SIRI, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 92 (2018)

SIRI, Giuseppe

Nicla Buonasorte

– Nacque a Genova il 20 maggio 1906 da Nicolò e da Giulia Bellavista.

All’età di dieci anni entrò nel seminario minore del Chiappeto, ben presto trasformato in alloggio per i profughi del primo conflitto mondiale. Era allora vescovo di Genova Lodovico Gavotti, salito alla cattedra di S. Siro nel 1915 dopo la chiusura del caso Caron, crisi dovuta al mancato gradimento governativo all’insediamento del vescovo prescelto e alla dura reazione di papa Pio X, che comminò l’interdetto alla diocesi di Genova. Il periodo degli studi coincise con un tormentato susseguirsi di vescovi fino alla nomina, nel 1925, di Carlo Dalmazio Minoretti, che avrebbe retto la diocesi fino al 1938, in anni di frequenti tensioni tra la Chiesa locale e il regime fascista.

Già dai primi anni di liceo Siri si distinse come uno degli studenti migliori del seminario; per questo, nel 1926, fu inviato a Roma per proseguire gli studi all’Università Gregoriana, dove si laureò in teologia summa cum laude nel giugno del 1929. Nel frattempo era stato ordinato sacerdote nella cattedrale di Genova il 22 settembre 1928 dall’arcivescovo Minoretti.

Al ritorno da Roma fu nominato professore di teologia dogmatica in seminario, dove divenne collega di molti dei suoi maestri. Dal 1931 al 1944 affiancò a quell’impegno quello di professore di religione nei licei classici cittadini e di animatore dell’Apostolato liturgico, che attorno alla figura di don Giacomo Moglia era uno dei fulcri del movimento liturgico italiano. Intanto collaborava all’attività pastorale in diverse parrocchie e spesso veniva chiamato a tenere corsi e conferenze in vari ambiti: le lezioni tenute per le Settimane di Camaldoli, su invito della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), sarebbero state edite nei due volumi del Corso di teologia per laici, pubblicati a Roma nel 1940.

Nel 1938 divenne arcivescovo il gesuita Pietro Boetto, che guidò la Chiesa di Genova durante la drammatica stagione della seconda guerra mondiale, con pesanti bombardamenti aerei e navali e l’occupazione tedesca. Siri, insieme ad altri sacerdoti genovesi guidati da don Francesco Repetto, collaborò alla rete di sostegno per gli ebrei e alle iniziative a favore della popolazione.

Nel gennaio del 1944 Boetto nominò Siri suo ausiliare e lo consacrò vescovo titolare di Liviade: all’età di 38 anni era il più giovane vescovo italiano. Nell’estate successiva entrò in clandestinità, ricercato dai nazifascisti, insieme a diversi altri esponenti del clero genovese, per le sue attività e per le posizioni espresse in alcuni suoi scritti. Dal settembre del 1944, a causa delle precarie condizioni di salute di Boetto, il ruolo di Siri divenne sempre più importante, fino a essere centrale nel momento delle trattative per la resa degli occupanti tedeschi al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) locale nell’aprile del 1945. Alla morte di Boetto, nel gennaio del 1946, Pio XII lo nominò arcivescovo della diocesi: nonostante la sua giovane età, offriva ampie garanzie di solidità dottrinale e di preparazione teologica, oltre ad avere compiuto un intenso periodo di noviziato episcopale al fianco di Boetto in momenti complessi per la città, per cui godeva anche dell’appoggio del vasto fronte antifascista cittadino, al di là dell’ambiente cattolico.

Entrò solennemente in diocesi il 30 maggio 1946, a ridosso del referendum istituzionale per la scelta tra monarchia e repubblica. Il suo episcopato, iniziato con Pio XII e terminato con Giovanni Paolo II, durò 41 anni. Nel suo primo discorso da arcivescovo Siri enucleò le linee pastorali del suo ministero: la centralità della figura episcopale, l’importanza del compito pubblico della Chiesa, il primato dell’aspetto morale nell’identità cristiana. Il periodo della ricostruzione poneva urgenze pastorali inedite per la diocesi, anche per l’avvio di un processo di immigrazione verso il polo industriale della città che ne avrebbe mutato profondamente il volto. Consapevole dell’insufficienza della tradizionale pastorale basata sul tessuto parrocchiale, Siri nel 1953 diede forma canonica all’attività dei preti all’interno delle fabbriche, costituendo l’Opera diocesana dei cappellani del lavoro. A Genova era forte la presenza comunista e socialista, che il vescovo cercò di limitare con un appoggio duraturo alla Democrazia cristiana (DC) a livello locale, ad esempio attraverso lo stretto rapporto con Paolo Emilio Taviani, e nazionale, in sintonia con l’anticomunismo di Pio XII, una delle cifre portanti del pontificato. Iniziò anche a occuparsi degli imprenditori, con la fondazione, nel 1947, della sezione dell’UCID (Unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti): la sua attenzione alla dottrina sociale della Chiesa fu costante in una città dove gli operai costituivano la grande maggioranza dei lavoratori.

