RIPAMONTI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 87 (2016)

RIPAMONTI, Giuseppe

Massimo Carlo Giannini

- Nacque a Tegnone nella pieve di Missaglia (Brianza) da Bartolomeo e Lucrezia nel 1577, essendo battezzato il 28 agosto presso la parrocchia di Nava.

Non conosciamo nulla dei suoi primi anni né della sua famiglia d’origine, di condizione sicuramente non agiata. In occasione del processo cui fu sottoposto, lo stesso Ripamonti narrò la sua formazione: a 17 anni, nel 1594, fu inviato a studiare a presso lo zio Battista, curato a Barzanò. Proprio lo zio, uomo di una certa cultura, lo avviò allo studio del latino e dell’ebraico e lo segnalò all’arcivescovo di Milano, il cardinale Federico Borromeo, che lo apprezzò e lo fece entrare nel seminario ambrosiano detto della Canonica. Tuttavia, non volendo o non potendo lo zio pagargli la retta come convittore, Ripamonti fu costretto a cercare un alloggio al di fuori del seminario, procurandosi di che pagarlo con l’insegnamento privato di grammatica. Fu anche per sei mesi al servizio di Carlo Bascapé, allora vescovo di Novara, ma non trovandosi bene, fu invitato da Ludovico Settala, arciprete di Monza, a insegnare nella città brianzola. Dopo un paio d’anni trascorsi a Monza, Ripamonti fu chiamato dal cardinale Borromeo a insegnare grammatica nel seminario ambrosiano per circa un quadriennio. Al contempo, egli fu avviato dal suo nuovo protettore ad approfondire lo studio del latino, del greco, dell’ebraico e del caldeo.

Ordinato sacerdote il 17 dicembre 1605, a un’età alquanto maggiore della media, Ripamonti entrò ufficialmente nella “famiglia” del cardinale Borromeo, riuscendo in questo modo a metter fine alle annose controversie con la direzione del seminario circa il pagamento della retta che, a causa della sua povertà, egli non era in grado di coprire. Nel settembre 1607, Borromeo lo volle membro del Collegio dei nove dottori della neoistituita Biblioteca Ambrosiana, con la qualifica di storiografo. Il rango di secondo dottore in ordine di nomina testimonia indubbiamente la stima del cardinale nei suoi confronti. Ripamonti si trovò così coinvolto in prima persona nell’ambizioso progetto borromaico di una istituzione culturale che facesse da cuore pulsante della cultura e del cattolicesimo milanese, che fu inaugurata l’8 dicembre 1609. L’anno successivo egli accompagnò il cardinale a Roma per la celebrazione della canonizzazione di s. Carlo Borromeo.

Incaricato della stesura di una storia della Chiesa milanese, nel dicembre 1613, chiese e ottenne una proroga, a causa di problemi di salute, in merito alla consegna alla Congregazione dei conservatori della Biblioteca Ambrosiana, l’organismo composto da ecclesiastici che aveva il compito statutario di vegliare sull’operato dei dottori e il rispetto dei compiti loro assegnati. Tuttavia, nel 1616, pur avendo terminato la stesura delle Historiarum Ecclesiae Mediolanensis libri, Ripamonti incorse nella censura della Congregazione, perché assai lento nel consegnare il testo alla stampa: gli fu quindi proibito di lasciare la città per le vacanze estive se prima non avesse ottemperato ai suoi doveri. Finalmente, il volume, contenente la prima decade, uscì presso la tipografia dell’Ambrosiana nella primavera del 1617. Nel frattempo i rapporti personali di Ripamonti, dotato secondo la tradizione di un eloquio mordace, con il bibliotecario e presidente del Collegio dei dottori, l’oblato Antonio Olgiati, e con il collega Antonio Rusca e altri si erano profondamente guastati. In questo contesto, non stupisce che la storia della Chiesa milanese di Ripamonti destasse malumori e critiche nel mondo ecclesiastico cittadino: in particolare, lo storiografo fu accusato di aver alluso, nel ritrarre alcuni personaggi, ai suoi avversari personali e di aver pubblicato un testo sostanzialmente diverso da quello per il quale aveva ottenuto l’imprimatur del Sant’Uffizio milanese, del delegato arcivescovile e del segretario del Senato.

