PORTA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 85 (2016)

PORTA, Giuseppe

Mattia Biffis

PORTA (Salviati), Giuseppe. – Figlio di Ludovico e di una certa Maria de Rocca, nacque il 20 maggio 1520 (come riportato da Migliorini, 1899, p. 6, sulla scorta di documenti non più rintracciati) a Castelnuovo Garfagnana, feudo estense in territorio toscano.

La famiglia paterna costituiva una delle casate più autorevoli del centro garfagnino, annoverando diversi membri impegnati nel campo dell’amministrazione e del diritto (Nesi, 2005, p. 290). Il padre fu più volte sindaco della Vicaria, mentre il cugino Francesco è ricordato per aver ordinato e tradotto in volgare gli statuti cittadini, nonché per essere l’autore di un poema di ispirazione dantesca intitolato La visione (Firenze, appresso Giorgio Marescotti, 1577). È possibile che anche Giuseppe, primogenito del ramo di Ludovico, abbia potuto contare in gioventù su una prima educazione di stampo umanistico, di cui resterebbe traccia negli interessi scientifici della sua maturità.

Stando a Giorgio Vasari, la sua formazione si svolse a Roma, dove giunse nel 1535 accompagnato da uno zio «segretario del vescovo di Pisa» (1568, 1871, p. 45) che lo mise a studiare con Francesco de’ Rossi, detto il Salviati, a quel tempo una delle personalità emergenti nel panorama artistico romano.

Qui, sempre secondo Vasari, il giovane Porta evidenziò ben presto una naturale predisposizione pittorica, imparando in breve tempo «non pure a disegnare benissimo, ma ancora a colorire ottimamente» (p. 45). L’apprendistato dovette plausibilmente svolgersi nel segno di una solida pratica disegnativa, maturata a contatto con i tradizionali modelli dell’antichità e con l’ambiente dei seguaci di Raffaello (soprattutto Perino del Vaga e Polidoro da Caravaggio). Significativa fu senz’altro anche la pratica come frescante, tecnica di cui in seguito il garfagnino sarebbe diventato un riconosciuto maestro e da cui avrebbe derivato una peculiare sensibilità cromatica, evidenziata anche dai critici seicenteschi («arricchì la pittura di colori non ordinari», Boschini, 1674, pagina non numerata).

Non sono finora note opere risalenti al periodo romano, anche se è plausibile che egli possa aver collaborato con il maestro in occasione di commissioni pubbliche degli anni Trenta, come nel caso degli apparati temporanei per l’ingresso di Carlo V a Roma (1536), o dell’affresco con la Visitazione della Vergine per l’oratorio dei Fiorentini, sempre a Roma (1538; McTavish, 1981, pp. 22-29). Non si può inoltre escludere che alcuni dei disegni giovanili di soggetto antiquario – come la Scena classica di Windsor (Royal collection, inv. 5488; McTavish, 1981, p. 361) – debbano essere riferiti a questo periodo di formazione.

Nella primavera del 1539 intraprese, al seguito di Francesco Salviati, un viaggio verso il Nord Italia, che lo condusse prima a Firenze, poi a Bologna e infine a Venezia, dove i due artisti giunsero ai primi di luglio del 1539 (Cheney, 1963).

Il soggiorno veneziano fu probabilmente propiziato da un invito da parte dei Grimani, che in quegli anni stavano portando avanti un ambizioso programma di rinnovamento decorativo del loro palazzo di Santa Maria Formosa, coinvolgendo maestranze centro-italiane; esso si inquadra inoltre all’interno del più vasto fenomeno di aggiornamento in chiave classicista della cultura veneziana, che spinse tra terzo e quinto decennio del Cinquecento diversi pittori e letterati a lavorare o a trasferirsi temporaneamente in laguna (Hochmann, 2004).