Le linee pastorali di Siri intendevano difendere i cattolici dai pericoli della modernità, morali in primo luogo, filosofici e teologici. Nelle sue lettere pastorali, alcuni temi tornarono con insistenza durante gli anni: l’allentamento della disciplina ecclesiastica e della moralità dei fedeli, gli errori dottrinali, il pericolo della democratizzazione della Chiesa, il timore per la crescita del ruolo dei laici, il giudizio negativo, teologico e spirituale, nei confronti dell’ecumenismo, della libertà religiosa e di quegli ambienti che insistevano sulla necessità di riforme all’interno della Chiesa, ad esempio in ambito liturgico; egli attribuiva a profonde carenze teologiche e alla diffusione di una cultura moderna, lontana dalla sottomissione alle direttive ecclesiastiche, la critica nei confronti della gerarchia e lo scollamento dai modi di vita tradizionali che rilevava in tanti aspetti della società italiana. La corposa raccolta dei suoi scritti (lettere pastorali, discorsi, conferenze, memorie) rispecchia con ampiezza questa visione (Opere del cardinale Giuseppe Siri, I-XIII, Pisa 1983-2011).

Convinto assertore della struttura piramidale della Chiesa, Siri era in diocesi la massima autorità e chiedeva ai preti l’obbedienza che egli professava nei confronti del pontefice romano. Di conseguenza, il contributo dei laici alla vita della diocesi genovese fu sempre sottoposto a limitazioni che riflettevano il loro ruolo subordinato a livello teologico; l’ambito in cui potevano collaborare con la gerarchia era quello dell’Azione cattolica tutte le altre esperienze furono guardate con sospetto e ostacolate. Nonostante questa difficile situazione, negli anni non mancarono esperienze laicali capaci di autonomia e di confronto dialettico con l’arcivescovo.

Siri fu uno dei delfini di Pio XII e braccio destro del pontefice negli anni della ricostruzione, in cui la Chiesa si sentiva depositaria dei valori della civiltà. Durante il pontificato di Pacelli, Siri condivise con lui, per molti aspetti e nei limiti del suo ruolo, il compito di guidare la Chiesa. Nominato nel 1948 presidente della Consulta generale dell’Apostolato del mare, nel 1949 fu chiamato alla direzione delle Settimane sociali e dal 1955 fu presidente della Commissione episcopale per l’Azione cattolica. Fu creato cardinale nel concistoro del 12 gennaio 1953.

Fino agli anni del Concilio Vaticano II Siri fu uno dei personaggi nodali dell’intreccio fra mondo politico e S. Sede in Italia, al centro delle vicende che segnarono in maniera indelebile il Novecento. Sebbene all’interno della Curia romana l’appoggio alla DC non fosse unanime e vi convivessero diverse sensibilità e strategie, l’influenza sul potere politico era considerata, dai vescovi come dal papa, un mezzo per garantire la libertà della Chiesa e per indirizzare la vita sociale della nazione verso una maggiore fedeltà ai dettami della dottrina cristiana. La gerarchia, direttamente e attraverso l’azione delle organizzazioni di massa, si muoveva per orientare le preferenze politiche dei cattolici italiani, cercando nel contempo di controllare uomini e programmi della DC.

Tanto Pacelli quanto Siri contrastarono l’emancipazione del mondo politico dalla Chiesa. In un mondo segnato dalla guerra fredda, Siri condivideva i timori della S. Sede sulla possibilità di un cedimento della DC di fronte all’avanzata dei socialisti e dei comunisti; cercò in ogni modo di scongiurare l’apertura a sinistra che avrebbe poi condotto alla collaborazione politica con quelli che considerava i ‘nemici’ della Chiesa. La pretesa autonomia dei laici in politica era un problema dottrinale in primo luogo, un errore da combattere sul piano religioso, così come l’apertura a sinistra rappresentava un pericoloso atteggiamento mentale prima di essere un progetto politico. In questa direzione si deve leggere la stretta marcatura operata da Siri nei confronti di alcuni esponenti della DC; ci furono interventi costanti nei confronti di Giovanni Gronchi prima e di Aldo Moro poi, a livello nazionale, e a livello locale il partito cattolico fu attentamente monitorato. Se il voto compatto dei cattolici per la DC era l’unica strada percorribile e Siri la propugnò sempre con convinzione, non mancarono i timori per la presenza, all’interno del partito, di correnti influenzate da ambienti filosofici e politici su cui Siri nutriva dubbi di ortodossia dottrinale. Lo preoccupava anche il comportamento di alcuni vescovi, a suo parere non favorevoli all’unità politica dei cattolici e aperti a pericolosi esperimenti di autonomia della realtà politica da quella religiosa. La politica italiana aveva bisogno di una guida ecclesiastica e la Chiesa aveva in tal senso una specifica missione cui adempiere.

