SARACCO, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SARACCO, Giuseppe

Gian Luca Fruci

– Nacque a Bistagno, nell’Alto Monferrato, il 9 ottobre 1821 da Francesco Antonio e da Vittoria Fontana.

Il padre era notaio e segretario comunale del municipio natio, capoluogo di mandamento della provincia di Acqui, ricostituita nel 1814 al rientro dei Savoia in Piemonte.

Dopo gli studi umanistici condotti dietro la supervisione della madre, Saracco si laureò in legge all’Università di Torino. Seguendo il percorso paterno, esercitò la professione forense e divenne poi vicesegretario comunale ad Acqui, teatro privilegiato da allora in avanti della sua ascesa socioprofessionale e politico-amministrativa, dove ambito locale e nazionale si sarebbero continuamente e inestricabilmente intrecciati secondo i canoni del cursus honorum propri del grande notabilato ottocentesco. Nel settembre del 1847, durante la cerimonia di posa della prima pietra del ponte sulla Bormida, svoltasi alla presenza del re Carlo Alberto che diede il suo nome alla struttura, completata nel 1850, Saracco si fece notare auspicando pubblicamente la prosecuzione delle ‘riforme liberali’ in atto nel Regno di Sardegna. L’anno successivo, in occasione delle prime votazioni comunali di Acqui nel dicembre del 1848, l’outsider e non ancora trentenne avvocato-segretario riuscì a conquistare uno dei seggi supplementari previsti dalla nuova normativa elettorale e a entrare a Palazzo civico accanto ad amministratori di lungo corso come il primo cittadino in carica, il conte Luca Probo Blesi di Castelrocchero, e Giovanni Battista Lupi di Moriano, maire nel periodo imperiale napoleonico e poi sindaco all’inizio della Restaurazione.

Seguace della Sinistra subalpina, il 21 maggio 1849 Saracco affiancò gli esponenti democratici Angelo Brofferio e Vittorio Fraschini nel collegio di difesa che presentò ricorso in Cassazione contro la condanna a morte del generale-deputato Girolamo Ramorino, comminata per disobbedienza agli ordini durante la ripresa della guerra contro gli austriaci nel marzo dello stesso anno. L’estremo tentativo dei radicali subalpini di salvare una delle ‘icone’ militari dell’internazionale liberale degli anni Trenta (Ramorino aveva combattuto in Polonia e poi in Spagna e Portogallo), fu vano e la sentenza venne eseguita il giorno seguente, 22 maggio 1849, ma la larga eco mediatica – non solo nazionale – del caso proiettò Saracco sul palcoscenico politico del Regno costituzionale sabaudo.

Dopo essere entrato nel Consiglio provinciale nella primavera del 1849, il 5 ottobre 1851 fu eletto deputato al primo turno in una suppletiva per il collegio di Acqui, con quasi il 60% dei suffragi. La votazione – cassata dalla Camera nel novembre successivo per mancanza del requisito di età (30 anni compiuti il giorno dell’elezione) – fu ripetuta il 15 dicembre con un risultato ancora più lusinghiero: il 69% dei consensi nel quadro di una partecipazione molto elevata (72% degli elettori), considerando anche la stagione invernale.

All’indomani della prima elezione annullata, Saracco aveva pubblicato – a posteriori, secondo l’uso del tempo – una professione di fede politica in cui univa manifestazioni di liberalismo radicale – «Amo con passione la liberà e la voglio per tutti» – a dichiarazioni di intenti nazional-patriottici in stile quarantottesco: «Il mio sguardo è teso sempre ad Italia. Possa la veneranda madre scuotere il triste giogo di gente straniera: ecco la più calda aspirazione dell’animo mio. Pensiamo a fondare una patria; avviseremo in appresso a comporne le leggi» (1851).

Schieratosi anche in Parlamento nelle file della Sinistra ‘progressiva’, fu molto critico verso l’esordio governativo di Camillo Benso di Cavour, che nel dicembre del 1853 decise di sfidarlo apertamente, candidandosi contro di lui nel collegio di Acqui. Sostenuto ufficialmente dal Comitato della Sinistra, Saracco non solo conseguì una netta vittoria sul presidente del Consiglio in carica, riportando al primo turno quasi il 65% dei suffragi in una competizione segnata da una notevole mobilitazione elettorale (67%), ma trasse anche un grande vantaggio di visibilità da quel duello, che giovò ulteriormente alla sua carriera politica in ascesa.