In questo contesto si colloca l’esordio artistico di Giuseppe Porta che, nell’ottobre del 1540, realizzò, firmandolo, il frontespizio illustrato de Le sorti intitolate giardino d’i pensieri di Francesco Marcolini, vero e proprio «manifesto grafico del manierismo veneziano» (Pallucchini, in Tiziano e la silografia, 1976, p. XV), nonché alcune delle allegorie e dei ritratti di filosofi che adornano il volume, che si distinguono per l’impostazione romanista nei gesti e nelle pose (Mancini, 1993, pp. 2-6). Simili caratteristiche tornano anche nei primi lavori pittorici che ci sono giunti, come nel caso della Resurrezione di Lazaro (Venezia, Fondazione Giorgio Cini), oppure della tavola con La caduta della manna (Milano, coll. privata; Pallucchini, 1975).

Alla partenza di Francesco Salviati, nel giugno del 1541, Porta prese la decisione di fissare la propria residenza a Venezia, potendo contare, tra l’altro, sul sostegno di non meglio precisati «gentiluomini» veneziani (Vasari, 1568, 1871, p. 45). Gli incarichi dei primi anni Quaranta testimoniano in effetti un prevalente impegno nel campo della decorazione ad affresco, soprattutto di ville e residenze nobiliari della terraferma; nonostante molte delle opere ricordate dalle fonti debbano considerarsi perdute, alcuni disegni superstiti consentono di definire temi e modelli prevalenti, mettendo in luce il suo impegno per un rinnovamento in chiave classicista dei codici decorativi nel campo dell’affresco (McTavish, 1985).

Tra i lavori di questo periodo vanno segnalati gli affreschi eseguiti con Camillo Capelli, detto Camillo Mantovano, per una residenza rurale del Padovano, da identificare con villa Saraceno ‘delle trombe’ di Agugliaro, documentati nell’autunno del 1541 (Biffis, 2013a, pp. 11-15), le decorazioni interne di villa Priuli a Treville, nel Trevigiano, compiute nel 1542 (Ridolfi, 1648, 1914, pp. 240 s.) oltre che «una facciata molto bella» a Piove di Sacco (Vasari, 1568, 1871, p. 45). Tra le primissime opere vanno incluse inoltre alcune sezioni degli affreschi con Uomini illustri della Sala dei Giganti a Padova, attribuiti a Porta sulla base di serrati raffronti stilistici (Bodon, 2009). Da scalarsi in progressione fino alla metà degli anni Cinquanta sono infine altre imprese decorative compiute in prevalenza a Venezia, tra cui si annoverano gli affreschi per Ca’ Bernardo a San Polo, quelli per un edificio a San Rocco (pagamenti nel novembre 1551: McTavish, 1981, p. 206), e ancora l’intera facciata di palazzo Loredan a Santo Stefano, decorata con Storie romane e conclusa entro il 1556 (pp. 210-213).

Attorno al 1544 viene tradizionalmente fissata la commissione dei dipinti per il monastero di S. Spirito in Isola a Venezia, a quel tempo oggetto di un ambizioso programma di riqualificazione architettonica e pittorica, per il quale Porta realizzò le portelle dell’organo con Il trionfo di David e David e Saul, come pure il telero con l’Ultima cena per il refettorio e i tre tondi con scene del Vecchio Testamento (Elia nutrito dall’Angelo; La raccolta della manna; Abacuc portato a Daniele).

L’insieme, trasferito alla Madonna della Salute a seguito della soppressione dell’Ordine nel 1657, testimonia un cauto avvicinamento ai modi della pittura veneziana contemporanea, soprattutto sul piano delle scelte volumetriche e cromatiche (Mc Tavish, 1981, pp. 128-140).

Gli anni seguenti evidenziano un progressivo incremento degli incarichi pubblici, in particolare per dipinti d’altare commissionati da famiglie di ceto procuratorio e importanti ordini religiosi; contemporaneamente si assiste anche a un crescente interesse da parte della critica e del pubblico dotto, attestato, tra l’altro, dalla presenza del suo nome nell’epistolario di Pietro Aretino nel maggio 1548 (Rossi, 1995, pp. 187 s.).