Nel febbraio 1618, Ripamonti e il collega Benedetto Sossago furono oggetto di un’ammonizione della Congregazione dei conservatori perché vagavano troppo per la città e amavano compagnie che li distraevano dai doveri dello studio. Insofferente per la disciplina imposta all’Ambrosiana o forse a causa dei non buoni rapporti con gli altri dottori, nei mesi successivi, Ripamonti decise di accogliere l’invito del governatore dello Stato di Milano, Pedro de Toledo, quinto marchese di Villafranca del Bierzo - sul punto di lasciare l’incarico -, di entrare al suo servizio e seguirlo in Spagna. Decise dunque, in luglio, di lasciare Milano, senza aver chiesto il permesso del cardinale o del vertice dell’Ambrosiana, avendo persino ricevuto 200 ducati dal governatore. Tuttavia sembra che Ripamonti ritornasse sui suoi passi e, fatta restituire la somma al marchese, chiese il perdono di Borromeo. Questi gli fece suggerire di recarsi alla canonica di Vaprio, dove il 4 agosto 1618 fu arrestato e tradotto in arcivescovado a Milano. Il tentativo di fuga, compiuto nelle settimane successive, comportò un irrigidimento delle condizioni di detenzione, mentre si apriva l’escussione dei testimoni davanti al tribunale arcivescovile.

Le accuse vertevano anzitutto sulla sua immoralità, circa la quale testimoniarono vari dottori dell’Ambrosiana: Olgiati mise addirittura in dubbio che egli fosse adatto al sacerdozio. Fu inoltre contestata a Ripamonti l’alterazione del testo della storia della Chiesa milanese dopo aver ottenuto l’imprimatur. Altri elementi importanti a suo carico emersero in seguito alla perquisizione della sua abitazione, circa i suoi contatti con vari personaggi a Roma e a Venezia e i progetti di mettersi al servizio del duca di Savoia o di quello di Parma. In effetti, più che un conflitto tra un padrone tirannico e un intellettuale ansioso di libertà, secondo la lettura propria della storiografia ottocentesca, la vicenda processuale deve essere ricondotta alle tensioni che pervadevano gli ambienti milanesi e romani in quegli anni. Il timore che l’ingegno di Ripamonti fosse posto al servizio della Corona spagnola o della Repubblica di Venezia, alimentò le preoccupazioni non solo di Borromeo, ma anche della Curia papale.

Nella primavera 1619 Ripamonti rivolse una supplica direttamente a Paolo V, sottolineando di essere incarcerato da molti mesi senza conoscere le accuse. Nel frattempo il cardinale Borromeo riuscì a far esaminare il processo dal commissario della congregazione del Sant’Uffizio, Desiderio Scaglia, che diede il suo avallo formale all’apertura di un’inchiesta inquisitoriale. Non mancò peraltro a Ripamonti l’aiuto di eruditi come Kaspar Schoppe e il monaco certosino Matteo Valerio.

Nell’estate 1619 Ripamonti fece giungere a Roma due memoriali: uno indirizzato alla congregazione del Sant’Uffizio e l’altro a quella dei Vescovi e Regolari a Roma. Nel primo egli denunciò di essere detenuto nel carcere arcivescovile a causa del procedimento inquisitoriale e, nel secondo, si lagnò perché, nonostante le disposizioni già inviate dal cardinale Millini, affinché fosse emanata la sentenza, la causa veniva continuamente dilazionata. Nel settembre di quell’anno l’inquisitore milanese informò la Congregazione del Sant’Ufficio che non era emersa alcuna imputazione in materia di fede contro Ripamonti. Qualche giorno prima, la congregazione dei Vescovi e regolari aveva a sua volta ordinato a Borromeo di procedere a che «questa causa sia quanto prima spedita per giustitia, a fine che cotesto sacerdote dopo così lungo carceratione possa vedere il fine delle sue calamità» (Arch. segreto Vaticano, Congr. Vescovi e Regolari, Registra Episc., 57, c. 212r). Tuttavia, la posizione di Ripamonti non migliorò: infatti Borromeo, forse risentito per l’accusa di aver utilizzato lo storiografo per scrivere le opere latine di cui il porporato si era detto autore, lasciò in sospeso il processo sino al febbraio 1622. Dopo l’interessamento del cardinale nipote Ludovico Ludovisi, finalmente Borromeo affidò la causa di Ripamonti al vicario arcivescovile Mario Antonino e all’inquisitore fra Abbondio Lambertenghi che, nell’agosto seguente, emanarono una sentenza di condanna a tre anni di carcere, seguiti da altri due di domicilio obbligato, con il divieto di pubblicare senza permesso del Sant’Uffizio.

La pena fu forse commutata nella residenza sotto sorveglianza in arcivescovato e senza dubbio Ripamonti riuscì a riconciliarsi con Borromeo: infatti nel 1625 e nel 1628 pubblicò, sempre presso la tipografia dell’Ambrosiana, la seconda e la terza parte della storia della Chiesa milanese, sottoposte previamente alla censura del canonico Girolamo Alfieri, delegato dell’arcivescovo. Inoltre, nel luglio-agosto 1630, mentre infuriava la peste, egli risiedette nella villa Borromeo a Senago. Nel dicembre 1631 il cardinale dispose che Ripamonti continuasse a essere annoverato tra i dottori dell’Ambrosiana, sebbene fosse dispensato dal partecipare alle riunioni del Collegio, e ricevesse - oltre all’onorario spettante ai dottori anziani di mille lire milanesi - altre 600 lire annue.