Negli anni successivi, dopo avere avversato il trattato di commercio con la Francia e l’intervento piemontese nella guerra di Crimea (gennaio 1855), le sue posizioni finirono per convergere con quelle del centro-sinistra, guidato da Urbano Rattazzi al connubio con il centro-destra liberale. Questo avvicinamento a Cavour in nome delle politiche di laicizzazione delle istituzioni statali sabaude fu sancito per Saracco dalla candidatura come liberale ministeriale alle elezioni del 15 novembre 1857, in cui sconfisse nettamente al primo turno, con il 76% dei voti, il conservatore clericaleggiante Ferdinando della Rovere sostenuto dal vescovo di Acqui, monsignor Modesto Contratto.

A conferma di questa nuova alleanza, nel 1858 Cavour promosse la nomina di Saracco a sindaco di Acqui; carica che egli mantenne fino al 1867 e che avrebbe ricoperto di nuovo lungamente dal 1872 al 1889, dopo la definitiva affermazione politica nazionale.

A partire dal 1861 affrontò il problema dell’ampliamento dello stabilimento termale militare, reso necessario dalle esigenze del nuovo esercito italiano, promuovendo un innovativo progetto di trasformazione urbana e turistica di Acqui in ville d’eau che prevedeva l’utilizzo dell’impianto termale civile per l’armata e la costruzione di un nuovo complesso modello in città, finanziato dall’impresa privata con il sostegno del Comune e dello Stato. L’iniziativa incontrò diversi problemi, e fu quindi l’amministrazione municipale a farsi carico dell’intera operazione, prima acquisendo i vecchi stabilimenti, poi rilevando nel 1881 la Società Nuove Terme che fin dal 1872 aveva messo a disposizione del pubblico un piccolo ma elegante edificio, base di un più grande e moderno impianto nel cuore della città, completato nel 1893. Alla valorizzazione del settore termale, le giunte Saracco affiancarono altre importanti opere pubbliche come «la demolizione del vecchio ghetto con l’apertura di un asilo infantile, di un convitto, di una banca popolare e dell’ospedale civile» (Ziruolo, 2009, p. 48).

Il 6 settembre 1856 aveva sposato la giovane Luigia Scarampi, che morì prematuramente a ventidue anni il 26 luglio 1860, primo di una serie di lutti familiari che avrebbero costellato la sua austera vita privata come avvenne, poco dopo, per la morte del loro piccolo figlio.

Rieletto trionfalmente nel gennaio del 1861 al primo Parlamento italiano, nel marzo del 1862 Saracco, ormai esponente del centro-sinistra subalpino aperto alla collaborazione con la parte più avanzata della Destra storica, fu nominato segretario generale del ministero dei Lavori pubblici su indicazione di Agostino Depretis, titolare del dicastero nel primo governo Rattazzi.

L’incarico era la conseguenza di una vicinanza amicale e politica con il deputato di Stradella rafforzatasi nell’estate del 1860, quando egli svolse una preziosa opera di trait-d’union fra Cavour e Depretis prodittatore in Sicilia per inviare discretamente aiuti in armi e denaro alla spedizione garibaldina nel Mezzogiorno che non sarebbe stato opportuno organizzare en plein air o far transitare sulle reti radicali.

Nell’ottobre del 1864, dopo un discorso tenuto alla fine di giugno sullo stato delle finanze che lo consacrò non solo come oratore parlamentare, ma anche quale deputato autorevole e competente in tematiche economiche, Saracco fu designato segretario generale del ministero delle Finanze da Quintino Sella, membro del secondo governo presieduto da Alfonso Ferrero della Marmora, carica che ricoprì fino al 30 giugno 1865. Decaduto da rappresentante per effetto della nomina, fu rieletto plebiscitariamente il 30 settembre 1864 per l’ultima volta, dal momento che l’8 ottobre 1865, alla vigilia del suo quarantaquattresimo compleanno, fu elevato al laticlavio senatoriale in base alla più ‘politica’ delle categorie previste dallo Statuto Albertino, la terza, riservata ai deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio.