Tra i lavori più importanti eseguiti a cavallo della metà del secolo, e di cui si conservano in certi casi anche disegni preparatori con interessanti varianti iconografiche (Jaffé, 1955), vanno ricordati: la Presentazione di Gesù al Tempio e santi, eseguita nel 1548 su commissione dei procuratori di S. Marco de Ultra per l’altare Valier ai Frari (Maronese, 2013; Biffis, 2013b); la Deposizione dalla Croce per S. Pietro Martire a Murano, risalente al 1548-50 circa (Zaru, 2014, p. 241); l’Assunzione della Vergine per S. Maria dei Servi, del 1550-55 circa (ora ai Ss. Giovanni e Paolo, cappella del Rosario; McTavish, 1981, pp. 159-162); le pale con la Vergine e i ss. Antonio abate e Bernardo e i Ss. Girolamo, Caterina, Giovanni Battista e Tomaso, rispettivamente per la cappella Dandolo e Bragadin a S. Francesco della Vigna, databili intorno al 1550-56 (pp. 164-172).

Attorno all’anno 1550 dovrebbe risalire anche il matrimonio con la veneziana Andriana Fasuol, dalla quale ebbe cinque figli (Biffis, 2013a, pp. 151-160), oltre che la definitiva e ufficiale adozione del cognome Salviati, scelto «per rispetto del suo maestro» (Vasari, 1568, 1871, p. 45).

Nel 1556 partecipò, assieme ad altri sei colleghi (tra i quali Paolo Veronese, Andrea Schiavone e Battista Franco), alla decorazione del soffitto della Libreria marciana di Venezia, promossa dai procuratori di S. Marco a completamento dei lavori dell’edificio sansoviniano destinato a conservare il patrimonio librario della Repubblica. Porta contribuì con tre tondi allegorici raffiguranti Minerva, la Fortuna e la Virtù, Le arti di fronte e Mercurio e Plutone ed Ercole e Bellona, contraddistinti da una sequenza ordinata e metodica di personificazioni e figure mitologiche, rese con misurati equilibri di forme e cromie (cfr. i più recenti D. Gisolfi, On Renaissance library decorations and the Marciana, in Ateneo veneto, s. 3, CXCVII (2011), pp. 7-21; Biffis, 2013a, pp. 75-126).

L’intervento marciano contribuì a mettere in luce le sue capacità nel settore dell’allegoria politica e civile, in seguito nuovamente saggiate con la raffinata lunetta con l’Allegoria di Venezia come Giustizia (Londra, National Gallery), realizzata per la Zecca e databile al 1558-59 (McTavish, 1981, p. 273). Tra le opere di questo periodo si ricorda anche la pala con i Ss. Cosma e Damiano, Giovanni Battista e Zaccaria, commissionata dal medico Benedetto Rinio, compiuta attorno al 1559 (Venezia, S. Zaccaria; Pitacco, 2002). Più problematica è invece l’autografia delle quattro Sibille per la chiesa di S. Maria del Giglio, per le quali è registrato un modesto pagamento a suo nome di 14 ducati nel maggio 1560 (Rossi, 1982, p. 283).

Nel giugno del 1562 giunse a Roma su invito dell’ambasciatore Marcantonio da Mula per realizzare un affresco per la Sala regia dei Palazzi vaticani con La pace di Venezia, per il quale ricevette – assieme all’allievo Girolamo Gambarato – diversi pagamenti a partire dal settembre del 1562 (McTavish, 1981, pp. 244-251). Secondo Vasari (1568, 1871, p. 46), prima della morte di Pio IV fece a tempo a impostare anche una seconda scena con La storia dei sette re in seguito andata distrutta, ma di cui esiste un pregevole disegno preparatorio (Chatsworth House, Devonshire Collection, inv. 16; McTavish, 1981, pp. 320 s.).