Nel frattempo Ripamonti aveva ottenuto dal sovrano Filippo IV una cappellania di giuspatronato regio nella chiesa di S. Sebastiano a Milano (luglio 1630). Era questo il segnale del crescente interessamento della Corona per la scrittura della storia milanese. Non a caso, nel dicembre 1634, dietro proposta del Senato, il cardinale Gil de Albornoz, governatore dello Stato, dopo aver segnalato il nome di Ripamonti al re per la nomina a regio storiografo, gli attribuì l’incarico ad interim con un salario di 300 scudi annui. Tuttavia Filippo IV, nell’aprile 1635, ordinò di sospendere la nomina a causa del vigente divieto di creare nuovi uffici regi.

Lo smacco fu però compensato, sul finire del 1635, dalla nomina a storiografo cittadino dal Consiglio dei Sessanta decurioni di Milano, con l’incarico di proseguire la storia di Tristano Calco dal 1313 alla morte di Federico Borromeo. Ripamonti pertanto compose e diede alle stampe il De peste Mediolani (1641) e le Historiae patriae libri X (1641). Fu protetto dal marchese di Leganés  Diego Mexía Felipez de Guzmán y Dávila, governatore di Milano, che nel gennaio 1638 tornò a chiedere per lui la nomina a historiador regio. Ancora una volta non se ne fece nulla, ma Ripamonti nel luglio 1639 ottenne un significativo riconoscimento con la concessione di un canonicato nell’importante chiesa di giuspatronato regio di S. Maria della Scala.

Forse poco tempo dopo, pieno di acciacchi, si ritirò a Rovagnate, in Brianza, dove morì il 14 agosto 1643.

Apparvero postume a Milano le Historiae patriae libri VII (1643), Historiae patriae decadis V, libri VI (1643) e Historiae patriae libri VIII (1648).

Fonti e Bibl.: Isola Bella (Stresa), Arch. Borromeo,Scienze lettere ed arti, Storia e storici, Processo Ripamonti; Città del Vaticano, Arch. della Congregazione per la Dottrina della Fede,Sanctum Officium, Decreta 1619-1620, cc. 111r-v, 130v; Arch. di Stato di Milano, Autografi, cart. 153, fasc. 37; Archivio segreto Vaticano, Congr. Vescovi e Regolari, Registra Episc., 57, c. 212r.

F. Piccinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, pp. 370 s.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, II, Mediolani 1745, coll. 1230-1232; I. Cantù, Le vicende della Brianza e de’ paesi circonvicini, II, Milano 1837, pp. 71-84; F. Cusani, Introduzione. Da un ragionamento inedito sui principali storici e cronisti milanesi, in G. Ripamonti, La peste di Milano del 1630 libri cinque, Milano 1841, pp. X-XXXVII; T. Dandolo, G. R., in Rivista contemporanea nazionale italiana, LV (1868), pp. 28-52, 194-206; F. Cusani, Paolo Moriggia e G. R. storici milanesi, in Archivio storico lombardo, IV (1877), pp. 56-69; E. Galbiati, Lettere del R. e dell’Olgiati ad Isaac Casaubon, in Studi Storici in memoria di mons. Angelo Mercati, Milano 1956, pp. 185-194; Títulos y privilegios de Milán (siglos XVI-XVII), a cura di A. Gonzáles Vega - A.M. Díez Gil, Valladolid 1991, p. 303; E. Galbiati, L’orientalistica nei primi decenni di attività, in Storia dell’Ambrosiana. Il Seicento, Milano 1992, pp. 100, 106-108; C. Marcora, Il Collegio dei Dottori e la Congregazione dei Conservatori, ibid., pp. 185-217 passim; F. Buzzi, Il progetto culturale milanese di Federico Borromeo, in Studia Borromaica, XIX (2005), pp. 208, 211 s.; E. Franzosini, Sotto il nome del cardinale, Milano 2013, passim; M. Lezowski, L’abrégé du monde. Une histoire sociale de la bibliothèque Ambrosienne (v. 1590-v. 1660), Paris 2015, ad ind.; M. Paolantonio, Il De peste di G. R. Fonte primaria della documentazione per le pagine sulla carestia e sulla peste nei Promessi Sposi, Buccino (SA) 2015, passim.

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