Accanto al controllo sul mondo politico, insieme alle congregazioni romane, e al S. Uffizio in particolare, Siri setacciava le debolezze della teologia e i mutamenti sociali che erodevano la tradizione, preoccupandosi di mantenere vivo l’aspetto soprannaturale della vita dei singoli e delle comunità. L’arcivescovo di Genova fu uno dei protagonisti della prima stagione della Conferenza episcopale italiana (CEI), che riunì a partire dal 1952 i presidenti delle conferenze episcopali regionali, snodo dei rapporti tra l’episcopato e il papa.

Nel 1958, alla morte di Pacelli, la sua vicinanza a Pio XII ne faceva il candidato della continuità di uno stile di governo e dei suoi contenuti; la sua giovane età, tuttavia, giocò un ruolo determinante nelle scelte dei cardinali, che elessero Angelo Giuseppe Roncalli, del quale il cardinale genovese non condivise mai il distacco dalle vicende politiche e le aperture pastorali. La diversità di vedute si approfondì con l’annuncio del Concilio Vaticano II e poi con il suo svolgimento.

Proprio per il seguito che Siri aveva all’interno dell’episcopato italiano fu lo stesso Giovanni XXIII a nominarlo nel settembre del 1959 alla presidenza della Conferenza episcopale italiana, dove avviò quel lavoro di responsabilizzazione collettiva dell’episcopato che fino ad allora era mancata all’Italia; per Siri la CEI doveva rappresentare il punto di riferimento del mondo politico italiano, soprattutto dal momento in cui il papa non interveniva più personalmente in questo campo. Il pluralismo, religioso o politico che fosse, fu sempre uno degli spettri agitati da Siri nel tentativo di ricondurre all’unità il mondo cattolico italiano sotto la guida di pastori legati alla tradizionale ortodossia e ortoprassi che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Anche nel 1962 Giovanni XXIII rinnovò il suo mandato alla guida della CEI, ruolo che avrebbe tenuto fino al 1965.

Dopo l’annuncio del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII nel gennaio del 1959, Siri fu chiamato a Roma nella commissione centrale preparatoria, dove venivano esaminati gli schemi approntati dalle commissioni sui vari temi che i vescovi riuniti avrebbero dovuto discutere. All’apertura del concilio, nell’ottobre del 1962, entrò a far parte del Secretariatus de Concilii negotiis extra ordinem, che doveva occuparsi di tutte le problematiche che si sarebbero presentate durante lo svolgersi dei lavori in aula. Immaginando un concilio di breve durata, che avrebbe approvato il lavoro delle diverse commissioni preparatorie, il cardinale genovese si pose alla testa dell’episcopato italiano che, a suo avviso, doveva difendere il ruolo del papa e l’ortodossia cattolica dai tanti pericoli e inquinamenti che serpeggiavano anche all’interno della Chiesa cattolica. Ben presto la sensibilità conservatrice di Siri ne fece uno dei punti di riferimento di quella che viene chiamata la minoranza conciliare, in cui si riconosceva gran parte dell’episcopato italiano, decisa a combattere molte delle proposte di mutamento che emergevano dai dibattiti in aula.

Lo schema sulla liturgia fu il primo a essere affrontato. Le posizioni di Siri erano contrarie alle riforme, in particolare quelle che prevedevano l’uso delle lingue nazionali nella messa e l’ampliamento degli spazi di partecipazione dei fedeli che giudicava dottrinalmente poco ortodosse; nei dibattiti sulle fonti della rivelazione sottolineò l’importanza costitutiva della tradizione accanto alla Scrittura, per evitare di scivolare nel protestantesimo. Ancora, cercò di limitare la portata della collegialità episcopale, il ruolo dei laici nella Chiesa, combatté l’idea di libertà religiosa come diritto dell’individuo, invocò prudenza nei confronti dell’ecumenismo, che a suo avviso metteva sullo stesso piano la vera religione, quella cattolica, e le eresie cristiane. La teologia tradizionale gli sembrava insidiata da pericoli gravissimi, il primo dei quali era una sorta di cecità dei teologi stessi e di quanti erano chiamati a vigilare sugli sviluppi della dottrina. A chi proponeva un diverso rapporto tra Chiesa e mondo contemporaneo nelle sue varie declinazioni, magari attraverso un nuovo disegno pastorale, contestava la mancanza di attenzione ai problemi spirituali e il pericolo della diffusione, all’interno della Chiesa, del relativismo, del laicismo, dell’indifferentismo.