Al ritorno a Venezia all’inizio del 1565 ricevette l’incarico di realizzare le tele con soggetti allegorici per il soffitto della sala di Antipregadi a Palazzo ducale, per le quali fu pagato 660 ducati nel luglio del 1567 (McTavish, 1981, pp. 251-254). L’insieme, andato perduto nell’incendio del 1574, è descritto in un poema latino di Francesco Zannio, che si sofferma in particolare sulla spiegazione dei soggetti e sul significato politico e istituzionale delle allegorie (Biffis, 2013c).

Alla metà degli anni Sessanta si dovrebbe collocare anche il progressivo avvicinamento alla figura di Jacopo Contarini di Pietro, raffinato cultore di matematica e meccanica, nonché uno dei principali mecenati veneziani del tardo Cinquecento (Hochmann, 1987).

Alla sua committenza si devono diverse opere della tarda maturità di Giuseppe Porta, tra cui l’allegoria sacra con L’apparizione di Cristo risorto agli Apostoli (ora a Venezia, Ss. Giovanni e Paolo) e un lungo fregio con figure allegoriche per il palazzo Contarini a S. Samuele, andato disperso, ma di cui sono venuti alla luce diversi frammenti in collezioni private (Hochmann, 2002; McTavish, 2012), che mostrano, rispetto ai lavori giovanili, uno stile meno rifinito e monumentale, affine ad alcune contemporanee sperimentazioni tizianesche sul tema della forma e del volume.

Simili caratteristiche tornano anche in altre opere degli ultimi anni, come nel caso dei quattro teleri eucaristici per la cappella del Sacramento di S. Polo a Venezia, databili verso la fine degli anni Sessanta (McTavish, 1981, pp. 311-313), l’Annunciazione per gli Incurabili (ora a S. Lazaro dei Mendicanti; pp. 299 s.) e il Battesimo di Cristo per S. Caterina di Mazorbo, compiuto verso il 1572-73 su commissione di Emilia Michiel (pp. 279 s.). Tra i lavori estremi va annoverata anche la Presentazione al Tempio per S. Giorgio Maggiore, lasciata incompiuta al momento della morte e portata a termine da Jacopo Palma il Giovane (Jestaz, 2000).

Morì a Venezia tra il marzo 1575 – quando il Senato gli rilasciò un privilegio per alcuni macchinari idraulici (Boucher, 1976) – e il 18 aprile 1575, quando il figlio Teseo gli subentrò nella titolarità della casa a San Trovaso (Biffis, 2013a, p. 158).

Oltre che per la sua attività pittorica e per il suo contributo allo sviluppo in chiave classicista dello stile pittorico veneziano, Porta è ricordato dalle fonti anche per la sua attività di studioso e per le sue riconosciute competenze nel campo della matematica e dell’astrologia.

Sono numerose, in tal senso, le testimonianze antiche che menzionano i suoi studi (Vasari, 1568, 1871, p. 46) o che ricordano l’ampiezza dei suoi interessi intellettuali, come nel caso di Carlo Ridolfi, il quale evidenziò come egli avesse «buon intendimento delle scienze» e fosse «buono studioso delle matematiche, delle quali compose molti scritti e disegni» (1648, 1914, p. 244). Rilevanti furono anche i riconoscimenti ufficiali o le attestazioni di stima, provenienti non solo da colleghi e sodali (tra cui Danese Cattaneo: Rossi, 1995, p. 155 e passim), ma anche da altri protagonisti della vita culturale veneziana del Cinquencento, come Francesco Angelo Coccio, Ettore Ausonio, Francesco Patrizi, Sperone Speroni, Bernardo e Torquato Tasso (Campori, 1872; Biffis, 2013a, pp. 127-143).