L’ingresso nella Camera Alta consacrò Saracco, ex esponente della democrazia subalpina e outsider di provincia, quale ‘grande notabile della nazione’, garantendogli una forte influenza sulla deputazione subalpina – con il connesso privilegio di individuare nell’amico Desiderato Chiaves il suo successore nel collegio di Acqui – oltre che una libertà di azione politica e parlamentare di cui avrebbe ampiamente usufruito nei decenni successivi. L’egemonia politica e amministrativa, in particolare sul Piemonte sud-occidentale, fu sancita anche simbolicamente il 31 agosto 1874 dall’elezione, in sostituzione di Rattazzi scomparso l’anno prima, alla carica di presidente del Consiglio provinciale di Alessandria, di cui dal 1871 era vicepresidente, poi confermato ininterrottamente fino alla morte.

Nel frattempo, il legame con Sella da politico era diventato anche familiare a seguito delle nozze, celebrate il 18 novembre 1871 a Castellengo con la giovane Virginia Sella (1848-1876), figlia di Secondo Giovanni Battista, cugino di Quintino, notaio e sindaco di Valle Superiore Mosso. Dal loro legame il 5 novembre 1872 nacque Francesco, che morì precocemente poco prima della madre, deceduta per una grave malattia a ventotto anni. Il matrimonio, breve ma intenso, si caratterizzò per un rapporto epistolare intercorso fra i due durante le lunghe assenze da casa di Giuseppe, impegnato fra Roma, Firenze, Torino e Pavia per affari politici, culturali e professionali. Nella coppia l’ormai cinquantenne Saracco svolgeva con tenerezza una funzione razionalizzatrice rispetto alle passioni romantiche di Virginia, nei confronti della quale rivelava tuttavia la propria inadeguatezza riconoscendole una sentimentale superiorità morale e letteraria.

Saracco fu protagonista della fase in cui il Senato ridefinì il suo ruolo nel sistema parlamentare postunitario, subordinato alla Camera elettiva ma complementare ed equilibratore in particolare nell’uniformare l’indirizzo politico del governo e l’intera dinamica legislativa. Fece parte del ‘piccolo Senato’, ovvero di quel ridotto nucleo di rappresentanti che per continuità di presenza e ruolo svolto nelle commissioni costituivano i principali attori della produzione normativa e dell’azione di controllo esercitata dalla Camera Alta. Si distinse perciò come ‘specialista della politica’ grazie anche alla sua esperienza di amministratore e alla sua competenza finanziaria, già emersa nei lavori degli uffici della Camera dei deputati e confermata come membro di importanti commissioni di inchiesta come quelle sull’amministrazione del Comune di Firenze (1878-80) e per la revisione della tariffa doganale (1883-87). Nominato vicepresidente dell’Assemblea nel febbraio del 1878, lasciò la carica fra gennaio e febbraio 1880 nel fuoco di un passaggio decisivo per la ridefinizione del ruolo del Senato nella costituzione materiale del Regno come nel caso della lunga opposizione da esso opposta all’abolizione della tassa sul macinato in nome del pareggio di bilancio. Dopo che nel luglio del 1879 le proposte emendative erano state accolte dalla Camera dei deputati, quando a distanza di un anno le ragioni della politica prevalsero definitivamente e il tributo fu abolito totalmente, il 12 luglio 1880 fu proprio Saracco a dichiarare chiuso il processo legislativo e a teorizzare la funzione eminentemente moderatrice della rappresentanza vitalizia che «può e deve essere un freno, non mai un ostacolo all’adempimento della volontà del paese» (Antonetti, 1992, p. 136).

