinished mechanics of G. Moleti. An edition and English translation of his Dialogue on mechanics, 1576, Toronto 2000; P.O. Kristeller, Iter Italicum, I-IV, ad indicem.

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