Delle molte opere progettate, l’unica a vedere effettivamente la luce fu la Regola di far perfettamente col compasso la voluta et del capitello ionico…, stampata da Francesco Marcolini e pubblicata nel giugno del 1552 con dedica a Daniele Barbaro. La breve plaquette illustra un metodo per la costruzione della voluta o spirale ionica, concepito come risarcimento di una celebre crux filologica vitruviana su cui si erano cimentati in precedenza anche Alberti, Dürer, Philiader e Serlio; rispetto a queste, la soluzione prospettata da Porta si distingue per l’eleganza formale e la precisione descrittiva, evidenziata dall’adozione di un procedimento matematico mutuato dal libro IV degli Elementi di Euclide (Losito, 1993).

La testimonianza più importante del suo «enciclopedismo esoterico» (Rossi, 1995, p. 148) resta comunque quella offerta dal manoscritto marciano It.5094, che raccoglie – in forma di appunti, spesso riuniti in modo disorganico – testi, commenti e schemi relativi alle ricerche del pittore nel campo dell’astrologia e dell’acustica (Boucher, 1976; Biffis, 2013a). Il codice si compone di due parti principali: la prima affronta il tema del rapporto tra movimento degli astri e linguaggio, indagando la formazione degli elementi vocali, definendo un’embrionale tassonomia dei suoni e prospettando la possibilità di una loro riproduzione artificiale attraverso appropriati dispositivi meccanici; la seconda, organizzata attorno a un nucleo di quattordici quaestiones, affronta invece temi più generali di astrologia giudiziaria, relativi soprattutto all’influsso degli astri sul destino individuale. Sul piano del metodo, il lavoro si caratterizza per l’ampio ricorso a modelli descrittivi e all’esperienza empirica, mentre scarsi sono i riferimenti teorici diretti, che si limitano di fatto alla sola citazione dell’opera dell’astrologo bolognese Bartolomeo della Rocca. Annunciato come di imminente pubblicazione da Francesco Patrizi nel 1562, il testo venne in seguito abbandonato in una fase avanzata di stesura, forse anche a causa del carattere decisamente eccentrico della materia trattata; il codice pervenne quindi nelle mani di Jacopo Contarini, probabilmente come dono da parte dei familiari del pittore, per essere infine incorporato nelle raccolte marciane allo scadere del XVIII secolo (Boucher, 1976).

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite (1568), a cura di G. Milanesi, VII, Firenze 1871, pp. 45-47.