Il rigore finanziario avrebbe tuttavia continuato a caratterizzare la condotta di Saracco, che divenne uno dei principali critici del ministro Agostino Magliani insieme a Luigi Luzzatti e a Giovanni Giolitti, con il quale si trovò in diretta concorrenza, soprattutto dopo la pubblicazione, nel 1886, del manifesto dell’Opposizione subalpina, per l’eredità trasversale della tradizione politica di Rattazzi, Sella e Depretis. Il legame di lunga data con quest’ultimo era così forte che nell’aprile del 1887 fu indicato come suo possibile successore alla guida del governo. Saracco declinò, ma accettò il portafogli dei Lavori pubblici nell’ultimo ministero diretto dal leader di Stradella, rimanendo in carica anche durante il primo dicastero Crispi, fino al marzo del 1889. A testimonianza dell’adesione mai acritica, ma convinta al progetto riformatore dello statista siciliano, al quale si era nel frattempo affiancato anche Sidney Sonnino, Saracco fu ministro dei Lavori pubblici anche nel suo terzo e quarto governo dalla fine del 1893 al marzo del 1896.

Durante i due mandati diede impulso a un vasto programma di infrastrutture ferroviarie da tempo avviato, ma solo parzialmente realizzato, che investì tutta la penisola, ma in particolare il Mezzogiorno oltre che la sua provincia di origine, dove fu accelerata la costruzione della Asti-Acqui-Ovada – soprannominata dai suoi critici la Acqui-Saracco-Acqui – che permise all’Alto Monferrato di connettersi all’asse viario Torino-Genova.

Al centro di numerose ipotesi di combinazioni ministeriali sia dopo la caduta di Crispi sia dopo quella di Rudinì, che aveva appoggiato nel giugno del 1898 per il suo operato in difesa delle istituzioni monarchie ritenute in pericolo nonostante i dubbi sul ricorso allo stato d’assedio, il 16 novembre dello stesso anno fu nominato presidente del Senato al posto di Domenico Farini: fu al contempo un riconoscimento alla sua lunga carriera parlamentare e la conseguenza di un consolidato rapporto di consuetudine con il sovrano Umberto I. ‘Riserva della nazione’, l’appuntamento con la presidenza del Consiglio, sfumato più volte in precedenza, si concretizzò dopo le elezioni del giugno 1900 e il ridimensionamento dello schieramento che aveva sostenuto i provvedimenti liberticidi del secondo governo Pelloux. Membro indipendente della vecchia maggioranza, il 24 giugno 1900 Saracco formò un ‘governo di decompressione’ che avrebbe avuto il principale compito di ripristinare il corretto funzionamento delle istituzioni rappresentative dopo le contrapposizioni violente e l’ostruzionismo sistematico che avevano caratterizzato la precedente legislatura. Dopo poche settimane dall’insediamento il governo si trovò tuttavia ad affrontare il dramma dell’assassinio di Umberto I avvenuto a Monza il 29 luglio 1900. Grazie al sostegno del nuovo sovrano Vittorio Emanuele III, contrario a provvedimenti eccezionali in materia di ordine pubblico, Saracco poté proseguire la sua politica di conciliazione basata sulla lealtà alla monarchia e alle istituzioni liberali e di equilibrio fra il consolidamento del pareggio di bilancio e provvedimenti volti al miglioramento delle condizioni economiche delle masse popolari, con il corollario di una politica estera temperata che, pur collaborando in Cina con le altre potenze nella soluzione militare della ‘crisi dei boxer’, non implicava forme di occupazione territoriale.

‘Depretis redivivo’ secondo i giornali del tempo, Saracco cercò di destreggiarsi abilmente fra i tre principali schieramenti presenti in Parlamento (Centro e Destra intransigente, Sinistra liberale, partiti popolari) fino all’autunno, quando il 14 novembre – all’indomani dell’emanazione di una larga amnistia per i reati di stampa e per i delitti contro la libertà del lavoro, che riduceva altresì le pene comminate per i moti del 1898 – fu pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il programma del governo.