La morte di Giovanni XXIII non fermò il concilio. Tra il primo e il secondo periodo, nell’estate del 1963 i cardinali riuniti in conclave elessero papa l’arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Anche Siri ottenne un buon numero di consensi, ma alcune testimonianze riferiscono di una sua indisponibilità all’elezione.

Con Paolo VI i rapporti non furono particolarmente intensi: il presule genovese si riteneva in un certo senso il difensore dell’ortodossia di fronte a una deriva che non condivideva e che avrebbe portato la Chiesa alla sconfitta, di cui Montini, a suo parere, non sembrava preoccuparsi a sufficienza. Nonostante l’attenzione che il papa riservò al presidente della CEI, durante il prosieguo del concilio e con l’avvio del pontificato montiniano la figura di Siri iniziò a eclissare come guida dell’episcopato italiano e riferimento conciliare. Un incipiente senso di estraneità e il sospetto di essere perdente nella battaglia in difesa di quella Chiesa di cui si riteneva l’autentico rappresentante lo portarono a volte ad autoescludersi dai dibattiti. Intanto la DC, guidata da Aldo Moro, si apriva alla collaborazione con i socialisti: una sconfitta del disegno pacelliano incarnato da Siri, in un tempo segnato dal disgelo internazionale e dal cambiamento inarrestabile della società italiana.

Nel dicembre del 1965 si chiuse il Concilio Vaticano II e Siri tornò nella sua diocesi con la convinzione di doversi dedicare al difficile compito del mantenimento dell’ortodossia di fronte alle conclusioni dell’assemblea, che lo avevano profondamente disorientato. La difesa della tradizione e del ruolo della Chiesa nella società secondo la sensibilità in cui si era formato furono i capisaldi delle sue battaglie postconciliari. A Genova cercò di filtrare i contenuti dei documenti finali dell’assemblea attraverso la lente della prudenza e della continuità con il passato. A livello nazionale cercò di dirigere la ricezione del concilio in senso conservatore, impresa che si scontrò tuttavia con meccanismi di partecipazione inediti che si intersecavano nella Chiesa con i contemporanei potenti cambiamenti della società: le trasformazioni sociali, l’ondata libertaria, le contestazioni del Sessantotto, l’autunno caldo. Uno strumento di diffusione delle sue idee fu la rivista Renovatio, che fondò nel 1966, nella quale ebbe un ruolo importante Gianni Baget Bozzo.

La sua ricezione fu obbediente (non si mescolò mai con gli ambienti della contestazione aperta e finanche scismatica, come quella lefebvriana), ma sempre minimale, accompagnata da un’interpretazione volta a negare qualsivoglia svolta conciliare e a ribadire la continuità con il passato. In questo senso va anche letta la sua partecipazione al primo sinodo dei vescovi, riunitosi nel 1967, al quale prese parte per elezione da parte dei vescovi italiani, per molti dei quali rimaneva comunque un punto di riferimento.

Nel 1968, ancora, fu cooptato all’interno della commissione per la revisione del codice di diritto canonico. Il mutamento all’interno della Chiesa trovò una conferma anche a livello simbolico nel 1978. In entrambi i conclavi di quell’anno, quello in cui fu eletto papa Albino Luciani (Giovanni Paolo I) e quello che scelse il polacco Karol Wojtyła (Giovanni Paolo II), la candidatura di Siri, forte ai primi scrutini, lasciò il passo ad altri scenari. Negli anni della violenza terroristica e della crisi industriale Siri, sempre più emarginato dal governo centrale della Chiesa, leggeva gli effetti dell’allontanamento della società dal modello cristiano tradizionale. Nel 1985 ricevette la visita di Giovanni Paolo II, ultima occasione pubblica per il cardinale prima del commiato dalla diocesi. Il papa, che ben conosceva le riserve del cardinale nei confronti della norma che imponeva agli ordinari di presentare le dimissioni al compimento dei settantacinque anni di età, scelse un successore per Siri solo nel 1987, nella persona di Giovanni Canestri, che entrò in diocesi nell’ottobre di quell’anno. Siri morì a Genova il 2 maggio 1989.

Fonti e Bibl.: B. Lai, Il papa non eletto: G. S. cardinale di Santa Romana Chiesa, Roma-Bari 1993; M. Grone, Accanto al mio cardinale G. S., Genova 1999; N. Buonasorte, Siri. Tradizione e Novecento, Bologna 2006; Siri. La Chiesa, l’Italia, a cura di P. Gheda, Milano 2009.

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