C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte (1648), a cura di D.F von Hadeln, I, Berlin 1914, pp. 240-245; M. Boschini, Breve instruzione per intender in qualche modo le maniere degli auttori veneziani, in Id., Le ricche minere della pittura veneziana, Venezia 1674, pp. non numerate; G. Campori, G. P. detto il Salviati. Notizie biografiche e artistiche, in Atti e memorie delle Deputazioni di Storia patria per le provincie modenesi e parmensi, VI (1872), pp. 1-15; L. Migliorini, Gli uomini illustri garfagnini, Castelnuovo della Garfagnana 1899, pp. 6-8; K. Frey, Der literarische Nachlass Giorgio Vasaris, II, München 1930, pp. 382-385, 393 s., 438 s., 572 s.; R. Pallucchini, La giovinezza del Tintoretto, Milano 1950, pp. 41-46; M. Jaffé, G. P. il Salviati and Peter Paul Rubens, in The art quarterly, XVIII (1955), pp. 330-340; I. Cheney, Francesco Salviati’s North Italian journey, in The art bulletin, XLV (1963), pp. 337-349; F. Zava Boccazzi, Due tele ritrovate di G. Salviati, in Arte veneta, XVII (1963), pp. 169-171; A. Ballarin, Jacopo Bassano e lo studio di Raffaello e dei Salviati, ibid., XXI (1967), pp. 77-101; R. Pallucchini, Per gli inizi veneziani di G. P., ibid., XXIX (1975), pp. 159-166; B. Boucher, G. Salviati, pittore e matematico, ibid., XXX (1976), pp. 219-224; Tiziano e la silografia veneziana del Cinquecento (catal., Venezia), a cura di M. Muraro - D. Rosand, Vicenza 1976, pp. 140-147; D. McTavish, G. P. called G. Salviati, New York-London 1981 (con bibl. precedente); P. Rossi, Una monografia su G. Salviati, in Arte veneta, XXXVI (1982), pp. 278-284; D. McTavish, Roman subject matter and style in Venetian façade frescoes, in Racar, XII (1985), pp. 188-196; M. Hochmann, La collection de Giacomo Contarini, in Mélanges de l’école française de Rome. Moyen âge-temps modern, XCIX (1987), pp. 447-489; M. Losito, La ricostruzione della voluta ionica vitruviana nei trattati del Rinascimento, ibid., CV (1993), pp. 133-175; M. Mancini, Lambert Sustris a Padova. La Villa Bigolin a Selvazzano, Selvazzano Dentro 1993, ad ind.; M. Rossi, La poesia scolpita. Danese Cataneo nella Venezia del Cinquecento, Lucca 1995, pp. 143-155, 187 s.; C. Furlan, Un’aggiunta al catalogo di G. P., in Arte documento, XIII (1999), pp. 164-167; B. Jestaz, Tintoret et Véronèse au secours de G. Salviati et de Palma le Jeune…, in Revue de l’art, CXXVIII (2000), pp. 54-60; W.R. Rearick, Francesco Salviati, G. P. and Venetian draftsmen of the 1540’s, in Francesco Salviati et la Bella Maniera. Actes des Colloques de Rome et de Paris 1998, a cura di C. Monbeig-Goguel - P. Costamagna, Rome 2001, pp. 455-478; M. Hochmann, G. P. e la decorazione di palazzo Contarini dalle Figure, in Arte veneta, LIX (2002), pp. 238-246; F. Pitacco, Un prestito mai rifuso: la vicenda del ‘Liber de simplicibus’ di Benedetto Rini, in Figure di collezionisti a Venezia tra Cinque e Seicento, a cura di L. Borean - S. Mason, Udine 2002, pp. 11-23; M. Hochmann, Venise et Rome 1500-1600: deux ècoles de peinture et leurs échanges, Genève 2004, ad ind.; D. McTavish, Additions to the catalogue of drawings by G. Salviati, in Master Drawings, XLII (2004), 4, pp. 333-348; G. Nesi, Castelnuovo capitale della provincia estense di Garfagnana nel XVI secolo, Castelnuovo di Garfagnana 2005, pp. 28, 114, 290; G. Bodon, Heroum imagines. La Sala dei Giganti a Padova…, Venezia 2009, ad ind.; A. Imolesi Pozzi, L’attribuzione del frontespizio de “Le sorti…”, in Un giardino per le arti…, a cura di P. Procaccioli, Bologna 2009, pp. 269-294; L. Cellauro, G. Salviati’s ‘Allegory of Architecture’ for Daniele Barbaro’s 1556 edition of Vitruvius, in Storie dell’arte, CXXIX (2011), pp. 5-18; A. Maronese, La Pala della Purificazione di Giuseppe Salviati: devozione, celebrazione famigliare, propaganda politica, in Venezia Cinquecento, XXII (2012), 44, pp. 71-111; D. McTavish, Due nuovi dipinti mitologici di G. P. detto G. Salviati, in Arte veneta, LXIX (2012), pp. 141-144; M. Biffis, G. Salviati a Venezia, 1540-1575. Indagini e ricerche sulla produzione figurativa e sul lascito letterario, tesi di dottorato, Università Ca’ Foscari, Venezia 2013a (tutor prof. A. Gentili, a.a. 2012-13); Id., Prima di Salviati. L’altare dei Frari, i procuratori di San Marco e un documento per Marco Basaiti, in Venezia Cinquecento, XXIII (2013b), 45, pp. 41-56; Id., Tra poesia e pittura: versi di Francesco Zannio per G. Salviati, in AFAT, XXXII (2013c), pp. 39-46; D. Zaru, Art and observance in Renaissance Venice: the Dominicans and their artists (1391-ca. 1545), Roma 2014, ad indicem.

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