L’esecutivo rinunciava sia alla riforma giudiziaria sia a quella tributaria invocata dalla Sinistra liberale e dall’Estrema Sinistra, a favore di una serie di provvedimenti di stampo conservatore liberale sia in campo socioeconomico (in primis l’‘omnibus’ del ministro delle finanze Bruno Chimirri che mitigava le asprezze del sistema fiscale, ma non comportava riduzioni dei dazi su grano, sale e altri beni di prima necessità), sia in ambito di decentramento amministrativo con la riproposizione del disegno di legge presentato da Rudinì nel 1897. Anche attraverso la rapida approvazione della normativa promossa da Luigi Luzzatti, che istituiva attraverso un Commissariato generale la tutela statale degli emigranti, l’intento del presidente del Consiglio era infatti quello di costruirsi una maggioranza di centro-destra che segnasse la ricomposizione fra il gruppo capeggiato da Rudinì e le forze parlamentari che si riconoscevano in Sonnino. A quest’ultimo fu prospettato il ministero degli Esteri in un prossimo rimpasto o in un probabile secondo ministero Saracco da varare, con il consenso del sovrano, dopo le vacanze natalizie del 1900 quale viatico per la successione al vecchio statista piemontese quando questi si fosse ritirato dal potere. Tuttavia Sonnino, che puntava al ministero degli Interni e quindi all’egemonia politica sull’ipotizzato nuovo dicastero se non tout court alla immediata leadership governativa, non accolse la proposta di accordo di Saracco e anzi decise, nel gennaio del 1901, di sfruttare l’indebolimento dell’esecutivo – dovuto, nella seconda metà di dicembre, alle dimissioni del ministro del Tesoro Giulio Rubini e soprattutto all’atteggiamento ambivalente tenuto di fronte allo scioglimento prefettizio della Camera del Lavoro di Genova – per ingaggiare battaglia e perseguire così il suo obiettivo di ritorno al potere.

Dopo avere avallato l’operato del prefetto, Saracco lo aveva infatti scavalcato, impegnandosi in prima persona con i rappresentanti dei lavoratori per porre fine allo sciopero di protesta e arrivare alla ricostituzione della Camera del Lavoro. Per evitare la discussione di un’interpellanza di Giolitti del 29 gennaio che avrebbe dovuto unire nel voto Sinistra liberale e partiti popolari nella richiesta di una radicale riforma tributaria, il sonniniano Edoardo Daneo presentò una mozione sui fatti di Genova, che evidenziava «palesi incertezze di criteri economici e politici» nella condotta dell’autorità e invitava «il ministero a esplicare con proposte di ordine economico, amministrativo e finanziario un indirizzo di governo che tolga l’occasione del ripetersi di simili fatti» (Falco, 2007, p. 213). Tuttavia, con un’abile contromossa parlamentare appoggiata dal presidente della Camera Tommaso Villa, Zanardelli e Giolitti promossero un emendamento firmato dai loro luogotenenti Nicolò Fulci e Fausto Massimini che dichiarava la disapprovazione della Camera nei confronti dell’operato del governo e che per ragioni regolamentari doveva essere votato prima della mozione. Il 6 aprile 1901, dopo che il giorno precedente Saracco aveva difeso strenuamente la sua posizione autonoma rispetto sia a Sonnino sia a Giolitti, l’emendamento di sfiducia, su cui confluì anche l’Estrema Sinistra allo scopo di marcarlo politicamente in senso progressista, fu approvato con 318 sì, 102 no e 6 astenuti. La débacle dei sonniniani fu completata dalla successiva bocciatura con numeri ancora più ampi (388 no, un astenuto) della mozione Daneo nonostante il tentativo del suo proponente di evitare la messa in votazione. Dopo le inevitabili dimissioni di Saracco, l’impasse politico-parlamentare e il favore di cui egli godeva a Corte sembrò rendere possibile un suo reincarico, ma la netta opposizione di Giolitti, suo storico e più giovane avversario, fece sfumare questa soluzione aprendo la via alla svolta progressista favorita infine dallo stesso presidente del Consiglio uscente e tradottasi nell’incarico a Giuseppe Zanardelli, vecchio e rappresentativo capo della Sinistra liberale-radicale.

Saracco riprese il suo posto di presidente del Senato, da cui significativamente non si era dimesso durante la breve esperienza di governo, e che mantenne fino al 18 ottobre 1904, quando fu sostituito dal magistrato e docente universitario giolittiano Tancredi Canonico. Sdegnato per la destituzione, Saracco decise di disertare da allora i lavori parlamentari e di ritirarsi in solitudine nell’Alto Monferrato, dove ebbe vicini soltanto alcuni familiari, fra i quali la cognata Olimpia Sella e il nipote Pietro Caffarelli. Morì a Bistagno il 19 gennaio 1907.

Scritti e discorsi. Elettori, mercè vostra ho conseguito il supremo onore che possa toccare a libero cittadino in libero Stato, Acqui 1851; Discorsi del senatore Saracco nella discussione del progetto di legge sulla liquidazione dell’asse ecclesiastico pronunciati nelle sedute dell’11 e 12 agosto 1867, Firenze 1867; Modificazioni alla legge sulla tassa del macinato. Discorsi del senatore Saracco pronunziati al Senato nelle tornate del 21, 23 e 24 giugno 1879, Roma 1879; Discorsi del senatore Giuseppe Saracco pronunziati al Senato nelle tornate del 20, 21, e 23 gennaio 1880, Roma 1880; Discorso in commemorazione di Emilio dei conti Veglio di Castelletto e di s.e. Giovanni Lanza, Alessandria 1882; Nuove spese straordinarie militari. Discorsi del senatore Giuseppe Saracco pronunziati in Senato nelle tornate del 26 e 28 giugno 1882, Roma 1882; Inaugurandosi il monumento a Giambattista Giuliani in Canelli il 19 ottobre 1890, Torino 1891; Provvedimenti sulle pensioni civili e militari. Discorsi del senatore Saracco pronunziati nelle tornate del 30-31 maggio e 2 giugno 1893, Roma 1893; Siamo poveri o non siamo?, in Nuova Antologia, s. 4, 1897, vol. 72, pp. 547-555; Il fondo di sgravio e le ferrovie, ibid., 1898, vol. 73, pp. 338-358.

Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Alessandria, Prefettura di Alessandria, Affari generali, bb. 14, f. 74, 19, f. 63; Acqui Terme, Archivio storico comunale, Fondo Saracco (per una descrizione dell’archivio, donato dagli eredi De Lorenzi Mottura e consultabile dal 1985: L. Ziruolo, Il fondo S. di Acqui Terme, in Quaderno di storia contemporanea dell’Istituto per la storia della Resistenza in provincia di Alessandria, VIII (1986), 16, pp. 173-178); G.L. Rapetti Bovio della Torre, Le carte e l’archivio del senatore S.: una fonte storiografica dimenticata (in appendice Inventario dei documenti e dei discorsi), in G. S. L’uomo e lo statista nell’Italia post-risorgimentale, a cura di A. Pirni, Milano 2009, pp. 99-102, 107-115.

Processo del generale Ramorino condannato a morte e sua esecuzione (22 maggio 1849), s.l. 1849; p. 84; B. Chimirri, La vita e le opere di G. S., Roma 1909; C. Pischedda, Elezioni politiche nel Regno di Sardegna (1848-1859), Torino 1965, pp. CLXIV, CLXXXI, CLXXXIII; A. Moscati, I ministri del Regno d’Italia, V, Salerno 1966, pp. 66-85; A.A. Mola, G. S., in Il Parlamento italiano 1861-1988, VI, Roma 1989, pp. 559-579; N. Antonetti, Gli invalidi della costituzione. Il Senato del Regno 1848-1924, Roma-Bari 1992, pp. 131 s., 136 s., 157, 187, 192; N. Colla, G.S. Presidente del Senato (1898-1904), Acqui Terme 1998; C. Duggan, Creare la nazione. Vita di Francesco Crispi, Roma-Bari 2000, pp. 566, 578, 594, 608, 670, 709, 761, 763, 812, 815, 828, 847-850, 855, 869; L. Ziruolo, «Maroglietta mia». Lettere di G. S. alla moglie Virginia Sella (1872-1875), in «Dolce dono graditissimo». La lettera privata dal Settecento al Novecento, a cura di M.L. Betri - D. Maldini Chiarito, Milano 2000, pp. 200-209; E. Falco, Il ministero Saracco. Un governo liberalconservatore dalla crisi di fine Ottocento all’età giolittiana, Milano 2007; N. Antonetti, Il Senato del Regno nell’età di G. S., in G. S. L’uomo e lo statista nell’Italia post-risorgimentale, cit., 2009, pp. 61-78; L. Ziruolo, G. S.: tra sfera pubblica e sfera privata, tra potere nazionale e potere locale, ibid., pp. 43-60; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera. it/deputato/giuseppe-saracco-18211009#nav; Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, http://notes9.senato.it/web/senregno. nsf/S_l2? OpenPage.

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